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1924.
ARCHIVIO
GLOTTOLOGICO ITALIANO,
FONDATO
DA
a. I. ASCOLI
NEL J>). ; ORA CONTINUATO SOTlO LA DIREZIONE
DEL
Prof. P. O. GOIDÀNICH
Ordinario di glottologia nell'Università di Bologna.
VOLUME DECIMOTTAVO
TORINO
Casa Editrice
GIOYAKNI OHIAIS^TORE
Successore ERMANNO LOESCHER
1914-1918-1922
Rlser-vato ogni diritto di proprietà
e di trad-uzione
o^'i
Torino — Stabilimento Tipografico Vincenzo Bona.
SONUVLARIO
Alberto Talmon, Saggio sul dialetto di Pragelato .
B. A. Terracini, Il parlare d'Usseglio {Continuazione)
Angelico Prati, Ricerche di toponomastica trentina (il) .
Giovanni Flechia, Lessico piveronese, edito da Giuseppe Flechia
Angelico Prati, Etimologie e appunti vari . . ~ . ,
Cesare Poma, Numeri come cognomi ......
— — Fallaci apparenze in cognomi italiani ....
Pietro Gabriele Goidànich, Ancora delle sintesi linguistiche .
— ■ — Di un preteso aurufice
Umberto Valente, Nomenclatura dell'ape in alcune regioni setten-
trionali d'Italia e specialmente nelle valli del Pellice e
del Chisone .........
Giuseppe Malagòli, Fonologia del dialetto di Novellara .
Angelico Prati, Raggranellando ......
Pietro Gabriele Goidànich, Note al precedente lavoro .
Nunzio Maccarrone, Appunti sulla lingua di G. A. Faye speziale
lunigianese del sec. XV ......
Aldo Aruch, Un lessichetto ravennate del secolo XVII .
Giacomo Braun, Della " Mascalcia , di Lorenzo Rusio
Angelo Bongiovanni, False apparenze etimologiche in cognomi ita
liani ..........
Dante Olivieri, Sul n. loc. veronese Zèrpa ....
Pietro Gahrielk Goidànich, Postille alla nota precedente
Fag. 1
. 105
, 195
, 276
, 328
. 345
, 353
. 362
, 865
366
368
395
471
475
533
543
559
573
575
IV Sommario
Appunti bibliogniflci :
Pietro Gabuiele Goidànich, Codice Diplomatico Barese, voi. Vili . Pag. 1
Testi italiani dialettali in trascrizione fonetica, P. I. Italia
settentrionale, di Carlo Battisti «1'-
Die Mundart von Valvestino, di Carlo Battisti . . . , 189
Bibliographie phonétique. Italie, 1910-1911, di B. A. Terracini , ivi
— — La Vita di San Mummoleno ovvero la tradizione più antica
intorno all'uso del lat volg. nelle Gallie, di E. Cocchia . , 191
— — Wordformation in Proven9al, di E. L. Adam . . . . ,193
— — e Cesare Poma, Attraverso l'onomastica del Medio Evo in
Italia, di A. Trauzzi ......... 384
Angelico Prati, Contributo alla sintassi dei dialetti italiani, di
Mario Filzi 578
Dante Olivieri, Contributi al lessico etimologico romanzo, con par-
ticolare considerazione al dialetto e ai subdialetti siciliani,
di Giacomo De Gregorio ........ 579
Angelo Bongiovanni, Tracce di bassa latinità nei cognomi piemon-
tesi, di Attilio Levi ......... 584
Cenni necrologici :
Mario Pelaez, Ernesto Monaci (1844-1918)
Alberto Trauzzi, Egidio Gorra (1861-1918)
B. a. Terracini, Carlo Salvioni (1858-1920)
Pier Enea Guarnerio (1854-1919) . . . .
Correzioni e giunte (Angelico Prati - Nunzio Maccarrone)
Indici del volume
392
393
586
601
603
605
Carta della Val Chisone con Val di Susa e Val San Martino, tra
le pagine 12 e 13.
ALBERTO TALMON
SAQGIO
DIALETTO DI PRAGELATO
INTRODUZIONE
Oggetto del presente studio è la descrizione del dialetto parlato at-
tualmente a Pragelato, nell'alta Val Chisone (Mandam. di Fenestrelle,
Circ. di Pinerolo, Prov. di Torino).
Cenni corografici e storici su Val Chisone,
con speciale riguardo al tratto superiore chiamato Valle di Pragelato '
1. La valle del Chisone è fra le principali che si aprono nel vei--
sante orientale delle Alpi Cozie. A levante e a mezzogiorno confina
colla valle di S. Martino, ad occidente con quella d'Oulx e di Cesana,
a tramontana colla valle di Susa; a greco è circoscritta dalle montagne
che danno origine alla valle bagnata dal torrente Sangone.
Il contrafforte che si stacca dalla dorsale alpina al Gran Queyron,
dopo breve tratto con direzione nord (Punta Rondel, la Vergia), a Monte
Appenna si divide in due rami, che racchiudono la valle interna del Chi-
sone (o elusone).
* Cfr. PiTTAviNO, Cronaca di Pragelato (Pinerolo, Tip. Sociale, 1905). —
Carutti, Storia di Pinerolo (Pinerolo, Tip. Chiantore e Mascarelliì, 1893).
— Caffaro, Notizie e documenti della Chiesa Pinerolese (Id., id., 1888). —
Casalls, Dizionario geografico-storico degli Stati Sardi (Torino, 1833-56). —
Vegezzi-Ruscalla, Diritto e necessità, ecc. (Torino, Bocca, 1861).
Archivio glottol. ital., XVIII. 1
2 Alberto Talmon,
Il ramo di destra, o masso dell'Albergian, separa il Chisone dalla
Germanasca suo affluente: da M. Appanna procede verso nord fino al-
l'Albergian (ni. 3043), quindi volgendo a sud-est, prosegue con la sua
principale diramazione fino alla Punta del Cerisier che sovrasta a Po-
mai'etto, di fronte a Perosa Argentina. Dalla sua origine al Colle delle
Tane ha carattere aspro, poi è di natura più praticabile : valicato da
buone mulattiere peri Colli del Piz (2606 m.) e dell'Albergian (2764 m.)
assume una grande importanza per il passaggio che questi due colli
consentono dal Colle di Sestrières e da Val Troneea sul fianco di Fe-
nestrelle.
Il ramo di sinistra, fra Chisone e Dora Eiparia, va con andamento
quasi semicircolare per Punta Rognosa (3277 m.), Colle di Sestrières
(m. 2069), Monte Praitève (2701 m.), Assietta (2567 m.). Monte Orsiera
(ni. 2878) e Monte Rocciavró (2278 m.) ove si suddivide in due rami
che abbracciano il bacino di Sangone e terminano nella pianura fra
Pinerolo e Rivoli.
Per la sua forma e struttura, questo contrafforte fra Dora e Chisone
può distinguersi in parecchi tratti: — il Masso della Rognosa, dal Gran
Queyron al Colle di Sestrières — la Zona M. Praitève-Assietta, dal
Colle di Sestrières al Colle delle Finestre — il Masso di M. Orsiera —
il Bacino del Sangone o Conca di Giaveno — Il Gruppo collinoso Avi-
gliana-Rivoli.
La prima zona è fino a Punta Rognosa una massa rocciosa, supe-
riore ai 3000 m., copei'ta generalmente di nevi, impraticabile all'infuori
di pochi passaggi, ti'a cui quello di Rodoretto è mulattiero. Da P. Ro-
gnosa si abbassa fortemente api-endosi in due rami che abbracciano il
Chisonetto (Clusonet), dei quali uno fiancheggia il. Colle di Sestrières.
— 'La zona M. Fraitève-Assietta, che dal Colle di Sestrières va a quello
delle Finestre, ha struttura assai diversa ed è tutta praticabile. Il Colle
di Sestriere (2027 m.) è un'insellatura di quasi un km. di larghezza,
dolcemente ondulata a prati e pascoli, che dà passo alla strada nazio-
nale Pinerolo-Monginevra. Il Monte Praitève è il punto più elevato della
cresta (2701 m.);, e si spinge a guisa di cuneo contro il Monginevra.
Dal Praitève al Gran Serin la cresta è valicata da. mulattiere assai
buone ai Colli Basset (2425 m.), Bourget (2284 m.), Costapiana (2373 m.),
Blégier (2376 m.), Lauson (2497 m.), Assietta (2472 m.), i quali colle-
gano rispettivamente: Oulx e Traverse — Oulx e Souehères-Hautes —
Sagr^-io sul dialetto di Fragelnto 3
Ouix e Riià — Salbertrand e Ruà — - Exilles e Pourrières. Tra il masso
dell'Assietta e il masso dell'Orsiera, e più precisamente tra M. Pouas e
M. Pelvo, il frequentatissimo Colle Finestre (2215 m.), accessibile ai ca-
valli, collega Susa e Fenestrelle. — Il Colle dell'Orsiera (2595 m.), pra-
ticabile a cavallo superiormente a Fenestrelle, mette a Susa e Bussoleno.
Altri colli, tra la valle di Susa e la parte inferiore di Val Chisone: il
Colle di Malanotte, al disopra di Villaretto, che tende a Bussoleno; il
Colle di Sablon, vicino a quello di Malanotte, che mette a S. Antonino
di Susa : il Colle della Roussa superiormente al Fayet (Roure), che ac-
cenna ad Avigliana.
Il contrafforte che separa la valle del Chisone da quella di S. Mar-
tino, presenta pure valichi di comunicazione tra le due valli: Colle del
Piz (2606 m.) praticabile a eavallo, tra Ruà di Pragelato e Balziglia ;
Colle dell'Albergian (2764 m.) pure praticabile a cavallo, tra Fenestrelle
e Balziglia; Colle delle Tane, praticabile solo a piedi, superiormente a
Bourcet, tra Roure e Maniglia ; Colle del Clapier, praticabile a cavallo,
tra Bourcet e Maniglia e Ferrerò ; Colle della Buffa, praticabile a ca-
vallo, tra Castel del Bosco e Ferrerò; Colle del Cerisier, superiormente
al Bee Dauphin, tra Meano e il villaggio di Cerisier nella valle di
S. Martino.
La valle del Chisone non à veri ghiacciai, e però variabili sono le
condizioni della portata d'acqua nelle diverse epoche dell'anno. Gli am-
massi nevosi e le sorgenti recano acque al torrente : il versante destro
ricco di valli e valloni tributai'i vi concorre in maggior copia del
sinistro.
Il torrente Chisone che dà nome alla valle, nasce a M. Ajjpenna, a
ra. 2800, dal contrafforte tra Germanasca e Dora Riparia e sbocca in
piano a Pinerolo dopo un percorso di 60 km.
A sinistra il Chisone riceve il Chisonetto che scende dalle aspre al-
ture della Rognosa, il Rio dell'Assietta, quelli della Mola e di Usseaux ;
più in basso scendono i Rii di Puy, Villaretto e Roussa. A destra ri-
ceve il rio imi^ortante dell'Albergian, indi i torrentelli di Bourcet e
Garnier; a Perosa Argentina accoglie il grande torrente della Germa-
nasca che à origine dalle acque dei valloni di Massello, Salza, Rodoretto,
Praly, Faetto e Riclaretto.
La lunghezza totale del Chisone dalle sue scaturigini alla sua con-
fluenza nel Pelliee si approssima a 09 Km. La valle piglia nomi spe-
4 Alberto Talmon,
ciali a seconda della sua posizione. Chiamasi Val Troncea dalle sorgenti
del Chisone a Pattemouche, ove accoglie il Chisonetto (o Clusonet) ;
Valle di Pragelato da Pattemouche a Fenestrelle; da questa cittadina
sino alla rupe di Bec-Dauphin prende nome di Valle di Fenestrelle.
Complessivamente il tratto della valle dal Colle di Sestrières al Bec-
Dauphin è detto Val Chisone (o Clusone). Dal Bec-Dauphin a Porte
chiamasi Valle di Perosa. È da notare però che si riscontra una grande
incostanza nell'uso di queste denominazioni.
In carte anteriori al Mille troviamo che il fiume-torrente dava il
nome alla valle, detta perciò Vallis Clusii: in progresso di tempo il
Clusium con pronunzia gallica fu detto Cluslon e Cluxon, onde la de-
nominazione di Vallis Clusonia, Vallis Cluxonis '. Già anticamente
questa valle si considerava divisa in due parti: però i limiti d'allora non
erano gli stessi dei tempi posteriori. Infatti nel 1246, 31 gennaio, si fa
cenno de valle duxoni scilicet a ponte veteri usque ad fontem Olagnerii...
e di alia valle scilicet ad fontem Olagnerii supra usque ad collem
sistrere (Cart. di Pin.^ p. 185). La prima anticamente già chiamata Val
Dubiasca, indi Val Pineirasca o Val di Pinasca, fu poi comunemente
detta Val di Perosa; e l'altra venne volgarmente suddivisa dopo l'intro-
duzione del Calvinismo in Pragelato, verso il 1560, in Valle di Chisone
o di Fenestrelle (la parte inferiore abitata specialmente da cattolici) e
in Valle di Pragelato (la parte superiore invasa dai protestanti). Il pre-
detto fonte Olagnerii, pur detto degli Aulanets o Aulaneti (sotto il
casale di Serre presso Castel del Bosco), segnava pure i confini della
giurisdizione ecclesiastica dell'abate di Pinerolo e del prevosto d'Oulx ;
fu anche il primo termine del Delfinato e del Piemonte (ad hoynas
Comitatus Dalphini), ma avendo i Delfini spinto i loro confini sino al
Bec-Dauphin, quest'ultimo divenne anche il limite di Val Chisone. Il
tratto superiore fu detto Pragelato da Pratagelada o Pratogelada per
essere quei poggi coperti di neve nella più gran parte dell'anno.
2. È argomento di dotta controversia se sia questa del Chisone o
quella della Dora Riparia la valle percorsa da Annibale nella sua famosa
^ Cart. di Fin., p. 73-182: Vallis cluxonis o cidxonìs (anni 1175-1246). —
De Thon (Histoire, tom. II, lib. 27, p. 10 ; ediz. Parigi, 1606) : Aperitur vallis
clusonia traiisalpes a Clusione.
Saggio sul dialetto di Pragelato ~^
traversata del 218 a C, riuscendo ad Ocelum ad fines terrae Cottii.
Alcuni scrittori opinano clie Annibale, dopo aver superato il Mongi-
nevra, giunto a Scingomago (Cesana) abbia valicato l'attuale Colle di
Sestrières, Porta Sistraria, e sia disceso ad Ocelum in Val Chisone,
rispondente all'odierna Usseaux, e di li a Fines terrae Cottii (Fenestrelle).
Secondo altri invece la valle percorsa da Annibale sarebbe quella della
Dora Riparia, e V Ocelum ad fines terrae Cottii si farebbe corrispondere
a Drubiaglio, confine orientale fra i Taurini e Cozio.
Qualunque delle due sia la valle percorsa da Annibale è certo che
una gran linea di comunicazione risaliva la valle del Chisone e per
Porta Sistraria e Scingomago valicava le Alpi a VAlpis Cottia, ora
Monginevra (Strabone, lib. IV e V) ; e che questa via conducente nelle
Gallie fu praticata dai Romani assai prima di quella di Susa passante
per Oulx, e non cessò d'esser frequentata anche dopo che il regolo
Cozio in grazia di Augusto fece rassettare, se pure non costrusse sem-
plicemente, quella di Susa per il detto Monginevra.
Era Cozio, figlio di re Dauno, signore di queste Alpi, che perciò eb-
bero il nome di Cozie: il piccolo regno si estendeva tra il Moneenisio
e il Monginevra, con capitale Segusium (Susa), e Monte Sestrières n'era
il limite naturale dal lato di Val Chisone. Augusto concedette a Cozio
il titolo di prefetto ed estese il suo dominio nella valle poi detta di
Pragelato, o meglio da M. Sestrières a Fenestrelle, che derivò appunto
il suo nome da Fines terrae Cottii ^ Questo luogo sembra risulti
pure nell'itinerario del Geografo Ravennate indicante la strada del
Monginevra per Occelio (Ocelum) e Torino, senza far menzione di Susa:
Alpedia (Alpette sul Monginevra) — Gessabone (Cesana) — Occelio
(Usseaux) — Fines (Fenestrelle) — S. Taurinis (Stazione a Torino).
L'imperatore Claudio innalzò la prefettura di Cozio al titolo di regno,
indi Nerone ne ridusse l'angusto dominio a condizione di provincia
{Provincia Alpiuni Cottiarum), che i Romani governarono a mezzo di
prefetti fino al 447 ^
^ Il Fities terrae Cottii nelle carte dei tempi di mezzo trovasi alterato
in Finestellne, FenesfeUae, e Finestrellae, Feiiestrellae, per la diversa maniera
di pronunziarlo usata dalle confinanti popolazioni di due alterate lingue
diverse, italiana e francese.
• PiLOT, Recherches sur les ctntiquités dti Dauphiné, p. 246.
6 Alberto Talmoii,
Posteriormente, dopo infinite vicende e invasioni di Vandali, Unni,
Goti, Ostrogoti, il luogo di Fenestrelle e gli altri della valle cliisonana
sotto i Longobardi fecero parte del Ducato di Torino, e sotto i Caro-
lingi appartennero ai Marchesi di Susa, conti di Torino, jierehé il Du-
cato e Comitato di Torino si estendevano sino ai gioghi dell'Iserano, del
Moncenisio e del Monginevra.
Estinti i Carolingi, Val Chisone e le altre valli Pinerolesi furono sotto
la signoria dei Marchesi d'Ivi^ea, quali conti di Torino, e dopo il 950
(quando la marca d'Ivrea fu da Berengario smembrata in quattro) fecero
parte della marca d'Italia, la quale comprendeva le contee di Torino,
Saluzzo, Mondovì, Asti, Alba, Albenga e Ventimiglia. Nel sec. XI ne
acquistarono il dominio i Conti di Savoia pel matrimonio di Oddone
colla grande Marchesa Adelaide.
La marchesa Adelaide donò la pili parte di Val Chisone all'Abbadia
pinerolese di S. Maria: nell'atto di fondazione dell'Abbadia dell' 8 set-
tembre 1064 e nell'altro di donazione alla medesima in data 5 maggio 1078,
sono già espressamente nominati i villaggi de Villareto (Villaretto),
Mentale (Mentoulles), Fenestrella (Fenestrellae), Uxello (Usseaux), Balbo-
tera (Balboutet), Porrera o Porraria (Pourrières), Frassena o Fraxena
(Praisse), Pratagelada o Pratogelada (Pragelato) usque ad Petram
Sextariam o Sestrera (Sestrières). Gli abitanti professavano la religione
cattolica, giacché la marchesa Adelaide vi eresse quatti'O Chiese sog-
gette dal Papa Urbano II e per consenso del vescovo di Torino Guiberto I
alla giurisdizione del Prevosto d'Oulx.
In Val Chisone sembra sia da escludersi la presenza di famiglie be-
neficiarie, a meno che si voglia ammettere che il paese del Bec-Dauphin
a Sestrières costituisse un grande benefizio dei Conti d'Albonne, signori
del Deltìnato, sin dall'epoca della donazione di Adelaide all'Abbazia
Pinerolese. Infatti l'essere la valle soggetta spiritualmente ad un altro
monastero, quello di S. Lorenzo d'Oulx, cenobio delfinasco, spiegherebbe
tino a un certo punto l'intromissione dei Delfini in Val Chisone : costoro
dopo il 1064, non curandosi degli alti diritti signorili degli abati pi-
nerolesi, cominciarono a poco a poco ad assoggettarsi direttamente
quella regione, la quale verso la fine del secolo XII fu staccata defi-
nitivamente dal dominio abbaziale (dal Conte Guigo II detto il Grosso)
e riunita al Delfinato di cui fece parte per più di cinque secoli ^
* PiTTAVJNO, Cronaca di Pragelato cit., pag. 8.
Saggio sul dialetto di Pragelato 7
Il dominio dei conti d'Albonne, detti poscia Delfini di Vienna, giunse
fino un po' sopra Perosa, dove rimase il nome ad una rupe chiamata
Bec-Dauphin.
Pu appunto nel procelloso tempo in cui i Delfini di Vienna s'inse-
diarono nella valle, o poco dopo, che i Valdesi, cosi detti presumibil-
mente da Pietro Valdo, vennero a ricoverarsi nei mal certi confini del
Delfinato e del Piemonte. Questi dissidenti, gli " Hmniliati vel Pauperes
de Lugduni „, sbanditi dalla diocesi di Lione dall'arcivescovo Bales-
Mays e condannati da Alessandro III nel Concilio Laterano del 1179,
verso il 1183 si rifugiarono nel Delfinato, donde si introdussero nella
valle di Pragelato negli anni tra il 1188 e il 1207, giungendo fino al
villaggio di Porte. Col tempo crebbero di numero coi nuovi venuti e
da Pragelato, loro centro primitivo, si diffusero nelle valli di Luserna,
Angrogna, Frassinière, Louisa, e più tardi in quelle di S. Martino e
di Brianzone.
Questa immigrazione, cominciata verso la fine del secolo XII, dovette
toccare il suo apogeo al tempo della crociata contro gli Albigesi, ossia
tra il 1209 e 1229. " C'est dans ces vallées que les Vaudois et les AI-
bigeois trouvèi-ent la liberté qu'on leur refusait ailleurs, ils s'y réfu-
gièrent et persuadés qu'il était impossible de les vaincre dans des lieux
presque inaccessibles qui étant très fort par la nature, n'avaient pour
avenues que des défilés assez étroits „ ^
Parecchie circostanze di tempo e di luogo favorirono l'immigrazione
e la permanenza dei dissidenti in Val Chisone : — 1° La posizione topo-
grafica della Valle, che offre in alcuni luoghi rifugi sicuri e di difficile
accesso (tali sarebbero la Troncea, i Seytes, le montagne di Laux e
Bouroet); — 2° I dissidi tra i prevosti della Congregazione ulciese ed
i vescovi di Torino per ragioni di giurisdizione, nei quali dissidi i
primi si appellarono (1231) all'arcivescovo di Milano, di cui erano suf-
fraganei tutti i vescovi del Piemonte; — 3° Le nuove idee religiose
diffuse da Pietro di Bruys, Enrico di Losanna e Claudio vescovo di
Torino, le eresie dei Catari che dovettero in queste vallate alpine pre-
parare un ambiente favorevole ai dissidenti.
I Valdesi furono tollerati dai Delfini di Vienna, padroni della valle
fino al 1349, nel qual anno l'ultimo di loro, Umberto II, cedette Val
Chisone col resto del Delfinato alla Corona francese. I re di Francia
r. Benoist, Histoire des Albigeois et Vaudois, Parigi, toni. Il, p. 234.
8 Alberto Talmoii,
imperarono nella valle (che dii^endeva dal vibaliaggio di Brianzone e
dalla generalità di Grenoble) fino al 1718, allorché per il trattato di
Utrecht venne a far parte dei domini di Casa Savoia, con re Vittorio
Amedeo II.
3. Le condizioni storiche in cui vissero gli abitanti di Val Chisone,
stata per oltre cinque secoli (1191-1713) in dizione dei Delfini di Vienna
indi dei re di Francia, determinarono necessariamente una singolare so-
miglianza fra i dialetti della valle e quelli d'Oltralpe. Tre fatti pongono
in sicura luce questa evoluzione linguistica: — 1° L'immigrazione dei
Valdesi; — 2° La lunga permanenza della valle chisonana sotto il do-
minio francese ; — 3° Le antiche, facili e frequentatissime comunicazioni
tra questa regione e il Delfinato.
I Valdesi, valicando le Alpi, recarono seco non solo le loro idee re-
ligiose, ma anche i loro costumi ed il loro idioma. Nessuno può dubi-
tare dell'importanza di questa immigrazione dal punto di vista storico
e linguistico, perché la fusione di queste genti transalpine cogli abitanti
del versante orientale delle Alpi Cozie portò di necessità alla fusione
più 0 meno completa del loro linguaggio.
Inoltre Val Chisone, come la valle d'Oulx e di Cesana, ceduta col
Delfinato alla Francia nel 1349 e rimasta sotto lo scettro di quei re
fino al 1713, dovette necessariamente e forzatamente assumere il fran-
cese come lingua ufficiale e colta. Contribuì pure a staccarla linguisti-
camente dall'Italia l'essere la celebre prevostura d'Oulx stata disgiunta
sullo scorcio del secolo XII dal Vescovato di Torino, e, dopo alcun
tempo d'indipendenza, l'averla aggregata alla Diocesi d'Embrun.
Ritornata questa valle all'Italia colla pace d'Utrecht, il governo Sa-
baudo non sanzionò, ma tollerò l'uso del francese, avendo sullo scorcio
dell'ultimo secolo quei valligiani ricorso onde ciò fosse decretato dal
re. Il Consiglio osservò non esservene d'uopo, poiché le RR. Costituzioni
libro II, tit. II, § 5 non vietano l'uso della lingua volgare, e non lo
vieta neppure il Reg. dei Notai, tit. VI, § 5; inoltre provvedervi il
R. Viglietto alla Camera del 27 febbraio 1720 che ordina abbiano ad
essere in francese i decreti, ordinati ed atti per la Savoia ed altre valli
A ciò s'aggiunga che i Duchi di Savoia erano a quell'epoca principi
tanto francesi quanto italiani, perché una parte dei loro stati era fran-
cese: di più allora non si perseguitavano le nazionalità, perché il prin-
Saggio sul dialetto di Prngelato 9
cipio di nazionalità non era ancor formato. Decreti, ordinanze ed atti
relativi a questa valle continuarono dunque ad essere redatti in francese.
A questa tolleranza un'altra se n'aggiunse: si permise che le parrocchie
di Val Chisone rimanessero sotto la giurisdizione del vescovo d'Embrun
fino al 1748, anno in cui venne eretta a vescovado la Chiesa di Pine-
rolo. Essendo poi stato eletto a primo vescovo D. Giambattista Orlier
dei Marchesi di St.-Innocent, già prevosto d'Oulx e che aveva ricevuto
un'educazione francese, egli ebbe, com'è ben naturale, predilezione per
la sua lingua materna: e questa è la ragione per cui non intese ad
italianizzare quelle parrocchie. Il suo successore fu un italiano. Mon-
signor Grimaldi, ma stette in soglio solo tre anni, essendo il Vescovado
di Pinerolo stato soppresso dai Francesi nel 1802. Ristabilito dai Reali
di Savoia nel 1817 allo scopo di convertire al Cattolicismo i Valdesi,
la cui lingua scolastica e liturgica è la francese, per questa intenzione
di i^ropaganda si elessero sempre Savoiardi al seggio episcopale di Pi-
nerolo, sebbene dal 1772, data della erezione del Vescovato di Susa, a
cui si ascrissero le parrocchie dei mandamenti di Susa e di Cesana, più
non avesse che nella sola valle del Chisone parrocchie di lingua fran-
cese. Quindi a Mons. Bigez, nato a Balme de Thuy e già vicario gene-
rale di Annecy, successe nel 1824 Mons. Rey, nato a Belleveaux nel
Chiablese e già vicario generale di Chambéry, ed a questo nel 1832
Mons. Charvaz, nato a Hautecour e già vicario generale di Chambéry.
Solo nel 1849, cioè dopo la promulgazione dello Statuto, venne eletto
a questo seggio un italiano, Mons. Renaldi di Torino.
Ecco come nel mandamento di FenestreUe non solo si continuò a
usare il francese, ma ancora come l'azione episcopale influì a radicar-
velo ^
Dopo il 1861 il governo italiano intese a italianizzare questa regione,
e qui il compito gli fu tanto più facile in quanto non ebbe a urtare
contro una massa compatta e numerosa come gli abitanti di Val d'Aosta,
e in quanto queste località dipendono ecclesiasticamente da vescovati
italiani. L'insegnamento scolastico diffonde l'italiano tra le giovani ge-
nerazioni; il servizio militai-e e le relazioni coll'Italia aumentano la
influenza della lingua politica. Nullameno il francese continuò ad essere
' Vegezzi-Ruscalla. Diritto e necessità ecc. cit., pag. 34 seg.
10 Alberto Talinon,
la lingua del pergamo e in seno alla Chiesa non decadde che lenta-
mente: a Pragelato i parroci di Traverses e Raa predicano tuttora in
francese.
Tutti gli abitanti intendono e parlano il francese oltre il " patois „
locale: le persone d'età matura parlano pili volentieri il francese che
l'italiano, ma la generazione giovane cresciuta ed educata italianamente,
già preferisce la lingua nazionale. Il ceto agiato parla ugualmente bene
il francese e l'italiano : i vecchi e le donne preferiscono all'italiano il
francese che resta la loro lingua materna. Inoltre tutti i valligiani in-
tendono il piemontese, e moltissimi anzi lo parlano correntemente : ma
è importante notare che nelle località più discoste dalle vie di comuni-
cazione il francese ed il " patois , locale sono gl'idiomi predominanti,
e che questi " patois „ man mano che si risale la valle, si presentano
sempre più affini al delfinese.
E qui occorre appena ricordare che Val Chisone à col Delfinato an-
tiche, facili e frequentatissime comunicazioni. La via che sin dai tempi
della repubblica per Val Chisone e il Monginevra condueeva nelle Gallio,
fu praticata dai Romani assai prima di quella di Susa, passante per
Oulx per il detto Monginevra, e non cessò d'esser frequentata anche
dopo che il prefetto Cozio fece riattare e rendere molto agevole que-
st'ultima. Anzi l'importanza della strada preaccennata dovette aumentare
quando la valle fu unita al Delfinato, di cui fece parte per oltre cinque
secoli (1191-1713). Quindi, oltre i rapporti politici ed amministrativi,
un rapporto costante esistette sempre fra questi due paesi limitrofi : il
commercio.
S'aggiunga che in Francia, particolarmente su Marsiglia, St.-Etienne,
Grenoble e Parigi stesso, è diretta l'emigrazione temporanea del paese:
ed è sopratutto la gioventù che emigra Oltralpe in cerca di fortuna.
Le donzelle ritornano dopo aver raggranellato una somuìa che loro per-
metta d'andare a marito più facilmente o di vivere delle loro economie.
I giovani vanno a cercar lavoro in Francia soprattutto nella stagione
invernale, quando il suolo non à più bisogno delle loro braccia e ritor-
nano al cominciare dell'estate. Altri invece non ritornano che dopo pa-
recchi anni, quando hanno ammassato un discreto peculio: ben pochi
fissano stabile dimora in paesi stranieri.
In confronto con questa emigrazione temporanea, ben poca importanza
à l'emigrazione permanente: come quella dell'Italia Settentrionale, è diretta
Saggio sul dialetto di Pragelato 11
all'America del Sud, soprattutto verso la Repubblica Argentina e
su Buenos- Ayres e Monte video '.
4. Riassumendo : molte cause, influenza di relazioni politiche, com-
merciali e di cultura, nonché la probabile parentela etnica, concorsero
ad assimilare le popolazioni dei versanti orientale ed occidentale delle
Alpi Cozie ed a portai'e una singolare somiglianza fra i loro dialetti.
Infatti i dialetti dell'Alta Val Chisone appaiono affini a quelli degli
immediati dintorni di Brian^on, comprese le valli della Clairée o Val-
des-Prés e della Guisane o di Mouétier; questa affinità doveva essere
maggiore ìa passato, prima che la frontiera tra Delfinato e Piemonte
fosse portata sulla cresta delle Alpi, a causa dell'influenza rispettiva-
mente sugli uni del francese, sugli altri del piemontese e delFitaliano.
Fra questi dialetti dell'Alta Val Chisone il pili caratteristico è certa-
mente il pragelatese, che più d'ogni altro mantenne la sua aflfininità
col Delfinese, essendo Pragelato più prossimo alla frontiera ed avendo
coi paesi d'Oltralpe più facili e frequenti relazioni. Certo il dialetto di
Pragelato à pure elementi comuni col pedemontano, ma in numero ben
scarso risultano quelli che si possono con certezza considerare importati
^ La popolazione del mandamento di Fenestrelle (comprendente i comuni
di Meano, Roure, MeutouUes, Fenestrelle, Usseaux e Pragelato), secondo
il censimento del 1901-1902, è di residenza legale 9795, residenza di
fatto 8157, COSI ripartita :
Me.iiio
Roiire
Menloullps
Fenestrelle
Usseaux
Pratjelato
Pop. resid. legale
563
3753
938
1428
1203
1910
Pop. resid. di fatto
561
'2731
877
1359
917
1712
Il comune di Pragelato (anticamente Pratagelada, Pratogelada, nel dialetto
locale Prazala') è il pili vicino alla frontiera. Consta di venti frazioni : Ruà,
Souchères-Basses, Grand Puy, Faussimagne, Souchères-Hautes, Rif, River,
Granges, Allevé, Traverses, Villar Damnnt, Pian, Pattemouche, Due, Chesal,
Sestrières, Lavai, Jousseaud, Trunchié e Seytes. La seconda e le quattro
ultime di queste frazioni trovansi a destra del Chisone, tutte le altre a
sinistra. Le sopraccennate frazioni sono distribuite in tre parrocchie : quella
di Ruà che comprende le nove prime, quella di Traverses che ne com-
prende sette, e quella di Lavai che abbraccia le quattro ultime frazioni.
Per notizie pili dettagliate su Val Chisone e Pragelato v. L'Alta Valle del
Chisone (Guide alpine del Pinerolese illustrate), Pinerolo, Tip. Sociale, 1912.
12 Alberto Talmon,
dal Piemonte, come dipendenti da influenza di rapporti politici, com-
merciali e di coltura, che il Piemonte abbia avuto nella valle.
11 dialetto di Pragelato non si vanta, come il Valdese, d'avere una
letteratura, ma fé sorgere una interessante questione linguistica. Dalla
notizia che Pragelato sia stato il centro primitivo e come la culla dei
Valdesi italiani e il punto di partenza di loro colonie in Italia e fuori
e dall'altra notizia che di là appunto provengano tutti i loro libri reli-
giosi che si trovano ora sparsi in Francia, Svizzera ed Inghilterra,
alcuni supposero che il dialetto pragelatese sia base del valdese lette-
rario. Ma il vero è — come à osservato il Morosi (AGIt. XI, p. 311)
— che il dialetto di Pragelato diverge bensì, e in alcuni punti note-
volmente, dal valdese odierno, ma non mostra però più punti di con-
tatto col valdese letterario di quanti ne mostri il valdese odierno.
E ben a ragione il Morosi esclude che il dialetto di Pragelato possa
pretendere a formare col valdese una sola famiglia. Infatti la differenza
tra i riflessi deìVa atono finale, che nel pragelatese è (? e nel valdese o,
è fondamentale. Per tacere di altre divergenze son pur notevoli le se-
guenti : l'esito del e {-\- a), del g (4- «; e, i) iniziali e interni dopo
consonante, nel valdese è rispettivamente e, g, mentre nel pragelatese
è 0, ~; — Vn intervocalico diede nel vald. n velare (n), mentre nel
pragelatese rimase dentale; — i riflessi au eau dalla formola ^11 -\- voc
-\- cons., normali nel pragelatese per l'obliquo plurale, non s'incontrano
nel valdese.
Il dialetto di Pragelato quindi non è da porsi nel novero degl'idiomi
nettamente provenzali: esso à pili della lingua d'oc che della lingua
d'o*7, ma l'influenza dei vicini dialetti franco-provenzali è evidente.
I fenomeni linguistici sovraccennati ci riconducono ad una caratteri-
stica notevole del " patois „ pragelatese: ricchezza di arcaismi. Cfr.
zansiin afr. tchanson , zambrs afr. tchamhre ; zardin afr. djardin
zurn afr. djorn ; garait afr. guarait ; lafk afr. lare ; sani: afr. sane,
zeriere afr. cliaiere, seje afr. seie, Kreire afr. creire, priimiB afr. prumier;
— erner, (fr. m. éreinter) che s'incontra in Ba'if, Belleau, Rousard, ed
astelle scheggia, besson gemello, ouUe marmitta, ecc. usati dagli scrit-
tori del secolo XVI, e besson anche da G. Sand, anno i loro corrispon-
denti nel dialetto: ema, ^t§l§, b^sihl, '^^f; - il trittongo eau si pro-
nunzia ancora sciolto: beau belli, reati vitelli, ecc., benché presso la
generazione giovane sia già ridotto al dittongo ati : bau, vau.
ARCHIVIO GLOTTOLOGICO, voi. XVIII
A. Talmon.
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Saggio sul dialetto di Pragelato 13
Quindi, per i caratteri arcaici del suo dialetto, e per la sua posi-
zione, sul limitai-e della regione, abitata da popoli di lingua franco-pro-
venzale, la valle di Pragelato presenta un delicato quanto interessante
campo agli studi di dialettologia romanza.
5. Fonti. — La presente descrizione del dialetto pragelatese è in
massima parte frutto d'indagini orali. Unica fonte scritta esistente e
degna di menzione è l'opuscoletto del Prof. P. Bert: Le patois de la
haute vallèe chi Cluson (Mortara 1907), che dà notizie generalmente
esatte, ma assai sommarie. La Parabola del Biondelli {Dialetti gallo-
italici, Milano, 1853) è nel dialetto di Fenestrelle, non nel pragelatese
vero e proprio.
14
Alberto Talmoii,
Descrizione del dialetto di Pragelato
note (li nilìroiilo coIIp iiriiicipiili viirielà (lial?t(ali (ifiralla l'alle del (lliisoiie.
Sommario. — Capo I. Indicazioni fonetiche e trascrizioni. — Capo li. Ap-
punti di fonetica storico-descrittiva. — Capo III. Appunti di morfologia.
— Capo IV. Appunti sintattici. — Capo V. Saggi letterari in grafia
fonetica.
Capo I.
Indicazioni fonetiche e trascrizioni.
1. Consonanti.
Il dialetto di Pragelato possiede i seguenti elementi conso-
nantici ^ :
MOMENTANEE
CONTINUE
Esplosive
Schiacciate
Fric^
iti ve
Vibranti
^
U
dì
u
o
p
o
!»
H
O
m .
2
o
a
o
CD
Ti
u
?
o
■ a -
o
co
é
Postpalatine . .
k
g
ìi
Mediopalatiue
j,Lv
l
n
Prepalatine . .
e
9
V r
Alveolari . . .
t
d
z
ì
S
f
1
n
Labiali ....
V
h
'
V {% u]
ni
^ [Come ò proposto nel voi. precedente, il tondo in questi prospetti
indica elemento fonetico di valore identico al toscano].
Saggio sul dialetto di Pragelato 15
a) Momentanee.
K\ (j. — Come nel toscano sono gutturali dinanzi alle vo-
cali a, 0, II, ma in contatto con una vocale della serie prepala-
tina l'articolazione subisce uno spostamento in avanti e diventa
p r e g u 1 1 u r a 1 e.
è, g. — Sono più avanzate che nel toscano.
t, d. — Le dentali anno articolazione meno avanzata che nel
toscano: t e d nel dialetto sono alveolari.
z, i. — Momentanee ed alveolari come nel toscano.
Giova notare che z e i costituiscono un criterio distintivo tra
il dialetto pragelatese vero e proprio ed il dialetto di Fene-
strelle, poiché dove il dial. di Pragelato k z e i quello di Fe-
nestrelle à rispettivamente e e g.
p, h. — Per le bilabiali p e b nulla da notare.
b) Continue.
I. Fricative.
s, /. — Vale l'osservazione fatta per le esplosive dentali: nella
pronunzia delle fricative s e / la lingua non oltrepassa la re-
gione alveolare.
Manca la fricativa palatina s, sostituita in ogni caso da s.
f, e. — Le labiodentali f e v anno pronunzia identica alle cor-
rispondenti toscane: però v è leggermente articolato e passa
facilmente a u bilabiale.
;, i. — Come nel toscano ; la zona d'articolazione sembra però
variare alquanto secondo la posizione nella parola.
li, u. — Suonano come nel francese [lui, oui).
16 Alberto Talinon,
II. Liquide.
l. — Il dialetto possiede tre varietà di L:
1) l alveolare come nel toscano;
2) /'; il cosidetto l mouillé, con pronunzia che sembra iden-
tica alla toscana corrispondente;
3) l volgente a pronunzia faucale. Per pronunziare questo l
si appoggia la punta della lingua contro il centro del palato
e si fa in séguito ricadere con forza.
r. — Il dialetto pragelatese possiede due varietà di B:
1) r vibrante, prepalatale come nel toscano.
2) r semivibrante, che volge o par volgere a pronunzia
faucale. Il luogo dell'articolazione è più indietro che quello di
r comune, la punta della lingua è rivolta verso il postpalato :
perciò, essendo un elemento invertito, lo indico con r.
Nella pronunzia di esso però la punta della lingua invece di
vibrare viene come sfiorata dalla corrente espiratoria, r volge
ad r nelle stesse condizioni che l ad /; inoltre r à suono assai
affine a ^: la differenza non è facilmente percettibile da chi
non conosce bene i nostri dialetti.
III. Nasali.
71. — E alveolare come le esplosive t e d.
n. — iV finale o seguita da consonante che non sia dentale
prende un suono velare, w, che s'articola come nel toscano in anca.
Seguita invece da una dentale, w, per quanto indebolita, par
conservare la sua articolazione alveolare. — E importante
osservare che coll'w velare {ii) s'accompagna un aumento, ossia
un doppio grado di nasalizzazione della vocale precedente.
Saggio sul dialetto di Pragelato 17
7Ì. — Come nel toscano.
m. — Non perde mai, fuorché in pochi casi di finale, la sua
articolazione bilabiale.
2. Tocali.
11 sistema vocalico del dialetto pragelatese si può approssi-
mativamente rappresentare nel modo seguente:
\
/
i*\
0
/e
?\
f
/e
?\
/?
«^
\y
'a
a. — Come si vede dallo schema suesposto, la gamma dellV;
à tre varietà :
1) a medio, come nel fr. patte-,
2) a con suono oscuro tra Va e Vo e costantemente lungo
(a labio-velare);
3) à con suono tra Va e Ve [a palatino).
e. — La gamma dellV è la pili ricca di sfumature. Si pro-
nunzia :
1) e un po' meno aperto che Tital. è;
2) e semichiuso e lungo;
3) e come l'ital. é;
4) e atono evanescente, che assume un colorito piuttosto
oscuro come Ve muto francese.
0. — Come il fr. en in peur.
0. — Le varietà sono minori che in e: Vo e Vo suonano
come nell'ital. porto, pota.
u. — Il dialetto possiede le vocali normali u, u e le altera-
zioni palatine ii^ ù:
1) u stretto come il fr. ou in sou ;
Archivio glottol. ital., XVIII. 2
18 Alberto Talmon,
2) Il largo, pronunziato senza avanzamento né arrotonda-
mento delle labbra ;
0) il come il fr. (7 in natiìre;
4) ù pronunziato quasi come //, colla differenza che non
è accompagnato da arrotondamento delle labbra e la lingua è-
meno innalzata.
i. — È stretto come nell'ital. nido.
Per quanto concerne la quantità si osservi: Sono sempre lunghe,
com'è sopra osservato: «, e. Sono sempre brevi: à, e.
Possono essere lunghe o brevi secondo la posizione nella pa-
rola o l'etimologia: a; e, e\ o, g, 6; i; il, il, u, il.
3. Tendenze del dialetto.
Nel complesso dei suoni, il dialetto pragelatese presenta i
caratteri del grande gruppo a cui appartiene, onde le sue note
più salienti si possono brevemente cosi riassumere :
1) Tendenza alle articolazioni rattratte: tendenza che si
manifesta, nel vocalismo, col colorito palatino assunto da alcune
vocali {à, ò, il, ù), nel consonantismo, nella formazione delle con-
sonanti z, i, e, g, /', n.
2) Tendenza alla riduzione e caduta delle vocali atone e
delle consonanti in posizione debole, e ai noti fenomeni di
palatalizzazione, nasalizzazione ecc.
3) Tendenza allo scempiamento delle consonanti lunghe.
4) Tendenza a dare grande preponderanza e lunghezza alla
tonica a detrimento delle atone.
4. Accento e quantità.
Avvertenze: — L'accento sarà segnato in iato e negli ossi-
toni, ed omesso nei parossitoni. — Per convenzione s'intenderà
breve la vocale non provvista di segni di quantità; saranno in-
vece segnate le vocali lunghe, fuorché «, e, costantemente lunghe.
Saggio sul dialetto di Pragelato 19
Capo II.
Appunti di fonetica storico-descrittiva.
I.
VOCALISMO
Sintesi del vocalismo tonico.
a) Tocali.
Parossitoni: 1° In sillaba scoperta tutte le vocali rag-
giungono il loro pieno sviluppo, che si manifesta colla lunghezza
e con tracce di dittongamento. 2° In sillaba coperta invece le
vocali anno in generale tendenza alla conservazione. Muta -{- li-
quida fa sempre occlusione di sillaba. Cfr. :
A E 0 E ' 0 I U
e < • ...
in sili, scoperta a («) — f (e ) — <) (g) — e, e {e) — ù [u) — ì (i) — il (ù)
„ , coperta a e g e, e i^ i ù
Pro parossitoni. — La tonica dei proparossitoni, per la
caduta della prosemitonica, si comporta come la vocale in posi-
zione dei parossitoni. I casi contrari sono dovuti a ritardo di
caduta.
Ossitoni. — Men pieno è lo sviluppo delle vocali trovatesi
di buon'ora in finale assoluta : a, e, o, e, u, i, ù, di contro
ad a, f, 0, e, ù, l ii, di parossitoni.
Influsso di consonanti. — 1. Influsso di liquida: a) Per-
spicuo influsso esercita l libero su piecedenti e [fé^l, >népi), e {féàie,
20 Alberto Talmon,
péai), i [fifi, abriel), il {miìel)\ — ed l -\- cons. su precedente e
che divenne m {*bels, "^beah, heaus) — b) Pur notevole è l'azione
regressiva di rr interno e finale ed r -\- cons. finale, azione che
si manifesta con un aumento di quantità e di chiarezza della
vocale: tère terra, gère guerra; — pàrt parte, pèrt perde, i-erp
verme, ecc.
2. Influsso di palatale: a) Una palatale seguente non eser-
cita la sua azione che su a (di', nòje. — ketit, neiit — li'iek, fi'iek).
— b) Una palatale precedente non esercita la sua azione che su
pochi casi di e {slne, sire, pai).
3. Influsso di labiale. Cospicuo è l'influsso di labiale sulla
vocale precedente o [dbrti, krobu — nati, pian, mau — bliu, mi).
Inoltre una labiale seguente esercita pure la sua azione in alcuni
casi su i [simii, lupi) ed e {tiuh>, fiure, l'aure).
4. Influsso di nasale: a) Ogni vocale seguita da nasale sco-
perta 0 coperta, interna o finale viene nasalizzata. La nasaliz-
zazione però è meno forte che nel francese e le vocali e, i, anche
pronunziandosi nasali, conservano il loro valore alfabetico. La
nasalità aumenta d'un grado dinanzi a n velare (w). — b) I dit-
tonghi sotto l'influenza di nasale si riducono: *aunita unte,
*a u n e u 1 u unkle, *f a u n t fan, v a u n t van.
Vocali in iato.
È da notare qui che il dialetto presenta un gran numero di
iati. I pili comuni sono te, ée, éà : -ie -iere -ariu -aria; -éei -el;
-éàle -eia, -éài -ilu; -teir -Ile, /eie -il la.
Saggio sul dialetto di Pragelato 21
l) Dittonghi,
a) Dittoughi discendenti.
ai. — Il ditt. ai che si pronunzia come nell'it. mai, general-
mente si trova in sillaba tonica : aige acqua, maigre magro,
paire padre, maire madre.
ei. — Il ditt. ei tonico si pronunzia ei: gleife chiesa, kreisre
crescere, feisre tessere; divenuto atono mutasi in ei: kreisén cre-
sciamo, teisén tessiamo.
ui. — Il ditt. ni in cui il primo elemento è n (stretto) tro-
vasi tanto in sillaba tonica quanto in sillaba atona: uire otre,
naif e noce, puifùn potione veleno, enguifà angosciato.
eil. — Il ditt. eii, che si pronunzia ew, trovasi solo in sillaba
tonica: ketise coscia, keilt cotto, neiit notte.
CO' 'e 'e
au. — Il ditt. ali si compone d'un a medio e d'un u un po'
largo; trovasi generalmente in sillaba tonica: autre altro, zaut
caldo, planre piovere, maure muovere, salirne sagma.
eu. — Questo dittongo si compone d'un e e d'un u un po' largo;
trovasi tanto alla tonica quanto all'atona: heure bere, deure do-
vere, beuréik berrò, deuréik dovrò.
III. — V. qui sotto.
/?) Dittonghi ascendenti.
m. — Questo dittongo in cui il secondo elemento è u stretto
trovasi nel dialetto di Fenestrelle tanto in sillaba tonica quanto
in sillaba atona : fiure febbre, fin-te tegola, viulete violetta,
viuhin violino. Nel dial, di Pragelato il dittongo tonico è discen-
dente: fiure febbre, tiuh tegola.
ici. — Il secondo elemento di questo dittongo suona a (medio)
tanto alla tonica quanto all'atona: viaie viaggio, tiande vi-
venda fr. viande, enfiala' infilare.
22 Alberto Talmon,
ie. — Si pronunzia;/^: vierie vergine, sierie cereu, fr. cierge,
vi^ie vice (afr. feiz.).
e) Trittonghi.
^c'ni. — Il trittongo eau suona ancora sciolto presso i vecchi:
beau, belli, veaii vitelli, zapeàu cappelli. Ma è già ridotto ad au
presso la generazione giovane: bau, vau, zapàu.
iau. — Presso Fenestrelle in luogo di eau si ha pure iau:
biaus belli, viaus vitelli, zap'iàus cappelli.
Fenomeni attinenti le singole vocali toniche.
1. L'a tonico scoperto si riflette per a dinanzi a con-
tinua e in finale di data recente («); ma rimane intatto dinanzi
a momentanea interna e in finale di data antica (/?). Es. :
a) fave fava, sàve sapa linfa, limàse lumaca; amar amaro,
klàr chiaro, mar mare; egà'i uguale, mal male, sài sale; sàp
sapit sa, làk lago; nà naso, rà raso, /a ^'fas, facis, va *vas,
vadis; inf. a' -are, zanta cantare, purtà' portare, anà' andare.
Uà dei part. e sost. in -ata è dovuto a fusione dell'a tonico
colla vocale finale per caduta del t interno: a -a(t)a: zantà'
cantata, purta portata, lurnà' giornata, rufà' rugiada. Sono di
provenienza provenzale: salade insalata, kamarade camerata.
/3) rabe rapa, sabu *sapo, so, sabi sapis, sai; bnnta bontà,
sandd sanità. Uà estate, a -atu: zantà cantato, purtà portato;
a -atis: zantà cantate, /««r^a portate, con cui consuona la 2'' pi.
dell'imperat. : zantà cantate, purtà portate.
2. L'a tonico coperto rimane normalmente intatto (a),
ma si riflette per a in sillaba finale scoperta per scempiamente di
Saggio sul dialetto di Pragelato 23
consonante lunga e quando in origine si trovava dinanzi a ss
■e s -\- cons. (/3). Es.:
a) garde guardia, azate accaptat afr. achate, vaze vacca,
sape zappa; aihre albero, zahre capra, lahre labbro, sahle sabbia ;
sar\e *sarica afr. sarge, esparie afr. esparge, asparago, malate
malato; aie -a ti cu: suvaie selvaggio, viala~e villaggio, c^?<wa;^e
damnati cu afr. damage. Ma a è lungo dinanzi a 7- -\- cons.
finale : ])art parte, lark largo, lart lardo.
/?) drap drappo, burà't buratto, sàk sacco, zavà'l cavallo ; —
^rà grasso, gràse grassa, bà basso, base bassa, jì^H pasta, àne
asino,
3. Incontro di semioocali. Importa notare la stabilità di a tonico
dinanzi alle semivocali / u di qualunque provenienza. Es.:
Dinanzi a i consonantico [j) : braja calzoni, paje paga, kaje
cacat; — in dittongo: jhoì maggio, /«t facit. Hai ecce-illac
isai ecce-hac, garait *varactum afr. guarait, /«ìY fatto, lait
latte, plaire piacere, bai/e bacio, maigri^ magro, aigre acre, aige
acqua, aigle aquila, fraise frassino, afr. fraisne. Ma il ditt. ai
passa a ei in leisu lascio, forse per influenza letteraria.
Dinanzi a u: fan faccio e faggio, saiit salto, aut alto, zaut
caldo, zau cavolo, zause calza, fan falso, faiise falsa, tanle ta-
vola, autre altro.
4. Influsso di palatale. — 1) -i tonico rimane intatto dopo
palatale. L'g di zeire cadere dovette prodursi fuori d'accento.
Ol'inf. dei verbi di l"* coniug. e tutte le forme verbali dove ri-
corre a tonico preceduto da palatale non si distinguono in alcuna
maniera dall'esito cui non precede palatale. Es. : vel'a vegliare,
w»i-«' mangiare, ;i;w:{;a' giudicare, tuza toccare; a -ata (part. e
sost.) minia', lUià' , tuza — oel'a la veglia, arana ragnatela;
-a -a tu, minia, lillà, tuza; -a -atis: vii minia, luià, tuza,
travata voi mangiate, giudicate, toccate, lavorate; -a -ate:
24 Alberto Talmon,
minia, lillà ,tuza, trapala; impf. ind. miìiiàvu, liiiàvu, tuzàvu,
travat àou.
2) In presenza di elementi palatali susseguenti a tonico ri-
mane intatto nella penultima: paVe paglia, mal' e maglia, hatal'e
battaglia, muntane montagna, kampane campagna; — ma suona
à nella finale: al' aglio, dal' falce, tal' taglio, batà'l' batacchio,
ba./i bagno, età'n stagno, arà'n ragno.
o) Suffissi -ariu -aria. — Danno rispettivamente -te -fere.
Bs. : prilmt'f, primariu, afr. prumler, prihnìere primaria;
ber- le berbi caria, afr. bergier. ber:ìere ber bi caria; le^ie .
leziere le via ri u, le vi aria; sursie surslere sortiariu sor-
t i a r i a ; lanvie j a n u a r i u, feurle f e b r u a r i u ; pumie p o m a -
riu, abili' ie api cui ariu, fuie focariu; — zndiele caldaia,
mutiere mucchio di zolle (== muta), zuh'ere piantagione di ca-
voli, kartiere antica misura di capacità. Ancora: briere brughiera,
priere preghiera, fere aia. — D'origine dotta: seminère semi-
nario, aversère avversario, kiintrère contrario.
Nel dial. di Fenestrelle il riflesso di -ariu -aria è rispetti-
vamente -ie -iere: priìmié, prihniere, sursié, sursiere ecc.
b. Influsso di nasale. — 1) In sillaba scoperta: All'interno
suona à: lane lana, semàne settimana, rane rana, f untane. In finale
suona a breve, assai vibrato dinanzi ad n: man mano, pan pane,
gran grano, demàn domani; — à dinanzi a m: l'àm letame, fàm
fame. In sillaba co p erta suona sempre a: A-a^Y^i^^ quaranta,
piante pianta, lampe fossa, zambe gamba, zambre camera ; grant
grande, zamp campo, sank sangue, blank bianco, bank banco.
2) A tonico preceduto da palatale e seguito da nasale finale
libera passa a e: mujén medianu fr. moyen, dujén decano,
kretUn cristiano, ansién anziano.
Saggio sul dialetto di Pragelato 25
E ed 0.
E. — 6. L'è tonico latino rimane normalmente intatto in sil-
laba scoperta e coperta, salve le differenze di quantità secondo
la natura della consonante seguente e la posizione nella parola.
1) In sillaba scoperta è lungo dinanzi a consonante
continua interna, e in finale assoluta di data recente [a] —
breve dinanzi a momentanea interna e in finale assoluta di
data antica (/?). Es.: a) cru ero, fri eri^ ère era, lèoii levo, levi
levi, leve leva; de dieci. — /?) tebi tiepido, pe piede; inoltre
per per.
2) In sillaba coperta l'esito normale è e breve (a) — ma
si à e dinanzi a s -]- cons., rr interno e liquida -\- cons. finale {/?).
Es.: a) erbe erba, m'asetu mi assetto mi metto a sedere, segu
seguo, perdre perdere, pe\e *pedicu calcio, set sette; peire
pietra, areire ad-retro, indietro, leire leggere, sirei/e ciliegia,
leit letto, mei, mediu. — /?) tète testa, fète festa,, j^rese prestia
fr. presse, e parimente nfse neptia nipote, pése *celt. petti a,
pezza: tère terra, gère guerra, fér (e fere) ferro: enfè'rn inferno,
iivè'rn inverno, vèrp verme, defe'rt deserto; kute'l coltello, 2;à^e 7
castello, zapè'l cappello, eklupel scalpello, pel pelle.
7. Condizioni e tracce del dittongo. — Il dittongo (e in prage-
latese è limitato a pochi casi di e in posizione secondaria: jedre
edera, Tiene Stefano, tiede (ali. a tebi), se pur non sono, come
sierfe *cereu, cero, vler^e vergine, d'origine letteraria. Altro
esempio, pur notevole, è bien usato come avverbio di quantità
nel senso di molto: bien de nmneje molta moneta: ma ben
bene. Il dittongo non compare in altri casi: però ne sono con-
servate tracce cospicue :
a) Dinanzi a r scoperto, ove ié diventa te: ie ieri, f'ie fieno
26 Alberto Talinon,
— e nelle voci dotte e analogiche /-etupip vituperio, Pntie intiero,
matiere materia.
b) Dinanzi a / scoperto, ove e diventa ée\ /V>^ fiele, méel miele,
séel cielo. Allato a ée coesiste pure te di fase pili recente: fiei,
miei, slei {Gh\ Bourciez, Frécis hist. de phonétiqiie francaise, §46,
Hist.).
() Dinanzi all'elemento labiale u, ove permangono riflessi
di un antico "^ieu: tiule * tieule ieso\?i, mattonella; iìnre *f'eure
febbre ; dm *d/eu dio, l'aure da un antecedente ^lìaure lepre.
Il dial. di Fenestrelle in luogo di -le -fere à costantemente
ie -Hre : ie; fie, fiere: entié, entiere.
8. Influsso di palatale. — ìJe tonico dinanzi a palatale suona v
se la parola è tronca: veV vecchio, mei' meglio, erve'l' sveglia
— ma suona e in parola non tronca: cete vecchia, errel'e risveglia,
vene venga, tene tenga, s'empene s'impegna. Cfr. pure nèse la ni-
pote, pese pezza.
9. Influsso di velare. — Un caso particolare di posizione è
quello di e dinanzi a l -^ cons. : dalla combinazione di e passato
ad ea, con l vocalizzato in u^ risulta il trittongo eau, ora ridotto
ad au. Es.: au -ell(o)s, bau belli, vau vitelli, zapau cappelli, nuvàu
novelli, martàu martelli. Tuttavia i vecchi dicono ancora: beau,
veau, zapeàu ecc. .
Presso Fenestrelle il riflesso è -eaus, -iaus: beaiis, biaus ■ —
veaus, viaus — zapedus, zapiaus.
10. Influsso di nasale. — a) In sillaba scoperta: all'in-
terno suona f: venii vengo, vfni vieni, ^f»/< tengo, leni tieni; —
ma è breve in finale: veu viene, ten tiene, ben bene, reti rem
fr. rien.
b) In sillaba coperta è sempre breve: ventre ventre, nu-
vpmbre novembre, turmént tormento, ar-iént argento, ^ent gente.
Saggio sul dialetto di Pragelato 27
0. — 11. L'o tonico latino rimane normalmente intatto, in
sillaba scoperta e coperta, salve le differenze di quantità secondo
la natura della consonante seguente e la posizione nella parola.
Tracce dell'antico dittongo si anno dinanzi ad elementi palatali.
Es. : 1) In sillaba scoperta: il riflesso è o dinanzi a
consonante, che non sia momentanea interna (a) — o dinanzi a
momentanea interna e in tìnale di data antica (/?). — a) rofe
rosa, sore sor or, sorella, fore fuori, voi vuole, prove prova;
gi -ohi: fìl'ol figlioccio, linso'i lenzuolo, eziro' l scoiattolo, fur-
nergi uccello fornaiuolo, ergi somma di covoni stesi sull'aia,
fejg'i fagiuolo, vergh vainolo; trgp trova; — è) trgbu trovo, trgbi
trovi, pg può.
2) In sillaba coperta: pgrte porta, rgze rocca, kgrde
corda, forte forte, mgrte morta, katgrfe quattordici, tgrfre torcere,
li-qlhe colpo; hgrs corpo; ngse *noptia; grgse grossa, ligie costa,
udire nostro, voire vostro. — Ma l'esito è ò in finale per caduta
di ss: grò grosso, o osso.
12. Influsso di jmlaiale. — L'o ton. si turba in presenza di
elementi palatali susseguenti:
1) Dinanzi a e, t j diventa o: oc otto; vote voglio, fòl'e foglia;
dal' doliu, lutto, urgò'l' orgoglio, ol' occhio, trol' torculu,
fr. treni!; irqje troia, noje noia, ^^/qy'f Spiovi a, pioggia, jìarè-
ploje parapioggia. — 11 pi. oc(u)los diede ol's presso Fene-
strelle, ma eu a Pragelato, forse attraverso gli stadi *uel' s '^ueu{s),
indi eu.
2) In combinazione con / proveniente da nessi palatali o ton.
forma il dittongo eil: nei'it notte, keiìt cotto, veilt vuoto, keiise
coscia, enkéil *atque hanc hodie oggi, peil poggio, Grmi Peii
Grand Puy (topon.).
3) Seguito da postpalatale o tonico diventa ile: li'iek luogo,
filek fuoco, :^ileh giuoco. Analogamente kiter cuoio.
28 Alberto Talmon,
13. Influsso di labiale. — 1) Per influsso di labiale seguente
0 diventa o in krobii coprO; afr. cuevre, ijòru apro, afr. cuevre,
mohle mobile.
2) Dinanzi all'elemento labiale u s'apre in a e forma il
dittongo au: nau-nauvt nuovo-nuova, nau nove, plau piove, inf.
plaure, man muove, inf. maure.
3) Bove, ovu divennero nel dialetto hiiu, iiu (Traverses)
e beu, ni (Ruà). Ancora: a rjlu io gioco.
14. Influsso di nasale. — Essendo ogni o, stretto o largo, se-
guito da nasale, passato assai per tempo ad o sul territorio del-
l'antica Gallia, non v'è alcuna distinzione a fare tra o ed o che
nel dialetto passano costantemente ad u.
E ed 0.
E. — L'è tonico scoperto e coperto ebbe nel dialetto un'evo-
luzione assai complessa.
15. L'f scoperto si riflette per e, e %à e:
e dinanzi a momentanea:
e) sebt e epa cipolla; feble flebile;
i) -enebre ginepro ; ersebu ricevo, ersebi ricevi ;
e dinanzi a continua e in finale assoluta di data recente (per
caduta di continua: r, s):
e) prefe presa, pefe pesa, se kefe si quota; agé avere, sabé
sapere, vuigé volere, ve vedere, ve vero, plafé piacere; tre tre,
pe peso, pre preso, me mese ;
ì) bevu bevo, bevi bevi, pe pece; vice diede ve nella bassa
valle e v'ie^e a Pragelato, da un antecedente ^vei-e;
e in finale assoluta di data antica (ossitoni originari in vo-
cale e di formazione romanza per caduta di momentanea):
Saggio sul dialetto di Pragelato 29
e) me m.Q, te te, se se ; huté boleto, sape lariceto, malfé me-
leceto; kafé, kanapé\
i) ve vede, de dito, perké perché.
16. In posizione l'esito è generalmente e dinanzi a s
{ss e s -\- cons.) e in sillaba finale; — ^ in sillaba interna («) e
dinanzi a r, ^ -j- cons. {§).
In e: ì) epese spessa, mese messa, arete arista, A-rff^ cresta ;
sep ceppo, frek fresco, sék secco, el ille, set ecce-istu, kel
eccu-illu; -et -ittu: fil'et Aglietto, miliUé't muletto, valet
vassulittu, afr. vaslet.
In e: a) In sillaba interna: e, se/e sedici, afr. seze, deli debiti,
fr. dette — i, nella risposta di -iti a: karése carezza, tristèse
tristezza, j9f/rfs^ pigrizia; — e di -itta: zahrete capretta, fìl'ete
figlietta; — ancora: eie fr. elle, sete fr. cette, keleìv. celle, seze
fr. sèdie, nete fr. nette.
^) Dinanzi a r, l -f- cons. si à sempre un e che varia di
quantità secondo la posizione nella parola: serkle cerchio, veì'ie
verga, seive selva; vèrt verde.
17. Influsso di l libero. — E tonico seguito da Hibero
diventa éà: téàie tela, zandéàie candela, mutéàle mustela, etéàle
*stela, stella; — péài pelo.
18. Incontro di semivocale. — 1) In combinazione con
w, IV tonico forma il dittongo eu: deu deve, mì.deure', — heu
beve^ inf. heiire, penre pepe, 7ieu neve.
2) Dinanzi alla semivocale /, di qualunque provenienza, passa
ad e. In dittongo: rei re, afr. rei, etréit stretto, afr. estreit, freit
freddo, afr. freit, teisre tessere, kreisre crescere; — se segue
vocale, seje seta, afr. seie, kleie *cleta, graticcio, muneje mo-
neta. Ma ad Usseaux in luogo di ei si à ai : vai, efrdit, frait,
taisre ecc.
30 Alberto Talmon,
19. Influsso di palatale. — a) Tn posizione palatina suona e
se la parola è tronca: ktinsel' consiglio, siile' t soliculu, paret
pariculu paio; — ma suona e in parola non tronca: urel't
orecchio, knrbel'e e urbi cu la, teìire iìwgexe, enseiiè insegna; —
s^l'è secchia.
h) Dopo palatale e tonico diventa i in sire cera, sìne cena,
mersi mercede, fr. merci, pai paese; rlfin racemu, sarafin
saracenu fattucchiere.
20. Influsso di nasale. — E tonico seguito da nasale, scoperta
e coperta interna e finale, diventa e. a) In sillaba scoperta
è lungo nella penultima, breve nella finale, e: rene vena, avene
avena, piène piena, pene pena; plen pieno, fr^n freno, fen fieno.
— i: daféne dozzina; meii meno, sffi seno. — /?j In sillaba
coperta è sempre breve: e: rendre vendere, rendre rendere,
bìil'fnte bollente; — i: mendre minor, trente ''"trinta, trenta,
semble sembra, lenge lingua, diamente domenica. Ma rint viginti,
dedint *de- de- in tus, dentro, intru entro.
0. — 21. L'o tonico e scoperto diventa u dinanzi a
cons. che non sia momentanea interna e in finale di data re-
cente, u dinanzi a momentanea interna e in finale di data antica r
o: pliìru ploro, piango, lire ora, rt^wre allora, epuf e si^osa.;
Tir óre: flar fiore, sabh'r sapore, duiFi'r dolore; a -osu: lahl'
geloso, neblii' nuvoloso ; — ekubu io scopo, nebii nipote.
ù: gàie gola, lup lupo, kuve cova, lUve giovane; krU croce;
— lube lupa.
22. In posizione l'o tonico latino diventa il. Es.:
o: fi^rme forma, kiiblé coppia, tnt, tute *tóttu, totta ; —
urs or(e)s : dulà'rs dolori, flilrs fiori, zaiu'rs calori.
u : rute rotta, furze forca, giite goccia, siirse sorgente ; dubbie
Saggio sul dialetto di Pra gelato 31
doppio, Jiude cubi tu gomito, siiipre solfo — nrs orso, x^rn
giorno. — S"à u dav. .s -f- cons. : kìite costa, krfite crosta.
23. Incontro di semivocale. — In combinazione con i,
l'ó ton. forma il dittongo ;//: luire Intra, idre otre, nuife noce,
kunnisu conosco; suffisso uire -órì-ci: mcizuire masticatoria,
mandibola, pp'ze baiinre pertica battitoria, peire emuhiire pietra
molatoria. ratf vididre topo volatorio, pipistrello ^
24. Influsso di palatale. — In posizione palatina l'o di-
venta ti se la parola è tronca: fenili' finocchio, lenii'' l ginocchio,
knn cuneo, un unge, puii punge; — ma suona u in parola non
tronca: dui' e doglio, s'alenili' e s'inginocchia, unre ungere, punre
pungere, lU/ire jungere, raggiungere, zariine carogna.
Metafonesi per i finale: tiit e tiic *totti.
25. Influsso di nasale. — L'o tonico (che può anche pro-
venire da o) seguito da nasale scoperta o coperta, interna o
finale, passa costantemente a u, che varia di quantità secondo
la posizione nella parola. Es. :
a) In sillaba scoperta: o, hime buona, a sànu io suono, se-
miinu summoneo offro; — hun buono, Sìtn suono. — o, kurùne
corona, a diinu io dono, piini pomo; min nome (ali. a non).
h) In sillaba coperta: ò, kiinfre contro, pimi ponte, kunt
conte; — o, dunke dunque, nun-pa *nòn-passum, invece,
' Sopra iiire da -orla s'è poi foggiato il femm. analogico dei nomi
d'agente in -ore: ^rvenduire rivenditrice, kasuire Icursuire. U-ore dei
nomi d'agente à qui il continuatore etimologico in -au (da -atore per
caduta del t interno) che serve anche per -oriu : zasàii cacciatore, erveudctu
rivenditore, guveynàu gubernatore tutore — e identicamente saldu
salatolo, lavati lavatoio, embusau imbuto (pur delf.\ zapuldn togliere.
32 Alberto Talmon,
ekimdu nascondo, iundu toso, rPpundit rispondo; — u, umbre
ombra, rimipre rompere, kunihe conca, vallone profondo, funt
fonde, fidi fondo, p)luntp piombo.
Dinfluenza letteraria: loùk, lonze fr. lons; longue, e non fr. nom.
Osservazione: Homo diede un, fr. on: homi ne diede onte
fr. homme, prov. ome.
I e U.
I. — 26. L'i tonico rimane intatto in sillaba scoperta e co-
perta, ma varia di quantità secondo la natura della consonante
seguente e la posizione nella parola. Es.:
1) In sillaba scoperta l'esito è l dinanzi a consonante,
che non sia momentanea interna, e in finale di data recente (a),
— % dinanzi a momentanea interna, negl'incontri di vocale, e
in finale di data antica (/?) :
a) vive viva, x^n:{lve gengiva; (dìuk amico, ^)?//7A' pulcino ;
ri riso; i -Ire: parti partire, niirl nutrire, veni venire, film
finire;
^) rihe ripa lembo di prato, di terreno erboso, aribii ar-
rivo, arihi arrivi; viu vivo, riu rivo, Z'if/rf libbra ; ie -ita, parfle
partita^ niirie nutrita, filnle finita; / -itu, partì partito^ 7iuri
nutrito, fiiìit finito; ni nido.
2) In sillaba coperta l'esito è generalmente ?• : mil mille,
ile isola, ekrli scritto, ekrlte scritta, fiìn'isu finisco, pite pista,
rite rista, vU visto, vite vista.
27. Influsso di palatale. — Suona i quando v'è combinazione
con un ^ seguente : dire dire, frire friggere. — Quando v'è
occlusione di sillaba suona i nelle parole tronche, i nelle pa-
role non tronche: fiV figlio, embrW ombelico, niàzjl' chi ma-
stica parole, funfil *fundiculu, deposito in fondo a vasi,
Saggio sul dialetto di Pragelato 33
bottiglie; — fil'e figlia, zav'd'e caviglia, fri/il' e briciola, vine
vigna.
28. Influsso di labiale. — Per influsso di labiale s'à iì in siimi
scimmia, suhlii sibilo fischio, lilpi 1 i p p u.
29. Influsso di liquida. — Dinanzi a l, semplice e doppio. Vi
tonico diventa ie: a) fiel filo, ahriei aprile, niantiel m^ntìÌQ, pur si ei
porcile, stiel sottile^ P^fH' pil^ colonna — h) vieh villa, ariieie
argilla, ahgiele anguilla. S'incontra pure fial, ahrial, mantiai,
pursiai ecc., di fase più recente.
30. Influsso di nasale. — a) In sillaba aperta: ^all'interno
suona i dinanzi a w, i dinanzi a m: epine spina, ve/ine vicina,
farine farina ; lime lima, sime cima, punta. In finale suona i assai
vibrato dinanzi a «, i dinanzi a m: vin vino, liii lino, fin fine,
kufin cuginO; zamin cammino; 'prim sottile, sim sego.
h) In sillaba coperta è sempre breve: prinM principe, ìànfe
quindici, dint de-intas dentro, siiik cinque.
^^T. — 31. h'u tonico si riflette per /re u.
1) In sillaba scoperta l'esito è ?7, con alcune differenze
di quantità, dinanzi a consonante, negl'incontri di vocale, e in
finale di data recente per caduta di continua (a), — ma è ù m
finale assoluta di data antica per caduta di momentanea (/?).
Es.: — a) ekii'r oscuro, segii'r sicuro, mùr muro, samblìi'h sam-
buco, laluk galluccio; — fil fuso, pertil' pertugio, u uscio, piem.
fiis, perti'is, ns; ma è breve negl'incontri di vocale: ni<e nuda,
krì'ie cruda; ile -ut a: agite avuta, vengiie venuta; leti'ie lattuga,
sansiie sanguisuga. — h) nù nudo, krà crudo, ve rtit' virtù; agi''
avuto, rengu venuto, vendu venduto.
2) In sillaba coperta l'esito è il: pùr^e purga, titrie
Archivio glottol. ital., XVIII. 3
•54 Alberto Talmon,
*turiga, stenle, hùrhe furba, brute brutta, ddù-ie diluvio, agili' e
*acucula, fr. aigtiille ; — ma si à u dinanzi a s-\-cons.:
riìze *riisca, scorza, bùze *busca, festuca.
32. Quando Vii tonico, divenuto //, è seguito da /, questo /
viene assorbito dalla vocale precedente: liìre luc(e)re, kundùre
conduc(e)re. fritte *fructa. Ma u rimane intatto e forma dit-
tongo con i: triiite tructa, trota, bui buscu (vald. truito, buis).
33. In contatto con un e precedente di qualunque provenienza
Vu tonico, dopo essere passato a il, forma con questo e il dit-
tongo eii: meiir maturo, me^^re matura afr. méur, seilk sabucu
(ali. a samblil'k), Seiife S e g u s i u Susa, lei'm j e j u n i u, digiuno ;
eilre suff. -atura: klaveiire cbiavatura, tal'eUré tagliatura, ,
e cosi mundeiire, egrafineilre, eklateiire.
34. Influsso di liquida. — Dinanzi a l libero 1"?^ ton. passa
a ile: mueì-mueie mulo-mula, kiìel culo; — fenomeno analogo
si riscontra in muet-miléte muto-muta, fr, muet-muette.
35. Influsso di nasale. — Uu tonico seguito da nasale dà due
riflessi differenti:
a) Se la nasale conserva la sua articolazione, Vii, anche pro-
nunziandosi nasale, rimane intatto: plilme piuma, liime lume,
ekiime schiuma; film fumo, Ulne luna; Une una.
b) Seguito da ti finale Vu combinandosi con w diventa ii:
Un unO; di-lit'n dies-lunae, briin bruno, kumii'n comune,.
zàkù'n ciascuno.
luniu diede nel dial. ^//m, forse per infl. letteraria (fr. juin)
dopo essere stato *:?:*/'i, piem. giìii.
Sap'p'io sul dialetto di Prasrelato 35
Yocali latine in iato.
36. In iato con a:
e passa a / : m e a mie, m e a ( s ) mia
V ea vie, ve a(s) via.
0 passa a u: toa tue, toa(s) tua
doa(s) dùa.
37. In iato con u:
e passa a e: meu(m) meu, *teu(m) teu, *seu(in) seu.
38. In iato con i\
0 passa a u: *doi dà (con assorbimento dell'i).
Dittongo AU.
39. Nel dialetto il dittongo au tonico è normalmente conser-
vato: — primario: aure aura vento, pat/ff povero, paufe pausa,
laude lode, laiidu lodo, enklau incluso, zau cavolo; — secondario:
laute gota, tauh tavola, saiit salto, aut alto, zaut caldo, zause
calza, fan falso, fause falsa, autre altro. — Voci d'influenza let-
teraria, imprestiti: zgfe cosa, robe roba, iKirole parola, lobi loggia,
for^e *faurga fucina, tale *taula latta.
40. Il dittongo au seguito da nasale:
a) Rimane intatto nella penultima scoperta : saume *sauma,
prov. saumo.
bj Passa ad n nella penultima coperta: mìklé *aunculu, zio,
unte gemi, h aunita onta.
cj Diventa a nella finale: an *aunt (habent), vati
*vaunt (vadunt), fan *faunt (faciunt).
36 Alberto Talmon,
Vocali atone.
41. Sintesi del vocalismo atono: 1° Caduta delle
atone finali, fuorché a, e delle atone interne (prosemitoniche e
postsemitoniche). 2° Tendenza generale alla riduzione delle se-
miatone iniziali :
a
e i 0
u
au
a
e, e i li
T. Postoniche.
a) Finali.
il
M .
42. È necessario, in finale, una distinzione essenziale tra l'evo-
luzione deir» e quella delle altre vocali latine (palatali: e. i —
labiali: o, u).
1. A.
43. Uà lat. finale passa nel dialetto ad e. Es.: a) porte
porta, nÒÉ! ripa, sàve sapa linfa, agamie gamba, ^awòn? camera,
epine spina, fene femmina, moglie. — §) zante canta, porte porta,
dune dona, sune suona. L'esito di -a finale preceduto da
palatale non si distingue in alcuna maniera dall'esito di -a
non preceduto da palatale:
a) vaze vacca, lar^e larga, tùrie *turiga, sterile, prov.
turgo, urei' e orecchio, kulime conocchia;
^) serevel'e si risveglia, la vel'e la vigilia, giorno precedente,
empene forma per calzolai, minze mangia, maze mastica.
44. L'-a finale rimane però intatto:
a) Nelle pili antiche e ferme proclisi, cioè in quella
dell'articolo: la vaze la vacca, la zamhe la gamba — e del prò-
Saggio sul dialetto di Pragelato 37
nome possessivo: ma razr mia vacca, ma zambe mia gamba —
e del pronome impersonale la : la plau piove, la fai bel fa bel
tempo, lam' piai mi piace — e della congiunzione ma. L'unico
esempio di o s'à nella proclitica ~o jam, vald. //p.
^) Dinanzi ad -s di flessione nominale: a -a(s), porta
porta(s), fi' a filia(s) urei' a auricula(s).
y) Dinanzi a -nt di flessione verbale: zantan cantan(t),
jiortdì'i portan(t), impf. zantàvan, purtàvan.
45. Osservazioni. — I. Alla terminazione verbale -as
risponde -i (pur vald.): zanti canta s, porti portas, zantàvi
caatabas, purtàvi portabas.
IL h'-a finale passa ad -e quando è preceduto immediata-
mente da vocale tonica: vie via, m/e mia; /^ -e(b)at, -i(b)at,
arie aveva, gfirmie dormiva. Ma -a dinanzi a -s di flessione: via
via{s), mia mea(s); avta habe(b)as, gurmia dormi(b)as.
2. Vocali palatali e labiali.
46. Le atone finali latine, palatali e labiali, caddero di re-
gola tutte senza lasciar traccia di sé nei parossitoni. Es.:
E : zantà' cantare, purta portare, deman d e - m a n e domani,
pan pane, ben bene, mài male, set sette, de dieci ; — veiì viene.
1: le ieri, vint venti, ven vi vieni; tilt e tiic *totti.
0: kant quando, zantànt cantando; aml'k amico, zant canto,
zavà'l cavallo ; zantén cantiamo, pxirtén portiamo, zantàvan can-
tavamo, purtàvan portavamo.
U : korn corno, man mano.
Osservazioni: L La finale u rimane quando è preceduta
immediatamente da vocale tonica: din d e u , abreu
hebraeu, meu meu, teìi *teu, seu seu.
IL Caddero pure le vocali che si trovavano in finale di-
nanzi a -s di flessione miirs mur(o)s, \,urs diurn(o)s,
38 Alberto Talmon,
Hr(''rs hibern(o)s, h/ps lup(o)s, biaus bell(o)s, ohms vi-
tell(o)s, fliirs flor(e)s, duiii'rs dolor(e)s, zaiu rs calor(e)s
Questo -s di flessione si pronunzia tuttora.
III. kW'O della P sing. pres. ind. risponde -a (pur vald. e
piem.): zantu canto, pgrtu porto, nilniu mangio, semmiu su ni-
ni eneo offro, vendu vendo, sentii sento.
Alle terminazioni -es, -is della 2-'^ sing. pres. ind. risponde
sempre -i (pur vald.): vendi vendi, semani summones offri;
veni vieni, gormi dormi. Ma cade sempre la finale -is della 2^ pi.
pr. ind. : santa cantate, minzà mangiate, e identicamente venda
vendete, giirmà dormite.
47. Le vocali latine labiali e palatali, in finale si conservano
tuttavia sotto forma di e:
1° Nei parossitoni dopo gruppi formati da co)is. -h r, / :
paire padre, maire madre, ndtre nostro, fiure febbre, diible doppio;
e dopo cons. -\- i in iato : JQ7\e orzo, delùie diluvio.
2° Nei parossitoni: l'aure lepre, àne asino, fraise frassino,
kiide gomito, peie *pedicu, calcio, runfe romice, malate malato,
lUve giovane, reie rigido; a:{e -aticu, vialaie villaggio; suoaie sel-
vaggio; onte li ornine.
Osservazioni: I. L'esito è però -i dinanzi ad -s di flessione:
2)airi padri, ngtri nostri, fraisi frassini, kiidi gomiti, peli *pe-
dicos calci, malati malati, viaiaii villaggi, oìni uomini.
II. h'ì( finale è conservato in zendbu cannabu, canapa,
con l'accento protratto.
p) Interne.
(Vocali medie dei proparossitoni. Prosemitoniche).
48. Caddero nel dialetto le vocali medie dei proparossitoni :
Es.: Tifne Stefano, ^rpè-fó trovala, ^rpò-Zà' trovale; tetre lettera,
Saggio sul dialetto di Pragelato 39
zambre camera, rendre vendere, renare rendere, tère tenero, peure
pepe, ipire ungere, pipire pungere; — àrie asino, matite manica,
perze pertica, kz/de gomito, Karème Quaresima; — l'aure lepre;
taule tavola,
Proparossitoni divenuti parossitoni già nel lat. volg. : ol' occhio,
urel'e orecchio, màkle maschio, vèrt verde, klrt lardo, zaut caldo,
kgtbe colpo.
49. In molti proparossitoni la riduzione ebbe luogo in modo
differente : è caduta la finale e s'è conservata la mediana sotto
forma di i, e (segnatamente quando seguono d, n, p) : paU pallido,
ransi rancido, joas? pacido, ^^ò« tiepido; — pa:ie *page(ne), pa-
gina, limale *image(ne), imagine, /"rawé' *frax e (ne) , frassino,
^itve* juve(ne), giovane, orge *orgue(ne), organo, vier:ie *vir-
ge(ne), vergine; prinse *prince(pe), principe.
II. Protoniche.
a) Iniziali.
(Semitoniche a formola esterna ed interna).
50. L'rt iniziale scoperto e in posizione rimane intatto, fuorché
dinanzi ad elementi palatali. Es.: a) amik amico, ana andare,
uyul'e *acuc"dla, ago, agé avere, agii' avuto; ane'l agnello, artel'
*articulu, pollice del piede, armèni argento. — b) panie paniere,
palai palazzo, ^a;^' pagare, lava lavare, paline gallina; zantà' can-
tare, parti partire.
51. Preceduto da palatale Va iniziale, libero e in posizione,
rimane di regola intatto: zamife camicia, zamin cammino,
ialine gallina; — zarbùn carbone, zàte'l castello, zarpaìitie car-
40 Alberto Taìmon,
pen tarili falegname, zasà' cacciare. — Rari e sporadici sono
i casi di e per influsso di palatale precedente: zenà'l canale
doccia di gronda, zenil'e e ani cu la bruco del legno, zeriere
cathedra pulpito, seggio, sedia, afr. ehaiere, zmabu canapa.
52. Seguito da elementi palatali passa ad e, i (a), o resta in-
tatto (/?). Es. : a) esalasse, eroi distesa di covoni sull'aia, perg'i
paiuolo, veróle vainolo, me/un fr. maison, lésa' lasciare, hjfà' lat-
tata, létik lattuga, perin e pirhì padrino, merìne e mirine ma-
drina, f esine e fisine fascina, refin e r'ifin fr. raisin. — /?) la feri
afr. lesert, rafùn ragione, safùn stagione, flaira fragrare puz-
zare, bai/a baciare, pa;a' pagare, kajà' cacare.
53. Casi di iato o dittongo per caduta di consonante: pai
paese, bài' a sbadigliare; ani agosto, meiir maturo, zeine catena,
afr. chaeine, feine faina, afr. faine, rei radice, zeire cadere,
afr. eh eoi r.
E.
54. P h'e della sillaba iniziale scoperta, s'attenua in e. Es. :
e) fenHre finestra, veni' venire, leva' levare, nebu nipote ; e) fenu'V
finocchio, \enu'l' ginocchio, pf/a' pesare, deve débere il dovere,
ì) menù' minuto, mena minare.
2° In posizione rimane intatto: le-ie leggero, setie sestario,
Sétriere Sestrières (topon.), pezà T^eccato; — seza seccRre, péza
pescare, mekla mescolare, ven:{à' vendicare, semblà' sembrare. Ma
passa ad e dinanzi a r-|-co?^s.: persane persona, mersi ir. merci,
vertu virtù, /erma' fermare, ernh' afr. erner, dilombare, tartassare;
si milmente : ereiie ereditario erede, ereia ereditare.
55. Si anno tracce del mutamento di e- in a- segnatamente
dinanzi a liquida: èa-tonse bilancia, :^airf' geloso, fmm'^' *tripaliu
lavoro, marza mercato, zarza' cercare, barete berretta, arà'm aera-
Saggio sul dialetto di Pnigelato 41
men rame, taiatie tei a tarlo tessitore, taravele e taroele te-
re beli a succhio, pandekiite -pentecoste, tramulà' tremolare, ari-
sihi eri ciò ne riccio delle castagne.
56. Di i- da e- per influsso di palatale precedente sono esempì:
sireife ciliegia, :;^itHn fr. rejeton, sciame d'api.
57. Di /7 tra due labiali in fiimele femella femmina, biivént
bibente bevente.
58. Casi di iato e dittongo per caduta di consonante: jaie,
mie afr. eage, età; sia setaccio, afr. sèaz, p)ià pedata, nà *nià
nidiata, nunt afr. reont, rotondo, imil' pidocchio, afr. peouil.
59. L'i iniziale, scoperto e in posizione, rimane intatto: vivéìif
vivendo, vira' girare, timun timone, hirùn tappo, l'iura liberare;
— tristese tristezza, lindà'r limitare, linso'i lenzuolo, sinkante
cinquanta.
60. Osservazioni: I. Ule della tonica dinanzi a l compare
nella protonica iniziale mutato in /a: fiala filare, vialan vil-
lano, v'iaiaie villaggio.
II. L'(7 per effetto di labiale attigua in f Unisti finisco, Uvern
inverno, |?rMm/e pri mar iu afr. prumier, fìlvele fibella fibbia.
III. Casi di dissimilazione: ve/in vìamo, devi/e òì^ìsa., peco't
*celt. pitti tu, fr. petit, femm. pecqte.
0.
61. L'o della sillaba iniziale, scoperto e in posizione, mutasi
in u. Es.r o) umir onore, udur odore, upimin opinione; kuriine
corona, kuhimbe colomba, kulmie colucula, conocchia, nuvè'l no-
vello ; hirmént tormento; — o) duna donare, plnrà' plorare
4'2 Alberto Talmon,
piangere, /?//rf fiorire, sulel' soli cui u sole, ninmént momento;
tiirnà' tornare ; — u) kuva covare, suvént sovente, duta dubitare,
3uvmì sub venire ricordare.
62. Osservazioni: I. S'à il in ;^ //a giù o care (;%A- gioco) e Yij
in oliere oliera {dii olio).
II. Seguito da /: tidfmi tensione, fr. toison, puifun po-
tione veleno; fuie focariu focolare.
III. Casi di dissimilazione: sekiise succussa scossa, se-
munl s il bm onere offrire, belile buluca favilla.
IV. Dormire diede diiirmì e gurim — formica fiìrniì
— *morire miiri.
U.
63. L'm protonico iniziale, scoperto e in posizione, passa a ii.
Es.: a) filma fumare, diira durare, liìra giurare, ,7/qa' giudicare,
sUsa succhiare, niìrì nutrire. — /3j iimii'r umore, Umide umido.
Urla urlare, imuiì unione, ilfilrie usuraio, iisie usciere, iizà' *huc-
care gridare.
OssEEVAZioNE, — Casi di iato e dittongo per caduta di conso-
nante: tiià fr. tuer, esuà' afr. essuer, hiiel budello, pi. hiiau ;
mianda mutanda capanne dall'una all'altra delle quali i pa-
stori si mutano d'estate.
Dittongo AU.
64. Il dittongo aii nella protonica iniziale mutasi normal-
mente in u. Es. : aj urei' e orecchio, umenta- aumentare, uton
autunno, w^rf'f altore, altezza. — §) klufiire clausura siepe,
ruba rubare, zufj *germ. kausjan, fr. choisir, fiidiel faldile,
zHsie e al ce a ria scarpe, zudifre caldaia, fuset falcetto; ulaiie
avellana nocciuola, ulanie nocciuolo ; uifel avicellu uc-
Saggio sul dialetto di Pragelato 43
cello. — In li: riltl *germ. raustjan arrostire, pieni. riislL —
L'esito oscilla tra au ed o in pauvaUnt, povaUnt *paucu-
V al ente uomo di poco valore, piem. valpók.
i3) Interne.
(Postsemitoniche).
65. L'evoluzione delle postsemitoniche presenta una certa ana-
logia con quella delle vocali finali.
66. A. Mutasi in e come nella finale: nrfelin orfanello, tren-
tedà' trentadue, trentetré trentatre, karantedu nanantedn' ecc. ;
pareploje parapioggia. — Casi di caduta per riduzione di iato:
marzànt mercatante, afr. marcheant, menéìlt media nocte
afr. mienuit.
67. Palatali e labiali. — Le vocali palatali e labiali latine in
protonica interna :
1° Caddero nel dialetto. Es.: e) l'iura' liberare, abeurà' ab-
beverare, abeurùn biberone ; — vergiine vergogna, serve l cervello,
tarvele ter ebella succhiello; — beuta beltà, sandà sanità, lìiia
giudicare, blamà' biasimare, za)\à' caricare, feuilere fi li cari a,
fr. fougère. — i) kiimensa' cominciare, preia predicare, refine
radlcina, fr. racine. — o) kii:Ji' collocare mettere a letto;
— seìiibla sembrare, tramblà' fr. trembler. — u) mm:^d' mangiare,
kudUre con sutura, fr. couture,
2° Si conservano tuttavia dinanzi a gruppi consonantici, ed
in generale sotto forma di i dinanzi a /, n, e, t ^'i in iato.
Es.: guvernà' governare, guverndu gubernatore tutore, jse-
legrin pellegrino; — parpil'ùn papilione farfalla, turbil'im,
fr. tourbillon, kaiina fr. caliner, far all'amore, arisùn *ericione,
riccio delle castagne, atifà' fr. attiser, agufa aguzzare.
44 Alberto Tiilmon,
Fenomeni attinenti le postsemitoniche
conservate per l'azione dell'analogia.
68. A. — Intatto : zenabiere canapaia, zandavol' canapiculu,
enzantà' incantare, enzamha inceppare, marzandijt' mercanteg-
giare; zantaréik canterò, pnrtaréik porterò, zantariuk canterei,
purtarluk porterei.
E. — Affievolito in e in sillaba scoperta: penzena pettinare,
sutent sostenere, revent rinvenire, s'aienul'à' inginocchiarsi — ed
in posizione estinta: kafetiere caffettiera, s'aseta assettarsi. —
Dinanzi are sempre e: remersm' fr. remercier, enterumpre in-
terrompere. — Per kamarade camerata, zandah'e candeliere, Zan-
dah'ere Candelora devesi pensare ad un'assimilazione, rensà' re-
centi are sciacquare è dovuto a iato per caduta del e.
I. — Intatto: mfarina infarinare, muHnìe mugnaio, muHnà'^
mulinare, ave/ina avvicinare.
0. — In u\ duluru doloroso, defunu'r disonore, kutnnel co-
lonnello, rafunà' ragionare, zansunete canzonetta, mef miete fr.mai-
sonnette, tefiiirete tonsor ietta piccole forbici, d'ekundùn
nascostamente.
U. — In li: pertilfa pertugiare, etilrnà' starnutare, me/ura mi-
surare, figura figurare, eniurja' ingiuriare, asegilra assicurare.
Dittongo AU. — In ii: enklufurà' includere con siepe [klu-
filre), enzusina incalcinare, endxirà' indorare, enklufurà , part.
enzusind, endurà.
Saggio sul dialetto di Pragelato 45
II.
O O N S O N A ISI T I S IVI O
I. Consonanti iniziali.
1) Consonanti semplici.
Sintesi: Le consonanti semplici iniziali rimangono intatte,
fuorché C -|- a, C -j- e, i, G + a, e, i, e J.
a) Esplosive e fricative.
69, Gutturali e palatali.
I. C. — Il e iniziale diede i seguenti riflessi:
1) C -}- 0? u rimane intatto: Jcgrde corda, koibe colpo, ku-
rtme corona, kiide gomito, kukurde cucurbita; kilflne cucina,
kiìsin cuscino, keilt cotto, keuse coscia.
2) C -|- a passa a z: zar caro, zaifi'r calore, zaval{s\]. a
kavà'l) cavallo, zabre capra, zaut caldo, zati cavolo, zant canto,
zamp campo — coi quali vanno zuma' calmare riposarsi, zusie
e al ce ari a sc2iv^e, zudiere caldaia, 2'o/e cosa, zeine catena, zeju
cado, — Veri e proprii piemontesismi sebbene in buon dato ri-
corrano nel delfinese: A;aW/m carro, Aranxfra'^ carnevale, A:arc?aif^
cardatore, kaise cassa, kantun, canto, lato, ripostiglio, kavese
cavezza, kav'a'l cavallo, kabase gerla di vimini.
o) C -]- e, i passa a s: sebe cepa cipolla, s^rvè'l cervello,
séel cielo, sine cena, sire cera, serkle cerchio, sep ceppo; — lat.
volg. *cinque sitìk, *c inquanta sinkante. — Ci rea re è di-
venuto zarza per assimilazione, cfr. fr, chercher.
II, G. — Il ^ semplice iniziale dà i seguenti esiti:
46 Alberto Talmon,
1) G + o, u rimane intatto: gqne gonna^ gor^e *gòrga,
ci. gurges, gola, gule gula bocca, giiverna governare, gurmànt
ir. gourmand. guitre ir. goitre.
2) G + a, e, i passa a ;;; : ~a^ gallo, ialine gallina, lardhi
giardino, -ari prov. garri, topo, laune galbanu giallo, imite
gota; — i^nut ginocchio, ^ent gente, leniive gengiva,
III. J. — Passa ::;; : lanvle gennaio, tenebre ginepro, làve gio-
vane, luhre aggiungere, liìek gioco, ^an Giovanni, lita jactare,
sciamare. — Il dialetto di Fenestrelle k e, g in luogo di z, i:
cabre c'dTpra,, cahì'r calore; gal gallo, gafme gallina; ganvie gen-
naio, genehre ginepro, ecc.
70. Dentali. — Intatte :
T: tai tale, tant tanto, tauie tavola, tenip tempo, tère terra,
turna tornare, titUe tegola.
D: dal' falce, dent dente, dina' desinare, dire dire, dtìnu dono,
diir duro.
S: san sano, sable sabbia, serpént serpente, sine segno, siià'
sudare.
L'unica alterazione appare in derbmi talpone talpa (pur
vald. pieni, delf. lion.).
71. Labiali. Intatte:
P: pai' e paglia, 2?«^i pallido, ^e/re pietra^ pile pista, i^ost posto,
punì pomo.
B: barbe barba, bàtùn bastone, bai/a baciare, beure bere^ hitmi
bottone, biki bove.
F : fa fare, ferma' fermare, fiure febbre, fare fuori, fàrn forno,
funi finire, fuvde fibella fibbia.
V: vaze vacca, verde verde, ve vedere, vei'd vuoto, vine vigna,
vi^ieie vigilia. — L'unica alterazione appare in ferul' se è da
verruculu, cfr. Diez. s. verrou.
Saggio sul dialetto di Pragelato 47
h) Liquide e uasali.
72. Liquide. Intatte.
R: rafthì ragione, rar raro, reh rem niente, rensà' re cen-
ti are sciacquare, rlre ridere^ rgbe roba, rure rovere.
L: lane lana, loìne lama, leire leggere, libre libero, liip lupo,,
lììne luna.
Appaiono alterazioni solo in l'iura liberare e l'iure libbra.
73. Nasali.
M: mar mare, man mano, maire madre, men meno, mil'ie mi-
liario, miglio, mine mina.
N: nà naso, nau nove, ìieble nebbia, néiit notte, nivu nuvoloso^
ngìì nome, nuife noce.
L'unica alterazione appare in nis livido se è da mitiu (AGIt.
XV 415), e non piuttosto da ijnitiu (Pieri, AGIt. XII 125,
Salvioni, ib. 416, XVI 458).
2) Gruppi consonantici.
74. Cons. -{- r: — La consonante rimane intatta ed r passa
a r. Es.: k-ru croce, kreire credere, grani grande, gran grano;;
trau trave, drap drappo, fraire fratello, fraise frassino; pra
prato, brame branca, briere brughiera. — Gruppi di formazione
romanza: dreit diritto, dreisa drizzare, bril'a brillare.
Osservazioni. — Fragrare diede flaira per dissimilazione.
— Cr scaduto a gr: grà' grasso, grata grattare, gnip groppo,
granfi crampo. — Pr scaduto a hr: brine brina, brina prugne.
75. Cons. -\-l. — I gruppi iniziali di cons. -\- l rimangono
normalmente intatti: klau chiave, klaveiire chiavatura, glaseirthi
ghiaccinolo, piante pianta, jilaje piaga, pletì pieno, bla blata,
grano, blamà' biasimare, blimf biondo, flame fiamma, flgk fiocco.
48 Alberto Talmon,
76. S -\- cons. — S iniziale seguito da consonante cadde nel
dialetto, ma dopo lo sviluppo d'un e prostetico. Es.:
aj s -\- k: ezàh scala, ezine schiena, ekgie scuola, ekuèle sco-
della, ekuha' scopare, ekù' scudo, ekrire scrivere, ekl^'p schioppo.
^) s -\- p: epale spalla, epese spessa, e^nne spina, epufà' spo-
sare, epii'-epufe sposo-sposa.
y) s -f- ^ : età'h stagno, etréit stretto, afr. estreit.
La riduzione di "^esk- *esp)- "^est- coincide con quella delle for-
molo dov'è etimologica la vocale che precede a s -|- cons. : eliiha
exlong lare, allontanare, erna *ex reni care, slombare, afr.
«rner; ekundre ascondere, ekiìta' ascoltare, ekii'r oscuro, devia'
sviare, del'à' slegare. Notisi ancora emhie prov. esmirìo ed ita
da un anteriore *eita estate e stato.
77. Ku-, Gu-, I nessi iniziali Kn {qu- cu- co-) e Gu d'origine
latina e germanica si ridussero rispettivamente a k, g. Es. :
a) Kii- : kard quadrato, karènie quaresima, kani quando,
hatre quattro, karante quaranta, kal'a' coagulare, kazà' coacti-
care, fr. cacher, kinfe quindici, kel quello, kele quella.
/?) Gu-: gàfià' guadagnare, gàta guastare, gèpe vespa,
germ. *wespa, gére guerra, garda guardare, custodire, garde
guardia.
Da quinque quinquaginta e quisque diventati già
nel lat. volg. *cinque, *cinquanta, *cisque, si ebbe s?V?A-,
sinkante. zàku'n *cisque-unus, ciascuno.
78. Cons.-\-i. — 1) DI- passa a ~: lurn giorno, ~?^/-»4' gior-
nata, -Mnul'^ giornale. Il gruppo è conservato in diameniè di es-
domini ca domenica. — 2) Lz- mutasi in V : l'aure lepre, l'ù
legare, l'àse legaccio. — 3) iVV- passa a h: nà nidiata, iiaH uovo
nidiale.
Saggio sul dialetto di Pragelato 49
II. Consonanti interne.
1) Consonanti semplici.
a) Esplosive e fricative.
Sintesi: Ogni sorda digrada a sonora : nelle esplosive sonore,
primarie e secondarie, frequente è il dileguo ; sono conservate
le fricative ;, f, v.
79. Gutturali e Palatali.
I. C. — Il e latino intervocalico dà i seguenti esiti :
1) C -)- 0, u scade a g: segùnt secondo, segii'r sicuro, agii'
Sicnto, plagu *placutum, i^ìaciuto, hn gate locusta, a gùl' e acu-
cula, ago, guiensa ed agulensa *aculentia, frutto &Q\\'agu-
imsie. rosa canina.
2) C (-)- a), preceduto da a. e, i, passa a j: pajà' pagare,
paje paga, hraje braca, emhraja metter le brache, dujén decano,
pria,' pregare, prie prega, urtie ortica, nà *nià, annegare. Im-
prestiti dal prov. : fige lieo, figie fico (albero), sigàle cicala.
3) C (+ a), preceduto da o, u, dilegua: Itià locare, affit-
tare, avuà' advocare. chiamare, rjià giocare, estìa' asciugare,
leti'ie lattuga, belik *beluca, favilla, veriie verruca. Imprestito
dal piem. è fugàse focaccia.
4) C (-|" e, i) passa a / e -i^f: plafé piacere, defemhre di-
cembre, difént dicente, fafént Sfacente, ve fin vicino, ri/in
*racimu, fr. raisin ; uifel *avicellu uccello. — ftirnai/e,
nuife da fornati a, mi ti a ^.
^ [if dopo tonica e au-. Cfr. anche n. 80. furnai/§, nui/§ anno un e da -a
des. femm. analogica. G.j
Archivio glottol. ital., XVIII. -i
50 Alberto Talmon,
IL G. — Il g hit. intervocalico presenta i riflessi seguenti:
1) G (-f- 0. Il) dilegua: aiit a.gosto, fau faggio, Uuh tegola.
— Dal pieni.: biggf bigotto, magùn magone.
2) G (-|- a) preceduto da a, e, i, passa a /: plaje piaga, pajén
pagano, zàtià' castigare, l'à legare, ^'<2se legaccio, rilna rumi-
gare, ruminare.
3) G (-f- a) preceduto da o, u, dilegua: sa wsmé; sanguisuga,
ruà rugata, serie di case, duàne dogana.
4) G {-\- e, i) passa a / che si combina co' suoni attigui:
feine faina, meitre maestro, mai magis, di pili, rei re, pai paese,
lek leggeva. — Letterario è viiiele vigilia (ling. eccl.).
III. J. — E conservato: trdje troia, majuse. fragola, majénk
maggengo; — mai maggio, pei peggio.
Tra e ed u un j è caduto in leiina jejunare, afr. jeuner,
\,eun j e j u n (i) u , digi uno.
80. Dentali.
-T-. Dilegua: rùa ruota, meilr maturo, rufa rugiada, mianda
mutanda, capanne dall'una all'altra delle quali si mutano i
pastori d'estate, tramila' tramutare; a- ata: zanta csmisitOi, purta
portata; ie -ita: /"//«/(^finita; ile -uta: èatóf^ battuta. — Ma l'an-
tico t si mantiene allo stato di d dove per antica ellissi venne
a succedere ad altra consonante: vuida voci tare, vuotare,
kukurde cucurbita, sandd sanità, lindà'r limitare.
-D-. Dilegua: niie nuda, siià sudare, jj?'^ pedata, nà nidiata.
ve vedere, treni tridente, metde midollo, riunt rotondo ; — ma è
conservato dopo au : laudu lodo. Inda lodare, zaude calda, ezuda
scaldare.
-S-. Scade a /: zgfe cosa, ì'ofe rosa, epiife sposa, epufa spo-
sare, rafà' rasare.
Saggio sul dialetto eli Pragelato 51
81. Labiali.
-P-. Scade a b: ribe ripa, lembo di prato, saèé sapere, trubà'
trovare, nebù nipote, sabti'r sapore, zabètre capestro, kiibert co-
perte, abel'e ape, debana dipanare, ekuba scopare, zendbu canapa.
— In parpalùn, parpilun p a p i 1 i o n e, farfalletta, l'epentesi pro-
babilmente antichissima di r conservò il p. — Però : savùn sa-
pone, sàve sapa, linfa.
-B-. Scade a v: fave fava, prooe prova, iive'rn inverno, iamn
tafano, kuvà' covare; àvu *abam, zantàvu cantavo, pwrtótJM por-
tavo ; avorta abortire, deve debere, il dovere. — Voci dotte:
tabà'k tabacco, rebust robusto.
-F-. Conservato: refundre rifondere, versare di nuovo, trafoV
trifoglio, defore de foris, fuori.
-V-. Conservato: avene avena, lava' lavare, saHve saliva, nuvèle
novella, notizia.
h) Liquide e uasali.
Sintesi: Le liquide sono conservate sotto forma di -^ e r e le
nasali rimangono immutate:
L R M N
t r m n.
82. Liquide.
-L- : baianse bilancia, saia salare, paidi palazzo, àie ala, téàie
tela, zandéàie candela, fiaià' IBlare, ekgie scuola, vuià' volare,
kuiur colore, duiu'r dolore, zaliX'r calore. — I pochi casi di l
in r sono tutti esempi di dissimilazione : esurel'à esporre al
sole, ekuril'a scolature, embrìV ombelico.
-R- : aìnhre amara, arà'm aeramen, rame, kurune corona,
parè't pariculu, paio, para' parare, plufà' plorare, pian-
gere, fiere fiera.
62 Alberto Talmon,
83. Namll.
-M-: lame lama, amar amaro, onte uomo, puniie pom arili,
melo, tramuià' tremolare, karèrne quaresima.
-N- : lane lana, sentane settimana, f untane fontana, sunà' suo-
nare, duna' donare, avene avena, vene vena, 'pène pena ; — r per n
nel solito marmate *m ini mali a (AGIt. II, 366, 876), piem.
marmaja.
2) Gruppi consonantici.
a) Cous. -|- r.
Sintesi : Se precede vocale, la consonante viene in
parte trattata come a formola intervocalica: ogni sorda scade a
sonora, e con ulteriore scadimento le sonore, primarie e secon-
darie, si risolvono vocalicamente, le gutturali, palatali e den-
tali in /, le labiali inw; — se precede altra conso-
nante la cons. intermedia rimane intatta; — r passa sempre
a f. — Gli esiti sono indicati nel prospetto:
CR GR
Postvocalico igr [ir] i^r
Postconsonantico [kr) {gr)
84. Gutturali e palatali -f- r.
-CR-. Postvocalico: maigre magro, aigre acre; -ir in plaire
piacere, koire cuocere, dire d icore dire, h'i venne assorbito
in fa fa cere, lilre lucere, kundiire con ducere.
(Postconsonantico: ankre fr. encre.)
-GR-. Postvocalico: flaira fragrare, puzzare, leire leggere.
D'infl. letteraria: fiiiìr. fugare, detriiire destrugere; —
sono voci analogiche su altre forme in -ie -lere: m'é nigru,
niere n i g r a, entie i n t e g r U; entlere integra, per *mir, *neire,
*enteir, *enteire.
TR
DU
SR PR BR
VR
ir
ir
fr ur{&br) ur
nr
tr
dr
sr pr ir
—
Saggio sul dialetto di Pragelato 53
(Postconsonantico: maigrd malgrado.)
Osservazioni : I. Nel gruppo complesso e d'origine secondaria
rk'r la palatale diede f come a formola intervocalica: tor/re tor-
cere. — II. Nel gruppo ngr pure d'origine secondaria il ng
diede n: tenre tingere, piante piangere, compiangere.
I
85. Dentali -f- r.
-TR-. Postvocalico: paire padre, maire madre, fraire fratre,
fratello, afaire aratro, peire pietra, areire ad-retro, indietro,
preire presbyter prete, luire lontra ; — aire - a t ( t o ) r : pe-
zaire peccator, esclamazione equivalente al fr. hélas!^ kar-
daire *cardator cardatore, kalinaire *caliniator (fr. ca-
liner), amante, fidanzato. — D'infl. letterario: puri fr. pourri,
nilr^L fr. nourrir, bilre fr. beurre.
Postconsonantico : autre altro , fenètre finestra , zahètre ca-
pestro.
-DR-. Postvocalico: ekaire squadra, kaire quadru, angolo,
ripostiglio; zeire cadere, A;mre credere, r«r^ ridere; cathedra
diede zeriere seggio, pulpito, per analogia con altre forme in
-iere (cfr. afr. chaiere, vald. cdiero e karéo). — D'origine lette-
raria: kadre quadro, karà quadrato.
Postconsonantico: mordre mordere, perdre perdere, oendre
vendere, tundre fondere, fiindre fondere.
-SR-. Postvocalico: kufre co(n) suore, cucire.
Postconsonantico: esre essere, kreisre crescere, kunuisre cono-
scere.
86. Labiali -\- r.
-PR-. Postvocalico: In -hr se il gruppo è originario o di an-
tica formazione romanza, in -ur in altre voci di formazione pili
recente. Es.: zahre capra, pére opra, lenebre ginepro, abriel aprile,
desif,bre disopra, obrt aprire; — peure piperò pepe, l'aure lepre,
paure povero.
54 Alberto Talmon,
Postconsonantico: apre aspro, vepre vespera, sera, me-
prifà' sprezzare, si^ipre solfo.
-BR-. Postvocalico : dmre deb(e)re dovere, beure bib(e)re,
bere, feuri^ febbraio, l'iure libbra, l'iurà' librare, liberare, fiure
febbre, f^rie *faurga, *fabr(i)ca, fucina.
Postconsonantico: aibre albero, umbre ombra.
-VR- : viure vivere, maure muovere, plaure piovere.
h) Cons. -f- !•
Sintesi : Se precede vocale la consonante vien pure in
parte trattata come a formola intervocalica: ci e gì passano,
per risoluzione della gutturale in % a V •. pi scade a bl, e è/, fi
sono conservati; — se precede altra consonante i
gruppi rimangono intatti :
CL
GL
PL
BL
FL
Postvocalico
/'
r
hi
bl
fi
Postconsonantico
kl
gì
pi
—
fi
87. Palatale -{- l.
-CL-. Postvocalico: kal'e quaglia, abd'e api cu la ape, «réZ'^
orecchio, di' occhio, suiet soliculu, sole, -enuV ginocchio,
fenili' inocchio, gril' e graticola, grit graticulu. ghiro, ruiila
r odi e (u) lare, rosicchiare. — D'origine dotta: avogle abo-
culu, fr. aveugle.
Postconsonantico: màkle maschio, àkle ascia, scheggia, r«Ha'
raschiare, meklà' mescolare, serkle cerchio, imkle avunculu,
zio, ènklaure inclaudere, ricondurre il gregge all'ovile.
-GrL-. Postvocalico: kal'à' coagulare, kàV caglio, kal'ùn^^gvwmo
di sangue, ve/'a' vegliare, oel'a vegliata, la veglia, vel'e vi-
gilia, giorno precedente (in ling. eccl. è viiieh).
Postconsonantico : senglù't *s i n g 1 u 1 1 u , singhiozzo , ungle
unghia, englutl inghiottire, senglà' fustigare colla cinghia.
Saggio sul dialetto di Pragelato 55
88. Labiale -f l.
-PL-. Postvocalico : duble doppio, etìihle stoppia, etihlun gambo
del grano, kuble coppia. — D'origine letteraria: _pòp?e fr. peuple.
Postconsonantico : aplika applicare, deplana spianare^ esemple
esempio, empii riempire, simple semplice.
-BL-: sìlblà' sibilare, neble nebbia, sable sabbia. — Provengono
dal Nord-Est della Gallia, tauie tab(u)la, tavola e tgie *taula,
tabula, lamiera, latta.
-FL-: suflà' soffiare, enfia enfiare.
e) Cons. + palatale.
Sintesi: Le palatali nell'interno di parola dopo consonante ven-
gono di norma trattate come consonanti semplici iniziali :
Cons.C -f a Cons.C -f- e, i Cons-C -}- o, U Cons.Q -f- a, e, i Cons.Q -]- o, U
z S k X 9
89. Cons.Q _j_ f^ __ £,'esito normale è 2; se il gruppo è origi-
nario o di antica formazione romanza: vaze vacca, seze secca,
rgze rocca, klgze *clocca, campana, arze arca, furze forca, ìnuze
mosca, planze plancia; nàze natica,, per ze pertica, prezà' predicare,
ììiciza masticare, reverza re ver ti care, rimboccare, ekorzà
scorticare. — In un'altra serie di voci piti recenti l'esito è in-
vece ~: vejiia vendicare, minaci' mangiare, zarià' caricare, rj'iià'
giudicare, ber^ie berbicariu. afr. bergier, matiie manica, dia -
men^e domenica, forze *faurga, *favriga, fabrica, fucina.
Qui per un ritardo di caduta della postsemitonica il e trovan-
dosi fra vocali scadde a ^ e la sincope non avvenne che in se-
guito: berbicariu, *berbigariu, *berbigaria, ber^ie.
90. ^°°^C-]-e, i. — L'esito è s se il gruppo è originario, /se
è di formazione romanza (recente) : basin *celt. b a e e i n u , ba-
56 . Alberto Talmon,
cino, niersi mercede, fr. merci, /mrsf'Z porcello, ^wrs/f^ porcile,
asfe acciaio, susise salsiccia: — run/e romice, pg/e pollice, mat/é
meleceto, eklarfi *exclaricire, prov. esclarcir, imfe undici, di^ fé
dodici kinfe quindici, se/e sedici. — Si ha però z in alcune
voci germaniche d'introduzione relativamente tarda: ezme *skina,
fr. échine, ezerpe *kerpa, fr. écharpe, dezira *dis-kèrran
fr. déchirer.
91. Cons.Q _|_ ^^ ,^^^ __ Intatto : ekundu ascondo, zàkù'n ciascuno,
faikùn falcone, bukun boccone.
92. ^°^^G + a, e, i. — In .;: lar-e larga, ionie lunga, verie
verga, p'itrie purga, ariént argento, ariieh argilla.
93. '^^'^^G -[- '^j u. — Intatto: étrangula' strangolare, engui an-
goscia, enguisd angosciato.
d) Cons. + Deutale.
Sintesi: Nei nessi di cons. -|- dentale scompare o andò sog-
getto ad alterazioni il primo elemento del grappo : le palatali
si vocalizzano in i, le labiali cadono, -ps- risolvesi in is-, — ma
si rafforzò di regola il secondo elemento, che non andò quindi
soggetto a dileguo. — Gli esiti sono indicati nel prospetto:
MN
CT
NCT
GD
ce (SC)
GN INGO
PT
BT
PS
it
ne
id
is
n
t
t
is
94. Palatale -{- Dentale.
-CT-: fait fatto, lait latte, dreit dritte, leit letto, teit tèctu,
stalla, etréit stretto, dlt detto ; — 1'* è stato assorbito dal dit-
tongo di ò attraverso gli stadi *ueit (prov. tiueit, vald. noit),
*u^it, indi *eu(i)t: neut notte, keiit cotto, keilte cotta. — L'esito e
si à solo in oc otto, iicante ottanta; — 2; in pàze patto. Altro
Saggio sul dialetto di Pragelato 57
es. di z si avrebbe in kàze (nell'espressione kaze kàze ■= quatto
quatto) se fosse da coactu (Mlssafia, Rom. Mund. n. 169),
ma qui è piuttosto da vedere una forma avverb. derivata dal
part. di kaza e nkaza coacticare, fr. caclier, nascondere,
appiattarsi.
-NCT- : tene tinte, tenée tinta, une unto, unce unta, aitine
aggiunto, punc punto, punte punta. Analogici su questa risolu-
zione sono kunb conto, A-7/wèa' contare. — D'in fi. letterario:
seni fr. saint. fentiìre fr. teinture. santilre fr. ceinture.
-GD- : fr^jde fredda, enfreidà raffreddato.
-CS (e SC): — a) fraise frassino, teisre tessere, leisu laxo,
lascio, seisante sessanta; keuse coscia; dileguo della spirante in
finale: bui bosso, sei sei. — b) naisre nascere, kreisfe crescere,
kunuisre conoscere, faise fascia, /ei.sfwf e ftsine fascino; dileguo
della spirante in finale: fai fascio.
-GN (e NG')-: a) ane'l agnello, anau agnelli, siìie, segno, ensehe
insegna, piinà'l pugnale, piln pugno. — b) plahre piangere
compiangere, tehre tingere, uhre ungere, perire pungere, diina'
*exlongiare, allontanare; lon longe, lontano, ten tinge,
pian compiange.
95. Labiale -\- Dentale.
-PT-: rute rotta, ekrite scritta, azate accaptat, afr. adiate,
comdera, bateme battesimo, enfu' emp(u)tare, innestare.
-BT- : kude cubi tu, gomito, duta dubitare, dittu dubito; preire
*pretre, presbyter, prete.
-PS-: kaise cassa, enkaisà' incassare; ils gesso, eniisà' inges-
sare. — Preceduto da altra consonante il p cade: kgrs
corp(u)s, afr. cors.
-MN-: fene fem{i)na. moglie, danà' dannare, kundana' con-
dannare; — dàn danno, son sonno; — autumnu diede uton
(cfr. vald. autori). — Voce dotta: unie, fr. àme.
68 Alberto Talmon,
e; S + Cons.
96. S -f- esplosiva. — Nei nessi di s -\- esplosiva il s scomparve
allungando per compenso la vocale precedente, e l'esplosiva ebbe
il trattamento di consonante iniziale. — Si anno pertanto gli
esiti :
se + cons. SC + o, u SO + a ST SP
k k z t p .
-SC -j- cons.- : màkle maschio, àkle *ascla, scheggia, ràkle
raschio, rakla raschiare, mekla' mescolare.
-SC-}-o, U-: ekundu ascondo, nascondo, ekfitu ascolto, zakufi
ciascuno, bok *germ. bosku, legno, frek fresco.
-SC -\- a- : milze mosca, óze prov. osco, intaglio, ràze prov. rasco,
tigna delle bestie, pezà' pescare, buze busca, fuscello, fVeze
fresca, leze prov. lesco, fetta.
-ST-: fète testa, fete festa, tempète tempesta, kriite crosta, len-
gìite locusta, zatp'l castello, pnte pista, èà^«*'» bastone: — la spi-
rante rimane però in qualche voce: furést foresta, besce bestia.
-SP-: gèpe vespa, gèpie vespaio, vèpre vespera, sera, repunse
responsa risposta; — è però ancora conservato s in krespe
crespo, krespa' fr. cresper.
97. S ~\- Sonante . — ^È pur normale il dileguo di s dinanzi
a liquida e nasale, con conseguente allungamento di com-
penso della vocale precedente:
SM SN SL
in n l .
-MS-: batème battesimo, kareme Quaresima.
-SN- : àne asino, omone elemosina_, d'ma *disjunare desi-
nare.
-SL-: ile iscla, valet *vassulittu valletto.
Saggio sni dialetto di Pragelato 59
Osservazione. 98. — I gruppi in cui s, in seguito alla caduta
d'una vocale, venne a trovarsi dinanzi a r non subirono alte-
razioni tranne l'affievolimento di s semplice in /e di r in r. Es.:
a) -s'r- in /r: ki//re co(n)s(ue)re: si/re cis(e)ra.
/?) -s'r- in sr: esfe ess(e)re.
y) -cs'r- in isr : maisre nasc{e)re, hT§isr§ cresc(e)re,
kuniiisre conoscere, teisre t ex (e) re.
f) Nasale e Liquida -j- Consonante.
1) iV-}- consonante. 99. — N seguita da postpalatale prende
un suono velare (n) ; seguita invece da dentale, n, per quanto
indebolita, par conservare la sua articolazione dentale; la con-
sonante è trattata come all'iniziale. — Si anno pertanto gli esiti
indicati nel prospetto:
NC + a
NC -{- cons.
N6 ^-cons.
NC + o,
u
NG + 0, u
N(
hk
hfj
nìc
nz
NG + a,
e, i NC + e,
i NT
ND NV
NF
ni
ns
nd
nd nv
nf.
a) NC-j-cows.-: mìkle avunculu. zio, enklaure in eia u-
dere, rinchiudere il gregge nell'ovile, mklilme fr. enclume,
incudine.
-NG -|- cons.-: ungle unghia, enghdi inghiottire, senglut sin-
ghiozzo, sengla! fustigare colla cinghia.
-NC -|- ^''. U-: blank bianco, hank banco, r^mìk giunco; enkéii
*atque-li anc-hodi e, oggi, enkare ancora.
-NG -f- 0, U-: engui angoscia, etranguia strangolare, Ifnge
lingua.
h) -NC -[-«-: blanze bianca^ brame branca, runza! roncare
il terreno, planze pian e a.
-NG-j-a, e, i-: ifuiive gengiva, elwirj allungare. Ionie lunga,
anie angelo.
60 Alberto Talmon,
-NC -\- e, i-: baianse bilancia, lanse lancia, unse oncia.
-NT- : piante pianta, karnnte quaranta, sent~i sentire, menti men-
tire^ hiilente bollente.
-ND- : unde onda, manda mandare, vendrè vendere, répundre
rispondere.
-NV-: enviu invidioso, avido, envidi invidia.
-NF-: enfern inferno.
100. — iVtra due consonanti cade: r^urs diurn(o)s,
giorni; iivers h i b e r n (o) s, inverni, furs f u r n (o) s, forni, enfè'rs
infern(o)s, uomini scapestrati.
2) M -\- consonante. 101. — M dinanzi a labiali non
perde mai la sua articolazione bilabiale ; venuta a trovarsi
dinanzi ad altra consonante passa a n:
a) rampe crampo, tempète tempesta, rumpre rompere; zambe
gamba, defembre dicembre, kukumbre afr. cocombre, cocomero,
umbre ombra.
b) linda'r limitare, soglia, kunc computo, conto, enta
em(pu)tare, innestare.
102. — Nel gruppo secondario m's preceduto da altra
consonante (sempre r) m mutasi in p: verps verm(e)s,
vermi; tra due r è passato a b in marbré marm(o)r, fr. marbré.
103. — Sviluppo epentetico di b nei gruppi di for-
mazione romanza m'r, m'ì: za mbr e ca.mer a, tmmbr e nnmevo,
kumbla cumulare, semblà' simulare. Manca però l'analogo sviluppo
di d nei gruppi 7i'r, n'r: tere tenero^ seri ceneri, pladre pian-
gere compiangere, t/nre ungere, pittìre pungere.
3) R-\- consonante. 104. — R passa ar dinanzi alle
gutturali e labiali (1"), rimane intatto dinanzi alle
Saggio sul dialetto di Pragelato 61
dentali (2''); la consonante viene di norma trattata come all'ini-
ziale. — Gli esiti sono indicati nel prospetto:
1") RC + o,u RG + o, u RP RB RM
rk rg rp rh rm
2°) RC + a RG + a. e, i RC 4- e, i RS RT RD RN RL
rz r^ rs rs rt rd rn ri
1°) -RC-[-o, II- : àrk arco, piierk porco; arkansiei fr. arc-en-ciel.
-RG -j- 0, U-: vergune vergogna, urgo'l' orgoglio^ gargqte
gargotta.
-RP- : arp^ arpa, ezerpe sciarpa.
-RB-: barbe barba, èrbe erba, marbré marmo.
-RM- : ferma fermare, gilrml dormire, arme arma.
2°) -RC -{- a-: arze arca, furze forca, marza mercato, zarza
cercare.
-RG -{-a, e, i-: tùi\e *turiga, sterile (prov. turgo), ver~^e
vei'ga, armèni argento, ar-iele argilla, v'ier\e vergine.
-RC -|- e, i-: pursìei porcile, ersebre ricevere^ mersl mer-
cede, fr. merci.
-RS-: versa! versare, burse borsa.
-RT- : [)Qrte porta, parti partire, marte l martello.
-RD-: verde verde, perdre perdere.
-RN- : ilvernal'e hibe malia invernata, lanterne lanterna.
-RL-: parla parlare, merle merlo.
4) L -{- consonante. 105. — L mutasi in h dinanzi a la-
biale, in u dinanzi a dentale. Es. :
1° Dinanzi a labiale: kù^be, colpo, puipe polpa, aip alpe,
siflpre solfo, sahe salvo, maìpe malva, salvi salvia, salvale (ali. a
suvaif) selvaggio, seive selva; pahne * celi, bai ma, caverna, ri-
paro contro l'acqua o il vento formato da rocce cave o pro-
tendentisi.
62 Alberto Talmon,
2° Dinanzi a dentale: bauze *balca, erbetta {c,&\t.),feuie
felce, feuiiere filicaria, a^ir. teugiere, zause csdza, zusìne ^zan-
slne calcina, susise *s a usi se salsiccia; zaut caldo, zaude calda,
zudì'ere *zaudierè, caldaia, /aw falso, fatise falsa; fau folles,
folli, kavàu caball(o)s; nu -ellos: nuvdu novelli, ^ja^aw cap-
pelli, vati vitelli (ali. a nuveaus, nuviaus ecc.); dopo i, u, il u
venne assorbito: duse dolce, putite poltiglia, mùtun *moltone,
montone, lajùtre illac-ultra; là oltre, ktiri^a collocare met-
tere a letto; fisele fil(i)cella, funicella.
106. — Si oscilla tra ^ e r in valgé valere, part. valgu cong.
impf. valgese e vargé, vargù' , vargese e vuigé volere, part. vulgù\
cong. impf. ouigese e viirgé, vurgu , vurgese. Sempre r in derbun
tal pone, talpa, e par pala palpo tuia, sopracciglio.
g) CoilS. + i.
a) Esplosive e fricative -\- i.
Sintesi: Le esplosive e fricative -f- X presentanogli esiti indi-
cati nel prospetto:
CI Gì TI DI SI PI BI VI
Postvocalico :
s
J
f ^ if 3
ij
Postconsonantico :
s
9
s l
is
107. Palatale -f i.
-CI- Postvocalico: a fase io faccia, bràse braccio (misura di
lunghezza), l'àse legaccio, arisùn he ri ciò ne, riccio delle ca-
stagne, arisà' arruffare, aizzare, glase *glacia specchio, susise
salsiccia, mewasa' minacciare maltrattare; -fse- *icia (ci. -iti a):
tristèse tristezza, kafese carezza, parèse pigrizia; vese veccia.
Postconsonantico: zause calza, zusa calzare, halanse bilancia,
Saggio sul dialetto di Pragelato 63
lanse lancia, unse oncia. — Il part. fafént risale al lat. volg.
'■"facente (ci. f adente).
-Gì- Postvocalico: kureje correggia, esaja assaggiare; esai
assaggio.
Postconsonantico: epuhge spugna.
108. Dentale -f- e.
-TI- Postvocalico: rafun ragione, aguja! aguzzare; sé/«*germ.
satjan, fr. saisir, ^^j/j/m^ì potione veleno, fu7'naif e *fornatia,
fornace [V. n. 79, 4i].
Postconsonantico: forse forza, usa alzare, plàse piazza, nese
neptia, nipote^ ngsa nozze, zasa cacciare; fasùn fa et ione,
fr. fagon, trasa' tracciare; linso' i \enz\ì.o\o, rensa' recentiare,
sciacquare.
Postconsonantico: joì\e orzo, ver^ie viridiariu, verziere.
— Alla sorte del gruppo -dv- si riattacca quella dell'importante
suffisso -aticu, che diede -a^e attraverso alle trasformazioni
*adigu "^adiu *adie: frumaie formaggio, via^aie villaggio;
kuraie coraggio, lavale lavaggio. Qui pure: aiiìa ad lutare,
aiutare^ a~Jiek adiutu, aiuto.
-SI- Postvocalico: bai/a' baciare, gldfe ecclesia, chiesa,
sireife ciliegia, zamlfe camicia, tuifùh to(n)sione vello; in
protonica: mefnii (vald. mei/uh), fr. maison, fefoi fagiolo (vald.
feifòi).
Postconsonantico (Gruppi SSI e STI): a) baisa! abbassare, baise
luogo abbassato, mesùn *meìsun (vald. meisùh) messione,
mietitura. — b) ehguisa angosciare, fruisà' frusti are, fr. froisser,
soffregare, bruisa (prov. broustar, fr. brouter) mangiare come
bruti; — d'origine letteraria: besce bestia.
109. Labiale -\- i.
-PI-: apruza approcciare, pVQze fr. proche. — Sono veri e
64 Alberto Talmon,
propri! piemontesismi : api accetta, *germ. ha pia, krópi greppia,
asapie io sappia.
-BI-: gu-uh gobione, fr. goiijon, tiie tibia, il gambale di
uno stivale, saie *sabiu, saggio, sapiente, alu-a alloggiare: —
piniùh pibione, fr. pigeon, zanià' cambiare. — In -j-: ruje
ru(b)ea, rui ru(b)eu, rossa, rosso: aje ha(b)eam^ a/i ha-
(b)eas, aje ha(b)eat, a.jah ha(b)eamus etc. — Piemonte-
sismi : rahi rabbia, lobi loggia.
-VI-: delù-e diluvio, le^ie leviariu, leggiero, ahreid abbre-
viare, seriént serviente, sergente; — plóje risale al lat. volg.
*ploja (ci. pluvia). — Piemontesismi: ^abi gabbia, eibi alveu,
trogolo, sa-toi salvia.
j3j Sonaute -|- «•
Sintesi: Le liquide e nasali -j- i danno i seguenti riflessi:
RI LI MI NI MNI
XY ^' ** ** ni,xm.
110. Liquida -\- L
-RI- Trasposizione di i nella sillaba precedente: le -ariu, tefe
-aria: priimie -priimiere primario - primaria, primo, prima,
taiatie - talatiere telata rio -telata ri a, tessitore, tessitrice ;
lanvie gennaio, f eurie febbraio; matiere materia, fiere fiera, aire
(ali. a lere) area, aia.
-LI-: pai' e paglia, tal' a' tagliare, fil'e figlia, famil'e famiglia,
fol'e foglia, mei' tir migliore, bui' uh bullione brodo; hi' aglio,
tal' taglio, mei' meglio, f6l' foglio, dot doliu, lutto.
111. S asale -\- X-
-MI-: riina rumi(g)are, ruminare, eparna risparmiare. In
vénderne vendemmia o 1'/ fu attratto o si partirà qui da un m
semplice. — Piemontesismo è sùmi scimmia.
Saggio sul dialetto di Pragelato 65
-NI-: muntane montagna, hana bagnare, a vene io venga, a
tene io tenga, viìie vigna, piiié pigna, /h «me mon(i)ca, monaca.
kampahe campagna, ararla ragnatela; kùh cuneo, ekrlh scrigno;
-à'n- aniu: ara'h ragno, kava'h cesto. -N(D)I-: verguhe vergogna.
— Es. di « in -: grande granea, fr. grange, lin::;e lineu.
biancheria.
-MNI [e MMI)-: sunia somniare pensare, kun^J e o ra-
me atu, congedo; — suini somniu, sogno (vald. som), siiima
somniare sognare (vald. sdima).
h) Cons. + u.
Sintesi: Norma è la caduta dell'elemento labiale ii e la con-
servazione della consonante: però u si conserva e passa a v
dopo dentale semplice. — Grli esiti sono indicati nel prospetto:
Coas. 4-CU Voc. + CU GU Deiit. sempl. -[- «
le g g V
112. Palatale ^u.
-Cons. -|- CU (Qu)-: Pàka Pasqua, sihk cinque, sinkante cin-
quanta.
-Voc. -|- CU (Qu)-: aige acqua, afr. aigue, aigle aquila; egà'-l
uguale, egaia uguagliare, segre sequere, seguire.
-GrU-: lehge lingua, uhgént unguento, angiele anguilla; riu-
scito finale il g passa alla sorda corrispondente: sank afr. sane,
sangue. Dilegua in sana' san(gu)i (n)are, salassare e perder
sangue, e sakìve fr. saignée.
113. Dentale -\- ii. — 1) Es. di u caduto già nel lat. volg. dopo
dentali in gruppi: batate battaglia, hatu batto, hatre battere;
kìisre *cosere (ci. consuere) cucire, kufu *coso. mori morto,
morte morta, feurlé febbraio; — inoltre: se fytre futuere can-
zonare, infischiarsi.
Archivio glottol. ital , XVllI. ' 5
66 Alberto Talmon,
2) Dopo dentale semplice: reve vidua afr. veve, m-a^e ve-
dovanza ; lanvie j a n u a r i ii ; eparoi'e *germ. s p a r w a r i u rete
per la pesca.
ij Consonanti I ungilo.
aj Esplosive e fricative.
Sintesi: Le esplosive e fricative doppie vengono scempiate ed
in seguito trattate come consonanti semplici iniziali:
CC + o,u CC + e,i CC + a TT SS PP BB
k s z t fs p h
114. Gutturali e Palatali.
-CC -)- 0, U-: hukùn boccone, bbike buccola, seh/se succussa,
scossa, ikéiì eccu-hoc-inde quella cosa là.
-CC -|- e, i-: ise't eccistu, isete eccista, afr. icest, iceste.
isg'n ecce-hoc-unde, questa cosa qui.
-CO -f- «- : vaze vacca, seze secca ^ klgze ciocca campana,
ilzà' huccare urlare, jjezà peccato.
115. Dentali.
-TT-: fil'ete figlietta, zabrete capretta, giite gutta goccia,
kaire quattro, Idre lettera, ti^te tutta.
-SS- : lo scempiamente della doppia produce sempre l'allunga-
mento della vocale precedente: gvàse grassa, base bassa, epese
spessa, gfóse grossa, fase fossa.
116. Labiali.
-PP- : klape chiappa, tri^ye trippa, trupe truppa, (/fiipà' aggrop-
pare, gnipu aggroppo.
-BB-: gijbe gobba, libu gibbosu gobbo, libù/e gibbosa.
Saggio sul dialetto di Pragelato 67
§) Liquide e Nasali.
Sintesi: Le liquide e nasali doppie vengono pure scempiate,
ed in séguito trattate come le semplici iniziali, tranne / dopo
vocale lunga: v
LL RR MM NN
/, i r m n .
117. Liquide.
-LL-: 1) In l dopo vocale breve: bele bella, seZg sella, fisele
funicella, etele a s t i 1 1 a, asta di legno da ardere ; 2) dopo vocale
lunga, essendo stato ridotto a l già nel lat. volg. della Gallia,
passa a i: etéàh stella, pieh *pila, pilla, colonna d'appoggio,
vieh villa^ angieie anguilla.
-RR-: tère terra, fere ferro, gère guerra, kureje, correggia, kifre
correre.
118. Nasali.
-MM- : fiume fiamma, mamela mammelle, fléme flemma.
-NN-: kane GSinnsi, zenabii cannabus canapa, ème *celt. benna
cesta di vimini, fr. banne.
III. Consonanti Anali.
1) Fiuali latine.
119. Esplosive. — T, D. Dileguano senza lasciar traccia di sé
nei polisillabi e monosillabi, dopo consonante e dopo vocale.
Es.: Polisillabi: -e -at, zante canta, min:ie mangia; ave -abat,
zantcive cantava, miniare mangiava; an -ant, zantan cantano,
miniuìì mangiano; -avuti- abant, zantàvan cantavano, min'Jcivan
68 Alberto Talmon,
mangiavano; abi'i apud, con. — Monosillabi: Ite stat, é est,
e et, siin sunt, ke quid.
-C. Passa a ^|: fai fac, isài ecce-hac da questa parte, ilài
ecce-illac da quella parte; — ma si sic, ni ne e.
120. Fricative. — -S. L'-s finale originario dopo vocale è
caduto nei polisillabi e monosillabi (a), ma rimane normalmente
dopo consonante (è). Es.:
a) Polisillabi: porta portas, va za vaccas; i -as, zanti
cantas; ari -abas, zantàvi e a. ni ah as; i -es, voH voìes; ^ -is,
gdrmi dormis. — Monosillabi: fa fas facis, va vas vadis,
mai magis, sei sex, ^^/rt *plui plus, ^r^tres, »mnos, cìixob.
b) i}rs -or(e)s: duUl'rs dolori, zalìi'rs calori, flifrs fiori:
Itdps lup(o)s, verps verm(e)s, miirs mur(o)s, rjirs diurn(o)s,
ilvers hibern(o)s; — dopo semivocale è caduto a Pragelato,
e conservato presso Fenestrelle: prag. bau bell(o)s, vau vi-
tell(o)s, fen. beaus e biaus, veaus e viaus.
Inoltre il -s di flessione latina s'ode ancora allo stato di so-
nora (/) dinanzi ad iniziale vocalica nei riflessi di nos, vos,
illos-illas, meos-meas, tuos-tuas, suos-suas, nostros-
nostras, vostros-vostras. Es.: nus avén noi abbiamo, vuf
ava voi avete; luf eu gli occhi, laf urel'a le orecchie; muf amiks
i miei amici, maf ami/a le mie amiche; tuf amìks, su/ amfks
i tuoi, i suoi amici, ecc. — Ma dinanzi ad iniziale consonantica
questo -s dilegua lasciando tracce di sé nell'allungamento della
vocale precedente: la porta le porte, Iti lìips i lupi; miì, tu, su,
ben i miei, i tuoi, i suoi beni: ma, ta, sa sore le mie, le tue, le
sue sorelle, ecc.
121. Liquide e Nasali. — Caddero in età più o meno an-
tica nei polisillabi: zavà'l caballu{m), zant cantu(m); non
nome(n); ensémp insimul apud; — per r finale kiìrà cu-
Saggio sul dialetto di Pragelato 69
rator, it. curato, si uniforma alla norma generale, ma in sor
sor or, prov. sor, può esser dubbio se r sia caduto, o se i due r
si siano fusi insieme, — nel suff. -a t (o) r s'ebbe -tre : kaiinaire
*caliniator (fr. caliner), vagheggino, fidanzato.
Nei monosillabi:
-M rimane come n: ren rem niente, niun *mum (ci. meum),
ftm *tum (ci. tuum), snn *sum (ci. suum). — E caduto in io jam,
ke quem; in quanto alla 1" pers. su({k} io sono, si può supporre
che risalga a *so (ossia a *som per sum) divenuto *sojo, indi
siu sotto l'influenza di *ajo (ci. habeoj divenuto ei{k) (Cfr. fr. suis,
afr. sui, e ai) [V. anche Orig. ditt. rom. 38].
-N rimane come n: non non, en in. -L rimane sotto forma
di i: sài sai, méel mei, féel fel. -R rimane affievolito in r:
kdr cor, per per- Per *sale, *mele, *fele v. Arch. XVII
560 ; gli altri sono proclitici.
2) Fiuali romanze.
aj Esplosive e fricative.
122. Gutturali e Palatali.
-C + o, il, a. Di ogni c-\-ti in parossitono rimane -k: luek gioco,
fiiek fuoco, luek luogo, ^x<?iA; poco, samblù'k sambuco; — àrk
arco, bank banco, blank bianco, bók bosco, ffek fresco, sàk sacco,
sek secco, bck becco, buk becco, caprone. Proviene da forme in
-ca il z di ranz ramo, bùz *buscum macchia, fr. broussaille, e
bìlz (nella dizione ita buz, star bocconi). — Proparossitoni :
aticu, -aie: vùilaie villaggio, suixiie selvaggio, kuraie coraggio;
— sono piemontesismi : mani manico, j?erse persico, tósi tossico,
porti portico, dumeti domestico.
-C -j- e, i dilegua nei parossitoni lasciando tracce di sé nel-
l'allungamento della vocale precedente : pe pece, de dieci, perdri
pernice, pà pace, vii voce, kra croce. — In sili, finale di propa-
70 Alberto Talmon,
rossitoni sincopati diventa /: runfe romice, pofe pollice, unfe
undici, diife dodici, trefe tredici sefe sedici.
-G -f- 0 u, resta nel solo caso che sia preceduto da altra con-
sonante ed allo stato di sorda {k) : Iqiìk lungo, rank rango
afr. rane, sank sangue afr. sane, lark largo, gììrk gorgo. —
In lu jugu e fan fagu, cadde la gutturale e Yu si combinò
colla vocale precedente. Mancano esempì di -ga. — Le forme
verbali in -ngo come piango tingo, diedero piami, temi per
analogia cogl'inf. plakre, tehre e simm.
-G -|- e, i si risolve in k rei rege, lei legit, burài borrago
off icinalis.
123. Dentali.
-T. Cade se preceduto da vocale (a), ma resta se preceduto
da consonante [b). Es.: — a) a -atu: zantà cantato, minzà man-
giato; — i -itu: funi finito, nilri nutrito; io -utu: hatii bat-
tuto, kreisu cresciuto; pra prato, bla blata, grano, hiU boleto,
nebù nipote, sandd sanità, vertu virtù. — b) pàrt parte, fait
fatto, leit letto, zàt gatto, tut tutto, fil'e't figlietto, dìinànt do-
nante, bìil'ént bollente, vini venti, punt ponte. — Imprestiti:
niuet muto, apetit appetito, voci pur delfinesi.
-D. Cade dopo vocale (a), ma resta, però allo stato della sorda
corrispondente, dopo consonante [b). Es.: a) nù nudo, krù crudo,
pe piede, mersi mercede grazie. — b) tari tardo, Ifirt lardo,
zaut caldo, freit freddo, veri verde, rekort fenum cordum,
secondo fieno, grani grande, aglànt, ghianda, funi fonde.
-S. Cade se è preceduto da vocale o proviene da ss e ei (a),
ma rimane allo stato di sorda, se è preceduto da consonante (b).
Es. : a) rà raso, nà naso, ri riso, fu fuso ; — gfà grosso, bà
basso, epe spesso, grò grosso ; — brà braccio, là laccio, già
ghiaccio. E da osservare che la caduta di -s produce l'allunga-
mento della vocale precedente. — h) itrs orso, kurs corso, skàrs
scarso.
Saggio sul dialetto di Pragelato 71
124. Labiali.
-P. Rimane dopo vocale e dopo consonante: lùp lupo, sàp
*sapit sa; — zainp campo, drap drappo, trqp iroppo, a^p alpe.
-B. Si vocalizza in u dopo vocale (a), passa alla sorda corri-
spondente dopo consonante [b):
a) trau trave, deu deve, ben beve.
b) kuhhnp colombo, plump piombo, gap gobbo.
-V. Passa a u dopo vocale (a), rimane intatto dopo conso-
nante (b). Es. :
a) klau chiave, nau nove. id. nuovo, piati piove, mau muove,
neu neve, ìHu rivo, vili vivo.
b) serv serve.
b) Nasali e Liquide.
125. Licpuide.
-R. La vibrante R riuscita finale, semplice e proveniente
da BR, si conserva sotto forma di r: fhir fiore, duiur dolore,
zar caro, ama r amaro, pilr puro, milr muro; — tur torre. Ma
tace V r degl'infiniti e del suffisso -ariu e delle voci analogiche:
-è -are ««ntò' cantare, -f'-ére 5a^'*sapere, -i -i r e /"«mi finire ;
■ie -àriu: pr a III le primariu, ìeiie leviariu, ^?</w/e pomariu,
lanvte gennaio, sursle sor ti ariu fattucchiere; — metie mestiere,
entie intero.
Osservazione. — In alcune località della bassa valle (Fayet
di Roure) Vr degl'infiniti rimane affievolito m V- cantar can-
tare, ati^r andare, sabè'r sapere, fiimr finire.
-L. Riuscito finale l passa a / («) ed II riducesi a // {b).
Es. : a) tài tale, mal male, pài palo, séel cielo, péàl pelo, fiel
filo, abriel aprile, Unso'i lenzuolo, sai suolo. — b) /cavà'l ca-
vallo, pel pelle, bel bello, nuvè'l novello, kgl collo, mol molle,
mil mille.
72 Alberto Talmoii,
126. Nasali.
-M. rimane intatto nella tonica originaria («), ma passa ad n
nella postonica e nelle forme verbali ossitene romanze (b). Es.:
a) fàni fame, arà'm a era me rame, lèm geme, pfon pomo.
film fumo; — fèrm fermo, (jorm dorme. — b) -àvan -abamus:
zantàvan cantabamus : -ian -e b a m ii s : tenian t e n e b a m u s ;
— zantén cantamus, vendén v end emù s, avéiì habemus.
-N. Dopo vocale passa a n velare [n] tanto nella tonica che
nella postonica [a); — ma rimane di regola intatto, con pro-
nunzia dentale, dopo consonante, come pure il n continuatore
etimologico di nn (b). Es. : a) pan pane, man mano, gran grano,
ben bene, ten tiene, vifì vino, sun suono, ti/un tizzone, mefùn
ma(n)sione; — -an -ant, ^antow cantant ; — araw -abant,
zantàvan cantabant. — b) zàrn carne, afr. charn, ilvern in-
verno, enfè'rn inferno, seni cernit sceglie, furn forno, kqrn
corno, afr. coni; — pan panno, bren pieni, brenn crusca. Però an
anno. fr. an.
ni.
ACCENTÒ E QUANTITÀ
126^'^. Accento. — L'accento è quello del latino volgare con
le deviazioni comuni al francese e al provenzale.
a) Accento ritratto: — zeine catena, felne fagina, meilr
maturu, selik sabucu, j^gw/' p educhi, rm^ *agustu. Es. d'ac-
cento ritratto ci offre ancora la flessione verbale negl'inf. della
2* coniug. con lat. in ere; godre godere, pusedre possedere,
pruoedPe provvedere.
b) Accento protratto : — epinule s p i n u 1 a, zenabu e a n-
nabu canapa. Vocaboli sdruccioli d'origine letteraria son fatti
Saggio sul dialetto di Pragelato 73
parossitoni od ossitoni secondo i casi : fasile facile, trihiile tri-
bola, kapite capita, niufike musica, fahrike (ali. a forie d'orig.
popolare); — auidus angelus, baslikg' basilico. In genere i verbi
d'origine popolfire estesero la parossitonia al sing. e alla 3^ plur.
del pres. indicativo e congiuntivo : a semmu io semino, k'a se-
mme ch'io semini, penzpiu pettino, penzène pettini — semènan
seminino, penzenan pettinino.
127. Quantità. I. Vocali toniche. I fatti più generali si pos-
sono cosi riassumere :
a) In finale. — 1) Sono brevi: a) Le vocali in finale asso-
luta di data antica (ossitoni originari in vocale e di formazione
romanza per caduta di momentanea): scinda sanità, metà metà,
nebù nipote, vertu virtù, velu velluto; a -a tu, zatità cantato,
/ -itu, fiini finito; ù' -utu, batù' battuto. — /?) Le vocali dinanzi
a M 0 w -{- consonante: pan pane, deman domani, fen fieno, zantén
cantiamo, vendén vendiamo; — t'urmént tormento, grani grande,
tant tanto. — 2) Sono lunghe: a) Le vocali riuscite finali per
caduta di ò- originario e secondario: nù noi, vn voi, grò grosso,
pà passo, hrà èraccio, là laccio (laqueu) — tre tre, epe
spessa. — /?) Le vocali riuscite finali per caduta di C -f- ^. «•
pà pace, pe pece, perdri pernice, vìi voce. — y) Le vocali degl'in-
finiti: -a -are, 2;«wtò' cantare, -e -ere, saèt' sapere, -/ -ir e, f Unì
finire. — ó) Le vocali in finale libera: ama r amaro, tòltale, Ifip
lupo, amik amico. — e) Le vocali dinanzi a consonante semplice
per riduzione di cons. doppie e gruppi di s -j- cons. bilrà't buratto,
sàk sacco, bèk becco, sek secco ; ^àl gallo, karà'l cavallo, bfl bello,
nuve'l novello ; — bok *bosku, frek *friscu. — ^) Le vocali in
posizione palatina: al' aglio, tal' taglio, vel' vecchio, siUe'l' so-
liclu, fil' figlio, fjl' occhio, lenul ginocchio; — bàn bagno, etah
stagno, empen impegno, kuh cuneo, piìk pugno. — rj) Le vocali
dinanzi a r -\- cons. : tàrt tardi, pari parte, Icìrt lardo, lurf lordo,
74 Alberto Talmoii,
]\Mrt corto : ilrp'ni inverno, enfp'rn inferno, f<jrm fermo ; — urs-
o r ( e ) s, fitjr^ f 1 o r e s, dulii'ì's d o 1 o r e s, zaiu'rs e a 1 o r e s .
b) Nella penultima. — 1) Sono brevi: a) Le vocali in posi-
zione (forte e debole): azate accaptat, aibre albero, r^r^éi verga,
Pfl§ p e dica calcio, sebe cepa, file figlia, kin/e quindici, ryte
rotta, siirse sur sa, pùr:ie purga. — ,<?) Le vocali dinanzi a mo-
mentanea libera: rabe rapa, sabu so, ersebu ricevo, litbe lupa,
ribe ripa. — 2) Sono lunghe: a) Le vocali dinanzi a nasale li-
bera: semàne settimana, f untane fontana, piène piena, avene avena,
ve/me vicina. — /3) Lunghe le vocali originariamente dinanzi
a ss, s^cowè. e 7'r: bd.se bassa^ epese spessa, mese messa; —
ràze nprov. rasce, tigna delle bestie, oze osca, intaglio, mùze
mosca; aréte arista, tète testa, lengfde locusta; — tere terra,
(/ère guerra.
IL Vocali atone. Nelle atone, generalmente brevi, è difficile
notare le lievi differenze di quantità. Son tuttavia lunghe per
compenso le atone originariamente dinanzi a s 4- consonante : I
maza masticare, li-htà' costare, meklà' misculare, pezà'
pi s care.
IV.
APPENDICE
Foiioinenì particolari.
128. Assimilazione. Di vocale: È frequente dinanzi a liquida :
marza mercato, zarzà cercare, par pai' a p a 1 p e t u 1 a palpebre ;
laìà' gelare, balanse bilancia, talatie t e 1 a t a r i o tessitore,
Silvane selvatico, da precedenti *sauvaze, *salvaze;
nanante nonaginta, amande *amendola. Di voce a voce:
Saggio sul dialetto di Pragelato 75
uiane avellana, assimilato a zàtane castanea, come
pure ukmie a zàtanie.
129. Dissimilazione. L in R: emhril' u m b i 1 i e ( u ) 1 u, eku-
rila excolic(u)la scolature, parpal'e palpetula, der-
hùn t a 1 p 0 n e talpa , ènvurtul'a involtolare, esiird'a
esporre al sole (ali. a esulel'à). — R in L: flaira fragrare
puzzare, albre a r b o re.
130. Dilegui. Vocali atone (finali, labiali e palatali, prose-
mitoniche e postsemitoniche). — Consonanti intervocaliche.
131. Aggiungimenti. — Prostesi: E prostetico dinanzi a
s-j-cons.: ezàh scala, ekgh scuola, età'n stagno, eptt^ sposo,
epe' spesso.
Epitesi: E epitetico dopo nessi consonantici, specialmente
dopo quelli che terminano con l, r, e in finale dei proparossitoni :
paire p a t r e, fraire f r a t r e, diible d u p 1 u : — fraise f r a -
X i n u. l'aure lepore, aufre a 1 t e r u, koibe e o 1 a p h o, a~e
-a t i e u erbate h e r b a t i e u , malate m a 1 e - h a b i t u. — Inoltre
si sviluppa talvolta un e finale dopo labiale e dopo t, r: plampje
(ali. a plump) p 1 u m b u , uhne u 1 m u , saloe s a ] v u ; —
' m u n d u diede munte nel senso di universo, e munde nel senso
di gente, persone: fu le munte = tutto l'universo, tu le munde
= tutta la gente (fr, tout le monde); — fere f e r r u, ali. a fer,
sgre s o r o r, ali. a sor. — Sviluppo epitetico di nasale in sen
sete: — di A: nella P ps. dei verbi terminante in dittongo, di-
nanzi a iniziale vocalica e in posizione di forte risalto: a vauk
a la f/ere=vRdo alla fiera; — a ouliuk ['me flùr = vo]evo un
fiore; — ebén a fé faréik = ebbene lo farò.
Epentesi: Sviluppo epentetico di v tra vocali: samve fr. saignée,
salasso, auvì fr. ouir, aluvete e uUvete fr. alouette. — Epentesi
76 Alberto Talmon,
di nasale: p^nze pettine, sementòri cimitero, trampina fr. trépigner,
mtramha fr. entraver, ìencjttte locusta, pin-uii fr. pigeon, hum-
hanse, fr. bombance. — Epentesi di h nei gruppi M'L, M'R di
formazione romanza: semhla s i m ( u ) 1 a r e, zamhre cam(e)ra,
numhre num(e)ru, kukunibre e u e u m e r. Manca però l'ana-
loga epentesi di d in N'R. — Epentesi di r in parpil'uh p a p i-
1 i 0 n e. — Epentesi tra noce e voce: — di /: hdre-f-omi =
quattro uomini; — di n: a-n'iine = ad una, a-n-ìì/i = ad uno,
a-n-elé = 'à lei, ad essa, a-n-el = r lui.
— Il /? di vèrp *vermp, *verm verme, e di ensémp insi-
mul insieme, è anche n. prov. (AGIt. I, 533). TJisénk da
a b s e n t i u, è un vero pervertimento.
132. Agglutinazione. Fusione dell'articolo determinato coll'ini'
ziale vocalica seguente: le lendemdh (le lendemain) per l'endemàn^
la lima:^e (l'image) per l'ima- e. Talvolta è Va solo dell'art, la
che s'è incorporato nella voce seguente: Vaiamele (l'alumelle)
per la lamele, Vaglànt (le gland) per la glande (con mutazione
del genere). — Fusione di un sostantivo con un aggettivo: lu-
garùh (loup-garon). — Fusione di pili voci: karati/à = car à toi,
soprannome disprezzativo d'origine storica: i calvinisti di Pra-
gelato (sec. XVII) recitavano preghiere che terminavano cosi:
car à toi ecc. onde si procurarono il soprannome di karatoi, che
si dà tuttora per disprezzo nell'alto Pragelato a coloro che si
lasciano sfuggire proposizioni che risentano di calvinismo.
133. Metatesi. — eklupè'l scalpello, frmna~j formaggio, tra
torsolo, sehgliì't s i n g u 1 t u, trbl' t o r e u 1 u fr. treuil, truhla
turbulare fr. troubler, etriisa *thursare, fr. trousser; — da
sillaba a sillaba : regiliise 1 i q u i r i t i a, tavergàn, termine din-
giuria da Tervagan (un dio dei Maomettani nella " Chanson de
Roland .,).
Saggio su] dialetto di Pragelato 77
134. Attrazione. — Di vocale : trasposizione di / dei nessi ri,
ti, si (e di sti ssi) nella sillaba precedente; -fé -a r i u. iere
-aria, priimle, priìmiere; «in; -oria. 7ffkluire, mazuire; — paiai
p a 1 a t i u , en(/tn angustia; — hai/a' h a s i a r e , baisa
b a s s i a r e. — Di consonante : plege pegola, blifke buccola,
pur nprov. fr. boucle, fermaglio, krobì coprire,- fri'f§ *t u f e r e ni;
afr. tufre. fr. m. truffe.
Alberto Talmon,
Capo III.
Appunti di morfologia.
1. Sostantivo.
135. Derivazioni. I. Maschili di formazione analogica
sull'antico tipo in -io {odio, giudizio): neroi nervo: soldi soldo;
bahi rospo; :{/:tri (nprov. gari) topo; grill chicco di grandine;
'liaH uovo nidiale. — Femminili di formazione congenere: fraudi
frode; krence da *ki-entia. fr. crainte.
IL Suffissi notevoli per forma e funzione (comuni
però col delf. e in parte anche col pieni.):
1. i e : surdie sordità, Inrdie ubbriacatura : — ed -ine:
esiitlne siccità, famlne fr, famine.
2. -al' e (da -a cu la): pelate buccia; ekundal'e gioco a na-
scondersi; endevinaì- e ìndovìneMo \ semmai' e fr. semaille; tripal'e
fr. tripaille; djxiural'e diavoleria.
3. -Il' -il' e; màzil' chi mastica parole, sciocco; nufil' ciò
che resta delle noci dopo che furono schiacciate e spremute
dell'olio; funfil\ funfil'a ciò che resta in fondo a bottiglie, vasi;
perile pietruzza; rawj7'<; piccola frasca : ^Z(a'i7'e piccola scheggia,
scheggiarne minuto.
4. -arie: gurgane pieno un gorgo {=gurk)\ pìtane pestata
{pìta' pestare); pikane {pika picchiare) hrimhe pasto bollito per
il maiale [hruà' lessare).
5. -iim: remasil'm spazzatura; urdu'ni l'ordito, teisum il
ripieno, la trama ; enlevil'm bestiame d'allevamento.
I
Saargio sul dialetto di Pi-ai,'elato 79
III. Suffissi diminutivi, accrescitivi, disprez-
zativi:
1. -d'i: r/o/^ viottolo; /f/ó'i^ figlioccio; é'a'iVo'/ scoiattolo; fur-
nero'l uccello f o r n a i o 1 o balestruccio ; — eroi somma di
covoni stesi sull'aia; pero't paiuolo ; — femm. filo'h figlioccia;
fèrole tela rara, stauìigna.
.■co ' o
2. -én : pul'én puledro.
3. -èft, frequente: fil'è't Aglietto; prajet piccolo prato; bune't
berretto — femm. -ete: fH'ete fìglietta, mefunete casetta, maigr^te
un po' magra, zabrete capretta; — ali. a. zahriit capretto, pezlt,
pebot fr. petit, femm. pecote.
4. à's : vazà's, vazà'se vaccaccia, bescà'se bestiaccia, umenà's
(omaccio, teifà's stallaccia.
5. -o't: l'aiiró't leprotto, vazot piccola vacca, numjgt pic-
cola manza, zahrot capretto.
6. -ùìl : ezaliìit piccola scala, scala a pinoli, glaselràh pezzo
(li ghiaccio, miLzit if'n moscherino, zatuii gattino.
IV. Altri suffissi molto in uso:
1. -art: ohàrt bravaccio, bral'àrt fr. braillard, biìfklrt
(ali. a inantor).
'1. -ik, -il'k, -il'k : pullk pulcino, ilfellk uccellino — -ald'k
galluccio — rebiji'k canavaccio.
3. -éiik -énze {-Ingo -inga) nei gentilizi: Fraiaié/ik uomo
di Pragelato, PraicUenze donna di Pragelato; Rurénk, Rurenze
di Roure; Martinéhk, Martinenze di S. Martino; — ali. a Fin-
trdi/'i, Fintrelme di Fenestrelle; Péru/in, Perufine di Perosa.
4. -U\(^, (da -otico analogico su -aticu): ferule feroce, iioer-
iiyi<^ i n V e r n o t i e 0. Cfr. n. prov. dernieiruge.
136. Flessione. Esistono due soli tipi di declinazione: I. De-
clinazione femminile in -(/ (mutatosi in -e). — II. Declinazione
maschile distinta in due classi: a) sostantivi in consonante (per
so • Alberto Talmon.
caduta della vocale finale). — b) sostantivi in -e (finale di an-
tichi proparossitoni e dopo gruppi consonantici di muta -|- li-
quida).
I. h'-e della 1^ deci, si fa pressoché normale per gli altii
femminili. Es. comuni di metaplasmo: Dalla 5^ deci. lat. : fase
facies, glàse g 1 a e i e s , matiere ni a t e r i e s. — Dalla
3*^ deci, lat.: felice fi 1 i ce, fiure f e bre, naif e nuce, fumai/ e
fornace, limase 1 i m a e e, lima.ie i ni a g i n e.
Di rincontro i femminili: mait madia, fiirml formica per
anal. coi sost. in -?' e e : perdrt pernice.
IL Per la caduta della vocale finale venne a comprendere,
oltre qnelli della seconda, i maschili della 3^ e 4^ deci. Esempi
pili comuni di metaplasmo:
Dalla 3^* : pan pane, dent dente, punt ponte, nnil'r
h 0 n 0 r e, non n o m e n. lait 1 a e t e. Dalla 4^: kùrs e u r s u.
koni e 0 r n u. zant e a n t u, gut g u s t u, saut salto.
In -f : 7Ja^V(; p a t r e, fraire f r a t r e ; l'aure lepore, àne
a s i n u, fraise f r a x u n, oktlaie v i 1 1 a t i e u.
137. Scambio di genere. Neutri plur. diventati femm. sing. :
arme a r m a, fol'e folla, fele festa, ensene i n s i g n i a, ba-
tate battualia, mervel'e *m e r i b i 1 i a, ilvernal'e h i b e r -
n a 1 i a, mitrai' e m u r a 1 i a.
Genere mutato: Neutri diventati femminili: mar mare, sai
sale. prev. la mar, la san. — Maschili diventati femminili: —
molti astratti in -or: zalù'r calore, dulii'r dolore, vaili' r
valore: — flùr flore, dent dente, l'aure lepore; — con
cambiamento della desinenza latina: frilte *fructa, fige *fica,
ramt^ *rama. Pur femm. è zenai canale doccia di gronda. —
Femminili diventati maschili: aibre arbore, e i nomi della
maggior parte degli alberi; aglànt glande ghianda, sgrs sors
(ali. a la sorte).
Saggio sul dialetto di Pragelato 81
138. Formazione del plurale. Rimangono tracce dell'antica
deci, volgare nella distinzione tra singolare e plurale per mezzo
di un -s di flessione o di una differenza di desinenza.
I. Declinazione femminile: sing. -e., pi. a: la porte — là
porta, la zahre — là zabra, la vaze — la vaza, la fol'e la fola.
II. Declinazione maschile. — a) Sostantivi in consonante.
L'-s dell'obliquo plurale è generalmente conservato, fuorché
dopo n. Es.: sing. Ifip lupo, pi. lups: — sing. vèrp verme, pi. verps\
sing. flilr fiore, pi. fblrs, sing. zalfi'r calore, ^\. zala'rs; — sing.
miìr muro. pi. mùrs; — sing. ;urn giorno, pi. .;^rs; — sing. i'wè'rn
inverno, pi. iivr'rs; — sing. fefoi fagiolo, pi. fèfg'ls; sing. pnm
pomo, pi. pìinis. — Dopo n dilegna nel pragelatese vero e pro-
prio (a), rimane nel dialetto di Fenestrelle (/?): a) la dent il
dente, la den i denti — le punì il ponte, lìi putì i ponti — le
non il nome, In non i nomi — ibi an un anno, di'i an due anni ;
— ;5) sing. dent, pi. dens — sing. punt, pi. puns — sing. ngn,
pi. nons — sing. an, pi. ans.
h) Sostantivi in -e. Il plurale è in -/. Es. : le paire il padre.
là patri i padri — l'gnie l'uomo, luf gtni gli uomini — le fraire
il fratello, Ifi fraisi i fratelli — le fraise il frassino, lU fraisi i
frassini.
139. Reliquie della flessione. 1. Sono figure nominativali:
-aire -at(o)r: kaHnaire, kardaire, pezaire; — sor (e sgre), s o r o r;
— puh p n 1 V i s : — sgrs s o r s ; — kgrs corpus; — pintre
p i n e t 0 r : — seìie senior. — L'-s del genitivo è in di-màrs
d i e s - m a r t i s, e nell'analogia di-lù'ns [dm], di Fenestrelle),
Prag. di'lù' à.
.Vi-chivio glottol. ital., XVTIl.
82 . Alberto Talmon,
2. Aggettivo.
140. Gli aggettivi confluirono tutti, come i sostantivi, in due
soli tipi di declinazione, i femminili nella T' ed i maschili nella 2*.
141. Formazione del femminile. Per quanto concerne la for-
mazione del femminile gli aggettivi si possono distribuire in tre
gruppi: I. Aggettivi terminanti in consonante e che al femmi-
nile aggiungono semplicemente un e: klàr e 1 a r u, klàre ci ara,
segii'r s e e u r u, segiire s e e u r a, him b o n u, hfine bona.
JI. Aggettivi terminanti in -e tanto al maschile che al fein mi-
nile: di^hle d u p 1 u, duhle dupla, tère t e n e r u, Ure tenera,
jyusible possibile, masch. e femm. III. Aggettivi terminanti
in vocale per caduta della consonante finale, che è rimasta da-
vanti V-e del femminile: prilmie-priimiere, gro-grqse, grà-gràse.
Molti aggettivi di una sola desinenza rimangono ancora uni-
formi nel dialetto: Un qme grani un uomo grande — un fiel fori
un filo forte — Une korde fóri una corda forte — aiqe kurént
acqua corrente — a Vaige pendént acqua pendente, versante.
142. Comparazione. — Mèl'u'r migliore, mei meglio; 'pliifiù'rs
parecchi, pl'ùfiiira parecchie. Pel comparativo perifrastico non si
ricorre a m a g i s (che sarebbe ma% usato in altro senso, cioè
nel senso di ' più ' : a nen oqhi pa mai non ne voglio più), ma
a più plus, fr. plus: le plii bel il più bello, la plil bele la più
bella.
3. Numeri.
143. Cardinali : un, du, tre, katre, sink, sei, set, oc, nau, de,
linfe, dufe, tre/e, katgrfe, kinfe, sefe, darfét, dufoc, dufnàu, vini,
trente, karante, sinkante, séisante, stante, iicante, nanante, sent;
m'd (e mile) mille.
Saggio sul dialetto di Pragelato
83
144. Ordinali: prilmie, segùnt, truafipne, katrieme, sinkieme,
sifieme, setietne, ìitieme , nauvieme, difieme, unfieme, dufieme,
trefieme, katorfieme vintieme.
4. Articolo.
145. Articolo determinato.
Singolare.
Dinanzi a consonantk
Maschile Femminile
Noni. le la
Genit. dà d'ia
Dat. à a la
Acc. le- la
Dinanzi a vocale
Plurale
Dinanzi a consonante
Maschile Femminile
Nom.
là là
Genit.
dà {*de lù) d' là
Dat.
à a là
Acc.
lù là
rticelle
conjj-iuntive : de, d', a.
Dinanzi a vocale
Maschile Femminile
Ih/ la/
da/ (*de lu/) d' la/
a/ (afr. as) a la/
lu/ laf
146. Articolo indeterminato.
Nom. Genit. Dat. Acc.
Maschile J^iw, ihi d'un, un a-7iùn. Un uh, un
Femminile une d' ilne, a-nun§ une
Osservazione. — Un s'usa dinanzi a vocale : iìn gme un uomo
(Cfr. n. :^,5).
Alberto Talmon,
5. Pronome.
147. Pronomi personali.
Soggetto
Singolare.
Forme toniche
Oggetto
Forme atone
Soggetto Oggetto
diretto
Oggetto
indiretto
1* pers. sing. [mi] )ni{(iemi, ami) [wn] me,m' me, in'
2* pers. sing. tu tu (de tu, a tu) tu te, f te, t'
3* pers. sing. eZ (ille), f?e (illa) el, eie (d'el. d'eie, él, eie le, la Z'e(m,e f.).
a-n-el, a-nele)
Osservazioni. — Il riflesso di ego s'incontra solo in prop.
inteiT. : zantu-k-ìe? canto io? eik-ie da zantà'? ò io da cantare?
— I pron. pers. atoni me, ie, le, l'è precedono il verbo, ma lo
seguono all'imperativo, e allora sono rispettivamente me, te, hi., l'i:
tua-mé uccidetemi — suvén-té ricordati — tiia-lù uccidetelo —
dunà-l'i dategli e datele.
Plurale.
' ORME TONICHE
Forme atone
Soggetto Oggetto diretto Oggetto indiretto
! nù nù
ì vù vù
Soggetto Oggetto
l* pers. pi. nù nù [de nù, a nù)
2* pers. pi. vù vù, [de vù, a vù)
S'* pers. pi. ehi, eia ehi, eia [d'elu, d'eia, t (m.), « (f.) lù. là lùr (m. e f.).
a-n-ela, a-n-ela)
Dinanzi a vocale : nuf, viif; uf, luf, laf.
Riflessivo sing. e pi. : se dinanzi a cons. s' dinanzi a vocale.
Osservazioni: I. I pronomi personali me, te, se, le preceduti
da voce terminante in vocale e seguiti da iniziale vocalica per-
Saggio sul dialetto di Pragelato 85
dono Ve e diventano enclitiche. Es. : U l' sima = u le suna, voi
lo chiamate; s' am' vo kreire = s'a me vo kreire, s'egli mi vuol
credere; as' bùie i^erdrè ■= e' si dà alla perdizione; fait' [=faite)
pr^n§ fatti prendere. — ■ Ugual riduzione subisce talvolta l'art, le
nel contesto della frase: tul' [^ tu le) munde, fr. tout le monde.
II. Nil, Vìi dopo un verbo interrogativo perdono n e v e di-
ventano enclitiche. Es.: Vnt ciìiau {^= mia vu)? dove andate voi?
— Aniììuì' {=: anin nfi')? andiamo noi? — Quando nù, vfi. pre-
cedono il verbo, perdono n e v ma restano liberi: u vena voi
venite, fi perdén noi perdiamo. — Infine quando nà^ vii prece-
dono il verbo e seguono a finale vocalica si può elidere Vu e
fare n\ v' enclitiche. Es. : Ari (;= r/ nù) fai atendre, e ci fa aspet-
tare; — an ( = a nn) di lamai. ren egli non ci dice giammai
nulla; — ao' {= a vfi) vghi pà ahu mi non vi voglio con me.
148. Il pronome impersonale è la pur delfinese: la fai he temp
fa bel tempo: — te plai-là? ti piace?
149. Possessivi.
a) Forme toniche: Sing. masch. meu mio, teu, tuo. seu suo,
femm. mie mia, tue tua, sue sua. Plur. masch. nieu miei, teu tuoi,
seu suoi, femm. ìnia mie, tua tue, sua sue. — Sing. masch. ngtre
nostro, vgtre vostro, femm. ngtre nostra, ogtre vostra — plur.
masch. ndtri nostri, votri vostii, femm. notra nostre, \otra vostre.
b) Forme atone (proclitiche): Sing. masch. niun *mum, tun
*t u m, smì *s u m — femm. ma *m a, fa *t a, sa *s a dinanzi a
cons. e tnun, tun, siin dinanzi a voc. — Plur. masch. mù *m o s,
tu *t 0 s, sii *s 0 s din. a cons. e rnuf, iuf, suf din. a voc. —
femm. nuì *m a s, ta *i a s, sa *s a s din. a cons. e maf, taf, saf
din. a voc. — Sing. ngtre nostro e nostra, vgtre vostro e vostra;
plur. masch. ngtri nostri, vétri vostri din. a cons. e ngtrif, vgtfif
din. a voc. — femm. tigtra nostre, vgtra vostre din. a cons. e
ngtraf, vgtraf din. a vocale.
86 Alberto Talmon,
150. Dimostrativi. Del lat. h i e è rimasto esclusivamente il
neutro nella part. affermativa ai afr. o je (hoc ego) che per-
siste intatta nella bassa valle {gje = si) e in ui fr. oui.
Pronomi composti con ecce, e e cu, iste, i 1 1 e.
Singolare
Plurale
Maschile Femminile Maschile Femminile
isè't (ecce-istu) isete, sete (ecce-ista) seti (ecce-istos) s('ta (ecce-istas)
kèl (eccu-illu) keìe (eccu-illa) keln (eccu-illos) kela (eccu-illas)
In proclisi
Singolare
Maschile
st'gme quest'uomo
k'Vome quell'uomo
se garsuh questo garzone
kè garsàn quel garzone
Femminile
st'ahel'e quest'ape
k'Vahel'e quell'ape
set' fette questa donna
keV fette quella donna.
Plurale
Maschile
sin/ orni questi uomini
Uluf orni quegli uomini
stu yarsàh questi garzoni
k'iù, (jarsìin quei garzoni
Femminile
stafahf'l'a queste api
kln/'abd'a quelle api
sta fena queste donne
k'ià fena quelle donne
Neutro : isq'n (ecce-hoc-unde) questa cosa qui, ike'h (eccu-hoc-inde)
quella cosa là. - Neutro proclitico : fé. Es. : U Je fofe'n = noi lo facciamo ;
itn pò j)à fé fa = non lo si può fare.
151. Interrogativi e relativi.— Zi? chi? — ke? che? — ke ì\
quale. Neutro assoluto ed interrogativo assai notevole è sok
*( e e ) e e - h o e, p. e. : sqk-fà-tù? che cosa è che fai tu ? che fai?
— sok é-V ikén zi? che cosa è quella cosa là? — a sabu pu
I
Saggio sul dialetto di Pragelato 87
sok l'è non so che cosa sia. Inoltre: gaire (germ. weigaro)?
quanto? quanti?
152. Indefiniti. — knkiì'n qualcuno, kàkiine qualcuna; pà-nùù
nessuno; zakù'n ciascuno, zàkilne ciascuua, in proclisi zàkc
fr. chaque; un fr. on ; dù -tr e àwe o ir b\ tilt in proclisi ^j<. tutto :
tìite tutta, id.; tiUi [tilt e tiic), in proclisi tii tutti; h/ta in pro-
clisi tu tutte {tid' munde tutto il mondo, tu la Franse tutta la
Francia — pi. tii la n}rs tutti i giorni, tti la fena tutte le donne):
refi reni, niente (ali. a rlen d'infl. letterario), pà-rm niente:
;7 nprov. ges punto, affatto; gaire pur delf. e nprov., molto, ^^ci:-
gaire poco.
6. Verbo.
153. Derivazioni. — Numerosissime le derivazioni per -j-:
1. -^«' : eserbia estirpare le erbe, sengliitià' singhiozzare.
ribqtia' fare ribotta, hlesja' fr. blesser, kerent'ia *quaerentiare;
kuncà' contare; nica nettare.
2. -a ti a': knratia' scorrazzare, filnatia fintacchiare.
3. -i l' à', -ina, iterativi vezzeggianti : frifil'à' sbriciolare
(da fri/il' e dim. di fri/e briciola)^ mazU'a masticacchiare fr. ma-
chonner, rii-H'a rosicchiare; — trampinfi' fr. tvépìgnev, plovina'
fr. pleuviner, robina rubacchiare.
4. -H V a : baind'a far bava, gemi' a guerrigliare, trantuVa
traballare.
5. -a s là' : plurasia piagnucolare, dentaria morsicchiare,
egasia sciacquale, sciaguattare, rapasià' andar rubacchiare qua
e là. bramasià' sbraitare, bekasia' dar beccate.
154. Flessione. I. Radice. La radice assume diverse forme
secondo gli elementi fonetici della flessione e la collocazione
88 Alberto Talmon,
dell'accento. Cosi: a pgrtu io porto, piirtà' portare; a voht io
voglio, vuigé volere; a gormu io dormo, glirmt dormire; a ìaudu
io lodo, luda lodare; a mipru io muoio, miìri morire, mort morto;
a mgvu io muovo, mau muove, maure muovere, mugù' mosso;
a pgjti io posso, pngé potere, pugù' potuto.
IL Terminazioni.
155. Infinito. E scarsa la coniiig. in ere pei tralignamenti
consueti {sahé sapere, ve vedere, vuigé volere, valgé valere e
pochi altri). Ali. a plagé piacere sta plaire, per s u m m o n è r e
s'à semufii, per movere maure, per tenére f.enl.
La coniug. in -7 è quasi tutta formata di verbi incoativi più
0 JTieno recenti: funisii finisco, funi finire; fralsìi tradisco, irai
tradire : kunvertlsu converto, kunverti convertire, ecc. ali. a krohu
copro, kròhl coprire: ohru apro, óhrl aprire; gormu dormo, giirmi
dormire, e qualche altro.
Gl'inf. anticamente sdruccioli sono sincopati: esre essere, kufre
consuere, naisre nascere, kreisre crescere, teisre tessere,
kunuisre conoscere; planre piangere compiangere, tenre tìn-
gere, krenre fremere, fr. craindre, lunre j u n g e r e, piinri^
pungere: ékrlre scrivere, frtre (ali. a freiì) friggere, plaire pia-
cere, leire leggere, beure b i b e r e, plaure piovere, maure muo-
vere, viure vivere, ekundre ascondere, tundre tendere ; a
questa serie appartiene probabilmente anche kiìre correre.
Paradigma.
1* coniugazione. — a -are: zantà' cantare.
2* , — é -ère: sabé sapere.
3* „ — re -ère: vendre vendere.
4* „ — T -i r e : filni finire.
156. Participio. — Due tipi di part. perf. come nel provenzale,
di tipo forte e di tipo debole. Di tipo forte: ilhè'rt aperto, vU
Saggio sul dialetto di Pragidato 89
visto, senui't npiov. semoust, offerto, tene tinto, a:^imc aggiunto,
dir (ietto, ekrlt scritto, fait fatto : zeiit (da zeire cadere) è ana-
logico su qualche antico esempio in -uf -et (cfr. § 12,2) e § 94).
Di tipo debole: tengu tenuto, agl'i' avuto, pliigu piovuto, vengit
veinito, plagu piaciuto, pugù' potuto, degù' dovuto. Questo g in-
tercalare (proveniente dai perf. dei verbi forti che in lat. ter-
minavano in -ni) raggiunse anche qualche infinito: agé avere,
rìilgé volere, vaigé valere, plagé piacere.
Paradigma, a) Part. passato.
P coniug. — d -a t ii : zantà cantato ; a -a t a : zantd' cantata.
2"' „ — w' -utu: sabù' saputo; il'e -ut a: sabil'e saputa.
3^ „ — ù' -utu: vendù' venduto; il' e -ut a: vendii'e venduta.
4* , — / -itu: fiini finito; /f -ita: filnte finita.
b) Part. presente.
La terminazione -ént è stata estesa a tutti i participi pre-
senti : zanUnt cantante, sahént *sapente, vendént vendente, gilr-
mént dormiente. Pel part. pres. della 1^ coniug. la terminaz. -ént
coesiste ali. alla terminazione più antica -dnt: zantént-zantdnt,
miniéìit-min.idnt. — Il gerundio si forma ponendo la prep. en din-
nanzi al participio : en zantént, en vendént, en giirmént.
157. Indicativo. — 1) Presente. Accento mutato per ripu-
gnanza dello sdrucciolo: semè'nu semino, jjmzenu pettino, tra-
mulu tremolo, meritu merito. Voci analogiche: sezu, inf. seza sec-
care, reverzu inf, reverza' r e v e r t i e a r e, ekorzu inf, ekorza
/or- oc- ■ ■ e -e
scorticare; plaju inf. plaire piacere, kreisu inf. kreisre crescere,
kunuisu inf. kunuisre conoscere, kreju inf. kreire credere, zeju
inf, zeire cadere, krenii inf. krenre t r e m e r e, fr. craindre,
etiirnu inf. etilrna starnutare, tPnu inf. tenì tenere, vmu inf. veni
venire, sabu inf. sahé sapere.
90 Alberto Talmoii,
L'-ìi della !•* ps. comune al piem. e delf. può tacere se gli
preceda j: ei, eik (non pili ajii), ò, ali. a pqjii posso, zejii cado,
krfju credo.
La 1» e "ò^ p. pi. sono sempre identiche in tutti i tempi e
modi.
Paradigma.
P coniugazione :
canto, cantas, cantat, cantamus. cantatiis. cantaut
zantii zanti zante zante'h zantd zantan.
2*^ e 3*^ coniugazione :
vendo, vendes, vende t, venderaus, vendetis, vendent
venda vendi veni vende'h venda vendaii.
4" coniugazione :
d 0 r ni i 0 , d o r m i s , d o r m i t , d o r m i m u s , d o r m i t i s , d o r ni i u n t
gormu gOrmi gljrm gilrme'n gurmd gormah.
2) Imperfetto. — l-"* Coniug. La 1^ pers. sing, à adottato Yu
analogico della 1^ sing, del pres. ; le desinenze della 2^ e 3* sing.
provengono regolarmente da -a b a s -a b a t, e quella della 3=' pi,
da -a b a n t. Nella 1' e 2^ pers. pi. v'è ritrazione d'accento per
analogia colle altre forme in cui la sillaba tonica segue imme-
diatamente al tema, — 2^', 3" e 4'' coniug. L'-m{]c) -la -ie ecc.
proviene dalle terminazioni e ( b ) a m -e ( b ) a s -è ( b ) a t, ecc,
con mutamento dell'c in iato in i per la 2^ e 3'^ coniugazione.
La 1* pers. sing. à pure adottato Vu analogico della l'^ pers,
sing. del presente: inoltre è da notare lo sviluppo epitetico
del k dinanzi a vocale e in posizione di risalto. Analoga ritra-
zione d'accento nella 1" e 2« pi.
L
Saggio sul dialetto di Pragelato 91
Paradigma.
l'' coniugazione :
e a n t a b a m , -a b a s , -a b a t , -a 1) a m u s . -a b a t i s , -a b a n t
zantrivu -avi -ave -àra'n -hvi -àvah.
2* e 3* coniugazione :
vende(b)am. -e (b) a s , -e (bì a t , -e(b)amus, -e(b)atis, -e(b)ant
rendÌH(k)
-tan.
4^ coniugazione :
dormi(b)am, - i (b) a s , - i (b) a t , -i(b)amus, -i(b)atis, -i(b)ant
gormii({h) -la —te -tan -ia ian.
3) Perfetto. — Non à pili vita propria: gli sottentra la so-
lita perifrasi. Ma ne rimangono tracce cospicue nell'imp. cong.
(Cfr. -ése -ésl -ése -ésan -ési ésan lat. -a s s e m -àsses -àsset
-a s s é m u s -a s s é t i s -a s s e n t ; -i s s e m -i s s e s -i s s e t ,
etc.) continuatore dell'antico piuccheperfetto, nel part. pass, di
tipo debole, culgu , yugù' -plagu etc. vuiyese, pugese, plagese etc.
e talvolta nell'inf., agé avere, vulgé volere, valgé valere.
4) Piuccheperfetto. — Del piuccheperfetto ind. rimangono
due soli cimeli della coniug. di esse e di habere; i quali anno
però preso il significato di futuro esatto : fìirii sarò stato, ecc.
fùran saranno stati : agerii, ageri, agere, ecc., avrò avuto, avrai
avuto, avrà avuto, ecc., usato anche nelle proposizioni condizio-
nali. Es.: Ageru sink aiì kant niun paire é niprt = Sivrò avuto
cinque anni quando mio padre è morto; — a n ageru prii min-à,
ma aviu pa mai d'aptlt = ne avrei ben mangiato, ma non avevo
più appetito.
5) Futuro. — Accanto al fut. perifrastico si usa assai diffu-
samente il pres. ind. seguito dall'avv. joe/r: miniu peii demàn =
mangerò domani; vau peii = Siì^drò.
92 A liberto Talmon,
Paradigma.
!"■ coniugazione :
zun/are'i{k) , zantar{'' , zantare' , zantarén , zantarf , zantar^'n
canterò canterai canterà canteremo canterete canteranno.
2" e 3* coniugazione :
rendare'iyk) , rendare', vendare' , vendare'n, rendarf, rendar</n
venderò venderai venderà venderemo venderete venderanno.
4" coniugazione :
gurmire'i{]c) , gurmirè' , gtlrmire' , gilrmire'h , yì'lrmirf, gurmire'h
dormirò dormirai dormirà dormiremo dormirete dormiranno.
I verbi in -re, come vendre, rumpre, mostrano qui, come gli j
altri tipi di coniug., intera la forma dell'infinito: il mutamento
dell'e in a dinanzi al r è per analogia colla l-"" coniug,
158. Congiuntivo. — 1) Presente. Sono conguagliate le desi-
nenze dei tre tipi di coniugazione; ritrazione d'accento nella 1^
e 2^ pers. plur.
1''' coniugazione :
eantem, cantes, cantet, cantémus, cantétis, cantent
zante zanti zante zùntah zànti zantan.
■2* e 8'' coniugazione :
vendam, vendas, vendat, vendaraus, vendatis, vendant
vi'nde vendi vende ve'ndan ve'ndi ve'ndan.
4* coniugazione :
dormiam, dormias, dormiat, dormiamus, dormiatis, dormiant
giirme giìrmi gorf^'fr go'rman gormi gorman.
2) Imperfetto. — L'impf. cong. è il continuatore dell'antico
piuccheperfetto: qui, come nel pres. cong., sono conguagliatele
desinenze dei tre tipi di coniugazione. Ritrazione d'accento nella
l"'' e 2^ pi.
Saggio sul dialetto di Pragelato 93
Paradigma.
1" coniugazione :
cantasse m, -asses, -a ss et, -assémus. -assétis, -assent
zantesf -est -fse -e'san -e'si -esan.
2^^ e 3* coniugazione :
V end e(di)s s e m , -isses, -isset, -issémus, -isseltis, -issent
vendese -esi -ese -e'san -e'si -esah.
4'- coniugazione :
dormi ssem, -isses, -isset, -issémus, -issétis, -issent
(jurmese -est -ese -e'san -e'si -esan.
159. Condizionale. — Presente. Le terminazioni sono quelle
dell'impf. di h a b e r e : Sing. aviu[k) -aria -avie, Plur. avian
'Civia -avian.
Paradigma.
P coniugazione :
zantariii(k) canterei, zantaria canteresti, zantarle canterebbe,
zantariah canteremmo, zantaria cantereste, zantarian canterebbero.
2* e 3" coniugazione :
vendariu(k) venderei. rendaria venderesti, vendarie venderebbe,
vendarlah venderemmo, rendaria vendereste, vendarian venderebbero.
é'' coniugazione :
gilr marinile) dormirei, gilrmaria dormiresti, ijiirmarie dormirebbe,
gilrinariah dormiremmo, giirmaria dormireste, gilrmarian dormirebbero.
Per Va dinanzi ad r di flessione è evidente l'influsso della
1* coniugazione.
160. Imperativo. — La 2^ pers. sing. è foneticamente rego-
lare, come pure la 2''' plur. della 1=* coniug.: le terminazioni
della 2« plur. della 2**, 3^ e 4* coniug. sono analogiche a quelle
della 1'* coniugazione.
94 Alberto Talmon,
Paradigma.
canta, cantate, vendi, vendete, dormi, dormite
zanfe, zantà, v^nt, venda, goV'^i ffurmà.
161. Tempi composti. — Si formano col verbo agé avere, e, in
qualche verbo intransitivo, col verbo esre essere e col part. pass.:
il perf. perifrastico {ei zantà, ei rendù' , eik agù'), il pperf. ind.
e cong. {aoiu zantà, agese zantà) — il fut. ant. {urèi zantà) —
e il cond. pass, {iiriu zantà, ageru zantà).
Il pass. lat. è sostituito da esre col part. passato.
162. Elenco di oerhi notevoli.
" Hahere ,,. — Inf. agé, part. pass, agii . — Ind. pr.: sing. ei{k),
a, a, plur. at'én^ ava, an: impf. aon({k): — Cong. pr. : sing. o/e,
a'i, aje, plur. ajan, ai, ajan; impf. agese: — Cond. pr. iirin[k)
[pass, ageru]. Manca l'imp.
" Esse „. — Inf. esre [ita stare], part. Ita. — Ind. pr. : sing.
siii{k), sa, e. pi. sen, sa, sun: impf. èru, eri, ere — èran, eri.
eran: fut. saréiik). — Cong. pr. sie, sia, sie — sian, sia, stan: impf.
fuse, fusi, fuse — fusan, pisi, fiisan. — Cond. pr. sarlu{k). —
Fut. esatto (riflesso del pperf.). firn, furi, fare — fnran, furi,
furan. Manca l'imp.
" Stare „. — Inf. Ita , part. pass. Uà — Ind. pr. ìtu. Iti, Uè —
Uén. Uà, Uan: imp. Uàvu: fut. Uaréi{k). — Cong. pr. Uè: imp. Uese.
— Cond. pr. Uariu{k). — Imp. Uè sta, Uà state.
" Vadere e andare ... — Inf. ana. part. pass. anà. — Ind. pr.
vaìt{k), va, vai — anin, anà,van; impf. awar?/: fut. anaréi{k). —
Cong. pr. àne: impf. anese. — Cond. pr. anarìu[k). — Imp. vai, anà.
" Pos.se „. — luf. pugé, part. pass, pugu . ~ Ind. pr. poju, poi,
pò — pujén, pujà, pgjan; ìm^^i. puhi{k): fut. puréi{k). — Cong. pr.
pace: impf. pugese. — (Jond. pr. puriu{k).
" Velie „. — Inf. vuigé, part. pass, vutgù' . — Ind. pr. vdhi:
Saggio sul dialetto di Pragelato 95
impf. ruh'u{k): fut. viiréi{k). — Gong. pr. voi' e: impf. oiUgese. —
Cond. pr. vurin{k).
" Debere „. — Inf. chure, part. pass, deiju . — Ind. pr. deru:
impf. devht{k): fut. deuréi{k). — Cong. pr. detf^; impf. degese. —
Cond. pr. deuriu[h), pass, degerii.
" Sapere „. — Inf. sabé, part. pass, sabù' e saupù'. — Ind. pr.
sabu; impf. sabiu[Jc); fut. suréi{k). — Cong. pr. sapi: impf. sabese.
— Cond. pr. sur'm[k).
" Videre „. — Inf. ve, part. pass, vH. — Ind. pr. veu{k) e veju,
vei, ve — vijén, vijd, vejan: impf. ri(u{k): fut. oeréi{k). — Cong. pr.
veje: impf. vegese. — Cond. pr. veriii{k). — Imp. ve, ve.
" Piacere „. — Inf. plagé e plaire, part. pass, plagù' . — Ind.
pr. plaju, piai, piai — plajp^i P^^j^^ plajan: \m.])i. plahi{k)\ fut.
plairéi{k). — Cong. ^r.plaje: impf . plagese. — Cond. pres. plairiu{k).
" Valere ,,. — Inf. valgé, part. pass, vaigù' . — Ind. pr. và-tu;
impf. vahu{k): fut. caréi(k). — Cong. pr. cal/e\ impf. valgese. —
Cond. pr. variu{k).
" Tenere „. — Inf. tenl, part. pass, tengù' . — Ind. pr. tmu;
impf. tenluik): fut. tenréi{k). — Cong. pi-, tene, impf. tengese. —
Cond. pr. tenrin{k). — Imp. ten, tena.
" Venire „. — Inf. veni, part. pass, vengù' . — Ind. pr. vènii;
impf. véHÌu{k) : fut. venréi{k]. — Cong. pr. vene: impf. vengese. —
Cond. pr, venriu{k). — Imp, ven, vena.
" Movere „. — Inf. maitre, part. pass, mugii'. — Ind. pr. mgvu:
impf. nmviu{k): fut. nìurei{k). — • Cong. pr. move: impf. mugese.
— Cond. pr. ìnnriu{k). — Imp. mau, miiva.
" Piovere „. — Inf. plaure, part. pass, plugu. — Ind. pr. plau:
impf. pluvie: fut. plauré. — Cong. pr. piove; impf. iilug^e. —
Cond. pr. plaurie.
" Bibere „. — Inf. beure, part. pass, begli . — Ind. pr. bevu:
impf. bevlu{k): fut. beuréi{k). — Cong. pr. beve: impf. begese. —
Cond. pr. beuriu{k). — Imp. bea, beva.
96 Alberto Talmon,
" Vivere „. — Inf. rix.re, part. pass, vtkii' . — Ind. pr. vìeu:
impf. viriu{k); flit. viuréi{k). — Gong. pr. vive; impf. vivese. —
Cond. pr. viurhi(k). — Imp. viu, viva.
" Facere „. — Inf. fa, part. pass. fait. — Ind. pres. fau{k), fu,
fai — fcifén, fafà, fan; impf. fafiu{k); fut. faréi{k). — Gong. pr.
fase; impf. fa/ese. — Gond. pr. farm{k). — Imp. fai^ fa/à.
" Dicere „. — Inf. dire, part. pass. dit. — Ind. pr. dìfu; impf.
difin(Jc); fut. diréi(k). — Gong. pr. dì/e; impf. difese. ■ — Gond. pr.
diriu{k). — Imp. di, difà.
" Credere „. — Inf. kreire, i^Rvt. pass, krejii'. — Ind. pr. kreju:
impf. krezii{k); fut. hreiréi(k). — Gong. pr. kreje; impf. krejese. —
Gond. pr. kréiriuik). — Imp. kre, krejà.
" Cadere „. — Inf. -zeire, part. pass, zetlt. — Ind. pr. zeju;
impf. zejese. — Gond. pr. zeiriuilì).
" Excludere „ (schiudersi, fr. éclore). — Inf. eklilre, part. pass.
eklil't. — Ind. pr. eMiì! ; impf. ekluie; fut. eklilré. — Gong. pr. ekluje:
impf. eMìljese. — Gond. pr. eklilrie.
" Morire „. — Inf. milr'i, part. pass. m^rt. — Ind. pr. midrii:
impf. milriu{k); fut. milriréi{k). — Gong. pr. mipre: impf. ìnior-
gese e miprese. — Gond. pr. milririu[k). — Imp. mipr, miorà.
7. Avverbio.
a) Avverbi priiiiìtivi.
163. 1) Avverbi di luogo. — Unt u n d e, dtmi de-
nudo, dove; ist e e e e - h i e, qui : isai ecce-hac, da questa
parte, ilài e e e e - i 1 1 a e, da quella parte, e sai, desdi da questa
parte, lai, delài da quella parte; izi e e e u m - h i e, costi, là;
pi inde, ne, e ne i d.. id., n'en ne [oait w'ew = vattene): lon
1 0 n g e lontano, pré p r e s s u m presso, vicino, apre appresso ;
dapé d (e) a d - p e d e , vicino ; kuntre e o n t r a, contro ; enkuntre
Saggio sul dialetto di Pragelato 97
incontro : dedlnt de-de-intus dentro; fare fora s. fuori,
defore d e - f o r a s, di fuori ; (indnf i n - a n t e, avanti, drant e
dénànt de-ìn-ante dinanzi : areire a d - r e t r o, dareìrr de-
retro dietro, di dietro; si/brf; supra sopra, desiihrc de-
supra disopra; su s u b t ii s sotto, desìi de-subtus di-
sotto; dekaire de quadru, a lato, alavirùn all'intorno.
2) Avverbi di tempo. — Kfire qua bora quando;
kant quando; sucént sovente; ti{:Ji'rii totum diurnu fr.
toujours; io j a m, già; lamai giammai; ahlre allora; enJcàre,
eìiMi' ancora; peii poi ; du/eiire de-hac-hora d'ora innanzi,
ormai, eiìre ora, prov. aro; ie ieri, enhéil atque hanc
li o d i e oggi , demàn domani ; emhek in ben che mentre,
delf. òo/i^, pieni, mali.
3) Avverbi d i m a n i e r a e qu antit à. — Kiimó
q u o m o d 0. fr. coniment; ben bene, mai male, viduntie vo-
1 u n t a r i u volentieri ; iambén t a m bene prov. tambén ;
ensémp insimul apud insieme; Jcant quanto, tanf tanto,
otànt ali -tantum, fr. autant; mai m a g i s, di più, ancora:
frój) troppo, pauli poco, a)nén almeno; blpì de molto di. ^;r(f
prò assai, abbastanza, ren rem. niente, pà *passum niente,
(/aire *germ. weigaro? quanto? pia-gaire poco; ^i *genus
prov. ges, affatto, pà-^i *passum-genus niente, nessuna
specie, ali. a pa-la-ràse di ugual significato.
4) Avverbi d'affermazione e d i n e g a zi o n e.
— La particella d'affermazione è la fr. oui, ali. a oi (hoc), afr.
oje (hoc ille), che rimane intatto nella bassa valle [oje) ; per la
negazione vale nmì. Per ecco s'impiega la 2=' sing. ind. pr. di ve
vedere: re-t'a-izi = -v^àì qui, ecco qui, ve-Ui-iz i ■= veàetaXo qui,
eccolo qui (cfr. fr. voici). Inoltre: segfl'r sicuramente.
5) Avverbio di e a usa: PerJcé = perché?
164. Avverbi di maniera. — Poco usitato l'avv. in
Archivio glottol. ital., XVIII. 7
98 Alberto Talmon,
-ente: raroniént raramente, (/randomént grandemente, maiamént
malamente. In certe lociiz. è impiegato come avv. il neutro degli
agg. : senti hun sentir buono; parl<i\ zantà' nut. parlai-e, cantare
ad alta voce; parla', zanta ha parlare, cantare a bassa voce;
semenà epe' seminare spesso ; anà' tira, se tèni dreit, andare, ti-
rare, tenersi dritto: zanta fan cantar falso; pika', zantà' lùst
picchiare, cantare giusto.
b) Gradazione.
La comparazione degli avv. si foima come quella degli agget-
tivi. — Comparativi formali: ben bene, mài male, mei' meglio,
pauk poco, pei peggio, plii mài pili male, de mai di più, men
meno, le mei' il meglio, le pei il peggio, le plil mài il più male,
le mai il più, le metì il meno.
e) Locnzioiii avverbiali.
165. — A la fin alla fine, a la leste prestamente, avant-ie
fr. avant-hier, d'abort fr. d'abord, de bun'ure di buon'ora^ pauk
a pauk poco a poco, luntémp fr. longtemps, de niafin al mattino,
sili koibe sul colpo.
8. Preposizioni.
166. — 1) Antiche preposizioni latine: de, d\
di; eh in; entre fra; abn a p u d, con; subre s u p r a, sopra;
kimtre contro; per per; sense senza, segànt secondo die. Per è
sovente sincopata: pia fena=^'^ev le donne, pi' munde = -^ev \\
mondo.
2) e 0 in p 0 s t e e o n p r e p. l a t. : desubre d e - s u p r a,
sopra, desH d e - s u b t u s, sotto. j
3) sostanti v i, aggettivi o avverbi latini d i-
Saggio sul dialetto di Pragelato 99
'" e n u t i p r epos i z i o n i : fdre f o r a s, fuori, mnlgra m a-
1 u m g r a t u m, fr. raalgré, kant a quantum ad, quanto a.
\) e 0 m p 0 st e d i p r e p. latine con s o s t . , a g g .
o a V e e r h ì. dareire de retro, dietro ; endedint in d e - d e-
i n t u s, dedhit de-de-intus, dentro ; apre' ad pressura,
appresso, defore de f o r a s, di fuori.
5) Locuzioni prepositive composte di s o -
s tant i V i, verbi o avverbi: a Uaufe de a causa di ; a
dreite de a dritta di; a prepau de a proposito di; atravers attra-
verso; tuV lofik fr. tout le long; veizi fr. voici. voilà.
9. Cougìiinzioni.
167. a) Coordinative. 1) copulative: é e; enkàre,
éììkà' , inai enkare ancora: ni ni, né né; he (quod) che. — 2) Av-
ver satire: ma ma; o kuntrere fr. au contraire. — 3) Cau-
sative: dtinke dunque.
b) S u b 0 r d i n a t i v e. — Se se ; kant quando ; kuma come;
per-sgk per ciò che; tambén ke sia pure che; a mefiire A;e a mi-
sura che; segùnt ke secondo che; drant ke primo che; fin he fino
a che; a men ke a meno che; per pan ke per poco che; de
krence ke fr. de crainte que; baste ke purché; kfire ke a qua-
lunque momento.
10. Interiezioni.
168. — Interiezioni propriamente dette: ah !
ahi! oh!
Locuzioni interiettive: bun dia buon dio ! — pezaire
p e e e a t 0 r, prov. pecaire = fr. hélas ! — demùn! diamine! —
diantre fr. diantre! — alo'ìi fr. allons — brave bravo!
100 Alberto Talmon,
Capo IV.
Appunti sintattici.
169. — Occorrono frequentemente, come in gran parte dei
dialetti piemontesi, i pleonasmi prono in inali a (masch.)
ed i (femm.) dinanzi alla 3'^ pers. singolare, ed a (femm.) ed i
(masch.) dinanzi alla S'"* pi. d'ogni tempo: èl a zantr egli canta,
eie i zante essa canta; eia a zantan esse cantano, ehi i zantan
con 'e ' C
essi cantano. Occorre inoltre costantemente il pleon. pron. a
(masch. e femm.) dinanzi alla 1^ pers. sing. dei tempi semplici:
mi a zantii io canto, ini a vuHu io volevo; h'a zante che io canti,
h'a zant^,se cantassi,
170. — Costante \'u so riflessivo dei verbi per i o
desino, io ceno, io ho desinato, io ho cenato:
mim' dlnu, mini' sìnu, am' sin dina, ain sin sino. Inoltre: mini'
kefu, tilt' kefi, el as' kefe, io mi queto, tu ti queti, ei si queta.
171. — Uso i mp e r s on a l e , in certi casi , del verbo
essere, p. e.: l'è mi fr. c'est moi, l'é-tù c'est toi, l'é-f-el c'est
lui, è lui, Vé-nfi c'est nous, Vé-vn c'est vous; Ve mun amìk c'est
mon ami, è mio amico, l'è de ladri sono dei ladri, l'é-f-ita k'ia
fena sono state quelle donne. Interrogativamente si dice: éV mi?
sono io? — él' tu? sei tu? — él' el? e lui? — él' mi? siamo
noi? — él' Vii? siete voi? — Inoltre: la l'è vai de furetie ci vanno
dei forestieri: la l'è veh de fena ci vengono delle donne; la
l' 'arihe de mena' arrivano dei ragazzi ; la t 'a agù' de degrasijx ci
sono state delle disgrazie; t'a tanti-f-an ci sono tanti anni.
Saggio sul dialetto di Pragelato 101
172. — Per la perifrasi del passi v o c'è oltre al
modo italiano: ìas' fai pà ren non si fa niente — l'uso pur vi-
gente altrove, come già in latino, delia 3* pi. : i l'an pà trubd
ren non anno trovato nulla, per: non s'è trovato nulla; — sok
difan i de mi? che cosa dicono, che cosa si dice di me?; — e
finalmente l'uso francesizzante: im fai ben si fa bene, im faipà
reti non si fa niente, sok un pò la fa? che cosa si può fare?
173. — Oscillazione tra ''essere' ed ' avere '
nella perifrasi del perfetto: ei kuru ò corso, sin
oengii' sono venuto; i l'an kreisii sono cresciuti, i sun kreisii' ;
la l"à agii Une fete, la l"é-f-ltà ime fète c'è stata una festa;
la ììia plaga', la me plagii m'è piaciuto. Ma è fermo ' avere '
nelle indicazioni di tempo: la l"à ibi ah c'è un anno, la V'à
tanti- f-aìì ci sono tanti anni.
174. — Frequente la p e r ifr a si: isi, izi niun fìl'
— isf, iz'i ma mefùn, per: questo mio figlio, questa mia casa.
175. -- Ripetizione della particella en (inde):
is' n'en van sen' vanno, so ne vanno; as' neri turnàve egli se
ne tornava; vait' nèh vattene; anavnn'én andatevene.
176. — Uso continuo della particella de con valore
partitivo in espressioni di tempo, spazio, quantità: gaire d'an?
quanti anni? — pà-gaire de ;p^ poca gente; — bien de fastude
molti fastidì.
102 Alberto Talmon,
Capo V.
Saggi letterari in grafia fonetica.
I. — Parabola del flgliuol prodigo.
Un qme avie dà garsi'in. E le plii ::^ùve a dìt a sun paire : Duniime' hi
pursijin dà ben lem' veh. E le paire lùr à divi/ci sun beh. Pauk de x^^rs
apre' kant le plil ^wre dà garsun à agii' rebàtà tute sa pursii'm, as' n é-f-anù
viija\'à' din/ un pai ben lon, dunt a l à disipà tu suh beh pive'nt dih luf
exe' e là debaUza. Jy apre' k' a V ci agii' minia tut, Vé-f-aribà une grande fa-
mine dih Ice pai e. a kumensàve a fsre dih la mi/fre. Alùre a Vé-f-and s'bìità'
eh sfrvise abu Un abitnnt dà pai ke l'à manda a sa mejuh de kamjxine per
gardà' su kurih. A defirave df rampli suh ventre da/ aglàh ke IH kurlii
mal'avah e pa-nùh a n'eù dunnve. Ma ese'nt rintrd din/ el meme a l'à dit :
Gaire de tale' dih la mefiih de mah paire ah de pah tah k' l vQlaii e mi a
mipru isi de fam! Am' levare'ik e anarf'i^ truba' muh paire e a l'è dire'ik:
Papà, ei^ pezó kuntre le slel e kuntre vìi: siu ph max <ii^§ d'f^Vf i^'ptre
garsiih, trata-me' kumà uh dà vQtri vale' ! ^ Alùre a l'è parti e vehgìi' trubà'
suh paire. A l'ère 'hkà' ben lijn kant suh paire l'à vìi, e, purtà de kumpa-
si^ùh, a l' é-/-anà rahkuntre, s'è tapà a stth kpl e a l'à. bai/d. Le garsùh l'à
dtt: "'Papà, ei pezà kuntre. le siet e kuntre. vii. siu pa-mai dine d' esre vQtre
garsàh ! „ Alùre le paii-e a dìt a su vàie' : " Purtù-me inte la plil bfle robe,
abilà-lu, biità-l'i Une rlre à de, e de zusie à pe : mena uh rei grà, fuali'i,
minie'n-hi e reitnse'nnU. Perke' isi mun garsuh ere mprt e a Ve resilsitd, a
l'ère perdi* e a s'è retruhn „. E i V ah kumensà a fa la nòse. Ma le garsùh
pia vèl' ère e« kampane e 'mbe'k as' neh turnàve e k\t s'apruzàve de la
mejùh a l'à 'ntendù le suii daf instri'ime'h e le tapa:ie dà bai. A l'à demanda
uh dà vàie' e a l'à 'nteruid sgk ère tu keh. Le vàlè't l" a répundii' : "'Vòtre
fraiì'e è vehgii' e vòtre papà à tua uh rèi grà perke' a l'à retrubà eh bùne
sandà „. L^^o'h si l'à fait munta' eh kulfre, e a vuh'e pà infra' dih la me/iih,
Saggio sul dialetto di Pragelato 103
ma le ixii^re é surf! e a s'è biit/t a le priji d'intrh'. Ma le garsùh l" a re-
piindù' : " Papà, la l" a ^g tanti-f-ah k( vU serva, vii/ e\ lamai^ de/ube! eh
reh, e pUre ù, ni ava :{ama\ duna un, zabrin per me i-eiiii abù muf amiks.
E eure Ice voft-'autre garsiin k'à min^à tu suii ben uba là fauda é reveiigii'
nf ava tiia uh vH grà per el „. Ma le paire l" a dìt : '^ Mah garsiin, ù sa
ttii^^'m obli mi, e tu mù ben sun per vù. La ventare beh fa uh bah repà't
e hit re-lui pfrke isi vQtre. fraiì'e a Vere mòri e a l'è resiìsita, a l'ère perdù'
e a s'è retrubà ..
II. — Novella IX, giornata I, del Boccaccio.
U deva duhke sabè k'à tfmp dà priimie rei^ de Sipre, kant Gufre' de
Bul'uh a agii' fait la kunkète d'ia Tfre Sente, l'é/aribà k'une dam^ ngblf
de Gaskgne d rulgii' anà' eh pelegrina:[e. a la tumbe de NQtre Sind'r ^e/ii
Krist. 'Mbeh is' neh turnàve de lajntre, apre' k'i Vé-farihà' a Sipre, kaki
mari orni l" ah dlt e fait d' ufrali de tate sorte. La ^JaM/'f dame pule
pàs'dunà' j)à d'ikf'h, e la l" è rehgii' eh meni d' anà' ve le re{ de Sipre e
demanda' k' a l'è fafese -iìstise. I l" ah dìt he l'ère tfmp perdù', perke le
rd a l'ère tah paUvale'nt ke beh fon de fa ;iistlse a/ antri a fa/fe envi(iii-e
de reh kant il' maltratdvan et. De maniere he kant kakii'h avie la rabi
kuntre d'Un a]i^tre as' ven^àve sii d'el. KeV sinure kant i Va 'ntendù' ike'n
i Va vulgii ame'h se prfne le pla/è des' futre de ke rft si fenànt. I vai S
palai e is' preffnte à rft e abù V aigc a/ eu i l'è d) : Majeste', a rèmi pà
isi draii vù pfrke' a spère d' arsfbre liisttse d' la/ eniiiria ke kàkii'n de
vQtri siile' m' ah fait, ma a de/ir u meke' k' tim' dùni la satisfasiùh de me
mùtrà' kumà ù fa/à vù a siipurtà' eh sente pà tìl lu/ utrdiì ke, d' apre' sgk
fntendu, tii vQtri siile' vù fah til hi mume'h : perke parie, segunt vòtre
fxemple, a poce d' kg mi siipurtà' sgk i m' ah fait a mi. Le re{ ke fin alùre
ère ita fehdnt e bfsce, apre' k' a Va 'ntendù keV fé ne parla' d' kele maniere,
la semble k' as' sie arvd'à d' im gran s'/n, e a Va kumensà a duna' satisfa-
sii'i'i a n-ele e a s'è biitd a zàt[a' sfnsf l'i de kxmpasijih tii kfht ke fa/iaii
utra^e a sa kurùne.
104 Alberto Talraoii, Sas^gio sul dialetto di Pragelato-
ERR AT ACCORR lOE
Pag. 11, linea 9 (nota) Prazidà si legga Fr(t\(dh'
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B. A. TERRACINI
IL PARLARE 1) USSEGLIO
(CoiitinìidziotiP. vedi Volidiie Xì'Il).
Appendice L
La varietà nel parlare di Usseglio.
Coll'aver condotto a termine la fonologia di Usseglio. cessa
per noi l'ntilitk di restringerci alla semplice esposizione descrit-
tiva di una sola parlata; il gruppo di fatti morfologici e lessi-
cali che imprenderemo ad esaminare è di tal natura che può
essere sistematicamente studiato su di un vasto territorio senza
la premessa di alcuna minuta descrizione particolare. Quindi,
introducendo una lieve modificazione al piano primitivo di questo
lavoro 1, noi cesseremo, nei paragrafi seguenti, da fare d'Usseglio
l'oggetto speciale del nostro studio.
Ma, prima d'abbandonarlo definitivamente, ci proponiamo di
esaminare nei suoi minuti dettagli un tratto che nella precedente
esposizione s'ebbe appena occasione di sfiorare: il movimento e
la varietà del parlare. Lasciando da parte tutti quegli elementi
che in questo istante appaiono uniformi ed immobili, coll'esporre
'■ In altre parole, i §§ 2 e 8 (ofr voi. XVIT. p. 198) saranno «onz'altro
incorporati nella P. II.
106 Terracini,
tutto quanto di vario, di oscillante, di liiiido la parlata oggi
presenta sotto la sua apparente unità e saldezza, cercheremo di
districare il multiforme groppo di fili onde s'intesse il suo at-
tuale divenire. Cercheremo insomma di cogliere, limitandoci a
strettissimi limiti di spazio e di tempo, attraverso la mobilità
•del parlare, la varia natura dei suoi mutamenti che. nei ca-
pitoli che seguiranno, tenteremo invece di lintracciare e di spie-
gare per più larga estensione geografica e per più lungo periodo
di tempo.
Per ogni singola innovazione, si comincerà col descriverne il
processo di espansione, col djie cioè dove e come sia nata e in
che modo, nel corso di poche geneiazioni, abbia preso, di serie
in serie, sempre più vaste proporzioni sino a guadagnare
l'odierno grado di generalità e di coerenzn. Questa descrizione
ci permetterà di studiare molte particolarità della fonetica, spe-
cialmente sintattica, e della morfologia che in una trattazione
generale non possono venire minutamente illustrate. Avremo
inoltre occasione di descrivere tutti gli episodi secondari che
in vario senso intralciano il diffondersi di un fenomeno: le rea-
zioni particolari che esso può aver cagionato, le novità soffocate
in sul nascere, gl'imperfetti adattamenti. Propiio in questo
campo s'avrà occasione di stringere da vicino la premuta e
combattuta attività individuale, se non come immediata crea-
zione di singole pei'sone, che questa, tranne casi fortuiti, è
cosa inafferrabile e sfugge all'ambito di una ricerca storica quale
la nostra, almeno come peculiarità di pochi individui che la
conservano quando essa è tuttavia vicinissima al suo punto di
origine. ,™
Ma soprattutto cercheremo d'impostare queste ricerche sotto
un punto di vista geografico, indagando in qual misura siano m
accolte le innovazioni provenienti dai paesi vicini e attraverso
■quali vicende esse vadano adattandosi alle nuove condizioni.
Il parlare d'Qsseglio 107
Accanto a questo ci porremo il problema contrario: si cercherà
di isolare innovazioni che siano sorte primamente nel paese
stesso e di determinare in che senso esse possano ritenersi
locali e di studiare come si espandano, non più genetica-
mente e cronologicamente attraverso le varie generazioni, ma
topograficamente per le varie parti del villaggio. Per quest'ul-
timo punto. Usseglio si presenta in condizioni assai favorevoli :
per solito i comuni rustici consistono di un borgo e di una co-
rona di piccole ville che pili o meno subiscono l'influenza del
centro; a Usseglio invece le cinque principali borgate sono di-
sposte in modo che quelle giacenti nel mezzo del piano, per
quanto più importanti, non costituiscono un nucleo fisso e pre-
ponderante e quelle delle estremità possono, pel loro relativo
isolamento, conservare una certa spontaneità di vita, special-
mente nei loro rapporti coi paesi confinanti. — Con questi poi
il villaggio non è legato, come accade altrove, da una quasi
ininterrotta continuità dell'abitato; al contrario: per tre parti
ne è separato da catene di monti; a valle poi la prima borgata
della prossima Lemie giace sei chilometri distante ^ Donde un
cumulo di circostanze favorevoli perché la lotta di cui vogliamo
indagare le vicende, sia più che mai viva e varia e tuttavia
si possa delineare a tratti netti e relativamente facili ad es-
sere colti.
Il materiale di cui possiamo disporre è tutfaltto che com-
pleto, ma per lo meno sufficiente a darci dei risultati approssi-
mativi : ogni fatto che nella parlata si mostri comunque oscillante
fu appositamente studiato e controllato su un numero di fonti
tale da fissare almeno le tappe principali del suo svolgimento -.
' V. p. 200 e sgg.
^ Oltre a quello raccolto sulle fonti indicate a p. 207, i punti soggetti a va-
I riazioni furono controllati con liste pili o meno lunghe (da 130 a 60 parole)
108 Terracini,
Le parlate di tutti i paesi confinanti ci sono sufficientemente
noto perché si possa, ad ogni occasione, rintracciare l'origine e
la conseguenza di ciò che succede a Usseglio.
Parimente noto è l'ultimo elemento a contatto del quale si
svolge la nosti'a parlata per via di lapporti che rivestono una
fisionomia tutta speciale. Per Usseglio, come per tanti altri
villaggi di questa zona, il piemontese era rimasto, sino ad una
trentina d'anni fa, una lingua relativamente straniera, spesso
ignorata, il cui influsso doveva giungeie alla montagna quasi
soltanto attraverso una lunga e lenta serie di tappe. Ma gli
ultimi anni, assieme ad un profondo rivolgimento di cose e di
costumi, anno portato il piemontese direttamente alla montagna
ed oggi il suo uso non è solo necessario pel continuo contatto
coi pianigiani, ma s'impone anche per tutti i complessi elementi
della vita nuova che l'antico dialetto è incapace d'esprimere.
Il piemontese dunque, divenuto la lingua civile, se non lette-
raria, di queste popolazioni, rompe ormai il corso della con-
tinuità geografica e incombe direttamente anche sui pili re-
moti punti del suo vasto teiritorio d'influenza. Avviene cosi che
a Usseglio nessuno pili l'ignori ^ che anzi, per alcuni elementi,
specie lessicali, cui il dialetto non può sopperire, gli alpigiani
su altri individui, secondo i casi, ora in generale, ora nelle borgate e nelle
generazioni dove era necessario. II numero delle testimonianze è quindi
oscillante e^, pei fatti più importanti, la media si aggira sulla cinquantina.
Seguendo il noto esempio del (ìauchat, divido la popolazione in genera-
zioni: V (da 90 a 60 anni), 2"- (da 59 a 30 anni\ 3^ (da 29 anni in giii). -
I numeri entro parentesi cjuadra indicano gli anni delle fonti, quelli in
corsivo si riferiscono a donne. — Sul modo con cui furono utilizzati mate-
riali e fonti, v. la Nota addizionale in fine di questa Appendice.
' Lo parlano, contrariamente a ciò che avviene in altri villaggi pili arre-
trati, tutti i vecchi, e sino i ragazzini di una decina d'anni, se non se ne
servono ancora, possono "già comprenderlo.
'
Il parlare d'Usseglio 109
vi ricorrano ormai come alla loro propria lingua, mentre altri
elementi che anno nel mateiiale indigeno robusta corrispondenza,
sono respinti come cosa straniera. Vi sono dunque casi in cui il
piemontese può essere addirittura considerato come materia
indigena, altri invece no; e in quest'ultimo caso, il processo
d'assimilazione cui il piemontese è sottoposto, salvo qualche
riserva, può considerarsi dallo stesso punto di vista sotto cui
si studia quello subito da una qualunque parlata confinante.
Quanto all'ordinamento di questa Appendice, per amore di
chiarezza, fu seguito un criterio eminentemente pratico : si co-
mincia dall'esposizione dei casi più semplici per salire via via
ai pili complessi, rimandando ad un capitoletto riassuntivo ogni
osservazione d'indole generale ^
I.
E assai difficile dare un'idea adeguata di ciò in cui consiste
la varietà del lessico, p^'ché questo, come fu già da molte parti
osservato, muta in notevoli proporzioni a seconda delle speciali
relazioni e occupazioni dei singoli individui -. Ma se, prescin-
^ Sian qui ricordati, una volta per tutte, i due classici lavori che servi-
Tono di guida a quest'Appendice: Rousselot, Les modifications phonétiques
dans le patoh d'xne famille de Cellefrouin. Macon. 1891 ; Gauchat, L'unite
phonétique dans le putois d'une cotnmune, in Festschrifl Morf., 1905, p. 174 sgg.
' In questo schizzo sommario si prescinde dunque da tutto ciò che possa
formare un vocabolario speciale, dalle parole più o meno tecniche, dal fatto
che alcuni individui, p. es. l'oste, la guida, posseggano un numero di voca-
boli prettamente piemontesi, estraneo agli altri, e si trascuran, nei vecchi,
tutti i termini riflettenti cose andate in disuso od una maniera d'osservare
ormai tramontata, termini che essi possono ricordare, ma che in realtà non
ailoprano pili. Si e poi dovuto lasciare da i)arte, perché troppo difficile era
raccogliere dati sicuri, un campo di studi che deve essere assai interes-
110 Terracini,
dendo da questa sorta di differenze, ci atteniamo al lessico
colmine, l'oscillazione odierna non è forse cosi forte come nel
campo grammaticale, perché assai minore è la resistenza op-
posta dall'elemento arcaico dinanzi all'innovazione, mancando
di questa resistenza la condizione principale, cioè che la parola
appartenga ad una serie pili o meno coerente. Quindi un ter-
mine nuovo, per poco forte che sia, à assai rapidamente ra-
gione- dell'antico. Anche la recente invasione del piemontese che
dovrebbe potentemente contribuire a questa varietà è ormai
cosi avanzata che ogni nuova voce è da tutti molto facilmente
adottata ; si che, per quanto i cambiamenti pili svariati siano
incessanti, il periodo di lotta che a noi interessa è brevissimo
e privo di vicende notevoli. Tuttavia, con una breve, ma op-
portuna scelta di termini non è difficile intravvedere, svolgen-
tisi nel cuore stesso del paese, alcuni dei procedimenti secondo
cui il lessico suole mutarsi ^
1. Gli abitanti del luogo, per mostrare le differenze di lin-
guaggio che corrono da borgata a borgata, le caratterizzano
spesso coU'attribuire ora all'una, ora all'altra l'uso speciale di
qualche parola^; l'osservazione non manca di fondamento: in-
sante: la semantica, in quanto studia^ non i generali mutamenti di signi-
ficato d'una parola, ma la diversità di estensione e di valore che alcune
parole possono contemporaneamente assumere per i diversi parlanti. P. es.
a " resina , mi fu risposto : larfe, alfe, turmentina; ora non è un caso se
riscontrai questi tre stadi solo tra gli uomini, mentre le donne furono tutte
concordi nel darmi: alfe; per esse la " resina , deve soprattutto indicare la
sostanza in uso nella medicina empirica locale, accezione in cui la parola
deve essere particolarmente al coperto da ogni innovazione.
' Queste ricerche lessicali furono condotte su una quindicina di individui
soltanto — poiché tanti parvero bastare a fornire un materiale sicuro —
ed estese ad ogni generazione e ad ogni borgata.
- Senza aver fatto ricerche apposite, raccolsi le seguenti testimonianze :
óra (adesso) è proprio di Mai-gone di contro a urei', v. n. 230, barnagu (pa-
letta), pruni (sottile) sono attribuiti al Cortv.
Il parlare d'Usseglio 111
fatti anche la resistenza di alcune parole, cioè rultima fase del
loro uso, si determina sopravvivendo in un punto più a lungo ch&
in un altro: p. es. il vecchio termine pian (corteccia) a dovunque
ceduto a ploii ^, ma la 1** gen. al Py. ^, e alle Pz., conserva ancora
la vecchia voce ; cosi alfe (resina) si conserva, con pochissime
eccezioni, dappertutto meno che alle Pz., dove, sin dalla pili
vecchia geneiazione, è sostituito da turmentina ^ ; ancora alle
Pz. resiste un po' meglio nella 1^ gen. e net (nevica) di fronte
a e viti ci nei che altrove à quasi completamente trionfato ^, e
qui sempre è per tutti vegeto pa grò (nonno), nelle altre bor-
gate conosciuto soltanto dalla P gen.
2. Questa specie di spezzettature in piccoli centri rende men
chiara forse, ma è ben lontana dal velare completamente la
graduale opera innovatrice delle successive generazioni, come
già si è potuto vedere dagli esempì sopraccitati cui è agevole
aggiungerne altri : plon (corteccia) comincia a cedere al piem.
skorsa soltanto nella 3^ gen.; iskola (stoviglia), di fronte a p/a^,
è una prerogativa della 1" gen.; kua (coda) invece è un neolo-
gismo che non oltrepassa la 2'"* ^.
3. Risulta poi ovvio che la principale spinta al mutamento
del lessico è l'importazione da paesi più progrediti ; anche nel
^ Si tratta veramente di un mutamento di suffisso, ma poiché il caso e
unico, può venir studiato come un cambiamento lessicale.
- Pei nomi delle varie borgate onde consiste Usseglio, il lettore voglia
tener presenti le seguenti abbreviazioni: Pz. (Piazzette), Py. (Piane),
Cortv. (Cortevizio), Vili. (Villaretto\ Pr. (Perinera), Mrg. (Margone), disposte
qui secondo l'ordine della loro giacitura, per la quale cfr. lo schizzo to-
pografico I ; p. 201.
' È la sola voce nota alle quattro fonti interrogate, tra cui il conserva-
tivo A; furmentina è pure di due uomini [43, 63] del Vili.
* Di cinque casi in cui f nr-i si conserva, tre appartengono alle Pz.
" La sostituzione di pictt a sk(fla dà una buona idea di come procedano
incerti, nei particolari, questi passaggi lessicali; mi fu risposto iska-ìa da
112 Terracini,
piccolo mimerò di paiole cui ò ristretto il mio esame, si mani-
festa chiara, come avremo campo di constatare tante altre volte,
l'influenza continua dei limitrofi paesi della V. di Susa; d'ac-
cordo con questi, procede la sostituzione di plon a jdan ^, di ce
a pa f/ro ^, di vhì d nel ^ ^ ^^d ^i di miilhu't (macinare) a monde ^,
l'allargato significato di skada a " scodella e piatto „ '^ \ prova
diretta di questo influsso è, oltre alla continuità geografica, fino
ad un certo punto il fatto che il Py. e le Pz., cioè le borgate in
nien diretto contatto con la V. di Susa '% non le anno assorbite
ancora tutte, mentre le Pz. per loro parte offrono un caso corri-
spondente, porche, si tratti di neologismi o d'arcaismi, procedono
talvolta d'accordo colla confinante Lemie ^.
cinque vecchi [6i, 90, 65, 66, 63], ma anche sino da [27 Pz.]; ebbi pi^af da
nove fonti [30, 43, 47, 20, 61, 64, 24, 58, 66]. E, tra queste, tre (90, 63, 66)
corressero poi la prima risposta coU'altra. Kiira [[30, 20, 43] su quindici
fonti) stenta assai a farsi strada.
^ Ploii è di Mo. e Chian. (tenere sott^occhio per tutto quanto segue, lo
schizzo cartografico II, v. XVll, 202); in vai di Lanzo lo si à solo nell'isolata
Forno.
^ ée " messere ,, propriamente : " il capo di casa , cfr. RILomb. XXX,
1512, è di Mo. oltre che di Co.
^ Il tipo e w^i^ si può dire completamente caduto in V. di Susa (unica
•eccez.: Ven.), mentre resiste ancora in V. di Vili e a Mondrone; mi d nei^
■è di Me. Momp. ed era probabilmente di Cliian., Mo., che ora il pieni.
« fiok" ha ricoperto.
* Anche monde in V. di Susa non esiste pili, tranne che a Mo. ; vive in-
vece, sebbene in lotta con ntillin't, in tutta la V. di Lanzo.
^' Lo stesso passaggio a Mo. ed anche però a Lemie. L'estensione è do-
vuta al fatto che la stoviglia rustica più adoperata e la scodella; e il
piatto „, introdotto piti di recente, non ne è ancora propriamente distinto
(cfr. ALF. (64) assiette al p.° 73: è'tyùldt; al 297: é'kwel " assiette grossière „).
® Il séguito di questo lavoro proverà ampiamente che le borgate in con-
tatto pili intimo colla V. di Susa sono Mrg., Pr., Vili., poste in fondo
al piano.
' Dei casi segnalati al n. 1 come speciali di Pz., concordano con Lemie :
f ^H'i- P^ ff>'(>y tinmentina, (luest'ultimo anzi è una voce caratteristica di Le.
Il parlare d'Usseglio 113
4. Ma tutto ciò è ben lontano dal significare che il paese si
limiti al semplice lavorio di accettare ciò che viene dal di fuori:
le ragioni che portarono altri paesi delle nostre vallate ad un
nmtamento si fecero naturalmente sentire anche qui e la par-
lata non mancò di correre al riparo valendosi di mezzi proprii;
qua e là infatti, entro alla parlata, si possono rintracciare ten-
tativi d'una creazione particolare solo a Usseglio ^ e isolata in
modo che essa, di qualunque origine siano gli elementi di cui
si compone, può nel complesso ritenersi nata sul luogo. Le
tracce pure e nette di simili procedimenti che per la forza
delie cose, anche nel paese stesso, anno per solito una minima
cerchia d'espansione e sono facilmente sopraffatti dalle novità
forestiere, non mancano, per quanto siano rare.
Brgise pi. (rosume) è in tutto il territorio ormai un ar-
caismo, esso tende ad essere sostituito da equivalenti i quali
si distinguono per la loro grande varietà, si anno cioè delle
creazioni locali simultanee ; a Uss. si ricorse a biibn - che
non à riscontro altrove; ad vma condizione generale si è dunque
' L'apparizione isolata di un medesimo fatto linguistico in punti sepa-
rati del nostro territorio deve essere interpretata caso per caso. Y. P. II.
È ovvio però che in generale valga il seguente criterio: se i punti concor-
danti sono separati da correnti innovatrici, è assai probabile che essi raj»-
presentino gli sparsi resti di un'antica nnità, se invece i punti isolati danno
un'innovazione e specialmente un'innovazione recente, allora è possibile
che essi siano indipendenti tra di loro, quando la concordanza abbia luogo
tra paesi che non abbiano attualmente un forte scambio di relazioni. Cosi
Uss. si potrà ritenere isolato p. es. da Coazze, o da Venaus, od anche da
centri importanti come Chial., Ceres, non però da Viu. Si tratta di una sem-
plice possibilità, perché contatti con tali luoghi sono tutt'altro che assolu-
tamente esclusi, ma essi sono certo infinitamente meno forti di quelli con
altre località.
^ In qual modo il materiale piemontese possa essere co]isiderato come
elemento di questa attività locale, si è detto nell'introduzione.
.•\.rchivio glottol. ital., XVIIl. "^
114 Terracini,
provveduto immediatamente sul luogo; ora in V. di Susa si va
formando, attraverso le diverse neo-formazioni, un'area con
pusa ', un nucleo che, quanto pili cresce, tanto più facilmente à
modo di estendersi e che forse tra poco, se non prevarrà qualche
voce schiettamente piemontese, potrebbe aver ragione dell'isolato
bììiin^. Questo caso si verifica nella storia dì jm grò (nonno): tra
le mie fonti, una vecchia [64] testimonia ancora come, prima che
sopraggiungesse ce dalla V. di Susa, si era ricorso, fra i vari
termini offerti dal piemontese, a grani, in cui si doveva sentire
quasi una traduzione dell'invecchiato grò ^. Parimente nella so-
stituzione quasi completa del generico fare la teila a teise, Uss.
non è che un punto immerso in una zona abbastanza vasta *r
ma tra i due stadi s'innesta cronologicamente la traccia di un
isolato ilrdi ^ (ordire) a dirci che elementi di origine locale in-
' Ambedue le parole sono anche piemontesi. Questa voce fu occasione
d'una discussione tra i presenti, come sogliono sorgere in caso di simili
oscillazioni; avendo una giovane donna risposto alla mia domanda con biìiin.
altri corressero hroise e disputarono tra di loro sinché un'altra donna volle
stabilire una differenza, che ò ragione di credere fittizia: bijbn sarebbe il
resumé meno minuto.
- Ecco, a chiarimento, lo stato di tutto il territorio (i paesi sono disposti
in ordine schematicamente geografico, il tratto indica l'innovazione):
Chio. bro^s- Yen. pu^a du /"**«** | Uss. broise
Già. pus'^s
Monp. rtimXure 'Le. pruvih t fen
Grav. restol'e Chian. pus e du fV^en Viù pruvih
Me. pusa , Moc. brìi se ' C. S. G. broisu Chial. pusa
Mondr. pruuin
Cer. brunsi^s
For. bruis"-s
^ Facilitata dall'esistenza dell'accoppiamento usuale: grani e grò; il ce-
dere di grò dinanzi a, grand pere è del resto generale in Francia; la vecchia-
espressione è ormai confinata nel Vallese, cfr. ALF (663) grand pére.
* Essa è ormai la forma prevalente in tutto il nostro territorio, che da
una parte si confonde colla Savoia (cfr. ALF 1805) tisser e dall'altra col
resto del Piem. (cfr. Gavuzzi s. tessere).
^ [64] ilrdi aveva su teise il vantaggio di essere un verbo di forma de-
i
Il parlare d'Usseglio 115
terveniiero in questo passaggio. Ancora: mentre p/a/«' cominciava
a cedere a ploii par che vi sia stato qualche tentativo isolato
di ricorrere al termine generico pél ^ Questo processo seman-
tico che tende a sostituire certe voci con equivalenti di valore più
generale e pili vago, sembra uno di quelli che si presentano più
spontanei allo spirito dei parlanti ^•. vivo e vegeto è p. es. il
verbo saii (uscire), ma in tutte le generazioni ^ ò esempì di
perifrasi del tipo: ala via; l'antico verbo, pel suo tema isolato
e per la sua odierna mancanza nel piemontese, à tendenza a ca-
dere, si salva però finora perché la voce chiamata a sostituirlo
manca della precisione necessaria a questa espressione •^.
5. Questi tentativi inducono a veder meglio addentro ai casi
di innovazioni che non sono geograficamente isolati : monde ma-
cinare sta qui per essere sopraffatto da mulina ; la frase do-
mandata " porto il grano a macinare „, una di quelle in cui il
bole; esso compare, sempre isolato, a Mondr., Forno, Momp., cosi come fa
capolino in punti assai sparsi della Provenza (ALFj; dal lato semantico
sembra però che questa innovazione fosse difettosa, indicando il verbo
un'azione tecnicamente troppo determinata per essere suscettibile d'un al-
largamento di significato.
' [63].
~ Su questo cosi frequente processo di generalizzazione con cui vengono
sostituite parole che per una qualsiasi ragione scompaiono rapidamente,
cfr. le numerose osservazioni in Gilliéron et M. Roques, Etwies de géogra-
phie lingiiistique. Paris, 1912, p. 12 sgg.
•^ ala via [30, 24, 58, 66].
■* Per questo verbo cfr. K. 8284; ora è ignoto al Pieni.: se ne anno
tracce invece in tutto il franco-prov. (Costantin, Cerlogne, Puitspelu, Odin^) ;
dove però esso subisce, come à subito un tempo in Piem., la concorrenza
di siirtt. 11 verbo si mantiene straordinariamente compatto in tutta la V. di
Lanzo ed a Coazze; la zona di surti in V. di Susa sarà quindi da attribuire
piuttosto alla Savoia che al Piemonte; ed anche i tentativi di sostituzione,
come quelli di Uss., non sembra che per ora siano dovuti all'influsso
piemontese. .
116 Terracini,
verbi) ticoire pili facilmente, raccolse però molte risposte del
tipo " porto il grano al mulino „, episodio intermedio che ci
mostra di quale elemento consista principalmente la fortuna di
mulina. A Uss. abbiamo dunque contemporaneamente tre stadi
diversi che si riscontrano, anche pili marcati, in V. di Susa; si
può dire senz'altro che essi rispecchiano semplicemente tre di-
versi momenti di importazione? Si noti che millinà grava natu-
ralmente su Uss. perché è anche piemontese \ che esso comincia
ad occupare qualche punto isolato nell'area di monde in V. di
Lanzo, e che Mocchie, uno dei paesi di V. di Susa che più in-
fluiscono su Uss., à ancora mole; e si dovrà conchiudere che la
nascita e l'estensione di millinà a Uss. è in parte qualche cosa
di locale. Ancora : l'arcaico gode (attaccare) è qui, come ovunque,
sostituito da giinta, ma accanto e, pare, più recenti si trovavano
grupa. taka, forme che compaiono pure isolatamente sparse sul-
l'intero territorio; insomma si rispecchia entro a Uss. tutta l'in-
certezza che regna nell'intera zona per dare all'antico verbo un
adeguato successore; ora la varietà stessa delle forme esclude
che questa incertezza a Uss. sia completamente passiva. Una
diretta constatazione di questo elemento attivo oggi non è sempre
possibile, ma, stando ad un carattere che sembra peculiare dei
casi visti finora, la coesistenza di forme analoghe, isolate nelle
parti del territorio ancora conservatore — come è il caso per
e vin d nei ® P®^" Pi^^ (^^ stoviglia) ^ — è sufficiente per dirci che
questo lavorio locale si deve probabilmente ammettere anche
per altri casi ora sceograficamente livellati. j
^ ì
* 11 pieni, conta certo per qualche cosa in questo mutamento, ijerché
l'ALP" (879) inotidre non dà millinà che per i due punti valdesi e questi
sono separati dall'area provenzale di mulina.
^ Questo allargamento si à nell'arretrata Lemie, ma anche a Coazze. Per
f vin d n^i efr. la n* al n" 3.
Il piwlare d'Usseglio 117
II.
Conviene ora esaminare con quali vicende si vengano mutando
voci raggruppate in serie e si potrà cominciare dal caso pili
semplice, quando il passaggio colpisce con completa conseguenza
una sola serie e quando questa è per giunta saldamente coe-
rente, vale a dire, in generale, quando è una serie morfologica.
Mentre, per quello che riguarda il tema dei verbi e dei pronomi,
la parlata appare, in questo momento, in riposo ^ il sistema delle
desinenze verbali è in via di completo e tumultuario rifacimento.
A maggior chiarezza si esporranno queste innovazioni, per quanto
è possibile, in ordine cronologico.
6. La 5* pers. di 2^, 3^ con. è ora sempre -é {difé, mìlré), ma
da un paio delle fonti arcaiche a me più familiari [A, M] mi
fu possibile sorprender talvolta, accanto ad -e, degli esempì del-
l'antica des. -él, che si restringono tutti ad avéi o ad altro
verbo molto in uso, come diféi, vicenda che doveva essere rilevata
qui, soltanto perché pone una prima volta di fronte -é ed -éi.
Parimente può dirsi che abbia raggiunto uno stadio di equilibrio
l'estensione del pres. cong. debole di 1-^ con. alla coniugazione
forte: {pise faccia > fefat) -. Tutte le generazioni conservano la
forma forte soltanto negli ausiliari e in qualche verbo assai fre-
quentemente usato, alcuni rari vecchi salvano qualche forma di
pili; tra essi però si distingue nettamente pel suo stadio arcaico la
fonte M. per tanti altri rispetti invece innovatrice, la quale, in
' Potrei appena citare hif'in (beviamo), cui i vecchi preferiscono hiicnn.
Quest'arresto di movimento è recente, poiché, p. es., non da molte genera-
zioni si devono essere rifatti, con forte intromissione del piemontese, alcuni
temi forti, sconvolti dalla caduta del t finale (tipo doerm < *dfjert).
^ Tra gli altri vecchi, lo forme più diffuse sono fasu e venu.
118 • Terracini.
questo caso, stando almeno alla cerchia delle mie fonti, può quasi
dirsi la solitaria custode di tali forme. Ad un identico stadio si
trova l'estensione della sillaba tematica dell' impf. cong. -es- a
tutte le con. {alese, difese, niilrese), nel qual passaggio la me-
desima fonte soltanto, insieme ad un'altra vecchia, conserva, con
grandi oscillazioni nelle risposte, traccie più o meno ampie di -is-'^.
Date tali condizioni, ormai quasi fisse, si rimanda lo studio di
queste innovazioni alla P. 2.
7. Sebbene la sua più antica fase sia forse anteriore alle fonti
più vecchie, è ancora in pieno sviluppo l'adozione di un -a- te-
matico nella 4* e 5^ pers. impf. indie, {cantia > cantaia, difià ^
di/aia).
Pr. Mrg. Vili. Cortv. Py. Pz.
I. -i- (-c(i-)^ -ai- -ai- (-/-) -t-
II. -(■- ai- -ai (■«■-) -/-
III. -i- ai- -ai- {-ari-, -asi) -i-
Questa estensione appare completa a Mrg., dove è quindi pro-
babilmente nata; al Vili, si è impiantata anche nelle più vecchie
fonti, con qualche difficoltà tuttavia, perché tre vi sfuggono^;
i segni di questa difficoltà appaiono più evidenti alla Pr. dove
due sole fonti [65,6'iJ attestano che la 1'' gen. giovane subì un
tentativo di invasione che poi andò fallito ^. Al Vili, alcuni in-
^ Essa mi dà kapiae e kapese, skriiise skriiese con libera oscillazione, senza
riguardo alla vocale tematica, o alla classe del verbo. Forme in i raccolsi
ancora a Pr. [80, 64\; nessuna me ne diedero Mrg. (70), Cri. [90) e nem-
meno Pz. (78), ma il numero delle testimonianze è troppo piccolo perche
si. possa dare un significato di questa disposizione topografica.
- Le forme sottolineate sono quelle nuove, le forme racchiuse tra paren-
tesi sono quelle in minoranza.
^' [63, 43, 30].
* L'attaccamento della Pr. alla vecchia forma è del resto pure indiretta-
mente dimostrato dalla fonte R [80] che, maritata a Mrg., non ne adottò l'-^À-.
I
Il parlare d'Usseglio 119
dividili della 8^ gen. allargarono poi -ai- anche al cond. e al-
l'impf. cong. Si tratta dunque di un fenomeno in sé vitale e capace
di un certo sviluppo ^ stupisce quindi la ristrettezza dei confini
in cui è contenuto ; essa è dovuta al fatto che questa innova-
zione è nata in un punto estremo del paese che à un' impor-
tanza assai minore delle borgate centrali e quindi una piccola
forza di penetrazione; questa debolezza, che si verifica del resto
normalmente in simili condizioni, v. n. 5, qui è aggravata dal
fatto che tale creazione non prende origine e quindi non à ap-
poggio in V. di Susa ed è assolutamente uno spontaneo ed umile
frutto del luogo.
8. Della stessa età all'incirca è il livellamento che tende a
sostituire nella 2^ persona cong., ad -e la desinenza della 3-' pers.
-ài {■et).
Pr.
Mrg.
Vili.
Mocchie
I.
■et
-et
-e
■éiet
n.
-et
-et
-e M
in.
-et
-et
-e (at)
Cort. Pv. Pz.
■e Leniie
-e (at) -et
■e [at)
Troviamo -et impiantato in tutte le generazioni di Pr. Mrg.,
cui il Vili, risponde col suo -at (v. § 1, n. 25). ma limitato ad un
' L'estensione forse mosse dalla P coniug. cantij'i > cantaif'i sul sing. cu^i-
titvf^, livellamento che, in altre forme (p. es. cantavià). non manca di esempi
V. § 2, ma fu senza dubbio agevolata dalla preesistenza di aia (avevate) che
anzi ne diventò il principale elemento propagatore. Essa, nascendo, per
COSI dire, nel cuore della serie, dovette estendervisi fulmineamente e questa
circostanza ci spiega perché non v'è più traccia dei suoi limiti originali ;
si capisce però abbastanza bene che questo -aui trovi per espandersi nelle
altre borgate una tenace opposizione nella serie -ifi, ugualmente compatta.
Pili difficile pure era che si potesse passare a -arw, usici, e se ora la
3'' gen. del Vili, adotta questa estensione, è probabile che vi sia arrivata
soltanto per diretta reazione della simultanea mancanza di a in -ia -ri('(
-isid al Cortv.
120 Terracini,
filone della 2-'^ e 3-^ geii. e ristretto per di pili a membri di due
famiglie parenti^; il ceiiti'O del paese non no à la minima traccia;
il fenomeno ricompare invece, per quanto assai timidamente, in
tre fonti delle Pz. [39, 27, lo]. Un livellamento della 2* pers.
sulla 3'* è cosa imminente su tutta intera la parlata ^, importa
però, per mostrarne l'origine, tener stretto conto delle condizioni
topografiche in cui si sviluppa. La grossa lacuna al centro del
paese impedisce di collegare le Pz. col Vili., Pr., Mrg. ; ed è in-
fatti assai facile comprovare che i due casi son nati in modo
affatto indipendente; -at alle Pz, è in contatto coll'analogo ormai
vecchio livellamento di Lemie, cioè la corrispondenza tra -et (Le.
8^ p.) e -af (Pz. 3** p.) portò alcuni individui^ ad opporre fi\V-et
(Le. 2^ p.) anche un at. A Mrg., Pr. questo sviluppo aveva due
condizioni favorevoli ; il possedere una 3'^ persona in -et che all'in-
terno di frase doveva suonare -e v. n. 238 e quindi poteva far
apparire V-e di 2-'^ come forma interna cui fu dato, per alternanza,
un nuovo -ef, inoltre, e principalmente, la vicinanza di Mo. dove
la forma unica in -eief può aver agito in modo analogo a quella di
Le.; comunque sia, direttamente o no, l'influsso di Mo. è inne-
gabile perché a Mo. si deve attribuire la tendenza prima di
questo livellamento: l'uso irrazionale di t finale, un episodio della
caduta di t estraneo ad Uss. e caratteristico invece della re-
gione adiacente di V. di Susa ', v. P. IL
' Su una quindicina di fonti, non ò -at che da H e dai suoi figli, non
però dalla moglie; la fonte M, parente e in stretta relazione coi precedenti.
ne presenta pure qualche esempio, il figlio mi rispose -e.
^ Esso è già interamente compito, d'accordo coi paesi vicini per -it 3* p. s.
impf. Se si tratti d'una vera e propria estensione della 3-^. cioè se il f con-
servi il suo antico valore funzionale, v. P. 2 e la nota 4'^^.
^ [39, 27, 15]. Il primo, e la cosa è interessante, trattandosi del pili vecchio,
ù -et, cioè ricorre ad un compromesso tra la forma antica e la nuova, se
pure non adotta senz'altro la forma straniera.
* Dove non solo tocca il sistema verbale, ma si estende ad ogni uscita
fi . Il parlare d'Usseglio 121
9. V^eniamo ora alle innovazioni che si raggruppano attorna
alla 5=* p^ Le forme sono ^ :
Presente 1-' con.
Mocchie Pr. Mrg.
1. -Il -d
-a li. -a -a
111. \ -^-a \ —
Impf. ind. e condiz.
1.
-lei IL
HI.
-1(1
-in
-ie (-ia)
-la
Vili. Cortv
-a -a
-a {-e) ' -a {-e)
-e (-«) , -e (■«)
Pv.
Pz. Lenii e
-fi, -a I -f, -a
-ui , -la -1(1 . -t^a
-ia, -ie -ia{-ie) ' -ia -ia
-ie{-ia) -te {-ia] -ie, ici \ -ie, ia
Impf. cong.
1.
-iei IL
III.
-k^k ì -k^k \ "A« ("i?)
-ifkik?) 'kei -H [ia)
-tei -lei
-ia {-Xe) -ia
-ie {-ia) i -ie, -ia
-A«
-ia
-ie, -ia
Pres, cong.
1.
-ei
-ei
-«A
11.
-ei
-ei
-ei,,
-e
III.
~
-e
-ei, e ! -e {-ei) -ei
-J> i-ei) -J j -J, -ei
-e ! — 1 -«
Anzitutto Pr. e Mrg. anno assunto -c7 anche all'impf. del
cong.: mmf)isià '^ mincjisiéi; si tratta di una semplice estensione
di sostantivi e pronomi che siano omofone con quelle cui suole unirsi nei
verbi, v. P. 11.
' La 5* pers., per la generazione media del Vili, o Cort , suona dunque :
Pres. ind. piirtd, di/e', durine' ; impf. ind. jjurtid, di/iq. durmià ; pres. cong.
purtéi, diféi, dilrméi: impf. cong. purlisiéi, difisj/i, durmisià.
122 Terracini,
<iella desinenza del cong. ptes. ; ma da un lato la debolezza che
vedremo essere insita in questa desinenza, proprio al pres., e dal-
l'altro soprattutto la limitazione topografica del fatto alle bor-
gate in contatto più diretto colla V. di Susa ci fanno certi che
la spinta al mutamento è venuta di là ed infatti una simile, e
anzi, anche pili vasta estensione di -<?/ troviamo a Mo. e Chian. ^
dove il suo trionfo à una particolare ragione di essere, v. § 2 ; si
scorge qui chiaramente come la concordanza di ambi i paesi per
-éi al cong. pres. a distrutto, a vantaggio di Mo., la proporzione:
Uss. -sia, Mo, -siéi. Il secondo movimento fu l'introduzione di -é
{pres. ind. 2^ coniug.) al pres. cong.: minìjéj^'^ nihì(jé ; -('/ al Cortv,
e nelle frazioni pili basse è ristretto a pochi individui che, rari
nella 1", si fanno rarissimi nella 2-^ gen.; il passaggio ad -è ritarda
invece a Mrg., Pr. per l'insolita forza ed estensione che qui -éi^ à
acquistato, ed anche al Vili., per analoghe ragioni, v. n. 10;
anzi qui alcune fonti di 2'^ gen. - che si trovavano tra le due
correnti generalizzarono -él a scapito di -é pure alla 2-'* sing. : la
cosa era tanto pili facile perché, in quel momento, la funzione di -é
e di -él al Vili, cominciava, come vedremo, a non essere pili
nettamente definita.
10. Infine, e questo è il mutamento più importante di tutti,
-a tende a perdersi in tutti i tempi che sono il suo dominio e a
farsi sostituire da un -é. 11 movimento nelle sue linee generali
* Mo. ha -et in tutto il sistema che fa capo all'iinpf., cioè: impf. ind.,
«ong. e conci, cui Chian. risponde con -eite; ma a Mrg., Pr., trattandosi di
una equazione che si fondava su un congiuntivo, prevalse nell'accogliere la
nuova forma, il senso funzionale, cioè, per esprimere la cosa da un punto
<li vista morfologico, fu accolto -siéi^ e non il semplice -féi, e la cosa è tanto
pivi probabile, in quanto Chian. ha -isieite anche al pi'es. cong.
^ [58, 57. 30], l'ultima con oscillazioni: he ti f. caiite'i^. Occorre ricordare
che r -e al Vili, è contemporaneamente indebolito dalla concorrenza di
-àt, V. n. 8.
Il parlare d'Usseglio 123
si manifesta con una grande conseguenza : tutti i tempi ne sono
ugualmente intaccati; è dunque chiaro che in queste sostitu-
zioni prevalse per solito l'equazione generale -a = -é: vi sono
naturalmente, specie tra le fonti di mezzo, delle oscillazioni, ma
la maggior parte di esse sfugge ad ogni classificazione e dà ap-
pena modo di notare entro il movimento generale qualche at-
teggiamento particolare: p. e., in alcuni soggetti l'imperativo à
una certa tendenza conservatrice, la quale diventa generale per
varnàu (guardatevi), la consueta formola di saluto; in altri in-
dividui -a prevale al presente contro -ié, nel sistema dell'imper-
fetto o viceversa. Tuttavia, ed occorre rilevare chiaramente
questo punto, se si tratta di episodi interessanti perché mostrano
l'apparire e lo scomparire di tendenze particolari, essi, per la
loro scarsezza e disordinata distribuzione ^, sono tali che non è
possibile vedervi dei resti di successive tappe ora superate.
Questo -f nacque al Cortv., dove intacca la 2^ gen. nei suoi
* Su 28 individui che presentano casi di -e', quindici l'anno senza eccezione,
essi appartengono a tutte le frazioni (per Mrg., mi mancano dati di 3*) e
a tutte le età, entro r4uelle per ora tocche dal fenomeno Pr. [24], Vili.
[12, 14, 18. 20, 21, 30, 36, 43, 43, 46]. Cortv. [13, 20, 35], Pz. [15]. Gli altri
si distribuiscono in gruppi eterogenei che lasciano appena intravvedere il
fuggevole prevalere di questa o quella serie. L'impf. ind. si trova ad avan-
zare sugli altri in quattro casi Pr. [25, 23], Vili. [-^.5, 43J; ritarda invece in
uno Pz. [9]; l'impf. cong. non si trova mai da solo; quanto al pres. ind., in
tre casi è in avanzo Vili. [17], Cortv. [20], Pj. [l'>]. in tre è invece in ri-
tardo. Vili. [40], Cortv. [13], Pz. [23]; inoltre, ma solo in condizioni
sintattiche speciali (v. sotto). Vili. [29] Cortv. [31, 23]. Se per rendere piti
chiara la cosa, si vuol procedere secondo un'altra classificazione, il pres.
ind. è sette volte al grado arcaico, l'impf. tre, l'impf. cong. sei, e tutti i
tre presentano sette volte la forma innovatrice. Il più oscillante è il pres.;
in due individui -à ed e si alternano a quanto pare indifferentemente,
due invece [20, 23, sorelle] conservano degli -a all'imper. assai meglio
che all'ind.; sul verbo coll'enclitica non feci ricerche sufficienti: Vili. [29]
à -aini contro -e', ma Pz. [19] à -evii contro -a. Da tutto ciò può appena risul-
124 Tenacini,
pili giovani soggetti o al V^ill. dove anzi cedono anclie individui
della 2" gon. avanzata. Alle Pz. invece non raggiunge che i gio-
vali, di 20 anni e al Py. di 15 appena (cioè, se il mio materiale
rispecchia sufficientemente la verità, di un'età in cui non si parla
ancora il piemontese (per questo punto, v. sotto), si che si può es-
sere sicuri che la desinenza qui si è realmente propagata dalle
frazioni vicine). A Mrg. e Pr. -é si trova di fronte a due desinenze
con funzioni ben definite e saldamente radicate nell'uso: -à (pres.
impf., cond.), -éi (pres., impf. cong.). Ma essendo ciascuna delle due
serie men ampia e forse meno coerente di una serie unica, accade
che qui -{' possa avanzare nella 3" gen. un pochino di pili che al
Py., Pz.; contro questa avanzata par che -f/ sia leggermente pili
resistente di -a ^ Tra la generazione arcaica e quella innovatrice
due fonti (i7, 25] presentano -à all'impf. cong. (invece di -^V);
la generalizzazione è frutto del solito giuoco di proporzioni, ma
essa è importante, e ne abbiamo veduto e ne vedremo presto
altri esempì, perché è il segno tangibile della lotta fra -a ed -f',
è una traccia di attività del linguaggio invaso, ma tale che di-
mostra già avvenuto il priuìo contatto con la parlata invadente.
Un episodio analogo, ma un poco più complicato, si riscontra
al Vili. Qui tre soggetti (^63, 46, òH\ che appartengono all'in-
grosso all'estremo limite d'età delle generazioni innovatrici 2.
tare o.he il pres. incl., com'era del resto d'aspettarsi, si muove con qualche
indipendenza dalle altre serie; si noti però che i casi, sintattici o no, di -à
conservato al pres. sono tutti e sette di fonti pia giovani in complesso di
quelle che anno dappertutto e'; ciò mi par sut'Kciente per mostrare che si
tratta in generale di stratificazioni particolari, jiosteriori all'introduzione
di -f' nel paese.
' All'impf. ind., almeno nella 3^ gen., non si à che un -«/' \_2i)\ contro 4 -if
[25, 23, 24. 13]. mentre il cong. à -iei [25, 23, 20], -ie' [24, 13]: al pres. in-
vece -d si conserva meno: [25, 23 (oscillante) 20] contro [24, 13, 13].
- [46] à pure -/ ed anche -a: [63] è forse direttamente sotto l'influsso di
Mrg. donde proviene sua moglie, sposata pochi anni fa.
Il parlare d'Usseglio 125
presentano -ér. i due primi esteso a tutto il sistema dell'iiupf..
il terzo persino al pres. ind. Quest'episodio deve essere connesso
con quello, già accennato; dell'estensione di -él alla 2-' sing. del
cong. contro -é, v. n. 9 cui partecipa l'ultimo degl'individui in
questione. Al Vili, dunque esiste, con particolare vivacità, una
proporzione -éi = é\ però la difficoltà di supporre che questa pro-
porzione muova direttamente dal pres. del cong., che non è do-
tato da sé solo di forza espansiva, unita alla circostanza della
contiguità topografica e all'esempio di altri casi simili, persua-
dono a mettere questo -eV in rapporto con quello di Mrg., Pr.
Di là alcuni individui del Vili, assunsero dalla 5-^ p. impf. cong. -éi
0 forse -n?/, cioè lo allargarono a tutto il sistema dell' impf. : la
terza fonte, col suo presente in -éi, estensione assolutamente
anormale e senza esempio in questo territorio, ci spiega poi l'in-
tima ragione della fortuna goduta da -éi al Vili.: costei subisce, o,
se si vuole, segue imperfettamente la generazione di -f', cioè, ab-
bandonato -a, sostituisce ad -f, grazie all'equazione (propria della
2=' e S'' pr. cong.) éi = f, il suo -éi e cosi è forse, in limiti di poco
pili ristretti, il caso degli altri due. poiché, a giudicare da Pr.
Mrg., un'estensione di -/e/ (impf. cong.), dove non agiscano cause
ulteriori, non pare probabile. In conclusione, V-tsm di Mrg., Pr.
forni a questi individui del Vili, il ponte per estendere -éi dalla
2'\ 5'' p. del presente congiuntivo alla 2=^ plurale di tutti i tempi,
sotto l'influsso dell'-f posseduto dalla generazione giovane e al
singolare e al plurale.
Questa la storia interna di -(-; quanto alla sua origine, a parte
alcuni punti assolutamente estranei a Uss., ove esso compare
ristretto al cong. e legato a condizioni speciali, noi non lo ritro-
viamo nel nostro territorio che assai lontano, separato da una
larga zona conservatrice, a Val Gioie, villaggio per cui si può
escludere ogni particolarità di rapporti col nostro, tanto pili trat-
tandosi di un fatto svoltosi in questi ultimi anni. Isolamento
l'26 Terracini,
dunque, e certo origine locale; il dialetto aveva tra le proprie
risorse un -é di 5'^ pers. ind. 2'' -3'^ coniugazione recentemente
estesosi anche al cong. ; il prevalere di questa desinenza, forte
dei verbi ausiliari e predicativi, è cosa tutt'altro che strana ^,
ma simili favorevoli condizioni non mancano in tutti gli altri
paesi in cui tuttavia -a resta intatto; è quindi naturale pensare
se qui non abbia agito una potente causa ulteriore, e, poiché
il movimento si inizia tra gli strati giovani della popolazione,
è legittimo cercare se essa non risieda nel recente contatto col
piemontese. Il piemontese attuale non à desinenza tonica di 5^,
avendole sostituito quella del singolare, tranne in pochi verbi mo-
nosillabici e all'imperativo, dove, alla 1" con., si à appunto e (kanté).
Ora, anche in questo caso, primo segno del contatto tra le due
parlate, dovette formarsi un giuoco di contrapposizione fra le
desinenze atone pieni, e le desinenze indigene in quanto sono to-
niche, in grazia del quale all'unica forma piemontese si oppose una
sola delle ussegliesi e fu -é ed è ozioso ora ricercare se fu proprio
e soltanto la 2^-'i^^ con. a prevalere o se ì'-é dell'imperativo pieni.
entrò direttamente in azione. Comunque, quest'osservazione trova,
nel suo complesso, una salda conferma in un dato geografico :
a Sud, dove il dominio piem. con desinenza atona si scontra, o
meglio, si scontrava di nuovo col sistema a due desinenze to-
niche, troviamo paesi intermedi che estesero l'uscita tonica di
2'*-3'* anche alla 1-' con. -. A Nord, Usseglio insieme a Val Gioie,
' Cfr. II, 133, 188.
- Per la storia della 2* plur. in Piemonte rimando, sebbene con molte
riserve, a Schaedel 77. La desinenza tonica di P in -é sopravvive ancora
in qualche angolo remoto della pianura, p. es. presso Possano e sopravvi-
veva a Mondovi ai tempi del Biondelli (p. 494), ma essa discende da -a t i s
e non à naturalmente nulla a che fare col caso nostro. Il livellamento
analogico da me accennato s'à invece, come rileva lo Schaedel, a Mon-
calvo e a Mombello nel Basso Monferrato: pitrte'y, nonché a Saluzzo colle
Il parlarp d'Usseglio 127
uno (lei paesi pili piemontesizzati del territorio, si trova ora
dunque alla testa di un movimento analogo ^.
11. Un poco diverso è il caso del tema dell'impf. cong. in
-eis-{fefeisi() che comincia a soppiantare il non antico -es- (v.n.6);
esso è in generale limitato a parte della ^^ gen., ma ne ò
esempio in un uomo di |43] e persino in un vecchio di [64],^
per vero assai incline alle novità. La fonte E che ò special-
mente osservata a questo proposito, oscilla ad ogni momento
tra le due forme, quella in -eis- e per ora in minoranza; da una
lista di verbi di 2^ - 3*, domandata appositamente, essa si
mostrerebbe pili facilmente nel pili frequente di essi: in fe/eise;
nella fonte L la nuova forma è invece già saldissima, il ch&
non esclude che l'antica si riscontri facilmente anche in indi-
vidui giovanissimi.
Questo notevole disordine cronologico trova la sua spiegazione
nell'origine di -eis- che l'età recente e l'isolamento a Uss. per-
suadono a identificare coll'-m- pieni. ^; esso in questo caso potè
penetrare, perché Uss, possiede, negli ausiliari, le antiche forme
forme: Steve, piirtece, ecc. In queste Te non può essere primario; l'enclitica ci
dice che queste forme non sono se non una pili vasta estensione dei verbi
monosillabici di 3^ del piemontese comune : seve, ève, fere, che per solito si
applicano soltanto a: deve, Steve.
^ Questo livellamento par estendersi anche più ad ovest nel territorio
montagnoso piemontese: cfr. Biondelli (v. 22, 23), mosselo, trote (Valdieri,
p. 514); porte, buttègli (Castelmagno, p. 516). La Valle del Pellice alterna
indifferentemente -a ed -e (cfr. Mou. pp. 375, 380); sembra dunque che anche
qui si tratti di un caso recente e perciò lo cito, sebbene (cfr. Mor. p. 393-
n* 1) in queste vallate tale uscita si incontri con una, pure in -e, assai
pili antica. Essa ricorre nelle colonie Valdesi di Guardia e di Neu Hengstett
e ritorna a Fenestrelle: Par. purtéme, ahiglié, huté, mene, la cui parlata è
troppo arcaica perché si possa ammettere un'innovazione tanto recente
quanto la nostra.
'" Sull'origine del quale, cfr. Salvjoni, RILomb. XXXVIl, 527.
128 Terracini.
tìeiae, fteise, v. § 2. cioè la presenza di un teina a dittongo pros-
simo a quello straniero, tolse ogni forza all'opposizione che po-
teva presentare l'indigeno -es- ^.
1l2ì. La stessa caratteristica, cioè il diffondei'si incompleto e
saltuario e la presenza anche tra i vecchi, nonostante la sua
età recente, à un'altra novità venuta dal contatto piemontese:
la resistenza del valido suffisso -àt (-etto), cui è assimilato \'-et
pieni, {kavalà't, karà't), comincia a rompersi. Parecchi individui -
risposero infatti karè't: qui la parola, pure imponendosi in man-
canza di concorrenti, conserva neW-ét come una traccia di quel
tanto di forestiero che rimane ancora oggi nell'uso della cosa e
può conservare -et più facilmente di altri neologismi perché qui
tale uscita è diffìcilmente sentita come suffisso.
13. Ancora in una maniera analoga, ma per una ragione di-
versa, comincia a sfasciarsi la finale in -i (<P^^fl), la quale tra
le generazioni 2-' e 3^ ^ diviene a, nella sola serie -(jcira v. ij 1
n. 128" povera, e senza alcuna diretta opposizione con corrispon-
■denti serie piemontesi, contrariamente al caso di -eri -osi -an
-oli che resistono perfettamente.
14. Sia infine ricordato un esempio che, ove non si tratti di
una lacuna del mio materiale, à la proprietà di essere ristretto
xid una sola famiglia. La fonte A mi diede, su molte risposte.
^ Questa ipotesi si fonda sulla forma analoga — indipendente da Uss. ed
ancora più perspicua — di Chialamb. -(ei oeis- cui fa eco -eis- a Ceres, e sulla
-circostanza che tra i giovani ceise (avesse) è rapidamente diventato ese e eise;
del resto potè anche influire a rompere l'opposizione di -es-, l'esistenza,
ancor oggi vegeta (v. §2), del cong. pres. forte degli incoativi: lcapei>ie.
^ Ne ò quattro esempì: sarebbe forse spingersi tropp'oltre l'osservare
■che due di essi Pr. [65, 24] vengono dalla sola borgata di Usseglio dove,
per mancanza di strade. Fuso del carretto è ignoto, come del resto e-scarso.
specialmente pei lavori campestri, in tutto il paese.
•'' -leiri resiste benissimo a Pr.; le frazioni inferiori Cortv., Py., Pz., diamo
invoce -d'ira anche nella 1'^ gen.
Il piìrlare d'Usseglio 129
un esempio di men urie' (invece di me{f)u. le mie orecchie):
quest'estensione dell'uscita maschile: min al femminile pare in-
vece assai più frequente nel figlio: teii, menf, la qual ultima
forma ci fornisce la soluzione del piccolo problema: questa fonte
si trova nella generazione che vede tramontare lo /del f. plur.
negli aggettivi pronominali v. § 1, n. 238; ora è probabile che.
nel disagio provato prima di adottare le nuove forme, sia ri-
corso, continuando del resto una tendenza della parlata (v. § 2),
ad un diverso riempitivo, che poi, per un motivo che ora ci
sfasge. non ebbe fortuna.
III.
11 gruppo di mutamenti che resta da esaminare ^ si distingue
da quello che precede per il suo aspetto un poco più complesso;
anzitutto in ciascuno di questi passaggi è a priori incerto se si
tratti di una recisa sostituzione di suoni o di una trasformazione
che sia avvenuta per lenti gradi successivi, in secondo luogo
esso non tocca soltanto una serie omogenea e sovente stretta
saldamente dal legame della funzione, ma può coinvolgere un
più 0 meno vasto complesso di serie profondamente varie per
numero di parole e per forza di coesione e magari anche voci
isolate.
La raccolta del materiale per uno studio di questo genere,
trattandosi spesso di cogliere sfumature sottilissime, offre una
probabilità di false notazioni molto maggiore che nei casi prece-
^ Anche qui si prescinde da casi come lova, v. § 1, n. 31a. o j^X^sw (rattoppo)
coll'antica fase vocalica conservata, perché essi sono semplicemente casi fos-
sili, fissi, i quali non costituiscono varietà.
Archivio glottol. ital., XVIII. 9
130 Terracini,
denti; tuttavia con un poco di cautela e col reciproco controllo
di numerose testimonianze è facile distinguere i dati buoni dai
fallaci. Nel corso di questo lavoro non fu naturalmente tenuto
conto delle particolarità di pronunzia che risultarono schietta-
mente individuali, sebbene ve ne siano alcune che non mancano
d'interesse^: p. e., il padre di E possiede un' e strettissima che
si è trasmessa a tutta la famiglia.
Per seguire anche qui, fin dove è possibile, l'ordine cronolo-
gico, si devono ricoi-dare due casi ormai cosi antichi e remoti
dalla comune coscienza dei parlanti che, anche nei soggetti pili
vecchi, essi non poterono venir ottenuti col consueto metodo
dell'interrogazione diretta, ma furono sorpresi casualmente, e
assai di rado e soltanto da fonti donde trassi un amplissimo
materiale. Sono questi: le traccie di r finale negl'infiniti, v. § 1
n. 238, e quelle un poco più abbondanti di o (tipo nioìd ora
miint) V. § 1, n. 4; in quest'ultimo caso il passaggio deve es-
sere stato rapidissimo, la Parab., cioè una testimonianza di una
o due generazioni anteriore albi nostra 1", presentandone appena
gli inizi.
15. Già al § 1, n. 14 è stata ricordata la serie rja'st (giusto),
hra'sk (agro), frwst (logoro) e femminili, particolare alla Pr. e Mrg.
sin dalla pili vecchia generazione, e s'è mostrato come, entro
il sistema del paese, non si trovasse di ciò una spiegazione suf-
ficiente ; ci è invece ora facile rintracciarla, come ci suggerisce la
posizione topografica del fenomeno, in V. di Susa. Qui, di contro
a frilt, si à dovunque broesk, cioè nella parola introdotta recen-
temente, senza rigetto di s^ows^ \.^ vocale si modifica dinanzi al-
*■ P. es. L., fonte, che à generalmente tendenza ad oscurare le vocali ve-
lari, la manifesta specialmente nella serie borsa che chiùde sino ad u. Questo
suono gli è particolare, non è una delle tante concessioni all'uso piemon-
tese, ma si tratta di un prodotto assolutamente isolato.
Il parlare d'Usseglio 131
l'insolito nesso; sia brvesk stato introdotto da solo o con altre
parole ^ a Mrg. e Pr., la semplice esistenza di friit in V. di Susa
ci mostra come, nel nuovo terreno, -(t'st si allargasse entro
alla serie omofona e ai corrispondenti femminili con maggior
conseguenza. Esso però, invece di invadere le borgate vicine,
da quasi due generazioni cede dinanzi ad il; tre fonti anno ce,
(e, il, quattro addirittura il -, tutte però nella sola serie finale,
cioè nella maschile. Se da una parte la limitazione alla finale
fa pensare, fino ad un certo punto, che (P- rappresenti la tappa
di mezzo di un ordinato e lento passaggio aC>u, dall'altra il
disordine cronologico del mutamento lascierebbe meglio supporre
che il si venga direttamente sostituendo ad ce sotto il continuo
influsso dell' Uss.- pieni, e che <r sia di iì un incompleto adat-
tamento, fenomeno di cui troveremo altri numerosi esempì.
16. Uss. à pi-eceduto tutti i paesi del contorno nella caduta
di alcune finali; v. P. II. Pel -t, le borgate del centro anno
raggiunto, anche nelle fonti più vecchie, il grado fisso descritto
al § 1. n. 199; ma le serie del pres. forte con dittongo (le
monosillabiche cioè e l'incoativa) : fait, verdéit conservano la
consonante nella P gen. ^ delle Pz. ; qualche traccia di una si-
mile conservazione si ha pure alla Pr. ^,
^ Broesk è di Mo., Chian , Me., Momp., Giagl , i quali invece anno tutti
fr'ùtio); mi mancano materiali per goest, come si vede (§ 1, n. 14) si tratta
di una serie composta di parole recenti, le altre voci omofone: h'dst, gilst
sono poi addirittura fuori dell'uso.
- Naturalmente con oscillazioni; anno sempre oe: Pr. [47, 24, 8Ó\, Mrg.
[70]; hanno <r. Pr. [65], Mrg. [io, 60]; anno anche il Pr. [(Ì4], Mrg. [53, 60].
' [78, 66\.
^ [G5. Oi, 60] bè (interno), (bei) bèt in finale, mancano materiali per gli altri
casi; un influsso diretto, anzi una semplice importazione da Mo. è evidente
nel caso di Pr. perché la conservazione di t si accompagna colla semplifi-
cazione del dittongo, completamente estranea a Uss.
132 Terracini,
Mocchie Pr. Mrg. Vili. Cortv. Py. Pz. Lemie
1. -/ — -t
-t II. - — -{t) -t
111. - - -
L'innovazione non à dunque ancora toccato completamente i
due lati estremi del paese; è però impossibile dimostrare fino
a qual punto questa resistenza trovi direttamente appoggio nella
conservazione, viva ancora nei villaggi coi quali essi rispetti-
vamente confinano. La fonte A à pure phiróit? (tipo: pluit
-HOC, v. § 2), l'estensione, che manca a Lemie, è notevole in
COSI rapido scomparire del -t, perché essa è verosimilmente una
reazione, che per mezzo della consueta equazione, le genera-
zioni e le borgate innovanti anno prodotto sul vecchio in cui il
-t è molto tenace.
16 è. La caduta di n finale nei proparossitoni avviene in due
tempi ben distinti, corrispondenti alle due serie in cui essa si
presenta. In quella costituita dal minuscolo gruppo ^ dei sostan-
tivi {(juvan), Vii finale non mi fu dato che dagl'individui pili
attempati della l'^ gen. - ed in alcuni esso è un suono più ac-
cennato che interamente articolato. Ben più resistente è la con-
sonante nella desinenza atona di 6* pers. di ogni tempo e di
ogni modo^; in questo caso n è pronunziato abitualmente dagli
individui della l'"* gen., sebbene non da tutti e non sempre:
Mrg. è all'avanguardia della caduta; non vi raccolsi più alcun
esempio di n; il Py. è invece il centro più conservativo, qui
non solo la 1^ gen. lo presenta più frequentemente, ma esso
^ V. § 1, n. 21.3. Delie tre parole che la compongono, gàvain) cede già in
tutte le età al piem. //«(«, le altre due : piaia{n), fraisa(n), resistono e presen-
tano anzi la proprietà di essere strettamente coerenti tra di loro.
^ [78, 76, 90] fraisah [10] fraisah ; M. ed S. [80] non ne hanno i)iù traccia.
^ Limitai perciò le ricerche al pres. e impf. dell'indicativo.
II parlare d'Usseglio 133
perfino nella 2* non manca ^ Tale grado arretrato del Py, si
connette col fatto che, come si vedrà, in questa borgata l'antico
sistema di alternanze di frase à lasciato più chiare tracce che
altrove ; perché anche la caduta di n segue una serie di tappe,
secondo l'accento di frase : essa à primamente luogo in finale —
dove del resto alla caduta precede uno stadio di evanescenza
càntu^^ — e tarda nel mezzo della frase, dinanzi a consonante o
a vocale indifferentemente; la resistenza è dunque in relazione in-
versa alla forza con cui era pronunziata la tonica nella frase ^.
Usseglio, in questo caso, non è naturalmente isolato: la caduta
si è infatti più o meno iniziata su una striscia che corre a
seconda della catena dividente i due principali sistemi del
nostro territorio: essa comprende Col S. Giov., Viù, Lemie e
Mo., e la precedenza di Mrg. ci dà anzi la prova diretta che
la caduta è in qualche connessione immediata con quella di
Mo. : ma, d'altra parte, la traccia di un assordimento lento e
graduale e di un'alternanza sintattica provano che questa con-
nessione geografica non promuove, ma aiuta soltanto la ca-
duta della consonante. Questo gruppo di paesi disposti in striscia
uu poco fuori dei movimenti che anno per focolare rispettiva-
mente la V. di Lanzo e la V. di Susa, non si costituisce per solito
che per presentare dei tratti arcaici, v. P. II. Ne questo caso
fa eccezione: la conservazione di n e in generale delle conso-
nanti finali à trovato il suo freno essenzialmente nel loro valore
moi'fologico e questo a sua volta deve esser stato sentito nei
centri delle due valli soprattutto come reazione contro le desi-
' Mentre p. e. al Cortv. la consonante è pronunziata solo da [90] oltre
che da un [43] , il quale anche in moltissimi altri casi costituisce come
un'isola arcaica, al Py. mi diedero n [42, 43, 70, 66, 60, 64, 68].
^ Ed è questa la ragione, oltre alla molto minor coesione della serie, per
cui, nei sostantivi, n è caduto prima.
134 Terracini,
nenze piemontesi : ora tale reazione non giunse sino al nostro
gruppo in tempo per salvare la consonante, la cui caduta rap-
presenta quindi, in un certo modo, un grado arcaico. Questo
risultato, per quanto apparentemente paradossale, ci è confer-
mato dalle condizioni interne di Uss.; infatti l'inizio della caduta
è troppo vecchio per doverlo ascrivere ad un influsso recente
del piemontese, che del resto, quando tocca serie morfologiche,
salvo dove abbiano agito cause secondarie, si limita a provo-
care fenomeni di reazione ^.
17. Alle Pz. e al Py., in tutte le generazioni, il passaggio
di dis-, is-'^ des-, {e)s-. {iskola, c?is/j/r?/) è già compiuto ad ecce-
zione di alcune minime tracce e queste trovano la loro spiega-
zione in ciò che accade nelle altre borgate dove il fenomeno è
ancora in movimento. Qui is- cede, quando non sia in strettis-
sima unione sintattica colla parola precedente: do stise, par
strmia, ast spàs; esso è invece pili saldo dopo l'articolo: n'iscalm,
riscala, If ìspale, perché, in questo caso, i nessi /is-, nis-, lis-,
come quelli che sono i più frequenti, formano delle vere serie
più ricche e resistenti delle altre. Queste qualità si ritro-
vano in grado ancor più forte in dis- che infatti rimane di più
che una generazione indietro ad is-. Né variare di posizione
rispetto all'accento e alla frase, né di rapporti coi suoni con-
tigui possono segnare chiaramente le tappe della marcia verso
{e)s-, des-: anzi, tutti i tratti di questa che si possono cogliere
mostrano come essa avvenga sotto un'impensata e complicata va-
rietà di condizioni: al Cortv., p. e., il prefisso dis- par solamente
colpito nella sua serie sonora-; inoltre soggetti che anno: la
^ Ben inteso che, a cominciare dalla 2^ gen., anche qui la caduta fini per
essere accelerata dall'influsso piemontese.
^ Mentre mancano assolutamente casi di des-, def- alterna con (/;/- in {dly
40, 22, 20]; al Vili, si osserva pure c^uak-he cosa di simile, ma la distin-
zione è meno netta.
Il parlare d'Usseglio 135
scala, conservano, persino alle Pz. : ntVistala, gruppo cui il fre-
quentissimo uso tende quasi a dar l'aspetto di una formula
fissa e Pz., Py. conservano, almeno nella 1" gen. ^ reliquie di :
dìsfisa, distisa ; qui l'arresto si risolve adunque in un particolar
caso di metafonesi. La distribuzione generale di questi fatti è
varia: is- manca a Pz., Py. ed altrove, e nelle posizioni più
favorevoli è ristretto alla 1" gen. ; des-, invece, mentre al Vili,
tocca già, per quanto sporadicamente, la 2^, al Cortv. è stretta-
mente limitato alla o-"^, alla Pr. non è ancora comparso; invece
l'anno con perfetta regolarità alcuni individui di 2^, S'*, e sino
uno di P al Mrar. ^.
Lemie
Pr.
Mrg.
Vili.
Cortv.
P.y-
Pz.
1.
(lis
dis {drs)
dis
dis {de/)
des
des
II.
dì fi
dis (dfis)
dis (dfs)
dis (de/)
des
des
III.
dis
dis {d(s)
des (dis)
dis {dff)
des
des
des (dis)
Questa circostanza ci dà modo di valutare il grande avanzo
in cui si trovano Py., Pz. La contiguità geografica ci attesta,
in un certo modo, che qui si continuano le condizioni di Lemie,
dove dis-, is- sono pure in rotta anche nella 1^ gen., sebbene
le loro tracce si conservino qua e là un po' meglio che alle
Piazzette; d'altra parte il caso di Mrg. è isolato e ci mostra
quanto di spontaneo vi sia pure nel rapidissimo assestamento di
questo passaggio, che tanto muta di fisionomia solo che una
' ut Vistala ricorre in fonti innovatrici : [24, 21, 4ìi (Py.)l, distisa al P}'.
[68], Pz. [66, 20].
' [60, 45, io, 19] gli ultimi 3 appartengono alla stessa famiglia. Già
al § 1, n. 108 fu osservata l'alternanza tra -es e es; certo la prima è una
forma nata sotto un accento più forte della seconda (confr. est e fst), ma
gli esempi colà citati non trovano nella massa delle fonti una conferma
sicura.
136 Terracini,
serie importante come quella di dis- vi abbia piiinamente ceduto
trascinando rapidamente l'altra.
18. Il passaggio di -eu > -an^en complicato con quello di
en > -èn e -atì >> -àn i è il primo caso che ci presenti un esempio
di regressione. La sua fase pili antica, -en >> -an, anteriormente
all'epoca attuale si fissò in finale di parola - ; sulle modalità con
cui nacque -mi, strettamente limitato com'è ora ad alcuni indi-
vidui di 1'' gen., non v'è pili modo di dir nulla, se non che esso
compare ugualmente distribuito in tutte le borgate. — 18n. La
propagazione del turbamento: -an'^àn si svolge invece ancora
in parte sotto i nostri occhi; in generale siamo ai soliti fatti di
fonetica sintattica descritti al § 1, n. 236; è cosi che, all'interno
di fvAse, karant ani e assai pili conservato che: ijdn e la it, dove
si cede alla tendenza a generalizzare la forma finale, e che vinàìì
(viene) sfugge completamente al turbamento anche fra i giovani,
perché, come consueta forma di richiamo, s'accompagna costan-
temente ad isì. Vi sono poi, in questo movimento, degli indizi
i quali tendono a provare che parte della 1-' gon. nel parteci-
parvi non faccia che seguire le generazioni più giovani; all'ar-
ticolazione propria di -àn che è in fondo velo-palatale ^ si
uniscono, come elementi caratteristici, la forte espirazione e la
grande brevità. Ora la fonte A, la più conservativa in quest'or-
dine di fatti, mi diede •anche pumta e pianta V uno lunga, l'altro
^ V. § 1, n. 30ò. *ven^ vah'^ veni ; uféh "> iifùn, iiff'h, pi^aiita'> piànta;
•un (e m u s) > (i>i. Per ragioni di chiarezza in questa App. si indica con d il
suono che per solito è segnato « ed ù indica semplicemente un a palatale.
- Si propaga cosi alla tonica il più saldo e pili antico passaggio eit > an
dell'atona, ed esso infatti non tocca che Yen tonico breve, come, meglio che
a Uss., si vede in V. di Susa, poiché, per questo caso, Uss. è intimamente
legato al territorio circostante v. P. li.
^ Si à cioè è. Nel caso più conservativo, cioè, nella finale verbale, in
interno di frase, si hanno esempì di ah saltuariamente in tutta la 1" gen.
e sino in un Pr. [53].
11 parlare d'LJsseglio 187
coll'espirazione pili rimessa ^ e colorito palatale pili forte. Pas-
sando alla desinenza verbale, questa articolazione deformata e
la esagerazione del colorito palatale si fa assai sensibile in un
gruppo di vecchi; ora è notevole che essi non siano i più attempati-
cioè essi non possono averci conservato uno stadio normalmente
anteriore ad -ari; sono individui che anno già abbandonato -ar«,
ma che sotto l'accento debole di frase non riescono a rendere
perfettamente il nuovo -àn. Inoltre, la serie: can (vende) e quella:
mumàn (momento) in molti individui non à esempì di intorbi-
damento; ciò conferma che nella P gen. l'intorbidamento si fa,,
almeno in parte, dietro all'esempio dei giovani, infatti esso si è
arrestato proprio in queste due serie che tra i giovani non esi-
stono pili. — 186. Perché in questo frattempo esse passarona
ad -èìì (m^y/K^w^), rispettivamente -m {ufén); -aii non solo è limi-
tato alla l"^ gen. ma, ora nell'una ora nell'altra serie, vi si
^ A è la fonte più arcaica nel senso che fu Tunica a darmi nei sostan-
tivi la vocale ancora intatta, in essa però il turbamento è assai frequente ;
essa è anche l'unica a presentarne, all'infuori, s'intende, del verbo, una imi-
tazione imperfetta, salvo il caso di [90] e di altri ancora che mi diedero
céntiifi, V. § 1, n. 101. Qui l'imperfezione dell'adattamento, a parte i dati cro-
nologici di cui si fa uso nel testo, risulta evidente anche per altri indizi;
se la caratteristica del turbamento fosse stato il colorito palatale, cioè, s&
questi rari casi fossero la fase che precedette quell'attuale, si avrebbe oggi
un vero e proprio f; ora invece l'elemento caratteristico di « è tutt'altro,
infatti in molti altri paesi noi la ritroviamo ugualmente turbata sebbene
scesa ad un suono piuttosto velare, v. P. Il, e poi à e cosi strettamente le-
gata alla forza dell'accento che non si propaga mai all'afona; D'altra parte
nulla di piti facile che un a o e sia imperfettamente reso con una alte-
razione palatale o velare. Cfr. Goidànich, BhZRPh. V, 56 sgg.
■^ [70, (14, 61, 66, 66, 66, 68, 70] di queste, ben tre (le ultime) sono del
Py., cioè di una borgata alquanto conservativa, per quel che riguarda l'al-
ternanza di frase. P] ancora al Py. [66]: cantiih, muma'ut con espirazione
debole [70]: pah e d lati, esp. deb. [64] a inuma' ut (' nai, ma un mumànt con.
«■-^jiirazione ]^erò debole.
138 Terracini,
regge assai male ^ ; anche qui sporadicamente si à un, ma
COSI raro e limitato ad individui relativamente giovani - che
anche qui questo grado intermedio non può assumere un valore
generale e deve essere ascritto ad un adattamento imperfetto
d'ordine secondario.
Che del resto il passaggio dall'un suono all'altro avvenga per
una brusca sostituzione, è cosa confermata da dati esteriori i
quali ci porgono la chiave di questa regressione. In tutto il nostro
teri'itorio qualche punto, senza continuità geografica, presenta
tracce d'un recentissimo passaggio -an > -en ^. Ora v'è un motivo
generale che spinge tutti questi medesimi luoghi sulla medesima
via? Uno solo si presenta alla mente: l'influsso dell'-f?) piemon-
tese della cui realtà è facile dare una dimostrazione. La re-
gressione si esercita principalmente nell'uscita -ent la quale,
v. § 1, n. 30 &, porta nella consonante finale il segno d'essere
soggiaciuta al piemontese; sta il fatto che si può trovare -ant
accanto ad -an ^ non mai -èn, vale a dire l'antica vocale fu vitto-
riosamente opposta al piem. -ent, solo finché si ebbe -an, ma
quando la consonante fu accolta, essa si trascinò dietro la nuova
vocale. Per la serie: ufan la cosa è più complicata, potendosi ad
un tempo invocare e il piem. -end e l'analogia delle forme in-
^ Su una ventina di individui di l'-non mi diedero qualche aù o (ih che una
metà: [90, 64, 70, 66, 64, 78, 66, 66, 70, 64, 78, 58] e tra queste, già [90]
à adottato in serie -ènf: così A oscilla nella serie verbale, F, M in tutte e
due, sebbene con prevalenza della fase arcaica.
- [66, 65, .58, 47].
^ V. P. II. E la contemporanea presenza di ah ci accerta che si tratta,
come a Uss., di un movimento recente, controprova necessaria perché vi
sono altri punti isolati, sebbene assai rari, dove -eli deve risalire ad età pili
antica,
•* Anzi nn è relativamente assai scarso. La provenienza piemontese di
■nt e poi provata da genf accanto alla forma oriijinariaraente plurale gerì,
V, § 1, n, 200.
I
11 parlare d'Usseglio 139
terne {ufende); vi sono però discrete ragioni estrinseche per non
escludere categoricamente nessuna delle due soluzioni ^ e va
per lo meno osservato che l'analogia avrebbe agito proprio
quando l'influsso o meglio l'opposizione al piemontese le veniva
a dare un insolito vigore § 4 e. — Il piem. ~ent fu accettato
come -ènt\ al i; 1, n. 30^, furono date le condizioni fonetiche di
questo turbamento, non si deve però dimenticare che -èiì per
qualche individuo della 1-^ gen. sostituiva forse àn, cioè che il
nuovo turbamento potè anche trovar la via facilitata da quello pili
antico. Ma nel gruppo Pr. e Mrg. il turbamento va più oltre: esso
tocca anche il tipo ufè'n e persino quello interno: ufende, questa
condizione si può dire di regola nella 2^-3^ gen., mentre alcuni
tra i soggetti di 1* mantengono ancora l'antico stadio -; fuori dei
verbi -'èn fa assai men presa: solo kuntènta, per ovvi motivi
cede talvolta e cosi pure: s'èmpe ; altre voci rimangono finora
illese, sebbene, e non solo in queste borgate, il gruppo con den-
tale sia a differenza di ogni altro pronunziato piuttosto breve e
chiuso^. La condizione del turbamento è dunque anche qui la bre-
vità della vocale che cede con conseguenza nella serie verbale
e sparsamente negli sparsi sostantivi ; ma la ragione immediata
è tutt'altra ; tale estensione alla Pr. Mrg. è in connessione geo-
grafica con la V. di Susa: in queste borgate, -cn fu dunque messo
' L'azione diretta o indiretta del piemontese avrebbe proflotto un i-md;
l'analogia per se sola non e molto probabile, perché solitamente, nei verbi
forti, V. P. II. è la terza persona quella che si estende.
- M. [70], Pr. [70], altri due l'anno con oscillazione.
^ sempe alla Pr. mi fu dato da tre fonti [64, 53, 30] e due [70. 65]
anno f; /i;»«/^«te à minori oscillazioni, anche qui [65] à e; Icìtntènta ritorna,
perfettamente isolato, in una donna del Vili. [58] che pure per altri rispetti,
V. n. 10, mostra l'influsso di queste liorgate; pnlenta, colla vocale breve fa
poi capolino dappertutto, sebbene sporadicamente, sia tra vecchi, sia tra
giovani.
140 ■ Terracini,
in relazione non coW-an indigeno, ma coWàà forestiero cui cor-
risponde esattamente per estensione^ delle serie; ciò è im-
portante perché mostra una delle vie, e probabilmente la prin-
cipale, per cai il turbamento delle vocali nasali si estese a Uss.
V. P. II. Questo gruppo di fatti può essere sinotticamente rap-
presentato nella seguente maniera:
(pianta, pane) -«n (caiitemu.s) (veiilii) (^veiidit) (vendere)
J. -àii {-an) -cìn -un -an-àn(-ent) -ah (-ifi) -m
li. -Citi -àii -hit -en (Mrg.'Pr.-èn) -pn{Mrg.Vr.-én)
III. -dn -àn -ent -en (Mrg. Pr. -èii) -eh (Mrg.Pr. -èn)
19. hjl^~^ ai^'^ ei ci presenta di nuovo un movimento ac-
compagnato da regressione. Fuori di questo quadro sta il pas-
saggio di •em-^-du- {nhhi) P p. cong. 2, accettato dovunque e
rimasto fìsso. Della piccola serie di tipo kram (credo) non ri-
mangono invece che sparse tracce ^ entro la pili vecchia gene-
razione. — In finale di parola da -e/, cui s'arrestarono alcune
' V. P. II. È verso V. di Susa la distinzione tra la vocale affetta da tur-
bainento 0 no era anche assai pili netta perché quest'ultima suona quasi e'
~ Il cong. -au presenta il passaggio (comune nella Val di Viù, v. P. Il)
completo, cioè *ei;u, *ru che poi si allargò in au, come qualunque è in dit-
tongo velare, v. § 1, n. 132.
^ In questa serie, A, e sporadicamente qualche altra vecchia fonte, à
ancora kmi, vru, cioè la prima tappa del passaggio, ma in questo caso, du-
rante il suo allargamento, la vocale subì, come accade sovente alla P p.
l'influsso della 3^ che era divenuta nel frattempo -ai e s'ebbe quindi kraiti
raiu, documentati da [80^ 58, 90, 65, 64, 78]. Da questo punto in poi, esso
segue la comune regressione. Questo movimento à dunque la sua prima
origine in quello di -ai 3^ p.: ma ora ne può anche essere indipendente,
alcune delle fonti ora citate non hanno -ai di 3^ 0 viceversa; l'ultima poi
che è A, probabilmente non possedette mai -ai 3* p. (v. sotto) e fornirebbe
quindi una prova diretta della propagazione di questa forma da borgata
a borgata.
Il parlare d'Usseglio 141
forme verbali K per -eL tappa conservataci dalla 8" p. ind. dei
temi forti e incoat.. si giunse ad -aì^ nella doppia serie: dai {'^'to),
,'<uU'n (sole) -. Questo -ai vive nella l'"» gen. al Cori., Vili., Pr. e
si diffonde nella 2*'^ fino a toccare la quarantina 3; per la 3^ è
pronunzia assolutamente sconosciuta ; di -ai poi non v'à traccia
alle due borgate estreme del paese, al Py. infine esso tocca solo,
e con minor tenacia, la P gen.
Moccliie Mi'(j. l'r. Vili. Coit. Py. Vz. Leinie
i tipo: ulve fi, aj (ej) aj (^j) aj (ei) ai (fi ) ri
■ tipo: *nivet fi «^ì. i^i) fi, (^Ì) ''A («À) fi ^i
ei II. ii ii (ai) |( {ai) i\ {ai) |( fÀ ni
III. ei ei ei ei ei ei
In altre parole, -ai svoltosi al centro, dove à più profonde ra-
dici, è riuscito solo parzialmente a diffondersi nelle altre bor-
gate ed ora una regressione manifestatasi nella 2* e 3" gen. gli
tronca la vita. Le tracce di questa duplice lotta sono ancora
visibili: alcuni vecchi"^ del Py. anno -di; e il medesimo riflesso
che troviamo in questa borgata per altri passaggi consimili di
un « > e e deve essere considerato come una tappa secondaria
dell'espansione di ai, v. n. 20; un -ài si à pure al Vili. Cort. ;
ma, al solito, troppo raro ^ perché possa rappresentare un ge-
nerale grado intermedio tra -ai e -ei, è invece un riflesso, ancora
^ Infinito avéì, 5* p. cong. fe/éi, v. § 1 n. 17.
' V. § 1. n. 18 e n. 87. Questa seconda serie giunse ad -ai solo ad Uss.,
perché il resto del territorio che oggi nell'altra conosce -ai, conserva alla
serie il grado originale éi.
' [90, 80, 78, 76. 70. 70, 70, 70, 65, (;4, 64, 63, tll, 60, 58, 57, 53, 51, 47\.
■' [70, 70, 68, 60].
^ Vili. [78, 47]; Pr. [60] escili.; Cortv. [.50,64]; Vili. [78] (M), fonte che
anche in altri casi à forte tendenza ad accettare innovazioni.
142 Terracini,
incerto, del nuovo -e/, sovrapposto al non pili saldo ai delia 1-^ gen.:
questa interpretazione è confermata dal fatto che -ài e pure pos-
seduto da alcuni individui i quali, per età e per borgata, ap-
partengono al campo di -«7 e sono trasportati in quello di -ei ^
La resistenza della generazione arcaica presenta poi delle par-
ticolarità: il maggior numero delle fonti più vecchie anno -g/ '^
nelle forme verbali, altre però, e in generale, non le più attem-
pate, giungono anche in questo caso ad -ed; sarebbe stata questa
la naturale continuazione dell'antico fenomeno, se ad interrom-
perlo non fosse intervenuta la regressione, ma è verosimile che
questo livellamento sia stato affrettato per opposizione all'unica
nuova serie in -ei ^; esso presenta un piccolo episodio notevole:
un vecchio [64] à: bel (beve), ma nal (nevica) per influsso for-
tissimo (v. n. 3) del corrispondente sostantivo. In generale però
la 1** gen. è già prossima a cedere; tra le fonti che meglio co-
nosco, M. oscilla con completa irregolarità. F. invece, incerto
nei sostantivi, all'uscita verbale sta assai pili saldo ad -a/, caso
individuale, ma caratteristico di conseguenza raggiunta da una
serie morfologica.
Ai in finale (v. P. II) s'appoggia da un lato alla Valle di Viù,
verso V. di Susa ora fronteggia -el, non cosi al momento in cui
fu introdotto, perché, non più di sessant'anni fa, -ai regnava in
V. di Susa fino a Coazze, v. P. II. Date queste circostanze, -ei
a Marg. è probabilmente terziario, non è cioè che il nuovo ei
^ [80] di Pr. («0 vivente a Mrg. (ri) possiede -ai e -ai; [80] di Vili. («()
vivente alle Pz. (ei) à costantemente ai; [37] del Py. dove -«« è tanto dif-
fuso, vivente a Cortv. {ei), à uno e l'altro.
^ Hanno -ei nelle forme verbali Pr. [65, 04], Vili. [80, 11, 63] e [78] con
oscillazione, Cortv. [90, 76], Py. [70, 68, 60] ; anno -ai Pr. [80, vivente a
Margone, 53], Vili. [70 oscill., 78 oscill., M. (vedi sopra)], Cortv. [64, 45].
^ Lemie ad es., ove non si verificarono i-egressioni, conserva benissimo
la distinzione tra le due .serie.
Il parlare d'Usseglio 14S
di Mo. ^ Quanto alle Pz., mancano elementi per decidere; ad
ogni modo, i-isulta da questo difetto di espansione che l'-fa del
centro, non abbastanza sostenuto dalle condizioni dei paesi vicini,
è debolissimo e ciò spiega pure la sua regressione recente.
Per essa è esclusa una tendenza pura e semplice alla chiu-
sura del dittongo-, escluso che il movimento provenga dalle bor-
gate che anno -el soltanto, le particolarità degli orli non avendo
mai la foiza di occupare cosi completamente l'interno del vil-
laggio, escluso poi, pei verbi, un livellamento analogico 3, la
regressione deve dunque venire dal di fuori. L'ipotesi d'una
nuova e più larga invasione di -<?/ dalla V. di Susa non è proba-
bile, perché vi parteciperebbe pili attivamente di ciò che non
faccia, la Pr.; data l'età recente della cosa, è più verosimile
pensare che termini piemontesi come: kunséi, parél (cosi) ab-
biano potuto facilmente far breccia nell'ancor oscillante serie,
ed una certa precedenza di parél sulle altre parole parrebbe
confermare questa ipotesi ^.
20. 11 passaggio di è~^à v. § 1, n. 23 se, per qualche voce
0 serie, è comune ad un territorio di vasta continuità ^, soltanto
a Uss. venne esteso ad ogni caso con coerente conseguenza; tale
estensione avviene sicuramente ali 'infuori dei casi consimili del
* Ciò è fino ad un certo punto confermato dal fatto che la Pr., per solito
tanto conservatrice quanto Mrg., à -a». Quanto alle Pz., non v'è invece
motivo sufficiente per negare l'anticliità di -fi;. Lemie risponde con: (ìai,sHléi.
'~ Manca infatti ad Uss. ogni indizio consimile sin nel dittongo au, tanto
meno stabile, v. P. II.
^ Questo inflitti, quando avviene, suole in questi paesi prendere origine
dalla 3^ p., v. § 1, n. 22 e cfr. Viìi ò«X> bàire; del resto se si trattasse d'un
influsso dell'infinito s'avrelibe avuto addirittura eX o ^k-
' Parc'x, oggi del linguaggio vivo, non deve essere molto antico; certo è
ignoto oltr'alpe. Tra le fonti con -a( anno paréx [65 ; 43 ; 01 ; 70, 64].
•' V. P. II. Esso si verifica specialmente nelle forme dell'articolo di
3* p.'* al, OH. A Lemie si ha frdm ; ma -et, ehtràt, eht.
144 Terracini,
piem. rustico ^; ci troviamo quindi dinanzi ad un esempio atto
a mostrarci quale sia la forza espansiva delle borgate centrali
nelle quali primamente nacque il fenomeno, quando esse non ab-
biano appoggio esteriore di sorta. Il passaggio à dapprima gua-
dagnato due forti serie: quella del suff. -àt, -ittu che si è estesa
senza eccezione ed è fissa, poi -àt {-eiet) 3^ p. sing. cong.; questa non
guadagnò Pr. Mrg. ^ ed anche nelle estreme frazioni opposte si
possono cogliere tra i vecchi le ultime tracce dello stadio antico ^.
Ma ben più arretrato è questo passaggio nelle altre voci, tra le
quali vogliamo studiare la piccola serie: drdt (diritto), /"/vr^ (freddo).
istrà't (stretto).
Mrg. Pr. Vili. Cori. Py. Pz.
Ì(suff. -at) : àt àt àt àt àt àt
(des. -at) : et et àt àt àt àt
l i àt i àt
ì ifraf) : s ^ {et) ài {et) àt (et) àt (et) ) - (et) àt (et)
f [ ^t " ^ ^ ' et ~
\ (ast) : est ai [ast) (tst ast est est
àt àt àt àt àt àt
II. III. et et àt àt àt àt
et àt {et} àt àt et at
est OS ast ast èst èst
^ II passaggio e "> à, fu in Piemonte soffocato da quello e > f a cui iini
per attenersi il dialetto della capitale, ma un tempo non gli mancò una
certa diffusione. Lo si trova ad Ormea, Sch.edel, 19; ve ne è traccia nel-
l'alto Monferrato, cfr. Gelindo p. 123 e vive certo ancora in qualche angolo
del Canavese. Un secolo e mezzo fa era del resto la pronunzia preferita
del volgo di Torino, cfr. Pipino, p. vi, e ancora nella Par. del Biondelli
(p. 505) si à vestigio nella forma pronom. chial. Ma a Uss., non certo una
serie anche oggi tanto resistente come quella di -at, avrebbe ceduto in
età COSI antica ad un influsso prettamente piemontese.
^ Come si e già visto al n. 7. Trattandosi di desinenza verbale, non mai
fortemente accentata, -et si distese però in -et.
^ Me ne offri sporadicamente qualche caso specialmente A.
11 parlare d'Usseglio 145
Nelle boigate centrali: Vili.. Cort., si à sempre itt, è molto
se et si consei-va presso i vecchissimi ^ e se altri ancora, meno
vecchi, anno traccia dell'alternanza: interno di frase: frét, finale:
fràt-, le tre parole procedono noi passaggio assolutamente con-
cordi, solo l'espressione: i'in drèf, (un pochino) oggi quasi inte-
ramente caduta in disuso ^ non partecipò più al movimento. Lo
stadio d'alternanza giunse ^ alle altre frazioni, ma mentre Pr., Pz.
seguitarono l'ulteriore sviluppo. Marg. e Py. non oltrepassarono
questo punto; anzi tornarono indietro, perché da metà della
2'^ gen. in giù si ebbe di nuovo: ét^ in ogni posizione. Per Marg.
si può pensare alla V. di Susa, ma ogni contatto di sorta può
venire escluso per l'isolato P}'.: queste due borgate anno invece
in comune il conservar meglio la alternanza di frase (v. sotto),
grazie alla quale, e certo in un punto indipendentemente dal-
l'altro, la tradizione di fret si mantenne viva e potè provocare
un livellamento. Mi mancano poi materiali ^ per decidere perché
il livellamento si sia fatto, contro ogni caso consimile, a favore
della forma interna; l'ipotesi più verosimile sarebbe che il Py.
avendo un èst (è) livellato contro àsf Vili., Cort. sia stato con-
' Pr. [65], Vili. [78] (M., ma in questa, al solito, potrebbe trattarsi d'una
tendenza innovativa; è questo certo il caso di Cortv. 64 (F)), Cortv. [90],
Py. [80], Pz. [18].
^ Nel senso di: "un pochino ,, e si noti che l'arresto è dovuto non a
fonetica di frase, ma realmente alla rarità dell'espressione.
^ Mrg. [70. 00, 60], Pr. [64], Vili. [63], Cortv. [70], Py. [70, 66, 68, 43, 42],
Pz. [27]. In finale e vibrato giunse ad d, all'interno di frase invece, e sotto
un accento piìi debole, prevalse il colorito palatale, cfr. l'alternanza an, (in
studiata al n. 18.
* Bisognerebbe forse tener presente anche un altro punto. Accanto ad «,
sempre leggermente aperto, s'ode una sua varietà assai pili nettamente
aperta: à, questa, rarissima nelle frazioni centrali, si fa invece abbondante
a Mrg. e Py. e notevole anche alle Pz. Data tale di.stribuzione, anche in
questo caso, pili che un resto di una generale tappa precedente,'^' rappresenta
Archivio glottol. ital., XVIII. 10
146 Terracini,
dotto, quando pili tardi venne meno anche qui il senso dell'alter-
nanza, a generalizzare et contro àt Vili. Cort. '.
21. Ancora più arretrato è il prevalere di àst (è) sopra le
altre forme <^est-. Nelle frazioni centrali est, dst in finale asso-
luta sono soltanto sporadicamente rappresentati nella 1* gen.
Prima ancora che fosse interamente compito questo movimento,
si indebolì in queste due borgate l'alternanza di frase : qui in-
fatti le forme di grado 0 ^, cioè col verbo addirittura taciuto,
sono delle rare eccezioni; alcune fonti di 2'\ 3"^ conservano poi
ancora un es{t) all'interno *; cioè esso, penetratovi dalla posizione
finale, si mutò in a più lentamente, come è ovvio. Ma la grande
maggioranza delle fonti à livellato completamente; pure trat-
tandosi di un verbo enclitico, fu la forma tonica quella che
trionfò; non bisogna infatti mai dimenticare che questo livel-
lamento non è in fondo che un episodio di quello dell'alter-
nanza 0 -est [ast); cioè che la forma finale non poteva essere
vinta da quella interna pel semplice fatto che questa, in gene-
un ^rado di adattamento imperfetto, particolare alle frnzioni che ricevettero
a dal centro. Imperfezione che pare una caratteristica del Py., dove infatti
abbiamo già constatato la presenza di un -«t n. 19; ora siffatta pronunzia
palatale può contribuire a mantenere nella frazione la tradizione del
vecchio e. Questo à e naturalmente più abbondante nella serie fràt, che
in quelle di -àt.
^ L'anello di congiunzione poteva essere fornito da parole foneticamente
vicine al verbo come spas (spesso).
^ Per l'origine e i vari rapporti delle forme di est tener presente
il § 1, n. 240.
^ Vili. [78], pili abbondante il Cortv. [90, 64], e poi, anche tra i gio-
vani, assai frequente [43, 51, 30, 22, 20], ma sempre soltanto dinanzi a
consonante; il che mostra che qui in fondo più che un'alternanza di frase
si tende a stabilire un'alternanza tra posizione prevocalica e preconsonan-
tica, come più decisamente à fatto la Pr.
* Al Vili, ve n'è ancor traccia, per quanto sporadica, in tutte le gene-
razioni, al Cortv. non ne ò invece che un esempio [65].
Il parlare d'Usseglio 147
ralo, non esisteva. Ast già livellato, tentò di propagarsi nelle
altre borgate ^ al tempo della 1* gen. in mezzo della quale
se n'ànno tracce a Pr., Py., Pz., e, cosa notevole, soltanto al-
l'interno di frase: cioè queste borgate, mentre in finale pote-
vano opporre il loro saldo èst, all'interno, cioè al grado 0, ac-
cettarono più facilmente l'innovazione. Ma prima alle Pz. e poi
al Py. venne pili tardi pure meno il senso d'alternanza e allora
il conservato èst passò all'interno.
La linea generale di questo livellamento trova la sua con-
ferma in molti particolari: la forma forte dinanzi a vocale fa
più rapidi progressi che dinanzi a consonante, la conservazione
di -st. richiamando quasi necessariamente una vocale : il tipo
ast ispuf, cioè in unione sintattica libera, è naturalmente in
avanzo su un tipo pili fisso come: u st alci; ancora: la forma
forte, che lascia intatto u st ala, tocca pili facilmente casi in cui
il verbo assuma una maggiore importanza, come: s n ast ala,
Il l ast ala.
Contro un simile movimento vennero inoltre ad incrociarsi
tendenze di tutt'altro genere che, ad es., conferiscono alla Pr,
una situazione tutta speciale^; due fonti di 1** ^ indicano chia-
ramente che dalle borgate centrali venne anche qui la comune
onda livellatrice; ma prima ancora era accaduto che alla Pr.
le forme con st {u, st, isi) fossero considerate essenzialmente
come ante vocaliche e quelle senza consonante {u, <e) come pre-
consonantiche o finali; in altri termini, la forma forte a\ cosi
rara altrove, qui, in finale, aveva completamente soppiantato
' Forme di ast all'interno di frase anno sporadicamente Py. [70, 43, 42],
Pz. [78, 6^6], Pr. [65].
'^ Situazione-phe nel suo complesso si ripete al Mrg., colla sola differenza
che qui, tra i giovani est fa di nuovo irruzione, e, come la vocale mostra,
probabilmente dalla V. di Susa.
' Pr. [65, 64].
148 • Terracini,
(•st e su di essa (7.^^ non riuscì a l'ar breccia; in fondo, tale
stato conservativo non è che apparente, infatti non mancano
neppure qui dei tentativi di livellamento a prò' della forma forte,
ma rimasti pili arretrati del consueto perché si tratta di forma
estranea alle parti del paese che sogliono essere più produttive
ed anche perché questa forma vi si prestava poco : comunque
sia, <r, (od e) compare talvolta all'interno ^ Dinanzi a vocale
potè qui aver quindi particolare fortuna il tipo forte, interno
ist, che infatti non solo si conservò con non ordinaria tenacia,
ma passò talvolta in posizione debole, e, persino, trasformato
debitamente in i, può precedere una consonante. Questo i, a sua
volta, accettato da alcuni soggetti di 2*^-3'' al Vili, fu poi da
individui di 3^ esteso anche in finale, sul modello della forma,
pieponderante nella borgata, asf, comune ad ogni posizione 2.
Questo il quadro delle molteplici tendenze che s'incrociano, e
mutano a loro agio la 3^ p. del verbo 'essere'; quadro minuto,
ma ben lontano dall'esser completo ^, p. e., in quest'esposizione
s'intravvede appena l'importanza che à anche qui la distri-
buzione geografica dei fatti. La conservazione di i, che poteva
aver luogo in qualunque punto, si riscontra solo al Vili., cioè è
connessa topograficamente con quella di isf della Pr. È inoltre
probabile che la grande fortuna di àst all'interno di frase
^ Pr. [65, 47], Mrg. [66, 60]. Nelle altre frazioni e, il quale sarà piuttosto
e [st], è una vera eccezione.
^ Cioè in I e nel figlio L e in due altri figli più giovani [17, 12]; un altro
filone presenta la famiglia di M, congiunta di questa: in M .-stessa e meglio
nel figlio [40] ; se n'ànno però naturalmente tracce anche in altri indi-
vidui [43, 30]. Alla Pr., Mrg. si ha dunque : X isf ala, ist ispùs, u i i "■i» ^1
al Vili, anche : ìi X i (c'è).
^ Fu tralasciato, p. es., di studiare le forme in unione al pron. neutro 0
femminile. Non fu neppur possibile porre la questione se alla conservazione
0 ristorazione di est alle Pz. abbia direttamente contribuito la forma ana-
loga di Lemie.
4
Il parlare d'Usseglio 149
sia in parte dovuta ad opposizione contro l'unica forma (e, est)
del piemontese e dei paesi finitimi.
22. Di qualche poco pili giovani, pili lenti e nel loro com-
plesso isolati od almeno più avanzati che nei paesi confinanti
sono i processi che tendono a semplificare i dittonghi discendenti.
J5V- >> «- : [peirà'l'^ pilrà'l): v. § 1, n. 104:. Questo passaggio
presenta quattro gradi : ei^, ei, n e, in condizioni nettamente
subordinate a quest'ultimo, /* od i. Nella massa delle fonti, per
quanto con grandissime oscillazioni, si possono seguire crono-
logicamente le fasi del passaggio. La 3^ gen. à i/ ormai com-
piutamente, ei non compare per solito che in individui di 1",
sebbene l'insieme di questa ceda già più o meno largamente
ad u le cui tracce possono persino riscontrarsi in una donna
di [8o]. Frammezzo a queste due, meno omogenea e più scarsa
dell'una e dell'altra, sta la generazione che à per grado pre-
valente: ei'^. Si tratta dunque di un processo assimilativo che
in complesso si è compiuto lentamente e per gradi successivi,
il che non impedisce che ora ad alcuni individui sia possibile
il passare senz'altro da un estremo all'altro. Questo passaggio
tocca un complesso di parole numeroso ma assai eterogeneo,
da qualunque punto di vista lo si consideri. Variano le condi-
zioni puramente fonetiche: l'accento, la natura delle consonanti
vicine e delle vocali toniche; nei verbi, data la loro posizione
subordinata nella frase, ci si aspetterebbe un acceleramento
dell'assimilazione, tuttavia proprio nei verbi altre forme possono
aver provocato un livellamento ritardatore; ma essenzialmente
' Tra le fonti oscillanti di cui ò più materiale (24), 14 conservano una
traccia almeno di ei, 16 anno già almeno qualche caso di ti, 17 di ?(:
in 8 prevale et, in 10 ii, in 3 e(; la pili vecchia di queste fonti è di [80],
le altre sono in gran maggioranza superiori a [50], si giunge però sino
a [27].
150 Terracini,
abbondano lo parole isolate e fanno difetto serie, sia pnr brevi,
di nna qualche consistenza. A queste condizioni coriisponde un
grande oscillare di risultati in cui pure si può fissare qualche
punto interessante. L'assimilazione in qualche caso è stata
aiutata da circostanze particolarmente favorevoli : accanto e pa-
rallelamente ad ei ed gi, esiste un grado ci che pare preferire
la sede semiprotonica ^; cioè la brevissima vocale, venendo ad
essere toccata da un leggero accento, si turba, e questo turba-
mento deve facilitare il suo passaggio ad iù Una tale ipotesi si
appoggia sul fatto che in alcune fonti si à veramente ancora
un'alternanza per cui la semiprotonica si trova ad essere un
grado più avanzata dell'atona ^ e su casi, come quello di M., la
quale possedendo d, accetta, pare per diretta sostituzione, YU
dei più giovani, in esempì di semiprotonica ^. La velocità dell'ar-
ticolazione conta pure per qualche cosa: tutti, anche i più vecchi,
anno in un pronome, cioè in atonia di frase, seV isi (questi);
solo da M. potei ancora fuggevolmente cogliere l'antico seL
Abbastanza bene si delinea l'influenza acceleratrice di un 5, 0
forse più esattamente, del frequente gruppo ijs, che porta con
sé assai facilmente la scomparsa della semiconsonante *. S'in-
^ ei può naturalmente in qualche individuo trovarsi anche in sede com-
pletamente atona-
- ei in undici casi compare in semiprotonica. in cinque no. Le tracce di
alternanza sono di questo tipo : peirucl, peirulà't [60], 0 pHróel, piii'ulà't [73],
ciò non esclude naturalmente che non si possa trovare anche l'inversa.
^ Ecco una lista d'esempi dati da M: ffi/óel ("2 volte), mrisunà', ffifóel,
piii'ulà't (2 volte), miisunerl.
■* Questo gruppo ricorre in numerosi vei'bi : fiisù, Ui^sa, biisà, miisunà,
inoltre fiisinà', fiislà', nii\suneri. La riduzione ad i era poi quasi fatale
per questo più che per ogni altro gruppo, perché la posizione della lingua
per i è approssimativamente la stessa che per s e quindi, essendo invece X
articolato un po' pili avanti, coll'abolirlo si evita un lavoro di rapida an-
data e ritorno.
Il parlare d'Usseglio 151
travvede a mala pena una certa frequenza del grado avanzato
in piiriel, fiif<vl\ per ciò che mi dice il mio materiale, un po'
scarso su questo punto, eifil (aceto) ^ non mostra un'ugual ten-
tenza; si dovrebbe quindi conchiudere che, se qui la chiusura
dipende, come sembra, dal color della tonica, essa prevale in
piiròcl fiifà'l perché sono parole pili frequenti e unite come in una
piccola serie. La tendenza conservatrice di un gruppo isolato
si vede in leità, presso taluni in forte ritardo, dove però può aver
aiutato lait; e meglio in eiminà' che, nonostante la sede semi-
protonica, secondato anche dal suo carattere arcaico, riesce a sal-
varsi sino tra i più giovani. Notevoli infine tre fonti di 2*.
nelle quali, certo isolatamente l'una dall'altra, l'oscillare della
l'' gen. provocò un movimento regressivo, per cui esse s'atten-
gono con molta coerenza ad un chiarissimo ei '■
23. Un processo assimilativo, in sede prettamente tonica co-
mincia a delinearsi pel dittongo a vocale piuttosto breve v. § 1.
n. 133. -éj-. che tra molti giovani suona già chiaramente -e/-.
24. Un processo profondamente diverso presenta la caduta
della semiconsonante nel nesso -óint-^ -ònt- (gointa, koint); oi
non è più dato che da alcuni vecchi e da pochi soggetti della
2* gen., tra i quali ricorre pure il grado intermedio o*; la sem-
plificazione ebbe il suo primo centro al Cortv.,Vill. donde si
irradiò subito alla Pr., più lenta invece fu nelle altre borgate ^.
Ora nel centro, da tutte le fonti, conservino o no il dittongo,
' A parte le fonti che anno n, tra le altre, in un solo caso su cinque si
à iif il [52]; èiinina, o simili, ò da [47, 63, 30, .5-3 73]. che altrimenti non
anno più che ii^.
' [45, 45, 43].
^ Mentre al Py. si à ai in un individuo di [43] e alle Fz. di [46], al
Cortv. non l'ò che da [90] alla Pr. [80] ; la fonte F [64] del Cortv. accanto
alla forma addirittura piemontese kioit mi diede una volta spontanea-
mente koint.
152 TtM-raciiii,
raccolsi in grande riiaggioranza un d ili spiccata lungliezza,
nelle frazioni estreme questi casi son di gran lunga pili rari ^
Mfg.
Pr.
V
ili. Cori.
Py. Pz.
I.
oi (o)
6 [oi]
Ò {()Ì)
oi io'', 0
II.
0
ò
ò
0 0*
III.
ò
—
ò
Questa lunghezza non può essere un " allungamento di com-
penso „ che si sia poi esteso alla generazione conservatrice; al
contrario : una cosi tarda conservazione del dittongo discendente,
che è contro la tendenza di questi paesi -. presuppone già di
per sé una vocale lunga, la quale poi a sua volta condusse
questo nesso, pili degli altri a ciò favorevole ^, alla caduta della
semiconsonante. Da ciò si deve dedurre che le borgate estreme,
dove manca la vocale lunga, e nel mantenimento del dittongo
e nel rigetto della semivocale, almeno per qualche parte, non
fecero che uniformarsi alle borgate centrali ; diffatti, proprio in
una di esse, alle Pz., due fonti mostrano, sia pur facilitato dalla
vicinanza d'una prepalatale, (jonda, cioè un isolato tentativo di
semplificare il dittongo secondo una delle vie che gli sono na-
turali, quando la vocale non sia estremamente lunga.
25. Questo passaggio è appunto notevole perché segnala un
movimento nella lunghezza delle toniche di cui non è agevole
cogliere altre tracce esteriori. 0 però netta l'impressione che,
* Alla Pr. Vili. Cortv. ebbi sempre la lunga in una ventina di esempi,
tranne due casi. Nelle altre frazioni, su una quarantina di esempi, non
furono notate che mezza dozzina di lunghe indifferentemente o od oi.
~ Si ha «i a Lemie e Chianoc, e ì<i> ii a Mocchie, dove, v. P. If, agi-
scono le stesse cause che a Usseglio.
^ Cfr. § 1 n. .58 fiènta (santa\ parola isolata che cedette ancor prima della
nostra serie.
Il parlare d'Usseglio 153
conformemente a ciò clie mostra la storia di ui. la lunghezza
e, pili in generale, la complessiva energia della tonica ^ si fa
assai più sensibile nelle generazioni nuove, soprattutto al centro
del villaggio. A conferma di quest'asserzione valgano alcuni
indizi secondari: p. e., la gradazione: Pr. |80l ki ke i è?, Pr. [20]
ki kehe? Cortv. [23] ki kei^ii? (chi c'è?). All'incremento della to-
nica corrisponde naturalmente un attutirsi della postonica ; si ìt
qui a che fare con un procedimento di vecchia data ^, ma che in
alcuni casi va accentuandosi: cosi: vespu (sera) di fronte a vespe
è diventato una rarissima forma arcaica ^ e nelle gen. 2" e 3''
nfjste prevale di gran lunga a nOstu. Cosi pure è più facile con-
statare tra i giovani il fatto che l'accentuazione vibrata di una
tonica, come suol avvenire sulle brevi ^, oscuri la postonica
finale: rnndul" (rondini), lmùsc^\ (le mosche!). Ed è quest'in-
cremento d'energia l'innovazione più importante e più vitale
che si stia ora svolgendo nel seno della parlata, innovazione,
non certo d'origine locale, v. P. II, dalla quale in qualche mi-
sura prendono origine, spinta e direzione molti dei mutamenti
avvenuti in etk antica o recente : la semplificazione dei dittonghi
ascendenti, l'aiticolazione vibrata e il tui-bamento delle vocali
nasali brevi, la soppressione di altre vocali toniche turbate e
' Uso apposta questa espressione generica perché tale energia, se è facile
a cogliersi, è difficile, come ognun sa, ad essere rettamente analizzata.
^ Tra i vecchi qualche volta si ode -a^-^ [ramàxe) \^Qx -à^i e si à probabil-
mente a che fare con l'ultima eco di un fenomeno della V. di Susa (v. P. II,
dove anche si vedr-à come si debba a fattori puramente estrinseci la con-
servazione della vocale piena a Uss.); ma oggi, in tutte le generazioni s'à
di nuovo, sotto accento di frase: -'^s*. Cosi pure: be.^fi e sir\ ecc.
' L'ò, accanto alla nuova forma, p. es. da A, ed è la forma pili antica
in questa regione; vostre è già attestato dalla Par. (19).
* Nei proparossitoni e nei parossitoni, quando sono pronunziati con into-
nazione esclamativa.
1-^4 Terracini,
forse, in qualche parte, sin la stessa progressione delFaccento
e l'irrompere di forme forti all'interno della frase ^
IV.
Considero a parte i passaggi : / >> A, f? > h non solo perché,
essendo ristretti ad una sola borgata, si prestano assai bene per
uno studio di dettaglio, ma anche peiché si avrà Foccasione,
ormai unica ad Uss., di esaminare la storia di due suoni ignoti al
sistema piemontese; ed occorre vedere se questa circostanza
influisca sul loro destino e se, e come si provveda alla loro so-
stituzione. Come complemento ci porremo quindi, sebbene anche
in questo caso si giunga troppo tardi, la questione inversa: si
cercherà in qual modo vengano accettati o sostituiti i suoni
piemontesi estranei alla parlata locale.
26. Piazzette: />> A -, v. § 1, n. 139. Per la ?>^ gen. il passaggio
può dirsi un fatto compiuto, le altre due generazioni ci serbano
invece, nella grande varietà delle testimonianze, una traccia
delle sue tappe. A, la fonte più arcaizzante, possiede, nella gran
maggioranza dei casi, ancora /, ma scivola piuttosto facilmente
nell'/i, quando si tratti di forme pronominali di qualunque ge-
nere ed anche le altre fonti che posseggono ancora /, non lo
conservano mai nel pronome. Il Gauchat a Charmey à pure
notato qualche cosa di simile^ e l'à attribuito alla grande fre-
* Per la cronologia di tale irruzione valga quanto si è detto § 1, n. 237 sgg.
e in tutta questa App. 1. Collegando i dati dei nn. 16, 18, 20, 21, risulta
che, di tutte le borgate, il P.y. è quella che conservò più a lungo l'antica
alternanza.
. ^ Qui la somma delle fonti rappresenta circa il 15 " ^ dei i)arlanti,
ipi > ihi (qui), ramapi > ramahi, ecc.
^ Gauchat, 209. Lo stesso appunto fu già mosso dallo Hkuzog. ZFrSL,
XXXIII2, 28.
Il parlare d'Usseglio 155
quenza delle forme pronominali che le rende particolarmente
atte ad accogliere per prime il suono innovatore. Non va tut-
tavia dimenticato che il passaggio p^li consiste in un inde-
bolimento dell'articolazione e che questo, di necessità, deve
dapprima toccare forme le quali, come il pronome, stanno preva-
lentemente all'inteino di frase. Infatti immediatamente dopo il
pronome, vengono le forme verbali: anche qui A presenta ìi un
numero di volte molto più alto che in altri casi ^ e le fonti che
ancor conoscono/ non lo anno nel verbo. Nei sostantivi, astraendo
per ora dalla finale di parola, / mi fu ancora dato da individui
di [4G, 36]; nella vai'ietà delle risposte risulta senz'altro che,
in sede intervocalica il colore delle vocali è indifferente; dopo
consonante la cosa è più complicata: all'interno non si presen-
tano che r, n, il la cui articolazione equivale ad una vocale, nel
senso che favorisce piuttosto ìi che/; all'iniziale, quando nel con-
gegno della frase venga ad essere sostenuto da una dentale,
esso riesce a reggersi più a lungo ^; se si vogliono poi esaurire
tutti i mezzi consueti di classificazione, dalla massa degli esempì
risulterebbe che 1\ in protonia. prevale leggermente ^. In con-
^ Su 25 sostantivi, A diede due h, quattro invece su otto verbi.
- Quindi: rf' piid^i o equivalenti fu dato da [78, 73, 73, 66, 46, 43, 39, 37. 27].
^ Per quanto per le consonanti solitamente non vi si ricorra, ò tentato
qui sommariamente questa distinzione perché in questo caso mi sembra
risultare con particolare evidenza come, in generale, l'incerto oscillare di
un suono non trovi spiegazioni sufficienti in una pili minuta classificazione
fonetica, secondo il metodo consueto, o come almeno c^uesta debba essere
subordinata a fattori di ben maggiore importanza. P. es. come mai una
serie numerosa come quella in -a^i, potrebbe essere studiata alla stessa
stregua dei due solitari: ngpe, krgfii o deìV unico duf>il (le altre vocali non
ricorrono mai come toniche). Parimente sono certo pili o meno omogenee
e meglio paragonabili: caupe, faitpi, marpi con pànpi che questo col suf-
fisso -enpi, suffisso recentissimo, e cosi via. Per queste considerazioni, credo
che la perfetta equivalenza dei risultati forniti nei vari casi dal mio ma-
156 Terracini,
clusione, ìi penetra sopra tutto là dove la posizione nella frase
facilita la debolezza dell'articolazione; da questo risultato pren-
dono dunque singoiar valore alcuni casi d'alternanza che si
possono cogliere qua e là: na bela canpùn ma: la canhun iki^;
la capi, ma: la cahi du camup. Meritano poi d'essere rilevati
alcuni tiatti particolari e secondari di questa penetrazione: ad
eccezione di A, si à sempre 1ùnk e liènt\ cioè il tipo più co-
mune, trattandosi di numeri: hènt lire riuscì a produrre: i seti
hèìit e apri cosi una via all'intacco di p sotto accento di frase.
Abbastanza chiara si delinea la maggior resistenza di -api,
uscita assai ricca, che in molti casi acquista il valore di un vero
e proprio suffisso. Un soggetto di [73] presenta una maggior
resistenza all'iniziale di parola, egli avrebbe dunque per conto
suo, generalizzato la condizione, che per le vicende della fone-
tica sintattica, contradistinguo questa sede ^
Le condizioni alla finale di parohx permettono di mostrare
ancor meglio qual sorta di lavorio disparato richieda il con-
guagliamento di una serie. Qui h è in ritardo: gli esempi di /»
lungo la scala di tutte le età sono pili fitti e si riscontrano sino
in un individuo di |27l, nessuna differenza notevole risultando
teriale, risponda al vero, sebbene, per inevitabili ragioni d'ordine pratico,
sia stato costretto, su questo punto particolare, a- condurre l'inchiesta in
modo art'atto sommario: non più di tre o quattro casi di / intervocalico per
ciascuna delle 8 fonti [78, 76, 73, 73, '^6, 66, 62, 50] che possiedono an-
cora /. Notevole soltanto il cahhi'in di [73, 73, 66, 66], contro canpnh di
[78, 50]. Meglio varrà qualche osservazione individuale: mentre, tranneché
in A [78], / è sempre in minoranza su h ; da [66] non ò che due casi
di //, una sua coetanea per contro non à più che un p. Date queste condi-
zioni, la fonte di [50] che ne à due, può ritenersi un caso assai in arre-
trato sulla sua generazione.
^ Quanto ad -<///, [72, 66, 46, 36] non conservano p che con questa ter-
minazione. Per l'iniziale, il [73] contro cahhnn. ohIió, cahó'ii, coiihe', rumapi
capi, diede: pindra, pop, pn-kui', pokii.
Il parhire d'Usseglio 157
dalla natura del suono precedente. Dimùrp offre poi il massimo
di tenacità e nella serie delle mie fonti da [78 a 27) anni, s'à
un solo dimarli ^ Ora, essendo h un indebolimento di /, stupisce
che p resista pili a lungo proprio nella posizione che è pili favo-
revole al rilassamento, rilassamento che pure in questi luoghi
non manca, in altre circostanze, di agire, v. § 1, n. 201 sgg.
Occorre anzitutto notare che, v. § 1, n. 201 sgg., le consonanti finali
«rano in gran parte cadute, e furono rifatte sul piemontese, nel
nostro caso, l'estensione della proporzione a per/f^/ (pertugio) è
di ciò la prova diretta; quindi il maggior numero di questi /
è secondario; questa ristaurazione avvenne quando il suono /
era talmente saldo che poteva essere sentita una corrispondenza
piem. .s- = Uss. p. Tale rinnovata coscienza del rapporto s ^p
à certo contribuito a ritardare l'avvento di h in finale, ma
anche altre cause isolate l'anno non meno di certo, procrastinato.
Il caso vuole che si tratti quasi esclusivamente o di parole
monosillabiche'^ nelle quali l'indebolimento costituisce pel corpo
della parola una perdita troppo grave o di una terminazione
come -àp di cui ci è nota la tendenza conservatrice; quanto a
, dimàrp (martedì), è una parola ideologicamente ed anche fone-
ticamente isolata ^, che può quindi trovarsi arretrata come già
lo fu probabilmente in epoca più antica : può difatti darsi che
dimàrp sia una delle poche parole in cui la consonante finale
- * Tra le fonti che anno / in finale, duP, o pufi furono date da [78, 76,
73, 66, 50, 36, 27], duJt, ecc. da [66, 39, 37j, [43] oscilla ; grap, brap, ma-
tarap da [78, 73, 66, 62, 43, 36], -h da [66, 50, 46, 39, 32, 27], desciiup da
178, 66, 43, 29], -h [50, 50, 46, 39, 27], oscilla [66].
' Ditp, pìip, marp, faup, pep, brap, yicip, ecc.
^ Contribuì a questa conservazione anche la presenza di r? [<)6, 50] anno,
contro /( che loro è consueto, marp (marcio), mi mancano però altri esempì;
del resto (v. P. II) questa parola dev'essere un acquisto relativamente
recente.
158 Terracini,
non cadde mai ; certo sarebbe almeno difficile, in mancanza di
un modello piemontese, dire donde potè prodursi la ristaurazione ;
un ritardo di questo genere è poi assicurato per pep (petto), pa-
rola assolutamente isolata.
266. Piazzette ct^li^. li suono parallelo ctk nel suo complesso
un destino assai diverso, come è naturale, comparendo esso in
serie di parole assai disgregate e scarse. Di tutti e due i suoni
cui l'interdentale può e suol ridursi : h e d, si riscontra qualche
traccia. Quattro fonti infatti, in maggioranza della 2^ gen., pre-
sentano una varietà di et in cui l'articolazione caratteristica è
più 0 meno indebolita sino a ridursi alla semplice espirazione:
questo indebolimento, come il precedente, è nato dapprima in
serie verbali -. Tre fonti invece presentano '^ct o addirittura d,
senza che sia possibile distinguere in quale serie si sia dapprima
introdotto questo suono ^. In complesso si può dire che la poca
coerenza delle parole in cui occorre d agi da elemento ritarda-
tore in tutte le generazioni.
Il passaggio p > h Q m ritardo su quello analogo di Momp.
e di Lemie; la concordanza di certi dettagli^ non basta natu-
ralmente ad escludere che la contiguità geografica, rafforzata,
^ muffe >• muhe (mungere), diicTe >■ duhe.
'^ [73, 66. 39, 37, 20] dei quattro primi, tutti anno muhéi (munge), ma solo
due h in sostantivi ; per l'ultimo che possiede già J, h rappresenta un
grado arcaico, v. sotto.
^ [50, 43, 32] tutte queste fonti anno sempre ditcteina, pur avendo d in
altri sostantivi, v. sotto.
' A Lemie, p. e., un vecchio di [80] ed una vecchia sulla settantina, su
una lunghissima serie di esempì, non diedero p che in finale; p all'interno
vive meglio in una vecchia appartenente ad una piccola borgata assai ap-
partata. A " Utàn , (fr. di Mocchie) un uomo sulla trentina oscilla all'in-
terno ed à /» in finale. Momp. à sempre h, e mancanza completa di con-
sonante in finale.
Il parlare d'Usseglio 159
per Lemie, da particolare intimità di rapporti ^ non celi un la-
vorio in qualche parte indigeno. Quanto r. et > li, lo stato dei
paesi vicini ci dice che h e un indebolimento secondario di (?,
sporadico e limitatissimo, che si verifica nei paesi ove et non giunse
ancora a d^; ora alle Piazz., anche nel numero esiguo di esempi
raccolti, si vede che ìi è pili diffuso ed antico di d e allora non
resta se non concludere che d fu dalla 2'^ gen. direttamente im-
p >rtato da Lemie; h poi, essendogli da molto tempo preclusa
la via naturale della V. di Susa, sembra ^ di origine o almeno
di sviluppo, locale.
26c. In epoca pili recente avvenne che, per varie tappe, et, [j, h
cominciassero ad essere sostituite da s e / piemontesi ; sostitu-
zione assai facile, perché la parlata possedeva già questi suoni ;
la spinta più forte è dovuta, come mostrano molti dett.agli del
procedimento e casi analoghi di altri paesi, v. P. II, al desiderio
di abbandonare un suono di troppo rustico sapore; ma inoltre
s e y rappresentano rispetto a et e p una sorta d'indebolimento,
si che qui il piemontese in parte modificò pili che non promosse
una più antica tendenza locale ^, e di ciò per et si noteranno,
^ È proprio mentre lo interrogavo su una lista di p, che [66] ebbe occa-
sione di dirmi come in molte famiglie delle Piazzette il linguaggio non sia
più " puro „ per via che la madre è di Lemie.
- Si vedrà nella P. II come nel sottile territorio a cavaliere tra le valli
della Stura e della Dora che ancor conosce questa interdentale, i centri
maggiori : Mompantero e Lemie anno completamente d, nei punti estremi
Mompellato, Venaus, rimane et, come pui-e p. es. a Utuh, borgata posta
rispetto a Mocchie come le Pz. rispetto a Uss. Nel territorio di et si anno
sempre esempì isolati di /;.
' Sembra, perché noi non sappiamo se cotale h non sia l'eco di un'an-
teriore fase lemiese, sopraffatta poi da quella del et.
* Non a Uss., ma altrove v'è traccia che vi fu esitazione quanto al suono
cui si doveva assimilare (f ; le altre due valli della Stura pur avendo gene-
ralmente ^ presentano in molti punti: >nalegu, '^ mélèze ^, v. P. II.
160 Terracini,
anzi, alcune prove dirette; p e et vanno scomparendo assai pili
facilmente di h (il pi-imo è anzi un suono ormai arcaico), l'uno e
l'altro sono infatti appoggiati a serie assai meno ricche e assai
pili di h sono prossimi ai suoni assimilatori. Per e? sin dalle fonti
più vecchie, raccolsi casi di / nei veibi : muféi (munge) ìtmfijt,
cioè nella posizione più favorevole ad un indebolimento^; alla
stessa ragione si deve la precoce apparizione di dilunf in finale;
quanto ai sostantivi, gli esempi da me scelti erano ducteina,
màncTi, sunoti (sugna); nel primo, sostenuto da diicte, trècte, ecc. — le
sole voci con et che costituiscano una serie un po' forte, anche per
la mancanza di una diretta corrispondenza in piemontese — la re-
sistenza è m.issima, gli altri sin dalla P gen. presentano qualche
oscillazione, specialmente l'ultimo, il quale in queste valli è
assai indebolito dalla concorrenza di graisi -. Quanto a / e h,
mentre h nel maggior numero dei casi fa proporzione con s e
quindi non gli cede, /, per le ragioni già dette, si lascia scal-
zare da s. Accade cosi che il linguaggio, per solito purissimo di A,
accolga s soltanto però in forme pronominali: se, snn perché nei
pronomi, oscillando egli tra / e h, il suo / si trova ad essere
meno forte del consueto. Nei restanti individui le parole paion
cedere isolatamente: p. es. mataras, voce recente, in una fonte
€he conserva benissimo h, Camus (camoscio) giunge sino alla
1^ gen. ^; naturalmente poi si ode spesso: t smle. Di qui al resto
del villaggio vi è un grandissimo salto; la Par. non mostra più
che isci: una forma pronominale fu dunque l'ultima a cedere ed
* Se anno già [78, 73], per quanto et resista sino presso [36]. Diluncf ò
soltanto da [6'6"].
- Ducteina si mantiene sino in un individuo di [27] con una sola eccezione;
màhfi ò già da [66], suhfi da [39]. In complesso adunque quasi tutta la
B'^. gen. non conosce che /.
' Carnap [66], Camus [73, 43, 89, 27]. e però voce di caccia e di commercio
che certo occorre soprattutto nelle conversazioni con piemontesi.
Il parlare d'Usseglio 161
infatti fuori delle Piazz, non trovai traccia di /*, che in qualche
forma pronominale, sfuggita a due vecchi del limitrofo Piane ^
27. Il suono piemontese -n- (interv, postonico) è ignoto a Uss.,
io si poteva però adottare facilmente, esistendo in finale di pa-
rola un -n faucale che, specialmente dopo una vocale palatale,
presenta un'occlusione abbastanza stretta. Per ora tutte le serie:
-ana, -eina, -una fanno opposizione a quelle piemontesi; su
-ina invece si esercita il primo sforzo del nuovo suono, e la cosa
si capisce facilmente : questa desinenza in Piemonte è abbastanza
ricca e produttiva, nei dialetti montanini, come suffisso, non
ricorre, si può dire, che in parole recenti -. Un tempo, aveva
luogo naturalmente la sostituzione, e questa è ancora comple-
tamente osservata in alcuni antichi esempì: s'uia, ramina, ma
essa vien rapidamente meno quando si tratti di voci, non tanto
^ Par. Isci (30). Il Salvioni SVS 97, insieme a casi analoghi di V. Soana,
<ìi Vili e d'altri luoghi del Piemonte, vi vede la traccia di s, grado ante-
riore dell'intei-dentale: ciò può essere giusto per qualche paese; per Viii
€ per Usseglio si tratta però forse di ben altro. Usseglio à anche eisce (27)
<avesse\ Vili vistiscielo (2-3), ultimo vestigio di quel s che, spesso nulla avendo
a. che fare cogli esiti di ti, ci, è tanto diffuso in molta parte del fi-anco-
provenzale. Ora nel comune di Mocchie, mentre alcune borgate appartate
■anno p < ti. e j, il centro à s < s, ti , ci, e certo cronologicamente poste-
riore a p; qui insomma preesistendo la corrispondenza *==piem. s (s), a />
•si sostituì s, suono raen rustico perché in qualche parola dotta non comple-
tamente ignoto al pieni, (cfr. p. es. Par. arsuscità (22) Asti, Lanzo, Corio):
ora naturalmente a s va sottentrando s. E dunque il caso di domandarci se
le due forme solitarie della Par. non attestino anche per Usg, una tendenza
■di questo genere. È certo strano che, mentre ci risulta che un'ottantina d'anni
fa, alle Pz., fraz. conservativa, si era già discesi a h, al centro, pochissimi
anni prima, esistesse ancora ,s, e soprattutto nel pronome, che abbiam visto
come soglia per solito precorrere le altre parole ben decisamente. Mentre
invece è perfettamente naturale che il suono s abbia trovato il suo ultimo
rifugio contro un suono straniero e nel pronome e in una forma del verbo
«ssere.
- V. § 1, n. 2.30 e P. 11.
Archivio glottol. ital., XVIII. Il
162 . Terracini,
recenti, quanto estranee, in fondo, al vocabolario corrente: cosi
farcidìna prende n quasi soltanto presso i vecchi ^ ; kaplina e
inantlina sono generali ; si tratta del resto di due oggetti non
usati nel paese e qui l'assunzione del suono straniero è certo
più che in ogni altro caso cosciente e muove dal medesimo sen-
timento per cui certe parole straniere sono assunte in italiano
senza modificazione alcuna; qui la cosa però à più gravi con-
seguenze perché porterà fra non molto all'estinzione dell'antico
suono.
28. È tanto vero che -ina. come suffisso, mancava nel paese
di un'adeguata corrispondenza, che esso fu assunto senza pro-
gressione d'accento anche nelle più vecchie generazioni'"^. La pro-
gressione è invece per ora vitale in tutti gli altri casi tranne che
per -età (itta); l'antica forma di suffisso a progressione di tipo
viultà' non è, né doveva essere molto produttiva v. P. II ; tut-
tavia alcuni neologismi ebbero una certa tendenza ad essere as-
similati, come fan fede doppioni quali: furkèta, furketa, servièta^
se >• vieta' \ altri invece si mantengono intatti; la presenza di kareta
p. es. sino nelle fonti più arcaiche proverebbe che, anche in questo
caso, la mancanza di progressione è dovuta, nonché all'età re-
cente, all'aspetto straniero del suffisso. Questo suffisso presentava
due articolazioni ormai inusitate alla parlata: e e la consonante
lunga; ma, a poco a poco, il paese le à, si può dire, imparate,
cioè à sempre meglio cercato di imitarle; tuttavia la lunga^
in alcuni vecchi è poco sensibile ^\ la vocale poi è sempre breve,
ora chiusa, ora aperta, ma tranne che tra i giovani, non pos-
^ Nella P gen.
-' La mancata progressione di -imi come suffisso, è di grandissima esten-
sione, V. P. II.
^ Questo stadio conservano invece tebi, piem. ubi tiepido ; nebifi (nebbia).
perchè ben entrati ormai nell'uso del paese.
Il parlare d'Usseglio 168
siede ancora l'articolazione vibrata ed il colore neutro che sono
proprii del suono piemontese.
YK
Da ciascuno degli esempi che siamo venuti studiando risulta
assai chiara l'importanza che à il breve volgere di una gene-
razione nel destino di una qualsiasi innovazione; ma, men facile
assai è il determinare quale sia l'azione e l'importanza relativa
di ciascuna di esse. Se per azione s'intende la capacità a inno-
vare e se per .segno di questa si assume lo stadio di oscillazione
tra due forme, quasi ogni attività risulta concentrata nelle due
generazioni pili vecchie le quali ne rappresentano due gradi suc-
cèssivi. L'attività della 2^ gen. appare tuttavia alquanto mag-
giore perché essa assomma alle sue proprie innovazioni la
elaborazione di quelle ereditate dalla 1=* che non sono ancora
pervenute allo stato d'equilibrio. Il grande lavoro innovativo
i della 2"" gen. risulta poi indirettamente da un altro fatto: ven-
gono ad essere assai numerosi nella P generazione i casi di
reazione e di adattamento imperfetto ; essi sono il segno certo
che, verificatosi un fatto nuovo in uno strato medio della popo-
lazione, esso non solo discende tra i pili giovani, ma viene anche
adottato dagli strati più anziani; qui però la novità trovandosi
di fronte, come tra i pili giovani non accade, ad un fatto pre-
cedente, à minor presa, poco o nessun ulteriore svolgimento
e sovente è accettata solo in grazia ad un adattamento, quando
' Per questo riassunto, di tutta la vasta letteratura dell'argomento, dallo
Schuchardt fino al Vossler, non si citeranno per solito che le considerazioni
del Gauchat e dei suoi critici, le quali anno punti di contatto più diretto
con questo lavoro.
164 Terracini.
il SUO influsso non si risolva in una semplice reazione ^ La
3^* gen. invece, almeno nei suoi elementi più giovani, non in-
troduce nulla di nuovo. Ad essa la forza dell'educazione e la
mancanza di un sostrato linguistico proprio, che faccia da ele-
mento oppositore, conferiscono il semplice compito di accogliere,
ed eventualmente di propagare e di livellare le novità, nate
nella generazione precedente ^.
È poi inutile notare come la divisione per generazioni non
sia che un semplice espediente pratico e quanti ritardi od ac-
celeramenti inopinati subisca ogni passaggio da individuo a in-
dividuo. Certo ve ne sono alcuni ^ che in complesso si manten-
gono decisamente in avanzo o in ritardo sui loro coetanei ; ma
ciò è ben lontano dal far presupporre che, in ogni caso, l'at-
teggiamento di ciascun parlante debba essere sempre il mede-
simo. Cosicché accade che le fonti più arcaiche si possano tro-
vare all'avanguardia della loro generazione o che, negli individui
più propensi a innovare, sì mantengano alcuni arcaismi, con
singolare tenacia ■*.
' Per innovazioni accolte direttamente dalle più vecchie gen. non occorre
dare esempi; per innovazioni che invece vi provocarono un adattamento im-
perfetto 0 una reazione, v. n. 8 (5^ p. in -et), 15 (p^uvóit?), 18 (òn), 19 {-ai
e desinenza verbale in -ai), 20 (a).
^ Sull'ufficio preponderante della 2*gen., cfr. le considerazioni del Gauchat
p. 224 e dello Herzoo ZFrSL XXXIII 224. Il paragone che lo Herzog fa, a
proposito della facilità con cui i bimbi possono mutare le loro articolazioni
che non son ancor fisse come quelle degli adulti: " il superare un passaggio
difficile al pianoforte con certe determinate dita è più facile a chi non l'à
ancora provato che a chi ha tentato di farlo ponendo le dita in un altro
modo „ tratto fuori dal campo del puro meccanismo muscolare, calza benis-
simo anche al nostro caso.
^ Specialmente un uomo del Cortv. [43] in ritardo per i n. 18, 19, 22 e,
forse ancor più decisamente, A e, in un certo senso, anche E.
* Cfr. le osservazioni ripetutamente fatte per M e, nel secondo caso,
^
Il parlare d'Usseglio 165
A spiegare questi ondeggiamenti fu invocata da varie parti ^
la diversa condizione in cui ciascun individuo fu educato. Ma
bisogna pure ammettere che in questo ondeggiare cronologico,
insieme alla varia educazione, cooperi fortemente un elemento
individuale, proprio di ciascun parlante. P. es. nei passaggi che
per lo stato delle loro serie sono assai lenti ed irregolari non solo
ogni fonte oscilla pili del solito, ma più del solito si riscontrano
esempì di individui in ritardo o in anticipo sulla propria gene-
razione; a che punto giunga, ove le circostanze attenuino il
potere della massa, l'esplicazione del fattore individuale si vede
bene qui dove troviamo persino il caso di alcuni individui che,
nell'oscillare della generazione educatrice tra due forme, tor-
nano addirittura a generalizzare quella più arcaica ^.
Comunque sia, si può veder per molti indizi come il grado,
direi, di adesione, di ciascun parlante a ciascuna tendenza sia
di una varietà stupefacente. L'interrogazione stessa serve, come
è noto, in questi casi, come di reagente per mostrare il vario
grado di spontaneità e quindi di fissità di certi fatti: quanto,
in ciascun soggetto, è ormai fossilizzato non può mai trovar
posto nelle risposte provocate da un'interrogazione diretta; nei
casi poi di oscillazione, il soggetto, se è invitato a ripetere,
per F ; questi, ad es., che giunge perfino ad avere delle 5* p.p. in -e', è d'altra
parte uno dei pochissimi che abbia una traccia di q < o.
* RoussEi.oT RPGr V. 401 ; Herzog, Streitfragen der roman. Philol., Halle,
1904, p. 57.
- Certo non si può senz'altro ritenere come personale ogni caso isolato,
ma anche in una ricerca, per forza, incompleta, la massa di questi casi mi
par avere qualche significato ; cfr. i vari atteggiamenti nell'oscillare della
5* p. p. in -é p. 123 il comportarsi di F rispetto alla 3^ p. in -ai p. 142 n. 19d.
f> generalizzato all'iniziale di parola p. 156 n^ 1. E si possono ritenere come
esplicazione dell'attività individuale tutti i casi d'imitazione che si citano
nel testo. Ma un esempio che ci mostra l'attività individuale in singolari
condizioni di spontaneità è quello del n" 13.
166 Terracini,
sovente soltanto la seconda volta dà la risposta di cui a
maggior coscienza, appartenga essa al grado conservativo o
no, mentre la prima rappresenta qualche cosa di relativamente
più spontaneo. P. es.. A, dopo aver detto (juvati (giovane)
corresse: guva; egli à già come un forte sentimento della
forma nuova, sebbene non la segua sempre. Sarebbe invece
assai difficile fargli ripetere un hi (questi), che pur gli sfugge
abbastanza sovente ; egli direbbe pi, che à ancora in lui sal-
dissime radici; cosi un vecchio di [64] corresse in destisà un distisd
che nella sua borgata è ormai un vero fossile. La mutabilità
dei parlanti si rivela ancor meglio, per un altro verso, nella
prontezza di imitazione di cui talvolta danno prova. Cosi' [23\
e sua sorella, dopo avermi dato parecchi esempì di 5 p. in -é si
lasciarono sfuggire degli -a, ma ne avevano uditi frattanto dalla
madre ; lo stesso accadde tra una donna di [31] e suo marito [43] ;
un vecchio poi [63] cadde nella serie illegitttima di 5* p. in -ei,
certo aiutato dall'eco di alcune forme legittime d'impf. cong.
che mi aveva dato immediatamente prima. Il fissarsi di queste
improvvise oscillazioni deve essere rapidissimo : H nel 1912 mi
diede, ripetute volte, forme di 5^ persona in -ei che due anni
prima gli erano ancora ignote.
Anche ^ Usseglio fornisce qualche fondamento per supporre che
le donne nelle mutazioni linguistiche precedano gli uomini; agli
esempì che si possono radunare dalle indicazioni date via via ^,
si deve aggiungere che l'aumento di energia nell'articolazione
delle toniche, v. n. 25, è senza dubbio più sensibile nelle donne.
Ma v'è pure un numero notevole di casi in cui le donne sono
in arretrato sugli uomini; non mi fu possibile veder come stiano
' Cfr. Gauchat, p. 224.
- V. p. 138 n'* 1, p. 141 n^ 5, p. 155 n^^ 3; pel n. 19 due vecchi [64, 70]
anno -«X e la moglie del secondo [66] -eL
1
Il parlare cVUsseglio 167
le cose quando si tratti d'innovazioni importate lentamente dai
paesi circostanti, ma quando s'à da fare con fenomeni provo-
cati indirettamente o no dal piemontese, la cosa è abbastanza
chiara ^ Essa è poi confermata da un'altra circostanza: verso
i quindici o ventanni, l'età in cui maschi e femmine incomin-
ciano ad emigrare e la sola in cui l'emigrazione sia fortemente
perniciosa alla purezza del linguaggio, avvengono due fatti:
molte ragazze non emigrando, vengono a formare, rispetto ai
loro coetanei, uno strato pili conservativo ; altre che emigrano
assimilano il piemontese molto pili difficilmente dei maschi. Se
è lecito trarre una conclusione da- queste considerazioni, par-
rebbe che le donne, per la loro condizione, si trovino in seconda
linea come elemento importatore - ed abbiano invece una parte
preponderante come elaboratrici e trasmettitrici delle novità:
non solo l'influsso della madre sui figli è assai pili sensibile di
quello paterno, ma vi sono casi in cui il linguaggio della moglie
à certamente contribuito a modificare quello del marito ^. Con
questa maggior attività si accorda assai bene un più vivo sen-
timento del proprio linguaggio : in generale, e non solo ad Us-
seglio naturalmente, una donna di qualunque età si dimostra
^ V. quanto fu detto su alfe p. 109 n^ 2; la 5'^ p. in e', già accolta da
H [46], è ignota a sua moglie [45] ; il figlio [20] non à più -à^ frequente in-
vece p. es. in E \22\ e sua sorella \26\; e vengono da uomini i più antichi
esempi dell'impf. cong. in -eis- n. 12.
' Non forse però come elemento creatore.
^ I casi più chiari sono quelli dati dal p delle Pz. Una vecchia di [80]
del Villaretto, maritata alle P/,., non lo assimilò, ne lo posseggono i figli:
il figlio d'un uomo del Piane e d'una donna delle Pz. ha \h. E. coi fratelli
e le sorelle, ha una caratteristica modulazione della madre; ma già al-
trove si vide come essi tengano un e dal padre. Un uomo delle Pz. [43]
à perso Xh probabilmente per influsso della moglie che è del Py. \H7\, un
vecchio di [63] à certo assunto la 5^ persona in -ci dalla moglie di Mrg.
Un caso inverso fu però notato poco sopra.
168 " Terracini,
fonte pili utile che un uomo e pili facilmente riesce a tradurre,
cioè ad opporre il proprio al linguaggio dell'interrogante; la
differenza si fa poi specialmente manifesta tra i giovani.
Nel corso di questo lavoro furono notati dei casi in cui una
qualche particolarità linguistica si disegna nel seno di una sola
famiglia ^ ; le relazioni di ciascun parlante colla comunità sono
COSI varie che non fa meraviglia se gli speciali rapporti tra pa-
renti non appariscano pili palesemente; ad attestarne almeno
l'esistenza si possono addurre anche alcuni indizi indiretti: p. es.,
tutti i casi d'immediata imitazione or ora citati li ò tra membri
di una stessa famiglia ; e bisogna pure che nella famiglia risieda
il più efficace mezzo di propagazione linguistica, se vediamo
come i fenomeni procedano di generazione in generazione con
velocità e conseguenza notevoli anche nel caso in cui le circo-
stanze esteriori tolgano loro ogni forza di espansione -,
La lentezza della propagazione in senso estensivo, la quale fa
si che lo stadio di oscillazione possa lungamente durare in una
sola borgata e per una sola generazione, risulta indirettamente
confermata dallo stato di cose presentato dagli emigrati; il loro
linguaggio può, in molti casi, conservare i suoi tratti originari
senza subire l'influsso del nuovo ambiente ^. La resistenza degli
emigrati è però forse dovuta anche ad un'altra causa: un qua-
lunque passaggio par che si compia più lentamente se assai
piccolo è il gruppo entro cui si forma; qui, trattandosi di indi-
vidui isolati, la lentezza diventerebbe massima. Ma le condizioni
di questi emigrati sono troppo speciali perché, senza ulteriori
ricerche, se ne possa qui tener conto.
* V. p. 120 n--' 1; p. 148 ti=^ 2 ; e n. U.
' V. n. 6, 20.
^ V. n. 19. Inoltre nessuno dei quattro emigrati alle Pz. citati or ora,
tra cui un ragazzo di 12, assunse il p.
Il parlare d'Usseglio 169
Un poco più netti, ma non meno e non diversamente flut-
tuanti, si mostrano i rapporti fra masse maggiori di popolazione.
Ogni borgata riceve ed irradia a seconda della sua importanza
e dei legami che la costringono a ciascuna delle altre. Né di-
versa è la natura delle relazioni coi paesi adiacenti, sebbene
esse siano naturalmente meno intime e nelle cause e negli ef-
fetti. L'infiltramento, il contatto continuo, la reale, lenta trasmis-
sione del fatto linguistico da un Comune all'altro mi sembrano
risultare direttamente e indirettamente provati nei modi più
diversi. La contiguità geografica che di questi infiltramenti non
è sempre, a stretto rigore, una prova sufficiente, diviene tale
nel caso nostro, perché alle varie consonanze conferisce spesso
uno speciale rilievo il fatto che esse compaiono agli orli sol-
tanto del paese, o, quando sian già inoltrate verso il centro,
sono distribuite in modo da lasciar chiaramente indovinare
la strada che anno fatto. L'esempio più perspicuo è quello in
cui, concordando Lemie e Mocchie contro Usseglio, si vede lo
stesso fatto penetrare contemporaneamente, e da Lemie e da Val
di Susa, ai due capi opposti del paese ^ Indirettamente lo scambio
geografico risulta provato dal fatto che alcune innovazioni nate
nel centro non riescono a guadagnare gli orli, se non si trovano a
consonare con parte del territorio vicino ^, anzi, sebben sia que-
stione che non converrà riprendere se non più tardi, pare che il
paese sia potuto pervenire all'unità quasi unicamente quando dal
centro s'irradia un'innovazione, formata o in formazione anche
al di fuori. Giungendo questi casi a livellarsi rapidamente, non
è facile dar prove dei contatti che legano il centro coU'esterno;
non è del resto escluso che qualche innovazione sia potuta
penetrare passando regolarmente di borgata in borgata, per so-
V. TI. 7.
V. specialmente, n. 20, 21.
170 Terracini,
lito però ciò che peneti-a nelle frazioni estreme non à la forza
di proseguire compiutamente la sua strada. La forza irradiatrice
del centro s'è quindi potuta studiare quasi soltanto quando essa,
invece che nei paesi vicini, trovi un appoggio nel piemontese.
Per quanto scarso e condannato a vita grama, fu a pili riprese
accertato un elemento innovatore di nascita, o almeno, di com-
pleto sviluppo locale e fu visto entro quali limiti esso possa es-
sere chiamato spontaneo. Questa attività d'impulso locale è poi
non solo soffocata dalle più forti correnti straniere, ma anche,
e forse più, semplicemente assorbita e nascosta da queste. In
una notevole quantità di casi \ si scopersero indizi i quali pro-
vano che innovazioni forestiere penetrano concordando con ten-
denze locali preesistenti : tendenze che si dimostrano verosimil-
mente locali perché solitamente si ritrovano in altri punti del
nostro territorio con aspetti analoghi, ma ancora isolate dalla
zona ove l'innovazione si è già uniformemente distesa.
L'odierna uniformità geografica viene dunque talvolta ad ap-
parire non come il risultato di un movimento di espansione da
un determinato punto di origine a molti altri, ma come una pili
o meno vasta e simultanea pluralità di innovazioni, su queste
innovazioni — ora, per le stesse condizioni in cui sono chiamate
a nascere"^, omogenee, ora invece varie — la contiguità geografica
à agito come semplice elemento unificatore, aiutando il diffon-
dersi di uno piuttosto che di un altro prodotto, congiungendo
e rafforzando gli sparsi centri in cui s'era primamente manife-
stato.
' V. specialmente n. 5, 16/;, 26/>.
- Ad analoghe considerazioni ricorre il Gauchat, p. 230 per spiegare le
•concordanze tra Charme}' e Cemiat che non paiono avere tra di loro con-
tatto diretto.
Il parlare d'Usseglio 171
In questo lavoro non s'è mai fatta una distinzione tra i fe-
nomeni fonetici e analogici e non s'è fatta perché i risultati non
la giustificano. I processi di espansione^ sono, nei due casi, as-
solutamente uguali. Nei cosiddetti mutamenti fonetici si notano
dei passaggi che avvengono per minimi gradi di differenziazione
da suono a suono; queste minime differenze sono per vero pili
rare di quello che comunemente si creda e probabilmente al-
l'orecchio dei parlanti anno lo stesso valore di quelle più vistose
che meglio colpiscono l'orecchio dell'osservatore straniero. E del
resto il valore reale di siffatte distinzioni "^ sembra risultare assai
problematico, se si tien conto che anche le differenze di pro-
nunzia pili marcate, come le leggere sfumature, sembrano per
solito sfuggire completamente alla coscienza riflessa dei par-
lanti; ad ogni modo è certo che la presenza di questi gradi
intermedi non a per effetto di dare ad alcun passaggio una
fisionomia speciale.
Il punto in cui le innovazioni morfologiche paiono procedere
diversamente da quelle fonetiche è che molti conguagliamenti
morfologici, che senz'altro si suol ritenere analogici, sono più
semplici degli altri per il motivo che avvengono entro una sola
serie. Ma si ebbe occasione di lai-gamente e variamente consta-
tare che — a parte la circostanza secondaria d'aver a fare con
serie multiple o di pochi membri, donde la maggior incertezza
del livellamento — anche i passaggi fonetici sogliono procedere
per serie, il cui influsso livellatore risultò enormemente più
evidente che quello di particolari condizioni fonetiche. Ora è
verissimo che l'azione di queste serie è tanto più perspicua
^ Giova forse far ancora una volta notare che in questo lavoro si studia
puramente la espansione e trasmissione dei fatti linguistici,
non r origine e causa loro.
- Non dimostra di tenervi molto neppure Io Herzog ZFrSL, XXXIII', 40.
172 Terracini,
quanto pili forte è il loro valore funzionale, cioè semantico, ma
non è nien vero che in un numero notevole di casi, l'unico ele-
mento che tenga unita una serie risultò essere una pura conso-
nanza 0 assonanza ^ senza che perciò, è bene ripeterlo, il pas-
saggio cui la serie prende parte avvenga in modo diverso dagli
altri. D'altro lato, il valore semantico cui ultimamente fu ricon-
dotta l'intima essenza del cosiddetto processo analogico 2, si rivela
molto sovente ^ come attutito e quasi del tutto svanito, tanto
impensatamente estesi sono i livellamenti cui si può pervenire.
L'essenziale è che ogni specie di serie si comporta ugualmente
rispetto al sistema delle proporzioni. Questo, che certo non è un
processo meccanico, constatato, come fu, in azione su serie in-
tere e non solo tra il villaggio e tra punti fuori di esso, ma per-
sino tra due generazioni del villaggio stesso, merita di venire
più largamente studiato ed assunto come un fattore d'impor-
tanza capitale nel problema della trasmissione del linguaggio ^.
Il processo della proporzione è duplice : ad una serie corri-
sponde una serie in un linguaggio con cui il parlante è in con-
' Cff. 11. 15, 16, 19, 22, 24, 26 e soprattutto 17, 20.
•' Cfr. Herzog ZFSL, XXXI 112, 49.
^ V. specialmente n. 7, 8, 13 e cfr. Jaberg, p. 129.
* Proporzioni sono notate, spesso diversissimi nomi, si può dire in ogni
lavoro di dialettologia, ma cfr. specialmente Gilliéròn, p. 49 sgg. ; Gauchat,
Festschrift zum 14 Nphil. Tage, Ziirich, 1910, p. 358 e la trattazione del
Gamillscheg BhZrPh, XXVJIP, p. 162 sgg. per casi che avvengano tra due
lingue alquanto diverse e importino una radicale sostituzione di suoni. Le
trattò come un fenomeno analogico, nello stretto senso della parola, cioè non
le ammise per serie puramente assonanti e per ambienti d'ugual grado di
cultura, lo Herzog ZFrSL, XXXIIP, 38 sgg., cfr. anche XXXIV^ 302. Del
resto, anche tra semplici villaggi 0 tra due generazioni diverse dello stesso
villaggio, si può sempre ritenere, come acutamente ritiene lo Herzog per
gli scambi tra lingua e dialetto, che essi avvengano per una sentita 0 in-
tuita differenza di " stile , ; è questione d'intendersi sulla larghezza del si-
gnificato che si deve dare a questa parola.
Il parlare d'Usseglio 173
tatto e allora una voce passa da un linguaggio all'altro solo
attraverso ad un congruo adattamento; più sovente una serie
ne assorbe un'altra perché ad ambedue corrisponde un'unica
serie nell'ambiente che influisce sul parlante. Si è poi visto
come la proporzione non agisca quando, per un motivo qualsiasi,
una delle due parti si trovi ad essere più debole^; essa allora
accetta senz'altro la forma estranea che poi si propaga con
notevole conseguenza alla serie intera. La serie dunque, in ge-
nerale, non ritarda o accelera un passaggio: lo rende soltanto
più coerente -.
Tutto questo meccanismo che par regolare ogni passaggio
è però ben lontano dal celare gli elementi primitivi della
sua grande irregolarità: s'è constatato anzitutto come le circo-
stanze per cui un passaggio s'inizia possano essere le più di-
sparate che il caso aggruppa ad agire tutte in un medesimo
senso; ma soprattutto s'è visto come certe parole singole ^ pren-
dano la testa o la coda del movimento, secondo il loro valore,
il loro uso, la loro origine. Non oserei dire: la loro frequenza;
tutt'al più sia notato che alcune parole, foneticamente e mor-
fologicamente isolate, sono cosi fisse nella coscienza dei parlanti
che si comportano come se fossero delle serie, quasi, si potrebbe
dire, formano serie con sé stesse *.
Tutto l'insieme dei fatti studiati lascerebbe intravvedere più
profondi problemi : qual sia il grado di coscienza dei parlanti,
che valore si debba dare alle condizioni meramente fonetiche
ed altri ancora, che la pochezza del materiale qui adunato non
* V. specialmente n. 8, 9, 10, 11, 18, 19.
^ Cfr. Jaberg BGIPSR, X, p. 73, e specialmente Gilliékon, o. c, p. 103.
^ Cfr. le osservazioni fatte a proposito di karà't n. 12, giivaii, 16, e vai.
pari'i n. 19, drét 20, Camus, mataràs n. 26, eiinind' n. 22.
* Alludo particolarmente al destino dei pronomi e di est; cfr. n. 17.
174 Terracini,
permette di tentare. Ed anche su tutto il complesso di conside-
razioni contenute in questa Appendice si dovrà tornare con ben
pili larga ricchezza di mezzi nei capitoli seguenti; non parve
tuttavia inutile l'esporle, deducendole puramente dalla varietà
che presenta il parlare di un solo villaggio.
(Continua). B. A. Terracini.
NOTA ADOIZIOÒSIALE
A chiarimento e giustificazione dei risultati esposti in questo lavoro credo
opportuno indicare con quali criteri fu raccolto il materiale necessario. 11
metodo più semplice sarebbe certo stato quello di interrogare uniformemente,
per ogni borgata e per ogni età, una cinquantina di fonti, su tutti i casi
soggetti ad oscillazione (circa 150 parole). Questo metodo non fu potuto
seguire per la enorme difficoltà di trovare, specie nelle borgate più piccole,
il numero di fonti necessario. Il dare una simile estensione alla raccolta
del materiale mi parve del resto superfluo. Data la divisione di Uss. in
parecchie borgate, delle quali ciascuna costituisce, fino ad un certo punto,
un'areola linguistica isolata, quando un fatto nel corso dell'inchiesta si
rivelava proprio soltanto d'una parte del paese, era opportuno intensifi-
carne in questa lo studio e contentarsi, per quella estranea al fenomeno,
di un semplice controllo (p. es. n. 7, 8, 15, 24, 25). Parimente lo studio dei
fatti pei quali più borgate risultassero procedere d'accordo poteva, previo
il solito controllo, essere particolarmente ristretto ad una sola di esse per
modo che lo stesso numero di fonti venisse a rappresentare una più alta
percentuale dei parlanti. S'aggiunga che un fenomeno oscillante in una
generazione è per un'altra fisso e non richiede un troppo lungo esame,
donde l'opportunità di variare le liste anche secondo le generazioni. — In
séguito a tali considerazioni, determinati dietro la scorta del materiale
lentamente raccolto in precedenza (v. le fonti indicate, XVll) i punti da
studiare e la direzione da dare alla ricerca, procedetti ad una prima in-
chiesta fra una trentina d'individui di cui dodici mi diedero vere e proprie
liste con più di 60 parole. Studiato questo materiale, notandone le lacune
e determinandone i punti passibili di riduzione, procedetti ad una seconda
11 parlare d'Usseglio 175
»' pili vasta ricerca. Ebbi cosi complessivamente una quarantina di liste,
contenenti da sessanta a più che un centinaio d'esempi, e tutte opportu-
namente disposte secondo l'età e la borgata delle fonti, oltre ad un cen-
tinaio tra liste minori e sparse testimonianze atte a confermare e precisare
ijuesto 0 quel fatto.
Ritengo che l'ampiezza di questo controllo sia pili che sufficiente a giu-
stificare, per ogni fatto, il valore del materiale cosi raccolto, le particola-
rità più rare ed impensate essendo state sempre ampiamente confermate.
Un maggior numero di fonti non avrebbe recato gran che di nuovo, poiché
già pochissimi fatti nuovi risultarono dagli ultimi interrogatori. Certo tutte
queste limitazioni portarono a trascurare, o ad abbozzare soltanto, alcuni
punti di dettaglio; ma il iine principale di questo lavoro era lo studiare
la varietà della parlata ussegliese nelle sue linee generali : né del resto
mancarono occasioni di scendere ad un esame anche minutissimo di certi
fatti.
Segue ora una prima serie di tabelle in cui si precisa come fu raccolto
il materiale per alcuni fenomeni pia interessanti ed una seconda in cui,
per i medesimi fatti, si pongono a confronto le liste ottenute da un certo
numero di fonti.
§ 7. — Imperfetto : -{- > -al-. Servirono i casi di imperfetto indicativo
e congiuntivo raccolti pel § 9-10.
§ 9-10. — Quinta persona : -a > -/. Salvo casi speciali, si fece astra-
zione del condizionale che concorda sempre coll'impf. ind. ; si insistette
principalmente sulla 3^ gen., alla quale si restrinsero le ricerche sull'im-
perativo. Nel corso dell'indagine, le particolari condizioni di Marg. risul-
tando identiche a quelle della Pr., lo studio ne fu specialmente limitato
a quest'ultima borgata.
Mrg. [70, 60, 60, 45, 45].
Pr. [65. 64, 64, 53, 47, 25, 24, 23, 20, 13].
Vili. [80, 78, 72, 63, 62, 57, 46, .58, 43, 43, 40, 30, 29, 21, 17, 16, 14, 12].
Cortv. [61, 45, 43, 40, 37, 35, 31, 25, 23, 20, 20, IR, 13, 13].
Py. [70, 64, 43, 42, 21, 15].
Pz. [78, 66, 39. 27, 23, 28, 10, 15, 0].
Si anno cosi piii di sessanta testimonianze, rafforzate ancora da una
dozzina di altre men complete, specialmente tra i bamlnni di tutte le
borgate.
§ 16. — -UH > -H. Risultando dai materiali precedt'iiti che la conserva-
176 Terracini,
zione di uh e limitata alla Pgen., si insistette su questa, e specialmente
nelle frazioni conservative.
Mrg. [70, 60, 45].
Pr. [65, 6à, 64].
Vili. [80, 78, 72, 63, 43, 20].
Cortv. [90, 70, 64, 61, 4o, 23].
Py. [70, 68, 66, 64, 43, 42].
Pz. [78, 76, 66, 39].
Inoltre una ventina di testimonianze sparse, specialmente per la 2* e
3* gen. ; tra le altre, importanti : Mrg. [60, 66] che confermano la completa
caduta di -?m in questa borgata.
§ 18. — -eh > ah > eh. Le tracce di -ah furono cercate nella prima gen.
di tutte le borgate ; l'estensione di -°eh fu particolarmente studiata nella
Pr. e Mrg. e nella 3" gen. del Vili., con cui risultarono concordare le con-
dizioni delle rimanenti borgate. Le fonti di cui mi valsi, oltre al controllo
di una dozzina di testimonianze minori, sono :
Mrg. [70, 60, 60, 45].
Pr. [70, 65, 64, 64, 58, 47, 25, 24].
Vili. [78, 72, 58, 43, 43, 30, 20, 17, 14].
Cortv. [90, 64, 37, 35, 23, 20, 18.
Py. [70, 66, 64, 42].
Pz. [78, 66, 66].
§ 19. — -f/ > -ai > -ei. Risultando dal materiale pi-ecedentemente rac-
colto : 1" che il limite di -ai giunge sino alla quarantina — 2° che Mrg. e
Pz. non anno -ai — 3° che nei verbi -al e pili tardivo che nei sostantivi,
esaminai a Mrg.. Pz. preferibilmente la 1* gen., nelle altre frazioni la 1*
e la 2*; le forme verbali furono spesso tralasciate, quando i sostantivi aves-
sero già -el.
Mrg. [70, 66, 60, 60, 45].
Pr. [80, 65, 64, 64, 60, 53, 47, 30, 24].
Vili. [80, 78, 72, 70, 63, .58, 57, 43, 43, 30, 30, 20].
Cortv. [90, 76, 70, 65, 64, 61, 50, 45, 43, 40, 35, 23].
Py. [70, 70, 68, 66, 64, 60, 50, 37, 36].
Pz. [78, 73, 73, 66, 66, 42].
§ 20. et > -àt. Lo studio fu particolarmente concentrato a Pr. e Py.,
Vili, e Cortv., offrendo uno stato di cose alquanto uniforme; l'interroga-
zione fu preferibilmente ristretta a fonti al di sopra dei quarant'anni, dove
era presumibile che il passaggio non fosse ancora compiuto.
Il parlare d'Usseglio 177
Mrg. [70, 60, W].
Pr. [70. 65, 64, 64, 47, 24].
Vili. [78, 72, 63, 43, 20].
Cortv. [70, 64, 24J.
Py. [70, 68, 66, 64, 60, 43, 42, 37].
Pz. [78, 66, 27, 15].
In una ventina ili testimonianze secondarie, sono notevoli quelle che con-
fermano il trionfo di -àt al Cortv., Vili, e segnalano il prevalere di -H a
Mrg. e Py. (Mrg. [66. 45, 19]; Py. [80, 43, 36]).
§ 21. — e.-it '> ast. 11 passaggio e la lenta costituzione delle forme interne
fu particolarmente studiato alla Pr. (Mrg. risultando uguale a Pr.). al Vili.
e al Py., in tutte le generazioni; alla Pz., nella 2'* e 3" gen., l'interroga-
torio fu volto a determinare semplicemente la conservazione di est in in-
terno e in finale di frase.
Mrg. [60, 4b, 45] .
Pr. [65, 64, 64,' 47, 30, 24].
Vili. [78, 72, 63, 46. 43, 43, 40, 30, 16, 17, 12J.
Cortv. [64, 67. 35, 23, 30, 18].
Py. [80, 70. 66, 64. 43, 42, 37, 36].
Pz. [78, 66, 66, 43, 32, 23, 20].
Oltre al controllo d'una trentina d'altre testimonianze.
§ 24. — oin^on-. Semplice esplorazione, limitata alla 1° gen. per le
frazioni centrali, dove -oin- e quasi sconosciuto, ed estesa alla 2" nelle altre,
con partieolar riguardo al Py., Pz., in cui i casi di -oin- parevano un po'
pili numerosi.
Mrg. [70, 60, 45].
Pr. [64, 47, 24].
Vili. Cortv. [90, 78, 72, 64. 63, 61, 43].
Py. [70, 66, 64, 43, 42].
Pz. [78, 66, 66. 46, 42. 27].
Oltre al solito controllo di testimonianze secondarie.
Archivio glottol. ital., XVIII. 12
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Il parlare d'Usseglio 185
' [65, 47] Fonti ambedue buone e assai pronte ;
[24] donna maritata ad un uomo della Pr. ;
[63] un po' tardo nel formulare la frase, donde qualche intrusione di
piemontesismi : ma in complesso buona fonte ; la moglie è di Mrg. ;
[43] la moglie è del Cortv. ;
[30] il marito è pure del Vili. ;
[90] ottima e prontissima ; e analfabeta ; fu cameriera a Torino ;
[35\ figlia di [61], buone ambedue;
[66] cugino di A. ; la moglie è di Lemie ;
[27] buona fonte, fu a lavorare in Francia.
1 puntini indicano la posizione che la parola aveva nella frase donde
fu tolta. Tra parentesi stanno gli esempì che contano come semplice con-
trollo, perché nel loro insieme non bastano a stabilire esattamente quale
sia la posizione della fonte, anche tenuto conto di tutto quanto si può ar-
guire dagli esempì stessi e dall'età e origine della fonte.
^ Voi mangiate tutto il giorno. Una volta bevevate molto — Se voi
foste buoni ... — ... se spendeste meno — Voglio che diciate cosi —
Non voglio che tu corra.
3 V. p. 124.
^ V. p. 125.
^ . . . cantano — . . . portano tutto a casa — ... ciò che guadagnano —
. . . giocavano a correre — ... lavoravano tutto il giorno.
^ C"è il vento freddo — Aspetta un momento — ... da vendere —
. . . vende — ... s'ofi'ende — Io facevo sempre cosi — La mamma è con-
tenta — Polenta, siepe, pazienza, domenica.
"^ à con intorbidamento debole.
** È un fi un po' torbido, ma di netto color palatale, che non si deve
quindi confondere con è.
^ L'infinito concordando sempre colla 8" persona, basta una delle due
forme per determinare se la fonte abbia -eh nel verbo o no.
*" ... un bel sole — Oh che bei funghi ! — . . . tanta neve — Io facevo
semjìre cosi — Patisco il freddo — Parte domani — ... come beve ! —
Venite a bere con me —
'^ (i è, per rara eccezione, dovuto alla gran rapidità della frase, che ne
contiene pure un altro : ...» bel stilai ke fai cà%.
186 Terracini, 11 parlare d'Usseglio
*'^ In tutte le fonti che conoscono -ai- nel verbo, il tipo pntaisu (1' pers.)
concorda sempre con patài (3' pers.), si che la presenza di una delle due
forme permette di presupporre senz'altro quella dell'altra ; quindi la dif-
ferenza tra pateisu e bai deve essere qui semplicemente interpretata come
un caso di oscillazione.
^^ Fa freddo — Ho freddo e fame — Dov'è il carretto ? — ... minestra
di porri.
*^ . . . dov'è '? — Pietro è a casa ? — Pietro se ne è andato via — ... s'è
fatto male — Non c'è — Dov'è andato ? — È andato a casa — Pietro è
sposo — ... è bello — ... è rotto.
'^ Per ben comprendere la natura di queste frasi occorre rammentare che
il verbo è sempre preceduto dal pronome e che le forme del pronome ma-
schile, con cui si venne a confondere quella del neutro (v. P. II), sono ul,
sovente palatalizzato in «/, ed u.
^^ Qui tra ul e st viene inserita una vocale, la quale, piuttosto che una
riduzione di est, è un riflesso dell' ?< immediatamente precedente.
^^ Coltroncino — Rappezzatura — Conto.
I
.1
CENNI BIBLIOGRAFICI
di pubblicazioni ricevute durante la stampa del fascicolo. *
Codice Diplomatico Barese, voi. Vili {Le pergamene di Barletta, ecc., 897-
1285). Bari, 1914.
Il voi. è dovuto alla cura eli Fr. Nitti di Vito ed è il pili lungo e il pili
importante dei finora pubblicati. Nella prefazione il N. d. V. si ferma a
studiare l'origine del nome Barletta. 11 volume porterà utili contributi agli-
studi linguistici e perciò VArch. non può non fargli buona accoglienza.
C. Battisti, Testi italiani dialettali in trascrizione fonetica. P. I. Italia Set-
tentrionale. Halle, Niemeyer, 1914 (= 49 Beiheft z. ZfrPh.).
Questa crestomazia oft're un buon materiale di osservazione per clii
voglia orientarsi sullo stato attuale dei nostri dialetti ; e sarà certo con
molta utilità didattica usato nelle nostre scuole superiori. Essa contiene
testi corrispondenti alla vera parlata popolare, trascritti foneticamente.
Ai testi seguono parche indicazioni lessicali e indicazioni bibliografiche che^
senza il proposito della compiutezza, sono tuttavia molto utili per un prima
orientamento. La crestomazia comprende anche testi ladini : ' non è qui il
luogo „, dice a giustificazione l'A., " di affrontare o riaffrontare la questione-
ladina, di dimostrare come i concetti su cui l'Ascoli basava la sua geniale-
sintesi del ladino siano storicamente insostenibili, rappresentando il ladino
sulle generali nel consonantismo tratti più conservativi, ma una volta
propri alla pianura lombardo-veneta, di far vedere quali potenti tendenze
linguistiche congiungano l'Italia settentrionale alle parlate ladine sovra-
stanti la pianura .. „
[Gli scritti per le recensioni s'inviino al Direttore deir.-lrt7//r/o Prof.
P. G. GoiDÀNicH, Bologna, Via Toscana, 50. — L'Editore].
188 Cenni l.iblioc^rafici
" Tra ralfaljL'to pili completo in diversi rio^uarcli, un po' deficiente in
altri, ma pili complicato e meno nsato dai romanisti specialmente da
noi Italiani deW Asfociafion pìionéti(jiie internationale, e qnello pili sem-
plice, pili povero di nuovi segni diacritici e jìiii noto del sistema yl.s"<"oZ/-
Ooidànich, o adottato il secondo „. L'A. si compiace anche di annoverare i
perfezionamenti sistematici' da me airecati alla grafia ascoliana; e io o
tanta ragione di essergliene grato che mi rincresce di queste osservazion-
celle che devo pur fare a lui. All'antica stramba terminologia di tenui e
medie il Sievers sostituì i termini pili giu^ti fortes e lenes, che ormai anno
avuto la sanzione dell'uso dai pili dei dotti. Perciò a indicare le consonanti
rafforzate od attenuate io adoprerei appunto i termini rinforzato e attenuato
in luogo dei forte e lene che adopera il B. Nel quadro sinottico poi degli
•elementi consonantici fa pag. 8-9) non era opportuno porre accanto a cia-
scuna consonante, fra parentesi, in carattere più ]iiccolo. la sua attenuata :
ciò genera confusione e io son persuaso che pili d'uno stenterà ad orien-
tarsi ; d'altra parte anche il B. conviene che in questi casi basti un'osser-
vazione fatta una volta per tutte. — Degli elementi fonetici rari conveniva
dare esempì, e per controllo, e per comodità del riferimento ; cosi di nt
{= n con occlusione labiale). — Equivoco è anche il termine schiacciate,
al cui posto preferirei affricate o composte: schiacciato è termine che in
italiano à tradizionalmente un valore ben definito ; indica 'qualità di suono ',
non 'qualità di articolazione'; è per esempio il suono della 'rattratla' e.
Per analogia, io ò esteso il termine anche al suono di z. — Nella cate-
goria delle continue non trovo gli z x emiliani, da me indicati e nello
studio sulle rattratte (Mise. Hoi-tis) e nella prefaz. al voi. XVI deU'Arch. —
Un k' gutturale difficilmente esiste.
Ma dopo queste osservazioncelle di poco conto io devo rallegrarmi coll'A.
dell'utile opera sua, certo che della molta fatica durata e del molto tempo
speso gli saranno con me grati quanti s'interessano di questi studi.
11 volume si fregia di una dedica a Carlo Salvioni.
* Quanto pili s'accrescono i consentimenti obiettivi sulla utilità di essi
perfezionamenti, tanto meno riesco a capacitarmi perché in una pubblica-
^ioncella, comparsa sotto l'egida del nome venerando di Ernesto Monaci,
non se ne faccia menzione neppur per mostrarne gli eventuali difetti. Ma
certo il Maestro non avrà posta grande attenzione all'accennato libercolo,
perché la genesi del sistema ascoliano è ricalcata su quanto io scrivevo
nel mio studio sulle rattratte (Mise. Hortis), che non vi è citato. E il
Maestro ignorerà anche che il povero autorello di quel fasciculuccio s'è
macchiato di più di una scorrettezza a mio riguardo.
Cenni bibliografici 189
C. tJAni.sTJ, Die Miinddrt von Valrestiiio. Ein Reisehericht (Sitzuno^sl/er. der
K. Akad. d. W. in Wien, Philos.-hist. Klasse, 174 Bd., 1918^.
La Valvestino e situata fra i laghi di Garda e d'Idro e comprende l'alta
valle de! Toscolano e dei suoi piccoli affluenti Personcine e Magasino.
Appartiene all'Austria, ma à rapporti commerciali solo col Bresciano ; idro-
graficamente non appartiene al bacino del Chiese; e anche caratteri lin-
guistici la collegano alla riviera bresciana, dalla quale è distinta per alcuni
arcaismi. — Tra la valle bresciana del Chiese e la valle inferiore trentina
del Sarca s' incontra una zona l i n g ut st i e a i ut e r m e d i a con ca-
ratteri propri. Essa al sud, nella Val Vestine, à, nella fase recente dei
dialetti, ancora spiccati caratteri bresciani ; al centro, in Val di Ledro, à
caratteri pili spiccati; e, a nord, in Bleggio, risente dei dialetti del Sarca.
I materiali sono stati raccolti soprattutto in Magasa e furono soprattutto
raccolte di vocaboli. — Alla trattazione grammaticale segue un Lessico e
una carta con varie isoglosse. — 11 lavoro è uno studio preparatorio alla
risoluzione delle complicate condizioni dialettali trentine. L'A. tiene, giu-
diziosamente, conto delle condizioni geografiche e storico-politiche antiche
e moderne.
B. A. Terracini, Bibliographie phonélique. Italie 1910-1911 (Estr. da Revue
de Phonétique, pub. p. l'Abbé Rousselot et H. Pernot. ]). 179-192}.
S'occupa di scritti di Bellini, Camilli, D'Ovidio, Goidànich, Luciani, Ma-
lagòli. Naef, Panconcelli-Calzia, Stefanini, e della Riforma ortografica. Noto
con compiacenza che l'A., ormai libero docente a Torino, s'accorda con me
in quasi tutte le questioni da ine trattate e di cui egli qui tocca. Del sistema
di trascrizione da me proposto dice che " il a surtout l'avantage d'étre
clair, simple, d'une lecture aisée. Je crois que tous les sons, ceux du nioins
qu'on peut entendre dans la péninsule italienne, y trouveront lenr graphie „.
L'egregio recensore mi permetta di dire che non intendo perché s'avrebbe
ad adoperare una grafia speciale per distinguere \'n di piem. kadeiia dall'/i
di ital. niikora, quando e convenuto di non usare segni diversi in tino e
tinto, in cima e impero; dice il T. che in kadena s'à una ' vera esplosiva';
nessuno lo nega ; ma anche gli n ed ni di tino cima sono ' vere esplosive '
(orali, s'intende : ma ' continue ' nasali, s'intende). — Anche il T. à la bontà
di disapprovare quell'impasto di malvagità e d'ignoranza che fu l'articolo
di recensione alla prefazione àeW Archivio, voi. XVII, pubblicato nel Maitre
phonétique dal povero. diavolo sopita ricordato; forse però egli avrebbe do-
vuto ricordare, a salvaguardia della dignità della Redazione del Maitre ph.,
che essa Redazione, in séguito a un mio articolo in cui ponevo le cose a
posto, onestamente sconfessava il suo collaboratore.
190 Cenni bibliografici
Parimente il T. condivide la mia opinione sulle rattratte [" les termes
rattrazione e rattratte, que M. Goidànicli propose, peuvent très bien rester
dans notre terminologie ,]. E al solito paiiper cunis di cui sopra, che al solito
si mostrava di parer contrai-io, trincerandosi anche su una presunta opinione
del Rousselot, il T. oppone ch'egli non à capito nulla, rinfaccia " an grand
étonnement ^ che il Rousselot '' dit notamynent le contraire, ^. Anche
la mia critica al Josselyn il T. la trova giusta. Viceversa il T. non trova
che vi sia contradizione tra la mia opinione sul e dell'italiano e quella
del Rousselot, perché il R. non s'è occupato mai del e italiano. Scrivo lon-
tano da un centro di studi, e non posso controllare l'affermazione del T. ;
e direi, senz'altro : " tanto meglio , ; ma se ben ricordo il R. parla del e in
genere ; e quanto si dice del e italiano va ripetuto del e slavo, spagnuolo,
inglese. Anche il T. spezza una lancia in favore della fonetica sperimentale
a proposito di una mia frase un po' vivace e forse, perché si prestò ad
equivoci, non felice, nella prefazione citata k\V Archivio, voi. XVll. In so-
stanza poi io dicevo colà che i fonetisti sperimentali dovrebbero badare
pili che non facciano al dato della sensazione, che è il metro o il controllo
dell'esperienza; anche il Calzia, che per quella mia frase parve montare
sul cavallo d'Orlando, poteva ricordare che da tal difetto è dipeso l'errore
fondamentale del suo lavoro sulla nasalità in italiano. Ma che io non fossi
un avversario, dirò cosi, dichiarato delle ricerche sperimentali di fonetica
doveva risultare dal semplice fatto che quella frase lamentata era conclu-
siva di periodi in cui dichiaravo che V Archivio sarebbe stato aperto anche
a ricerche di fonetica sperimentale.
Giuste sono le osservazioni che il T. fa al senatore Luciani ; per es. non
s'intende come il L., che e un fisiologo insigne, difenda con tanto calore
la sillabazione a-tto, a-ppo, ecc. che non v'è dubbio è erronea e non po-
trebbe in nessun modo consigliarsi in luogo della tradizionale at-to, ap-fo,
che, se non è del tutto esatta, è quella che più s'avvicina alla realtà fonetica.
A varie altre considerazioni le pagine del T. mi darebbero occasione.
Ma ormai troppo mi sono dilungato. Finirò col ricordare che anche della
riforma ortografica com'era propugnata nel Bollettino della Società Ortogra-
fica Italiana il T. si dichiara un fautore convinto ; ma ormai la detta Società
già fu ; perché, dopo aver sacrificato alla riforma e ad essa società tre anni
di vita scientifica, dovetti per la morosità dei soci pagar di mio somme
' Asinerie di tal fatta, veramente classiche, si lasciavano stampare contro
di me in Classici e Neolatini. 11 cui direttore può, fino a un certo punto,
ritenersi irresponsabile, per l'assoluta mancanza di conoscenze in .studi di
questo genere.
Cenni bibliografici 191
considerevoli per la stampa degli Affi. La melanconica commemorazione
valga ad informare gli amici che dell'estinta desiderassero notizie ! E ...post
fata resurgatl A noi basti di avere contribuito, col diffondere la conoscenza
del problema, a spianare la via ad un'intesa internazionale su un sistema
"rafico d'uso universale.
E. Cocchia, La Vita di San Miimmoleno ovvero la tradizione più antica in-
torno alVìiso del hit. rolr/. nelle Gallie. Atti d. R. Acc. Lett. B.A. N. S.,
v. Ili, 36-52.
L'A., con l'abituale acume e la molta e sicura dottrina, tratta di varie
questioni attinenti a questi scritti, ma in principal modo dei noti passi
delle due redazioni dove si parla di romana lingua.
Sul noto inciso del primo dei passi: " citiiis in loco [cioè del S. Vescovo
Eiigio], fama honorum operuni — quia praevalebat non tantum in Theu-
tonica sed etiam in Romana lingua — regis ad aure.s perveniente, jyraefatus
MummolitiHS ad pastoì'alis regionis curam snbrogatus est episcopus „, il C.
avanza questa ipotesi : " che può anche darsi che esso inciso quia ... litigua
sia da ritenersi come una semplice postilla aggiunta da un glossatore, il
quale volle rilevare la seconda causa [la conoscenza delle due lingue] che
presiedette all'assunzione di Mummoleno all'episcopato, causa dimenticata
0 pure omessa dalla sua fonte „. E quanto di meglio su questo periodo sia
stato proposto. Aggiungo che la glossa era certo destinata ad essere inse-
rita tra perveniente e praefatus M.
Il secondo passo, che si trova nella redazione dei Bollandisti, suona cosi:
Ecclesia siquidem Noviomensis Romana vulgariter lingua, Tornacensis vero
Teutonica maiori ex parte utitur ; utraque autem eruditiori latinorum eloquio,
si cui gratia haec concessa fuerit, ad plenum respondere dinoscitur ,. Il passo
fa séguito e serve a spiegazione della notizia che San M. fu fatto vescovo
perché " et latina et teutonica praepollehat fncundia „ corrispondente sup-
pergiù all'altro or ora giudicato un'interpolazione. Anche per il C. utraque
si riferisce a lingua; e dalla sua analisi filologica, in se stessa esattissima
e sicura, risulterebbe presso a poco [il C. una sua traduzione del passo non
la dà] questa interpretazione : " Perché la Chiesa N. usa comunemente la
lingua romanza, e la T. invece, per gran parte, la teutonica „ ; entrambe le
lingue poi " si riconosce da chiunque abbia il dono di intendere la corri-
spondenza tra il latino classico ed il volgare, ovvero il tedesco, e di saper
tradurre dall'una nell'altra lingua „ che corrispondono appieno all'eloquio
latino pili dotto ,. Stando alla lettera tale interpretazione potrebbe essere
esatta ; ma si pensi che un siffatto elogio o constatazione della perfetta
rispondenza tra il latino classico da una parte e il volgare latino o tedesco
192 Cenni hilWiografici
diiiraltra sarebbe opportuna se si trattasse d'un giudizio sul valore di una
traduzione scritta. Ma qui evidentemente si confrontano tre parlate.
E allora il dire che le espressioni dell'una corrispondono a quelle deU'alti'a
è un vaniloquio; anzi per ijuanto riguarda il confronto fra latino e ger-
manico sarebbe non rispondente al vero. Perciò io credo che il senso del
periodo debba essere necessariamente un altro.
Le questioni particolari dalla cui risoluzione dipende l'interpretazione
del passo sono queste: 1. che cosa debba intendersi per latina lingua;
2. in che rapporto sta la notizia quia et latina et teutonica praepollebat
facundia con Cjuella dell'altra redazione quia praevalebat non tantum in teu-
tonica sed etiam in r o m a n a lingua ; 3. in che rapporto sta la notizia
stessa coll'altra della Vita dei Eollandisti che San M. era tot et t a n-
t a r u in lingnarum peritus; 4. quale significato abbia Vhaec dell'inciso:
si cui gratia h a e e concessa fuerit ; 5. che portata poteva avere la co-
noscenza della l a t i n a lingua in una diocesi come quella di San M. da
essere decisiva nella scelta del presule; 6. a chi si riferisca Yutraque.
1. Che il lati ti a lingua sia qui l'eruditimi latinorum eloquium non
ci può esser dubbio perché il latino volgare vi è detto romana lingua;
2. a questa interpretazione non osta più l'incisu dell'altra redazione in cui
si dice quia praevalebat romana lingua, perché col C. l'abbiamo rico-
nosciuto un'aggiunta posteriore. 3. Se il tot et nel passo tot et tantaruin
linguarum peritus non è anch'esso un'interpolazione di un entusiasta, anno
ragione il Rajna e il Crescini a dire che per esso debba intendersi che il
santo conoscesse anche il volgare romanzo. Ma la discrepanza tra la prima
e questa seconda delle notizie relative all'erudizione del santo si deve spie-
gare osservando che c'è differenza tra peritia e facundia, osservando cioè
che uno può conoscere una lingua ma non con tanta perfezione da usarla
con facondia; 4. utraque anch'io credo debba riferirsi ad ecclesia, il quale,
si avverta, è non solo fortuitamente il soggetto grammaticale della propo-
sizione coordinata, ma appare anche il concetto fondamentale di tutto il
periodo. 5. Uhaec dell'inciso si cui gratia haec concessa fuerit mi pare
che naturalmente si presti ad essere inteso come equivalente a latine lo-
quendi dacché segue sùbito a eruditiori latinorum eloquio. 6. E finalmente
l'importanza del conoscere il latino rf^We .scMoZé», cosi da essere la condizione
essenziale per la nomina di un vescovo in quella diocesi bilingue, deve
presumersi, dall'interpretazione che del passo do io, che fosse questa : tutti
i diocesani, tanto i Romani quanto i Germani, capivano la lingua ufficiale
scolastica, ed era questa la sola parlata non propria che entrambi i popoli
intendessero ; quindi la conoscenza del latino era necessaria al vescovo,
per essere inteso in prediche od altre funzioni a cui entrambi i popoli
partecipassero ; la conoscenza del germanico e del romanzo era utile per
i rapporti coU'una o coll'altra popolazione separatamente.
I
Cenni bibliografici 19g
Io credo pertanto che tutto i! jiasso abbia questo valore: San M. fu eletto
vescovo quia praevalebut non tantum in teutonica sed etiam latina lingua. ì\
che era di importanza capitale per questo fatto : i N. parlavano comune-
mente il romanzo, e i T. invece il germanico; ma tanto gli uni quanto gli
altri si osservava che rispondevano con esattezza a chi aveva la fortuna
(come San M.) di saper parlare in latino scolastico.
A questa interpretazione io credo che non possa opporsi se non questa
considerazione : essere strana quella espressione tanto involuta '' si osserva
che son capaci di rispondere a tono alla parlata latina ^ mentre era cosi
semplice dire che: " tutti i diocesani, anche se non lo parlano, comprendono
il latino ,. Ma a questa obiezione si può facilmente rispondere che l'A. volle
richiamarsi all'osservazione di un fatto reale, che era possibile intendersi
coi diocesani parlando il latino e lasciandoli rispondere in volgare: come
a me, anche ad altri sarà accaduto mille volte di discorrere in italiano con
gente che non sapeva esprimersi altro che in dialetto e di intenderci alla
perfezione.
E. L. Adam, Wordformalion in Proven<ja(. New York-London, Macmilian,
1913, p. XVII, 607.
È non solo uno studio esauriente di tutta la ' formazione delle parole '
in provenzale, ma contiene, secondo l'uso americano, completi elenchi sta-
tistici ; è perciò, come tutte le opere del genere, opera utilissima agli studi.
È divisa in cinque parti che trattano rispettivamente delle formazioni con
suffissi (1), con prefissi (11), con prefissi e suffissi (111); dei postverbali e
composti (IV) ; degl'ibridi (V). Le parole ereditate come elementi lessicali
dal latino sono aggiunte alla fine di ciascuna lista in nota. Le fonti furono
il Raynouard, e il Lev}- fin dove pubblicato, inoltre raccolte personali da
testi. In nota sono trattate una gran massa di quistioni attinenti a voci
singole, che si trovano poi elencate in un indice alla fine del volume. Altri
indici riferiscono i suffissi e i)refissi provenzali in ordine alfabetico; gli
stessi nell'ordine che furono trattati ; i suffissi e prefissi latini.
Jahresbericht des Institutfi fiìr rnmiinische Sprache zti Leipzig (Herausg.,
Trof. Dr. G. Weiganu, voi. XIX e XX, p. 264).
Sommario: R. Weidelt, Die Noniinalkomposition im Eiiniunischen: 1;
H. Dumke, Die Terminologie des Ackerbaues im Dakorumilniìichen : 65 ;
G. Weigand, e- Bildung ini Wechsel mit k- Bihlung: 132; G. Weigand, Etg-
mologica : 134 ; K. Schutfert, Die Verbalsuffìxe im Dakorunt : 145 ; G. Weigand,
ai^ e: 208; M. Auerbach, Die Vcrbalpriìfìxe im Dakorum.: 209.
194 Cenni bibliografici
Heristu Lusitana, dir. p. J. Leite de Vasconcellos.
Sommario: J. J. Nunes, Textos antigas portnyueses: 1; Viterbo. As
candeias na religiào nas tradi^òes populares e na industria : 41 ; A. Gomes
Pereira, Grammatica e vocahulario de Fr. Pantaleào -d'Aneiro : 81 ; P, de
Azevedo, Duas fradiicùes portuguesas do sec. XIV: 101; A. Thomas Pires,
Investigagòes ethnographicas : 112; J. da Silveira, Toponymia portuguesa: 147;
J. de Perott, Sohre urna edicào 2>oi<co conhecida dos " Contos „ de Trancoso :
159 ; D. M. da C. Dias, Trndi(;òes popidares do Baixo-Alemteio : 181 ; 0. de
Pratt, Notas (i margem do " Novo Diccionàrio da Lingua Portuguesa „ : 206 ;
A. Gomes Pereira, Tradigòes populares de Barcellos : 280 ; J. Leite de Va-
sconcellos, 0. de Pratt, C. Basta, 0. de Pratt, A expressào popular " mais-
vaie um gòsto que quatro vintene „ : 289 : D. M. A. F. de Mendon9a, Cantigas
populares : 300 : J. Leite de Vasconcellos, Etnologia : 330 ; Miscellanea : 370 ;
Bibliografia: 175; Necrologia: 173.
P. G. G.
/
0, o.
ANGELICO PRATI
RICERCHE DI TOPONOMASTICA TRENTINA
li
OPERE CITATE
Oltre che delle opere già elencate nella Bibliografìa, che precede le mie
prime Ricerche di topoìioììiantica trentina, il lettore è pregato di tener conto
delle seguenti ' :
Johann Alton, Beitriige ziir Etimologie von Ostladinien, Innsbruck, 1880. È
un. lavoro di toponomastica.
C. AvoGARo, Appunti di toponomasticd rerone.-e, Verona, 1901.
Carlo BATirsTi, Zur Sulzlìerger Muìidart, An:eiger d. pliilo.i.-histor. Klasse
d. kai^. Akadeinie d. Wisseiiscliaften in ììlen, vom 28. [uni, lahigang
1911, Nr. XVI, p. 189-240.
— — Fje dentali estplosire intervocaliche nei dialetti italiani. Halle a/S., 1912.
V. le mie Escursioìii, p. 136-138, n.
II. D'AiìBOis DE JuBAiNViLLE, Recherches' snr l'origine de la propriété fondere
et des no)ns de lieax hahités en France, Paris, 1890.
Andrea Ctloria, Codice Diplomatico l'adorano, Monitin. Stor. pubi. d. Dep.Ven.
di Storia Patria, 3 voi., Venezia, 1877, 1879, 1881.
Gl'Stavo Adolfo Gramai'ica, Escnr^^ioni nella ralle dil Fersina, Rovereto, 1886.
Karl (tkuher, l'ordetitsche Ortsnanien im siidiic/wn Bagern, Philologische
and rolksknndlicìie Arbeiten Karl Volluioller ziiin 16. Oktober 1908 dar-
gthoten, Erlangen, 1908.
Alfrkd HiM.DEK, Alt-cellischer Sprachscliatz, Leipzig. In cor-so di pubblica-
zione, dal 1896.
' Un elenco di molte pubblicazioni di toponomastica si trova alla fine
bielle mie Escursioni, p. 139-141, citate pili avanti.
Ai-fhivio glottol. ital., XVIIl. , 13
196 Angelico Prati,
E. LuKKNZi, S'iggio di coìntneiito ai cognomi tridentini, Trento (1895).
Lkoxk Luzzatto, l'didletti moderni delle città di Venezia e Padova, Padova,
1892.
W. Meykr-Luiìkk, Romanisches etgmologisches Worterijuch, Heidell)ero-, 1911.
È citato R. E. W}.
Maurizio Morizzo, Raccolta di documenti risgaardanti la Valsiigana, fatta
dal P. M. M. da Borgo Francescano, 8 voi.. Borgo Valsugana, 1890, 1892.
Manoscritti 2685, 2686, 2687 della Biblioteca Civica di Trento.
Dante Olivieri. Appunti di toponomastica veneta. Stadi Glott., IV, 1907,
p. 185-197.
Angelico Prati, Ricerche di toponomastica trentina, Pro L'altura, I, suppl. 2'^.
Rovereto. 1910 l
— — Escursioni toponomasticìie nel Veneto, Revue de Dialectol. Rom., V,
Bruxelles, 1913, p. 89-141.
Desiderio Reich, Notizie e documenti su Lavarone e dintorni. Trento, 1910,
^ Questo dizionario etimologico, del quale sono uscite finora 6 dispense
(p. 480), avrebbe dovuto riuscire un'opera utilissima, jireziosa per gli stu-
diosi dei parlari romanzi. Invece esso contiene in quantità cosi grande voci
e significati sljagliati od inesatti, da trarre con molta facilità in inganno.
Sicché, quando lo si consulta, bisogna verificare i dati in esso raccolti, spe-
cialmente per quanto riguarda i dialetti. Io ò fatto uno spoglio degli errori,
limitandomi al veneto ed al trentino, e ne ò raccolto in numero stragrande.
V. Arch. Glott., XVII, p. 499-504. Moltissime correzioni si trovano nella
recensione del Jud, Arcìi. f. d. Studium d. Neueren Spr. u. Liter., CXXVII,
p. 416-438. V. poi C. Salvioni, Postille italiane e ladine al " Vocabolario eti-
mologico romanzo ,, Revue de Dialectol. Rom., IV, 1912.
^ Nella stampa di questo lavoro sono incorsi alcuni errori, che qui cor-
reggo: A p. 19, r. 16-17 dall'a., in luogo di Beitrdge, II, p. 22, sostituisci
Beitrage, I, p. 22; a p. 47, r. 12 dall'a., in luogo di Enrico IV. Enrico II;
nell'indice Stének invece di Sténeck; a p. 1, r. 8 dal b., 1891 invece di 1890; il
rimando a p. 46, r. 8 dall'a., M'Arcfi. Glott., XIV, p. 368-369, è dovuto ad una
svista ed è quindi da omettere. Venga qua poi qualche appunto: Con Firenze,
cui ò fatto cenno per incidenza (p. 6, n. 2), cfr. l'arcaico Firentino (Pieri,
Studi Romanzi, I, p. 41). Dei Solandri (p. 8, n.^ discorre pure lo Schneller,
Beitrage, 1, p. 10. A p. 46 sarebbe stato da nominare anche il villaggio di
Giustino (Tione), 1307: villa lastini plebatus Randenae iCod. Cles., Riv.Trid.,
Vili, p. 122). L'antica forma Imaiam (oggi Dimór) (p. 17; Sabersky, p. 54;
Ettmayeu, Rom. Forsch., XIII, p. 375) era da ricordare anche a p. 60, cap. XL
Ricerche di toponomastica trentina 197
Desiderio Reich, Sul co)ifine ìiìtguistico nel .■secolo XVI a Pressano, Avisìo.
S. Michele, Mezocorona, II ediz., Rovereto, 1910.
Heinrich Sabersky, Ueber einige Nanien ron Bergen, Thillern, Weilern, Weiden
und Hi'itten in der Umgebung i^on Madonna di Campiglio, Strassburg, 1899 ^.
Christian Schnei.lek, Sildtirolische Landschaften, 2 voi., Innsbruck, 1899, 1900.
Giuseppe Vidossich, Studi sul dialetto triefitìiio, Archeografo Triestino, N. S.,
XXIII, XXIV, Trieste, 1900, 1902.
Con C. M. s'indica la carta topogratìca militare.
È cosa tutt'altro che inutile l'avvertire qui in principio che, quantunc£ue
gran parte dei nomi da me studiati siano compresi nella zona, nella quale
si parla il <lialetto trentino, colla voce " trentino „, in quanto entra nel
titolo di queste Riceri-he e di quelle già da me pubblicate, accenno al ter-
ritorio trentino, in cui s'incontrano anche dialetti ladini, lombardi, ecc.,
che vanno ben distinti dal dialetto trentino. Il quale, contrariamente a
quanto credevano I'Ascoli, Ai-rh. Glott.. \. p. 394-395, 406, e ciuasi tutti i
linguisti dopo di lui, nel suo fondo e lombardo (Battisti, Il dialetto trentino,
L'Alto Adige, 16-17 gemi. 1909. p. 3, li col.). L'errore fondamentale del-
l'AscoLi trova il suo motivo nella concezione sbagliata di questo dia-
letto, la quale consiste principalmente nel ritenere di ragione ladina quei
caratteri, che sono invece patentemente di ragione lombarda. Il dialetto
trentino è parlato nella valle dell'Adige dal confine tedesco fino alla
Val Lagarina, dove si parla un dialetto trentino-veneto, nel distretto di
Vezzano ad occidente e nei distretti di Cembra, di Pèrgine e di Lévico ad
oriente. In quest'ultimo è notevole T influsso veneto, che però non è riu-
scito, ad esempio, a spengere Vii e lascia vegeto Vo. Fatta astrazione dal
titolo di questo lavoro, voluto solo per ragione di opportunità, con " trentino ,
intendo sempre di alludere al dialetto trentino e non anche ad altri dia-
letti del Trentino, come fanno certuni, ingenerando cosi confusioni con-
tinue. 0 spesso occasione poi di citare il valsuganotto, che è il dialetto
veneto parlato in quella parte della valle alta della Brenta, che sta tra i
Masi (Novaledo) e Primolano, ossia tra il distretto di Lévico e il Canale
di Brenta (distretto di Bassano).
' V. la recensione del Salvioni. Literatiirblatt f. gemi. u. rum. Fìiilol.,
XXI, col. 144-145. Per il bosco Ragàda (Sabeksky, p. 24-25) v. anche Bren-
ta ui, 111, p. 340; Cesare Battisti, Termini geografici, p. 26; Salvioni, Boll.
Stor. d. Svizzera Hai., XVIT, p. 144; Arch. Glott.. IX. p. 220,222.
198 Angelico Prati,
Ant3rivo (ita!.), Altrel (ted.), Nantaril o Nanterii (forma fia-
mazza).
Villaggio, con popolazione tedesca, nel distretto di Cavalese,
sul versante della Val di Cembra, posto presso un piccolo corso
d'acqua.
Questo nome, composto di nante " davanti ,, e di ril " rivo „,
compare nel 1391 come Anteriutn [Cod. Cles., Riv. Trid., X, p. 265);
1397: Aufherium (ivi, XI, p. 51); 1321: Antereu; 1583: Altreii
(ScHNELLER, Beitràge, II, p. 24); 1595: de Antarù, de Antera;
1604: de Anterudo; 1605: de Antera, de Nanterù {il Trentino,
16 nov. 1910, p. V, col. IV).
Nel 1188 è nominato anche un luogo Longario in Fieme (C. W.,
p. 72; Del Va.j, p. 198, r. 22 dall'a.). V. anche Ardi. Treni.,
XXVI, p. 189, all'a. 1220 i.
Battaura (nome antico)
Era il nome di un luogo presso Mori rammentato nel 1259:
in regala Battaure.
Lo Schneller, Tir. Nani., p. 11, dal quale tolgo la citazione,
notando il termine dialettale battaór, batfador " coreggiato „,
crede che il nome locale equivalga a batiaura, batiadura indi-
cante il " luogo, ove si trebbiava oppure si maciullava canapa
e lino „. E facile capii-e l'infondatezza di questa spiegazione.
Anzitutto lo ScHNELLEE prese un abbaglio, perché batao'r (un
^ Una Via Longaril' c'è a Cavalese, lungo la Ril, ossia lungo il torrente
Gambi's (Brentari, II, p. 114). ril " torrente, rivo , è voce viva fiamazza (nel
fassano ruf). V. anche ivi, p. 101.
Ricerche di toponomastica trentina 199
battador non esiste) non significa " coreggiate „, ma '" batti-
tore „, cioè indica " chi trebbia il grano sull'aia ,, (v. Azzolixi.
s. batfdor, -a); poi battaiira, battadura non è che una voce sup-
posta da lui. In caso essa sonerebbe *batao'ra, poiché le parola
indicanti il luogo, ove si compie un'operazione, si derivano ap-
punto col suffisso -tori a. V. a proposito i nomi riportati a
p. 22 dallo stesso Schneller: Brancola{d)óra, Beveradóra, Car-
gadóra ecc., le quali forme indurrebbero anche a movere alla
spiegazione dello Schneller l'obiezione che esse mostrano la den-
tale, almeno nella forma letteraria, ancor oggi, formando cosi
un contrasto con Battaura del 1259. I nomi locali però ram-
mentati in queirepoca parte presentano il f/, parte ne sono privi
(V. Schneller, p. 52, N. 149, p. 73, N. 180, p. 114, N. 814 [5],
p. 185. N. 432).
Comunque, da quanto si è detto sopra si può trarre la con-
seguenza che Battaura sia da leggere Batnura e che abbia forse
designato un luogo dove batte aria. Confr. il monte Bufàure
(Pozza^ Fassa) (Altón, p. 29) e i luoghi denominati Bofalg'ra
(Salvioni, Boll. Stor. d. Svizz. Ital., XXII. p. 87). Si ricordi poi il
trent. o'ra'{v. Azzolini e Ricci) e i nomi locali, di cui Schneller,
Tir. Nam., p. 43, N. 117; Olivieri, Studi, p. 188. A Campo-
dolcino (Sondrio) vive pofo'ra " luogo riparato dal vento „ {Reviie
de Dialedol. Rom.. IV. p. 190, N. 788).
Bodoledo (nome antico)
Luogo in quel di Fornàs (Civezzano), cosi nominato nel 1858
(Morizzo, I. p. 128). Anche in Fieme s'incontra un nome locale,
rammentato in un documento del 1188 {C. W.. p. 71, 72) nelle
forme de Botholedo, de Botholeto, in Botholedo, in Botholeto, de
Botlioletho (cfr. nello stesso doc. : in Pinetho, in Pinedo) (v. anche
Del Yaj, p. 197, 198).
Dagli Stadi deirOnviERi, p. 102, tolgo i seguenti nomi locali
200 Angelico Prati,
della provincia di Veruna, che sono verisimilmente di natura
comune coi due citati; C(us(il Botolo (Porto Legnago), nome antico
ricordato nel 1224; Bódolo (Castello di Brenzone); Bovolóne (Ve-
rona), 813, 1145: Bodolone, 1184: Botholono: BovoUno (Butta-
pietia). sec. Xlll: Buvolino.
Questi luoghi, al pari di Bodoledo ecc., ripetono certamente
il loro nome dalla " betulla „, quantunque pei tre primi TOli-
viERi (v. pure AvoGARO, p. 19-20} pensi a un nome personale
germanico *B o t o 1 o, supposto per giunta, ch'egli pone accanto
a Bodolo, nome attestato (Forstemann, Altdeutsclies Na-
menbuck, Nordhausen, 1856, v. I). Ma quanto sia ardito que-
st'etimo si comprende, appena si sappia che per l'appunto nel
territorio veronese vivono i nomi bòvolo e bógol, designanti la
betulla ^. Un luogo detto Bodole, in quel di Samón (Strigno^
Valsugana), è ricordato nel 1348 (Morizzo. I, p. 120)-.
11 Salvioni, Revue de Dialectol. Boni., IV. p. 205, N. 1069,
vorrebbe spiegare le due forme veronesi dall'incontro di un
*bólo = *beólo con un '^'bévolo *bégolo ^ *b e t u 1 u s, ma s'egli
avesse avuto presenti i nomi locali citati, anche solo quelli ve-
ronesi colle loro forme antiche, non avrebbe sicuiamente pro-
posto una tale spiegazione, la quale richiederebbe inoltre la sup-
posizione della antica coesistenza di due forme, le quali non
solo non sono attestate nel veronese, né antico né moderno, ma,
per quanto si sappia, non compaiono in nessuna parlata veneta.
bo'lo à bensì il mio dialetto, il valsuganotto, ma questa forma
' Il Graziadei, Trid.. I[, p. 3-59, elenca Bogoìe, luogo di monte presso Cal-
donazzo (Lévico), nel 1657 Doss della Bogohi. Si trova riportato anche dal
Reich, Notizie, p. 214, r. 6 dall'a., nella forma Bogole da documento pure
del secolo XA^I.
^ Deve corrispondere agli odierni Boli, che si trovano appunto in quel
di Samón (Strigno). Il Suster, Trid., Ili, p. 168, n. 100. colloca, per errore,
Bodole in quel di Telve (Borgo).
fìicerclie di to|)onouiastiea trentina 201
tì da anteriore '^bo'olo e corrisponde quindi proprio al veron. rust.
bórolo, come provan le forme ho' aio delle Tozze (Grigno) (valsug.
orient.) e bq volo di Roncegno (valsug. occid.) ^ 11 Soravia,
Tecnol. bot.-forest. ci. prov. di Belluno, 1877, riferisce le forme
bodnla, bogola, hoola. Queste ed altre forme con o, che ricorrono
altrove (cfr. anche alto fass., garden., bad. bodo'j, il booletmn, ecc.
del DiT Gange e boyolias degli Statati di Palanza (Novara): Arch.
Glott., 1, p. 253, n.), tenuto conto anche della diffusione e del-
l'antichità dei nomi locali, sopra notati, dipendono, come è evi-
dente, da un antico *bo'tHla. che ebbe forse To' da b p il 1 u , op-
pure da un -^'pq'pulu (cfr. Salvioni, Rendic. d. R. Ist. Lomb.,
». II. v. XLIV. p. 934. N. 103) "^
Boibéno
Villaggio nel distretto di Tiene.
Il Brentari. III. p. 200. riferisce la forma Bidbeno del 983.
ma nel 1014 e nel 1027 compaiono le forme Belueno, Belveno
(Moti, (rerììì. liist., Dipi, rer/uni et iiìipcr. (renn., Ili, IV; v. gli
indici).
Anche Boibéno offre dunque un caso di v in b, quale si nota
nell'antico Mulbeno, per l'odierno Molvéno (Mezzolombardo), e
in Ulba (Caldonazzo, Lévico), in documenti ulva (lat. ti 1 v a
" giunco „ : cfr. però Schneller, Tir. Nani., p. 170, N. 90, p. 188,
N. Ili, p. 212, N. 498) [Ricerche, I, p. 24-25). In Boibéno è
' E lo prova pure il nome locale citato Boli. Si noti che nel valsuga-
notto vien mantenuto il -li nelle parole schucciole e nelle parole bisillabe,
fatte delle eccezioni per quest'ultime ikq'j o soli " soli „, tdj " tali ,, e^' " essi ,.
kU'ìj " quali „, kue'j " quelli ,. ì)^'j " IjcIIì ,, yuj ^ galli J. Nelle parole piane
Ai tre sillabe o più il l scompare, fatta eccezione per le parole con / {kam-
paniii, dafili). Se Boli quindi fosse da anteriore *Bedo'j avreMi^" dovuto
sonare, molto probabilmente, *Bo'j.
'" Siccome però lo stesso "po' pulii ebbe forse 1" o' da n p u 1 u . cosi *bo tuia
lo può alla sua volta aver avuto da *po'pulii.
202 Angelico Prati,
palese la spinta del h iniziale, ai quale si deve pure il muta-
mento dell'e in o. Per altri casi di questo mutamento v. Bat-
tisti, Catinia, § 31, p. 140, ed aggiungi tompésia " grandine „.
Bólgher (con o) (ò udito pure bi'iUjher e da un Valsuganotto,
che fu in quel luogo, pure bulgaro).
Luogo di campagna con case presso la Fèrsena nelle vicinanze
immediate di Trento.
1391 : in Bulgaro, in Bolgaro, jìertin. Trid. [Cod. Cles., Bit.
Trid., XI, p. 123).
Dal nome personale Bùlgaro, dal quale derivano diversi
altri nomi locali affini d'Italia. Per la Toscana v. Pieri, Dalla
" Toponomastica della valle dell' Arno „, Rendic. d. R. Accad. dei
Lincei, CI. di Se. Stor., Mor. e Filo!., s. V, v. XX, Roma, 1911;
Olivieki, Nomi, p. 23.
Calcerànica (pron. loc. kalzerdnega)
Villaggio presso Lévico. posto tra due colli. Vi fa trovata
un'iscrizione sacra a Diana ed à una chiesa antichissima (Bren-
TAEI, I, p. 290).
1184: Calcedranica ; 1391: Calcedranega (Cod. Cles., Bir. Trid.,
XI, p. 185); 1369: Calceranega {Bicerche, I, p. 50); 1503: Cal-
cedranica, Calcerànica (Reich, Notizie, p. 147).
Il Malfatti, I, p. 58, ricorda, a proposito di questo nome, il
nomignolo lat. calcitro, ma poi si perde in altre congetture inam-
missibili. Lo ScHNELLER, Sildtir. Landsch., I, p. 187-188, scrive
ch'esso può derivare da calcitra " chanssée de ville, i. pavimeninm „
(Du Canoe), e si sarebbe cosi formato il derivato *Calcedrani,
designante gli abitatori, da cui poi la forma Calcedranica, indi-
cante la lor sede.
Etimo pili plausibile pare quel *calci'tru, che sta a base
del trent. kalzidrél (che il B. E. il., 1502, dà erroneamente quale
Ricerche di toponomastica trentina 203
voce estintiì) o krazidél " secchia „. Il Du Gange cita calcedrus,
calcetrus dagli Stai. Bonon. del 1250-1267. Questa voce viveva
un tempo anche nel Veneto (il veronese però, specialmente ru-
stico, à ancora kalsirél^ kasirél): nel 1169 s'incontra a Pàdova
il cognome Raspacalcedro [de-) [Cod. Pad., II, p. cxxix) e nel
1183 è nominato un Calredrello, testimonio presente a Pàdova
(ivi, III, p. 481), dal che si vede come tal voce sia anche dive-
nuta nomignolo.
Che il nome di un recipiente possa passare a nome locale è
un fatto ormai noto. Basti ricordare i nomi, che ti'aggono ori-
gine da concila, *b r e n t a e catinu e v. quelli notati
a p. 15-16 delle Riccrclie, I. Ancor pili fanno al caso nostro il
loculi et fundus Calcedro del 999. del Cod. dipi. Lnngob., N. 964,
e il casale Calcedraun, che è un ^calcetro ne, di un catasto di
Caldaro (alto Adige) del secolo XIV, addotti dal Malfatti, I^
p. 57, 58. Un tal nome può aver avuto origine sia dalla pre-
senza di un qualche recipiente per l'acqua, sia da qualche buca
del terreno, naturale o artificiale, a guisa di recipiente o sim.
Per spiegare poi la terminazione di Calcedranira, non segui-
remo la supposizione dello Schxeller, dato l'etimo calcitra, ma.
supposto un luogo detto "^Calcedro.! da esso può esser stata de-
nominata la villa Calcedranica. ivi sorta, a meno che non sia
da partire addirittura da un '''Calcetrana.
Galiano (pron. loc. k-aìjam)^
Villaggio )iel disti'etto di Hovereto.
Intorno a questo nome, di cui discorse a lungo lo Schneller
^ S'usa con l'articolo, che si dovrebbe conservare anche scrivendo. I nostri
antenati rispettavano quest'uso. 11 valsuf^anotto Giacomo de Casi'klroto
(sec. XVI) scriveva infatti dal Callinno [Ardi. Treni., XXVII, p. 28). de!
Caliano à pure lo storico delle Giudicarle (ìniìsotti. V. Buentaui, Ili, p. 272,
che vi pone, tra parentesi, un .s^/r quindi non giustificato.
204 Ano-elico Prati,
nelle Tir. Nani., p. 28-80, e su cui ò avuto occasione di ritor-
nare nelle lìicerche, I p. 52-53, credo bene di aggiungere ancora
qualche considerazione, premendomi soprattutto di rettificare una
asserzione inesatta, che potrebì^e anche passare da un autore
all'altro e trarre in errore pili d'uno. Il Keich cioè, ripetendo
iu parte quanto aveva scritto nelle Notizie, p. 20, asserisce che
il vero nome originale del Rospo' k — corrispondente alla forma
letteraria tedesca liossòuch — . corso d'acqua, che passa per Fol-
garia e poi al Galiano, " era Cavalliano. sincopato in Galliano...,
e solo posteriormente tradotto in lìossbach. ., {L'Alto Adige,
a. XXVII. N. 10, 18-14 gennaio 1912, p. 3. I col.ji.
Siccome la forma kuljani non poteva venir tradotta in Rosshach,
ma poteva prestarsi a tale traduzione soltanto la forma "^kaval-,
il nome tedesco, nel caso, dovrebbe essere anteriore alla sup-
posta contrazione di *k-aval- in *kal-. L'insediamento di Tedeschi
in Folgaiia dovrebb'essere quindi avvenuto in un'epoca, in cui
era ancora usata la forma *karcilja)i o *kat:aìjai)ì. Ora, sapendo
che il nome Caliano compare per la prima volta nel 1211
{C. W., p. 218), converrebbe ritenere che un'immigrazione te-
desca sia successa prima di quell'epoca e infatti da un docu-
mento risulta che le più antiche colonie terziarie tedesche in
Folgaria risalgono al 1150 (Reich, Notizie, p. 62 63).
Ma non si può dire con sicurezza che il vero nome originale
fosse Cavalliano, perché non ce lo attesta nessun documento.
Quel nome non è dovuto che ad una bella, attraente supposi-
zione dello ScHNELLER, coutro la quale sta pur sempre però la
difficoltà di ammettere la scomparsa del e, che avrebbe dovuto
rimanere. Cfr. i Cavaioìio ecc., citati a p. 36 delle Tir. Nani. '-,
e Cavalése in Fieme.
^ Nella forma Rospoche si legge nella cai-ta, ricavata dall'ANicH e ripor-
tata dal Reich, Notizie, tra la p. 144 e la p. 145.
- A proposito dei quali si ricordino l'istr. kavajóii " bica d'uva , e il
J
Ricerche fU toponomastica trentina 205
Del resto lo stesso Schnelleu non dà la sua spiegazione come
certa, giacché nelle Sìidtir. Lanciseli., II, p. 54, per chi non è
contento di essa ricorda il Galliano in provincia di Alessandria
in Piemonte, e nelle Tir. Nani., p. 28, ammette pm-e come pos-
sibile la derivazione da C a 1 1 i u s o da C a 1 i u s.
Qualunque però si accetti delle due spiegazioni e malgrado
non si conoscano che forme antiche con i, non si può partire
dato l'ostacolo del / mantenuto in Kaljdnì, da *C a b a 1 1 i a n u,
rispettivamente da C a 1 1 i a n u, ma da *C a b a 1 1 i 1 i a n u^ da
*(j a b a 1 1 i 1 i u s, o da *C a 1 1 i 1 i a n u, da *C a 1 1 i 1 i u s ^
All'ostacolo in parola accenna pure lo Schneller nelle Siidtir.
LandsrJt., II, p. 53, ed osserva che la conservazione di II o l sì
spiega dalla contrazione di Cavallianwn in Callianunt, ma non
si sa qual fondamento abbia tale dichiarazione.
Canéza (pron. kanéia)
Villaggio nel distretto di Pòrgine.
Compare come Canesfia in un documento del 1166 (Bonelli.
II, p. 433) e si tratta certo di un errore per Canetsia^: 14U7:
Caneza {Trid., V, p. 394); 1506: Canesi (doc. ted.) {ivi, p. 396).
veneis. kuragón " covone „ [Revue de Diaìectol. Roni.. IV, p. 2"24. N. 1440).
E V. AvoGARO, p. 43; Olivieri, Studi, \). 184.
* Oppure da *C a 1 i 1 i ii s. Nelle Ricerche, I. p. 53, davo la derivazione
da *C a b al 1 i 1 i n s, sottintendendo la pos.«!Ìbilità della congettura dello
'ScHSELLEK, clie allora mi pareva più persuasiva, e preoccupato soprattutto
di superare l'ostacolo del l.
' Nel medesimo documento, in cui sono parecchi i nomi in forma tedesca
(v. Ricerche, 1, p. 30), s'incontrano Persiues, Vieracìi, Porteli, Sertzii (v. ivi,
p. 83. n. 1), Artzenach, Noc/arait, Cantzeliiii, Cuxilini, Floruts (v. ivi) (Bo-
nelli, li, p. 433). Oltre Artzeìiach, vi sono nominati altri due villaggi ora
scompaisi, pure nella valle della Fèrsena, Prati igQmt.) e i^rrtjt-fs/t (genit.).
Artzeìiach e Braresiuni furono distrutti dalle inondazioni della Fèrsena,
come narra il Montkhk.llo. p. 403. il quale usa le forme Bracese e Arcenaga,
206 Angelico Prati.
11 Malfatti, I, p. 61, die s'illudeva credendo che questo
nome potesse derivare da canìiicine " luogo piantato di canne „,
piuttosto che da cannitia " chiusa per i pesci „, dava erronea-
mente CcDièca quale forma dialettale, in luogo di Canéia \ come
è una ricostruzione sbagliata il Cauptia del Calai. Cleri Dioec. Trid.
(p. 58 dell'edizione per il 1913). Ed è poi da escludere che da
essa possa aver tratto il jiomo il monte Canzona (pron. popol. ìe
Calzane) presso Lévico (v. lìkerclie, I. p. 22-23), come pensò lo
ScHNELLER, Kfit. Jaìireshev. il. die FortscJit\ d. Bow. Pliilol.. IV,
III, ^. 154-155 ; Siìdtir. Landsch., I, p. 145.
Presso Possagno (Asolo, Treviso) vi è una Caniezza. che do-
vrebbe corrispondere alla trent. Cané'/i, come al ferrar, vanje^a
mentre il Malfatti. I, p. 24, n., si accontenta di rendere le forme del do-
cumento, con Brazesio e Arzenaco. Il Brentari, I, p. 274, scrive Brecesio e
Arzenaga e i! Geeoi-a, Tril , V, p. 390, Brarèn e Arzenago. Il primo nome^
che nel 1408 compare come Bracei^sy (genit.) (ivi, p. 395), diede origine al
casato Bracé^, che dura tuttora. Y. ciò che scrive di cjuesti paesi scomparsi
il Gram\tica, p. 12-14.
Del documento del 1166 e del fatto, a cui si riferisce, si occupò, com'è
noto, Tommaso Gak, Puffo tra il comune di Pergine e il tiiunicipio di Vicenza
nel MCLXVI, ma nel riprodurre il documento non fu esatto, perché mutò
Serizii in Serzii, Cantzelini in Canzelini.
^ Non è da fare assegnamento sulle forme date dal Malfatti. Basti dire,
per esempio, che egli si occupa di proposito del nome del villaggio di
Faléfina (pron. loc. falejf'na) (Pergine) (v. i miei Nomi, p. 167), credendo
che esso suoni Falef'uia (I. p. 71), e di Ospedaletto nella Valsugana cita nien-
temeno che la forma dialettale Spedalétt {Degli idiomi pari, antic. nel Trent.
e dei dial. odierni, Livorno, 1878, ult. p., ult. n.), forma di sicuro inventata
da lui. in primo luogo perché essa presenta un troncamento assolutamente
estraneo al dialetto locale e in secondo luogo perché la forma dialettale è
Dospedàle (cfr. valsug. dospedale " ospedale ,) o l'Ospedale [Doèpedalq'ti od
Ospedalo'ti gli abitanti) e Ospedaletto non è che forma letteraria, adottata
alcuni secoli fa da chi volle probabilmente abliellire il nome, che, seconda
il significato moderno, non sarebbe certo bello.
Ricerche di toponomustica trentina 207
corrisponde il trent. vanéia, ital. letter. vaneggia ^ E ai noti
l'einpol. (tose.) cannéggiohi " cannuccia del cui fiore, che butta
in primavera, si fanno le spazzole di padule „ {Bevue de
Dialedol. Boni., IV, p. 234). Per quanto riguaida la termina-
zione giova forse rammentare YErhe-io (pron. dial. -do) dei Les-
sini. in provincia di Verona (ìVvogaro, p. 24; Olivieiu, Studi,
p. 120), che corrisponde ad un Erbeggio, come osservò già il
ViDÒssiCH, Ardì. Triest., N. S., XXIV. suppl., 1902, p. 186, il
tose. Lappéggi (App-) o -éggio, se spetta a lapjxt (Pieri, p. 93),
e Fravéggio (pron. loc. fraréc) (Vezzano, Trento), se le condi-
zioni locali non sconsigliassero la derivazione da *frava =^ fraga
(cfr. Fragazzóle veron., ant. Frituezoìa-. Avogaro, p. 24; Oli-
vieri, Studi, p. 120) ^.
Cauredls (terra de-) (Val di Rumo, Val di Non) (nome antico)
E nominato nel 1220 (Schneller, Trid. TJrb., p. 166). La base
' L'etimologia del Salvkini, Ardi. Gìoft.. XVI, p. 490, non è sostenibile,
come à riconosciuto egli stesso, Krif. Jaliresher., IX, i, p. 108. La sua resi-
piscenza è sfuggita però al Meykk-Lììbke, li. E. IJ'., 5839, p. 388.
Nel valsuganotto si à rane'da (cfr. tfda [trent. te'in], ma feltr. hc'da, da
attegia). V. ancora Cks.mu.m Sforz.^, Arrh. Trent. ,^WW,y. 233, e si noti
la forma vanezta documentata nel 1085 (Gloria, Cod. l'ad., I, p. cxxxvii).
^ Un suffisso analogo presentano due altri nomi di piante : il valsug.
karye'do (i)ron. signor. Jcarje'io) da cariu (li. E. M\, 1696' e il mantov.
kar('/a, bresc. karéx'', cremon. Icaré-a " carice „ il cui T impedisce di deri-
vare il nome direttami-nte da *c a r i e i a icfr. Salvioxi, lieiidic. d. li. Ist.
Lomb., s. II, V. XXXV, p. 967). Il Meyer-Lììbke, R. E. W., 1691, cita il milan.,
bresc. kared^, ma un milan. karedx è sconosciuto al Salvioni, Revue de
Dialfitol. Rudi., IV. p. 89 n., N. 1691, e si tratterà di uno dei tantissimi
sbagli del Meyek-Lubke, e la voce bresciana viene ivi corretta dal Salvioxi
in kurez, kureze.
E bene anche ricordare che nel valsuganotto a satureja " santo-
reggia , corrisponde solfje'da (pron. signor. solJe'la\ nella qual forma il
g<ij SI spiegherà colla influenza o colla immissione del suffisso, che c'è in
harge'do, ecc.
208 . An,i,'elico Prati,
ne è un *c a p r e t u " capretto ,,, rappresentato largamente nel-
l'Italia alta (Salvioni, Studi di Filol. Rom., VII, p. 228; Ro-
mania, XXXIX, p. 438; Rendic. d. R. Ist. Lomò., s. II, v. XLIV,
p. 810, N. 97; R. E. W., 1647). Tra i nomi di piante *c a -
p rétn tr'ova un parallelo nel milan., poles. rovéda, rover. rovéa
" rovo „, nel ìuorfefo " mortella „ del vocab. ital. ecc. (Pieri,
p. 239). kaoré col derivato kaoreata, vive pure a Frazzena e ad
Ivano presso Stiigno (Valsugana).
Ciónesi (pron. ho'nef'i)
Campagna presso la chiesa parrocchiale di Pomarolo (Villa
Lagarina), ripartita tra più possessori.
Il RiCAMBONi à immaginato che possa essere il lat. colo-
nici \ ma non si sa come giustificare la riduzione di e o 1 o-
in co-. Poi c'è un'altra cosa. Il Ricamboni scrive Ciónesi., con ò
stretto, usando egli l'accento acuto per o' ed è {San Marco, II,
p. 167). ma la voce à invece g' (Schneller, Tir. Nam., p. 42).
Cles (pron. loc. klés: pron. dell'alta Val di Non kljés)
Borgata nel distretto omonimo e capoluogo della Val di Non.
Molte forme di questo nome, tratte da documenti medievali,
son riportate nelle Ricerche, I, p. 16.
All'etimologia, ammessa dall' Ettmayer, Rom. Forsch., XIII,
p. 512, n. 1, da ecclesie (plur.), il Battisti, nella Catinia,
§ 54, p. 159-160, moveva Tobiezione della divergenza tra Kljéè
e gljéf'ja. riflesso nònese di *eclésia, che sembra quindi opporre
^ Gl. RiccAMBONi, Nomi locali di Val Lagarina, San Marco, III, p. 39. In
quel di Cognola (Trento), presso Vilamontagna. c'è un luogo abitato Cig'gna
(forma Iettar. Chiogna), 1212 ad Clongia {Trid., II, p. 203); 1884: Clogna
[Cod. Cles., Riv. Trid., X, p. 58), che sembrerebbe essere colonia, ma
si oppone l'ostacolo sopra detto. L'o' qui sarebbe causato dal n (cfr. ro'na,
vergq'na, ecc. : v. le mie Escursioni, p. 124, e qui appresso s. Gro»i. [Dos de-]).
I
Ricerche di toponomastica trentina 209
ostacolo, come aveva già notato pure I'Inama, Ardi. Treni., XIV,
p. 10-11. Ma nella Nonsb. Miuid., p. 31, lo stesso Battisti rico-
nosce come possibile la derivazione da ecclesiae ed infatti
si può ovviare all'obiezione accennata, supponendo che Kljés
risalga ad un antico ecclesiae, anteriore a quell' *eclésia
(cfr. R. E. TF., 2823), forse di ragione greca (Meyer-LIìbke,
EiìtfnìiruìKj-, p. 124. 151), che diede il non. gljéj'ja, il furi, glefje,
il trent. ant., ven. ant. ecc. giesia e le altre forme romanze cor-
rispondenti (nel 1391 trovo in quel di Deno [Val di Non, distr. di
Mezzolombardo] il nome locale (ire la Gresia \Cod. Cles., Biv.
Trid.,' XI. p. 2(ì8 , oltre che drr la Giesia) ^ Altrimenti il ne-
gare l'etimo qui sostenuto, in vista della divergenza sopra notata,
sarebbe come negare, ad esempio, la derivazione di Lendinara
(pron. loc. lendendra), nel Polesine, da lèndine (Olivieri, Studi,
p. 136), perché la voce polesana per il " lendine „ è géndana '^.
A provare poi la derivazione di KUs da ecclesiae sta
il fatto importantissimo che in una pergamena deirarchivio cu-
raziale di Mèchel del 1185 gli abitanti di Cles sono detti Eccle-
sienses (Lorenzo Felicetti, Nuovi racconti e descrizioni del Tren-
tino, Cavalese, 1910, p. 64, n.) ^.
* Non è probabile clie sulla forma del nome locale abbia agito l'influsso
del dotto ecclesia (lat. eccles.).
^ Sulla qual forma v. Vidòssich, N. 6; Malagoli, Ardi. Glott., XVII,
p. 151-152. Al secondo è sfuggito quanto aveva scritto il primo.
(Con Lendendra, cfr. Gnjidovca da gnjida " lendine „ [Francesco Musoni,
/ nomi locali e Velemento slavo in Friuli, Rir. Geogr. Ita!., IV, 1897, p. 110]).
•^ Il Hattisti, nella «"«/y/t/w, § 54, p. 160, asserisce, sulla scorta del Reich,
che " per Cles le carte medioevali fino al 1000 danno Clavassus ,,, e
in nota, sul ricorrere del nome Clarassus, rimanda al Reicit, Arch. Trent.,
IX 24. L'asserzione del Battisti non è esatta e del tutto sbagliato è il rinvio
al Reich. E quindi bene mettere le cose a posto. In un documento del
Codice Adelpretano del secolo XII compare, tra altri nomi della Val di Non,
anche un ('/arasse (de-) (Bonklm, IT, p. 351). 11 Reich, il quale suppone che
210 Angelico Prati,
C'è infine da rilevale che è notevole la presenza di questo
vetusto nome locale derivato da ecclesia, di fronte ai nomi
risalenti a b a s 1 1 T e a. V. a tal riguardo Meyer-Lììbke, Ein-
fnliruììfi^, p. 244 ^
Coni
Nel 1261 è menzionato un loco uhi diritiir al Coni presso Isera
(Villa Lagarina, Kovereto) (Schneller, Tir. Nani., p. 44). Lo
ScHNELLER cita anche el co)iì della Zana in Yallarsa, che è pure
rammentato cosi nel 1400 e il nome Cagni di luogo montano
presso Nomi (Villa Lagarina, Rovereto).
quel documento sia del lOUO e. {Ardi. Trcìit.. XIV, p. 27-28, ove i nomi
non sono tutti riportati fedelmente), afterma, ivi, p. 24, che Clarasso (cosi
egli scrive) diede Cles, e, basandosi su ciò, lo dice nome conservato fino
verso il 1000. Non si tratta quindi che di una supposizione e nessun docu-
mento anteriore al 1000 reca quel nome. Ma, come m'informò lo stesso Bat-
tisti, Clavas.^e corrisponde invece all'odierno Clavàs, nome di un casale nel
distretto di Cles, che però non mi è noto altrimenti che da questa infor-
mazione.
Sul documento accennato è ritornato di recente il Reich, Trid., XIII,
p. 408-405, riportandolo e dicendolo ancora non lontano dal 1000 ip. 405).
Egli à ripetuto però l'identificazione di Clavasse con Cles [\). 404), non so
se perché non prestasse fede all'esistenza di Clavàs. Ma, anche astraendo
da questo, l'identificazione in parola sai-ebbe possibile soltanto ammettendo
che Cles sia stato detto Clavasse fino al 1000 e. e che poi gli sia stato mu-
tato il nome, chiamandolo Cles, perché da Clavasse non può assolutamente
essere venuto kle's, klje's i Questo nome sarebbe dunque recente, proprio
contxariamente a quanto ò sopra conchiuso, che cioè esso sia molto antica!!
Riguardo all'è di Clavasse, si avverta che anche altri nomi contenuti
nello stesso documento, i quali dovrebbero uscire in -u, escono invece in -e
(v. BoxKLLi, II, p. 350, 351).
^ Alle citazioni del Mkyek-Lùbke aggiungi Ohsi, Suf/gio. Ili, p. 237; Mal-
fatti, I, lì. 49. L'Oiisi dice che tali nomi sono rarissimi nell'Italia alta. Sfido
io! Sono sfuggite alI'Ousi tutte le Ba/elyhe, ecc. venete e furlane, che sono 7,
pili Porto Baféleghe e Treba.fétcghe\ (Arch. Glott., XVI, p. 229, n. 4; Olivieri,
Studi, p. 188). V. però Pieci, p. 119.
I
M
Ricerche di toponomastica trentina 211
Trattandosi di un singolare, sembrerebbe che Coni presenti un
caso di pi-onnnzia quale è nel rovor., trent. enég'nj " sogno „
(v. Battisti, Catinia. ^ 49. p. 157J. Sennonché esso risalirà in-
vece a un -^kónio, con / vocalico, da cui pure il garden, kéiine
e il fiu-1. koni (Arch. Glolf.. 1, p. 359 n., 366 n. 6, 509; IX,
p. 382-383 n.).
Cornejàn
A p. 8 delle Notizie storiche del Del Vj^j si legge che da tutti
i rinvenimenti fatti su quel di Ziano, presso Cavalese in Fieme,
risulta che anch'esso eia un centro abitato e che là doveva
esservi un villaggio, ciò che è confermato dalla tradizione, " che
ne conservò il nome Cornc-jan o Cunelian „. E in nota: " Oggidì
Coriiejan ed una volta anche Cornegluin è detta la plaga di cam-
pagna a levante di Zanon alle falde del monte; plaga che un
tempo apparteneva a Predazzo dal quale fu permutata per beni
in Imana. Il piano di essa campagna è nominato il Fiati dei
Pagani, forse dal fatto che in quelle vicinanze furono cose pa-
ganesche ... (Cfr. Ricerche, 1, p. 39 j.
Il Cunelian, sopra riportato, non sarà che un eri-ore per Cur-
neliaìi. Del pari Corneglum, preso evidentemente da qualche
vecchia carta, è al certo un errore per Corneglain o Corneglano^.
C 0 r n e 1 i u s diede anche più nomi locali al Veneto (Olivieri,
Studi, p. 78) ecc.
Cosmajóin (forma lettor. Cofmagnone)
Malga del comune di Trambileno (Rovereto).
Secondo lo Schneller, Tir. Nani., p. 48, la forma letteraria
è migliore e più giusta, certo perché essa è appoggiata dalle
* L'Oasi, Swjgiu, Ili, p. 247, riporta solamente hi forma Corneliano e cita
il Wkbkk G. B., Saijgio sull'origine dei jwpoli trentini, Trento, 1871, ]i. 88.
Archivio glottol. it.al., XVIIl. 14
212 ' • Angelico Prati,
forme dei documenti: JoG!): posta Gosiiiaynoni; ì4^-\'t): pasculunt
Cusmagnoni: 14:72: la posta de Cosmagnon.
Raro assai è nel trentino il fenomeno di j al luogo di it ed
io non so rammentare, quale i-iscoutro, che Maia ho, vecchio nome
del villaggio di S. Massenza (Vezzano), che aveva allato la forma
Magnano (Orsi, Saggio. IV, p. 5). Il Battisti, Catinia, % 49,
p. 156-157, cerca bensì di spiegare foneticamente le forme Pa-
samuntagia, nome antico di un luogo presso Nomi (Villa Laga-
rina. Rovereto), e canpagia (non passannoifagia e canipagia: cfr.
ScHNELLER. Tir. Nani., p. 110, n.j, per Passamoìitagiìa e cam-
pagna, di un notaio Pi^ollus (dallo Schneller non risulta però
se sia stato trentino, come lo dice il Battisti), ma dal Salvioni,
Arch. Glott., XII. p. 383. n. 4; Krit. Jahresber., YUl, I, p. 134,
si apprende che un tempo si usò scrivere g o gì invece di gii ili),
e poi le forme citate non paiono molto attendibili, perché in
quel documento, che è del 1216, si legge una volta sola ca)i-
pagia, mentre vi si legge ben quattro volte canpagiia.
Avevo pensato che in Cof'majóm. come in Maiano {Magnano),
possa entrarci T m a g T n e, per via di *majn-^ inanj- (v. s. Mani
e cfr. ital. ant. mania : B. E. TF., 4276), ma sarebbe un etimo
ben poco probabile! E poi nasce il sospetto che il /= ii di questi
due nomi risalga a Ij, da cui si spiegherebbe bene il /. e le
forme con gn si spiegherebbero coU'assimilazione al n seguente.
Tale assimilazione è documentata nel nome antico della rocca di
Rovereto^ che deriva da *c a s 1 1 1 i ii n e ìi l u : 1340-1448: Ca-
steljunculam, CastruniJ/oiodi. Casfrignunniìinn, Castrignoclium, Ca-
stringlonchum, Castrignuncum, Castrignondum, Castranculum, ecc.
(Schneller, Tir. Nam., p. 35); sec. XIV: Castrojunchulo, Ca-
stignonrli (Gerola, San Marco, II, p. 34). L'arbitrio dei notai,
come si vede, c'entra alquanto in queste formo; tuttavia della
forma originale e del conseguente processo d'assimilazione non
si potrà dubitare molto facilmente. Due castelli del Vicentino
Ricerche di toponomastica trentina 213
trassero pure il nome da *c a s 1 1 1 i ìi n e ìi 1 u, ma in essi non
avvenne l'assimilazione anzidetta, come si può vedere dalle
forme in Castrihmculo {1262) e i». CastrioncuU {1287), riprodotte
dal Gerola, ivi, p. 35 ^
Cfr. poi nianàr di fronte al iomb. niajà (Salyioni, Arch. Glott.,
XVI, p. 309, Rendic. d. R. Ist. Lonib., s. IL v. XLIV, p. 762;
R. E. W.. 5235) e gli esempì furlani di m-j > m-n nell' /l/-cA.
Glott., XVI, p.478, n.2. V. inoltre Olivieri, Studi, p. 67 {s.Annms),
68 (s. Asellius), 75 (s. CarilUus), 76 (s. CioilUus), 81 fs. GemeUius),
AvoGARo, p. 11. 16, 17, e il cognome veneto RegaióU. cui sta allato
Regagnóli ^.
Cupa (nome antico)
E ricordato nelle Designationes comunium civitatìs Tridenti
del 1339: Predagnda siue Cupa... sub qua est quidam coualetus
{Arch. Trent., XVI, p. 184). Si tratta di cupa " cupola „, da
cui la cìwa dei documenti medievali veneti (Gloria, Cod. Pad.,
II, p. cxiv) e il venez. mod. kuba. In un documento nònese
del 1454 si leggono le forme guua (nel testo latino) e gua {la-)
(nella parte scritta in volgare) {Ardi. Treni., XXVII. p. 206.
I r., 207, I r.).
' Cfr. Lapo da Custiglioncìiio, filoloo'O del sec. XIV, e il Capo CufitigUon-
cello (Livorno).
^ RegaióU e anche casato della valle bassa della Sarca, nel Trentino.
Difficilmente si connetterà col nome Rigala, il quale s'incontra più volte
in carte trentine (Schneller, Tir. Naiìi., p. 800, N. 133; Cesarini Sforza,
Arch. Treni., XXVI, p. 192), se questo dipende da Rigaia, che era nome di
un luogo presso Carpen^'da in Folgaria (Rovereto) (Reich, Notizie, p. 32-33).
Uno detto Rigaia a Scurelle (Valsugana), trovo nominato nel 1417 presso
il MoRizzo, I, p. 184.
214 Angelico Prati,
Oegàra
Luogo di Tiaino di Sotto (Val di Ledro) [Arcìi. Trent., XXV'I,
p. 197, alla. 1479).
Degàra spetta forse alla famiglia di voci, alla quale appar-
tengono i nomi di luogo, designanti torrenti o canali, raccolti
daU'OLiviERi, nei suoi Studi, p. 192, poi la Diigója di Fieme
(v. Ricerche, I. p. 52), la Donerà {Duéra) località in Zei presso
Castellano (Villa Lagarina) (Schneller, Tir. Nani., p. 51) e, tra
i nomi comuni, il solandro diigàl " canaluccio di scolo o d'irri-
gazione „ (Battisti, Zur Sidzh. Mund., p. 214), l'ant. moden.
sdugaro " condotto, canale „ (Bertoni. Atti e Meni. d. R. Deput.
di Sf. Patria j). le Prov. Moden.. s. V, v. VI, Modena, 1910,
p. 187). la dogaja e dugaia del vocabolario italiano ecc. (Pieri,
p. 179; R. E. W.. 2714). A queste voci ò occasione di accennare
neWArch. Glott., XVII, p. 400, 562, notando come per Degàra
(Olivieri. 1. e; Avogaro, p. 60) sia da escludere la derivazione da
d e e o 1 a r e o da d e e ìi r r e r e (v. Olivieri, in n.), in causa del
fiam. Dugója, ed appoggiando quindi l'etimo *d ii e ò r i a. Ma
ad un *d li e a r i a non potrebbe risalire Duéra, clie presenta il
dileguo del g, sicché la base comune di tutte le voci accennate
dev'essere appunto dóga nel significato di " fosso „ [R. E. W.,
2714; Schneller, Tir. Nani., p. 192, N. 11). Cfr. rover. doa,
trent. do' va " doga ,, (Battisti, Catinia, § .69, p. 175) ^
L'è di Degàra può forse esser sorto per effetto d'assimilazione
nella forma ^Dogherà, che dovette essere (e lo sarà tuttora) della
pronunzia popolare ^. Conviene però aggiungere che anno Ve più
' do'a 0 do'va nel veronese, dq'a nel polesano ecc. Nel solandro, y'tZo'ro
significa " canaletto di scolo della forma pel cacio , (Battisti. Zur Sulzb.
Mund., p. 220).
Per i ven. Degóra [la) v. Du Gange, che ri|iorta la voce degora dal Jns
Vicentin., lib. 1.
' Da pergamene della Val di Ledro il Battisti, Catinia, § 2, p. 88, rife-
Ricerclie di toponomastica trentina 215
d'una (Ielle forme citate dairOLiviKiu, nelle quali potè bensì agire
l'assimilazione, ma è supponibile anche che Ve vi abbia un'altra
ragione speciale, comune con Degara, probabilmente influsso di
d e e 11 r r e r e ^.
Fàver
Villaggio nel distretto di Cembra.
1424: cilla Favre, Faure [Cod. Cles., Riv. Trid., XII, p. 142,
217); 1391: Faher (doc. ted.) (ivi, IX, p. 279).
Può essere un nome peisonale *F a b r u s (cfr. F a b r i u s),
dal quale dovrebbe pur derivare l'antico Favrese. che I'Oliviert,
Studi, p. 79, riconduce a torto a F a b r i u s. ma può forse
meglio ricordare che in quel luogo un tempo c'era un artefice.
V. i nomi, d'origine affine per il significato, citati dallo Schneller,
Tir. Nam., p. 55, e dall'OLiviERi, Studi, p. 193 2.
Flumadiga (el palude de-) (nome antico)
E un luogo della valle di Fieme, che si trova nominato nel 1505
{ArcJi,. Treni., IX, p. 104) ed è tra i pochi, che derivino il nome
da f lumen (v. Olivieri, Studi, p. 155, s. vetus, 166; Prati,
Escursioìii, p. 108). Nella Valsugana c'è la Fùniola, torrentello
vicino al Borgo, detto aqiia Fluitole in un documento del 1438
(MoKizzo, II. p. 301. 304, 305, 306, 307). Si noti anche Fiumefélo
risce le forme alla Chalchera, alla Glera (1423), ma non so come metta as-
sieme con esse anche uslera e caldere (1584), che non sono casi di -ària,
ma di ^-e'ria
' Per casi di e da 0 protonico v. Battisti, Citfiiiia, § 34, p. 142, ov'è da
togliere 'ìfmàr (cfr. R. E. ÌV., 2549).
^ Da Fabrius deriverà almeno uno dei due Farri delle Giudicarle, di
cui V. Ok.si, Saggio, III, p. 251. Cfr. anche Frajàn (Vermiglio, Val di Sòl)
(forma let ter. F»'ajji«;;o), nel 1200: Fabrianum, 1220: Flauianiim (Schneller,
Trid. Urìj., \y 167), 1438: Fravianum {Cod. Clea., Riv. Trid., XIT, p. 222).
216 Aii.i^^elico Prati,
(Padova). Ancor meno sono i nomi, che continuano fliiviu
(v. AvoGAUO, p. 46; Olivieri, 1. e; Prati, Escursioni, p. 107;
Salvioni, Quisquiglie, p. 384) ^
Folgaria
Comune nel distretto di Rovereto.
V. le Ricerche, I, p. 33-34. ove sono ricordati altri tre luoghi
di nome affine e son riportate parecchie forme, tolte da docu-
menti, la pili antica delle quali, per la Folgaria sopra citata, è
del 1200 e. Ma, stando allo Hormayr, essa è nominata ben prima.
Il Sabersky, p. 41, riporta infatti dai Beitr. z. Gesch. r. Tir.,
II, I, p. 74, di quest'autore le forme Folgarides e Folgarie di un
documento del secolo IX e lo Schneller, nelle Sndtir. Landsch.,
II. p. 66, riferisce pure che lo Hobmayr, nell'opera citata, p. cit..
enumera tra i luoghi del territorio trentino al tempo dei Franchi
Fulgarides, Montana Fulgorie, ma dice che non sa trovare da
quale documento siano stati presi questi nomi ed aggiunge che,
con certezza, Folgaria è nominata per la prima volta nel 1208.
Nelle Tir. Nam., p. 57, la dice nominata invece già nel 1196 2.
Sul nome Folgaria, la cui forma tedesca si perpetua nel co-
gnome Folgarait (cfr. anche Folgheraiter, Forgheraiter e v. Tir.
Nani., p. 58, 287), dopo quanto ne aveva detto lo Schneller. è
ritornato il Battisti, Catinia, § 8, p. 106.-107. Si tratta di un
derivato in -età di *filicaria [R. E. W., 3298), da cui i
' Paolo Diaconu, HìaI. Langob., V, 18-20, nomina un luogo Floviiis. che
era forse nei dintorni di Aquiléia. V. Memorie Storiche Forogiulesi, Vili,
p. 262.
^ L'Orsi, Saggio, III. p. 252, riporta le forme Fulgarida del 1200 e Fai-
garia del 1208. Egli, come al solito, non cita la fonte, ma queste devono
essere le forme, che si trovano nel C. W., riferite quindi erroneanu nte,
anche riguardo agli anni. Cfr. Ricerche, I, p. 34.
Ricerche di toponomastica trentina 217
toscani Filicdja (Pieri, p, 88) ^. La supposizione del Battisti, che
1/ di Foìgaria si spieghi forse dall'iato di é con a, sarà da re-
spingere, perché 1'/ compare anche ove la dentale si mantiene
salda [Fuìgarida: v. Ricerche, I, p. 84)-. Ma è poi strano di
trovare attestata la caduta del ci secondario in documenti di
epoca SI antica pioprio in Folgaria, dove si tfovano Carpenéda,
che è frazione della Vila di Folgaria, e Sercida, che è frazione
del comune di Folgaria. Nei documenti s'incontra più frequen-
^ V. anche i nomi addotti dall'OLiviEiii, Stttdì, p. 119, e parecchi altri
d'altre parti d'Italia,
Osservo per incidenza che secondo il Battisti, o. c, § 8, p. 106, n. 4, nel
trentino ricorrono forme eguali sale/'e'f, laref'e't, haref'e't, ina a me non fu
mai dato di trovarne. Trovai al contrario Saléto e Pfl«/e ■< *p a n i e t e t u
{Nomi, p. 172, 170-1711
~ 11 Battisti, o. c. p. 107, trovando in un urbario del 1200 dei nomi so-
iandri in -ido (v. p. 105), domanda nientemeno se, essendo -età (plur.)
almeno cosi frequente come -e tu (sing.), non sia possibile per un testo
come VUrb., che tradisce pili volte tendenze letterarie, " ricostruire su ia
o dà (scritto ida) un singolare ido per e(du) „. Anch'io {Ricerche, I, p. 47),
trovando un Zujndo (oggi Zopéì in un documento fiamazzo del 1188, rife-
rivo a confronto i nomi solandri dell' f/ri. ed un Faida, Faydum, ecc. (Lavis)
iv. anche Schneller, 5e;7/Y/,^e, III, p. 72), ma ora devo soggiungere chetali
forme, in quanto possano rappresentare eti'ettivamente una pronunzia /,
sono del tutto illusorie. Dalla lettura dei documenti si trae la sicura dedu-
zione che i notai usavano spesso, scrivendo in latino, / od u per l'astretto
o Vo stretto di nomi locali, di nomi personali o di altre voci dialettali.
E cosi, ad esempio, che si spiega il nome di persona Mitifogas (1259: cfr.
Battisti, 0. e, § 7, p. 103), che ritorna nel 1307. ecc. (Nicolai Mittifoghi de
Arco: Cod. Cles., Rir. Trid., Vili, p. 110; Schnhllior, Tir. Nani., p. 280, N. 29),
e i nomi locali citati dal Battisti, o. c, § 14, p. 117, ai quali, tra molti altri,
si possono aggiungere Tiliiii (forse errore?) {Ricerche, 1, p. 58) e Mahiscum
del 1214 {Malo'sco) (Montebello, p. 15 dei doc). Cfr. anche il trent. regro
(anche veneto; valsug. vje/gro) " sodo „ (Scmnki.i.er, Die roiii. Voìlcsinund.,
p. 210) da *veteru, che nei documenti medievali latini compare come
vi/jru.<i. V. le Escursioni, p. 101-102.
Per e protonico cfr. il Cattignedinn. del 1384, citato nelle Ricerche,
1, p. 51, n., un altro nella Valsugana del 1462 (Morizzo, III, p. 64), un Ca-
218 Angelico Prati,
temente la forma con la dentale conservata. Folgarida trovo
anche in carta del 1569 (Morizzo, II, p. 18) ^ Por 1'/ cfr. i
nomi locali veneti citati dall'OLiviEiu, Studi, p. 118, n. 3, e 208.
V. anche Persegcnia ivi a p. 124 e Salgaria a p. 128 ^.
Frassifongo (pron. loc. frasilonk)
Villaggio nell'alta valle della Fèrsena (valle dei Mòcheni), nel
distretto di Pòrgine.
1166: Fraxiloìig l {genìt.) (Bonelli, li, p. 433).
Di questo nome fo cenno specialmente per segnalare il caso
stignaro, ivi. del r267 (ivi, I, p. 5) ecc. e per e postonico VAsilìo, Asilo
del 991, 996, da Acelum, oggi A/ulo (Treviso) {Escursioni, p. 94) ecc.
Per 0 protonico la stessa Fidgarida.
Quante congetture, anche inverisimili, d'ordine fonetico, verrebbero rispar-
miate da una conoscenza più approfondita delle grafie usate nei tempi
andati !
^ Il ted. Folgardit, come Nogarait, oggi Nogaré (Pèrgine), citato in una
nota s. Canéia, ecc. (v. Battisti, Catinia, § 8, p. 105^ risale dunque ad un
tempo, in cui la dentale non era ancora scomparsa. Cfr. del resto anche il
Tahlat ■< t a b ù 1 a t u, dovuto al tedesco antico di Lavarono (Rkich, Notizie,
p. 185, n.) e Tabelat in ciuel di Trambileno (Rovereto) (Schnellhk, Tir. Nam.,
p. 189; cfr. ivi p. 3'25, n.). Cfr. invece, nei Sette Comuni, Gliel, nome te-
desco di Gl'ilio, ant. Galeditm (Escursioni, p. 110, 136).
~ In qualche caso potrà entrarci il suffisso -i a (Meyer-Lubke, Ro»ì.
Granuli., II, § 406). Cfr. trent. briìholarni " pruneto, prunaia ,, \ìaàov. per-
segaria " campo piantato a peschi „, salgaria " salceto „ e anche l'istr.
Volparla (Giannandrea Gravisi, Appunti di topon. istr., Boll. d. Soc. Geogr.
Ital , s. IV, v. X, P. I, Roma, 1909, p. 628), poi ahetia, rogaria, roveria nel
Petrocchi.
Riguardo alla furi. Forgaì'ia, che I'Olivieri, Studi, p. 119, riferisce come
Folgaria, forma che ò pur io accolta nelle Ricerche, I, p. 34, dallo Schneller,
Tir. Nani., p. 57, risvilta che essa sona Folgiàrie (cfr. Ciararie, ecc.: Arcìi.
Glott., I, p. 486) ! Nell'inganno è caduto anche il Battisti, Le dentali, p. 132,
ma, ammesso pure una *folgiarie, come è possibile la derivazione, da lui data,
da un ^f i 1 i e a r e t u, nel Friuli? E dire che si conosce \'A. ioxmìx. Fìirgaria
del 1000! Ma essa, come insegna l'odierna Folgiàrie, va dunque letta Far-
Ricerche di toponomastica trentina 219
curioso ch'esso si ripete nella provincia di Treviso, dove c'è ap-
punto un Frassalongo presso Spercenigo (Olivieri, Appunti,
p. 194; Agxoletti, Treviso e le sue pievi, 1, Treviso, 1897,
p. 710).
Potrà essei-e riduzione di un anteriore *frasenlo'ngo, ma forse
non va dimenticato quel frasso " frassino „, di cui v. Salvioni,
Rendic. d. B. Ist. Lomb., s. Il, v. XLIV, p. 786; R. E. W., 3489,
e cfr. CariJÌ i Yillabartolomèa, Verona) presso Olivieri, Studi,
p. 116-117.
L'i di Fraéilq' )ìk si dovrà al s e per Va di Frassalongo cfr. la
forma veneta (poles., veron.) frasano e si ricoi'di Frassanédo
(cfr. wen.karpnine: Olivieri, Studi, p. 120, 117; Luzzatto, N. 65;
ViDÒssicH, N. 73).
Frizzi
Case in Oimone (Villa Lagarina, Rovereto).
E anche cognome e non c'è bisogno di ricorrere, come fa lo
Schneller. 77r. Nani., p. 72, al ted. F r i t z. Esso corrisponde
al cogn. Fedrizzi (v. ivi, p. 252), di cui è una forma accorciata,
come il cogn. Frigo lo è di Federigo. Fedrizzi, Frizzi è da un
plur. Federici come Odorizzi è da Odorici. Sono natu-
ralmente riduzioni non molto antiche.
gària. Nel 1264 si incontra la forma Forgiarin {Meni. Sfar. Foroginì., IX,
p. 103).
Il monte Fuìi/ttridn, in quel di Faédo (Lavisi, nominato nel 1326, ch'io
{Ricerche, ], p. 34) ò riportato dal Rkich, Sul confine, p. 131 (p. 23 delia
II ediz. a parte\ compare come nioiis qui rlicitiir Folgarido presso lo Schnellkk,
Beifì'ige, III, p. 78, e sarà quindi quel medesimo folgorido, folgori, che ò
derivato da fùlgiiritu {Ricerclie, I, p. 34). Ct'r. anche lat. fiilgtiratns locii^
luoffo percosso dal fulmine ,.
Un sicuro derivato di fili ce è il Felcai-ctiim (non veneto) di un docu-
mento del 1029 dei Mou. Gcnn. ìiist.. Dipi, rci/iiiti et iinper. derni.. IV.
220 Angelico Prati.
Gande (le-)
Son rainiiientate in una carta del 1608, nella quale si parla
di un prato su le Gande a Lardare (Tiene) (Arch. Treni., XXI,
p. 168) ^. È voce che corrisponde al trent. yana e che nei paesi
teiesclii si incontra solamente ove vi fu un tempo un linguaggio
romanzo (Jud, Bull, de Dialectol. Boni., Ili, p. 6, n. 1). A pro-
posito poi delie gane della Val della Friea sopra 'l'erlago (Vez-
zano), da me citate nelle Ricerclie. I, p. 3-1, togliendole dal Trid.,
II, p. 227, si deve notare che esse non costituiscono un nome
locale.
Tra le numerosissime forme erronee del 7?. E. ]V. c'è pure il
trent. ganda (3670), invece della giusta fotina gana, che non
significa né '' costa dirupata „, né " pietrame, macereto „, ma
" crepaccio; cavità, insenatura (nelle rocce) ., . Per questa voce,
di origine preromana, oltre le citazioni del Meyer-Lììbke, R. E. W.,
v. quelle del Jud, Bidl. de Dialectol. Rom., Ili, p. 9-10, ove si
pongono a torto quali tipi basici *g a n a, *g a n i t a, mentre
l'etimo giusto è evidentemente '•■ganda. Il Jud rinvia anche
alle Ortsììf. 183 (intendi Tiì\ Xam.), ma per isbaglio. Due nomi
locali Gann e Gamie (ted.) sono citati invece a p. 61. N. 53, e
a p. 204, N. 118, di esse. V. anche G. Bertoni, Note di topo-
nomastica modenese, Atti e Mem. d. R. Deput. di St. Patria p. le
^ In un documento del 1326 della Biblioteca Civica di Trento si nominaj
un tale de Gande nel territorio di Éppan (valle alta dell'Adige), nome che.
sembrerebbe aver dato origine a quello del castello di Gctudet/r/. Sennonché
si può dubitare che quel Gande designi un luogo, potendo anche trattarsi
di un nome personale Gando. Si ricordino i de Gando, originari di Trento,
dei quali v. Reich, Sul ronfine-, p. 12, n. 1 (se ne nominano ivi a p. I2>
13, 14 ecc. e 29). Nel 1559 viveva un lohannei q. Pefri Gandini de Rorctna
(Roana) (Vicenza) (Reich, Notizie, p. 172).
Nomi locali, che dipendono da *g a n d a. della regione dell'alto Adige
si possono vedere presso lo Schneller, Beitrfige, 11, p. 94-95.
Ricerche di toponomastica trentina 221
Frov. Moderi., s. V, v. VJ, p. 220, dove si voirebbe connettere il
nome locale Gana con gana " ninfa ., .
Gardenay (nome antico)
Tra i molti luoghi rammentati nel catasto di Pine (Civezzano)
del sec. XV c'è Gardenay Un-), aij G. sul Flore [Trid., X. p. 430;
ivi. XI. p. 372). Tenuto conto di quanto ò già detto nelle Ri-
cerche, 1, p. 61, \'-ay qui può essere da -àriu, sicché il nome
potrebbe dipendere da gardéna (trent. ecc.) " cesena; tordela „
(cfr. ScHNELLER. Tir. Nain., p. 71), che pare abbia dato origine
anche altrove a nomi di luogo, i quali potrebbero tuttavia di-
pendere da w a r d a. di cui si dice qui appresso: di tali nomi
V. ivi. p. 70, 71. e Sabersky, p. 42. Ma V-ag di Gardenay può
anche non essere da -a r i u e in tal caso ricordo che nel val-
suganotto vive la voce gardenayo, nome del eentonchio o gal-
linella {sfellaria media) (trent. biidél de galina). Non so se una
tal voce viva in Pine, ma foi'se ci viveva un tempo.
Gàrdolo (pron. loc. gàrdol)
Paese presso Trento.
Nei Xonii, p. 168. connettevo Gardol cou *cardu. specie
di pianta, e contio la derivazione dal germ. *w arda oppo-
nevo che nel trentino w a diede ra o gua. non gn. A questa
osservazione il Battisti, Fro Cnlfura, I, p. 104, aggiungeva
inoltre che il genere maschile del nome non si capirebbe in una
formazione dall'etimo tedesco. Ma egli non avrebbe al certo fatta
tale obiezione soltanto se avesse posto mente a Gabii'il, da
cavea, che, nei miei Nomi, precede proprio all'articolo liguar-
daiite Gàrdol, e soprattutto se avesse avuto sutt'occhio il j^ 383
della Rom. Grainm., 11, del Meyer-LIìbke, ove sono citati pa-
recchi diminutivi maschili di piimitivi femminili. Il caso inverso
si presenta in Co9»o7a, da cuneu (Nomi, p. 166-167; Ricerche
222 Anfrelico Prati,
I, p. 3. n), per la quale il Battisti, I. e, preferiva colonia (!).
Ma anche l'obiezione concernente il w è tutt'altro che grave e
il mio scopo è qui anzi di riaffermare la derivazione di Gàrdol
da *w a r d a^ contrariamente a quanto pensavo altra volta. Come
ò già notato nelle Ricerche^ I. p. 3, n., I'Olivieri, Studi, p. 202,
spiega con *\v a r d a i nomi locali del Veneto Garda, Gardón,
Gardóna, Gardàna [Gardaróla può essere da *c a r d u) e con
w a 1 d. pur dubitando, un Monte Galda e un Monte Galdella
(p. 132). Lo ScHNELLER, Tir. Nani., p. 73 (v. anche p. 196, in
fondo) riconduce alla medesima base (egli ammette come base
l'alto ted. ant. warta, ma a torto) le Gdrdole, altura a mez-
zogiorno di Volano (Rovereto). Gàrdol che un tempo doveva so-
nare Gdrdole, come attestano forme documentate, ed altri nomi
a p. 70, 71 [Gardena ecc.). Si tratta in generale di nomi di
luoghi elevati, per i quali l'etimo *w a r d a è molto adatto.
Garda veronese ebbe il nome dalla famosa rocca (Avogaro, p. 56)
e si noti ancora un antico Castritin Gardonae (Castel-lavazzo,
Belluno) (Pellegrini, Nona loc. di città ecc. d. pror. di Belluno ecc.,
Mise. d. E. Dep. Ven. di Storia Patria, s. IV, v. Ili, p. 38) e un
monte Garda dell'alto Trevisano. Per il rispetto fonetico si ri-
cordi che nel trevisano antico yuarnazza '' guarnaccia ,, alterna
con garnazza (Salvioni, Arch. Glott., XVI, p. 259, 303j.
Un altro caso di w a in ga si avverte nell'aggettivo garbo
(ven.), garp (femm. garba) e più spesso ghérp (femm. ghérba)
trent). " agro „, che col significato assunto da alcuni deri-
vati italiani di acerbu [v. B. E. TF., 94: Salvioni, Berne de
Dialectol. Boni., IV, p. 95), cioè di " cainpagna incolta; sodaglia.,
0 più frequentemente, quale aggettivo, col significato di " in-
colto „, ricorre nei documenti medievali veneti nella forma
garbiuìt terre, garbum (sost.) [Cod. Ecel. p. 565). garbus, gerbus
(aggett.) {Cod. Pad., 1, p. cxxiv) o in quella di warbus {Cod. Ecel.
p. 323, 466, 467; Cod. Pad., Il, p. cxxxviii: Schneller, Tir.
Ricerche di toponomastica trentina 223
Xdììi.. p. 34) 0 di (/uarbiis (Cod. Pad., [\. p. cxx), e lasciò tfacce
nella toponomastica veneta {Escursioni, p. 110). Cfr. pure il
pieni, (jaro " campo incolto „ ili. E. W., 94). Le due ultime
forme antiche riportate mostrano quanto siano lontane dal vero
le spiegazioni tentate finora di questa voce (v. Salvioni, Rendic.
d. E. Ist. Lomb., s. II, v. XXXIX, p. 483, n. 2; Revue de Dialectol.
Boni., IV. p. 95. N. 94. R. E. W., 94, 4064: il Meyer-Lubke, oltre
che riferire inesattamente le forme, dà l'erroneo significato di
" amaro „). La base sembra un *w a r b " acerbo ., e nella
forma yì^érp non c'entrerà né g a r b e, g a r w e 1 (Battisti, Die
Nonsb. Mund., p. 27: Arch. Treni., XXIII, p. 273), né il ted.
Il e r b, ma il lat. a e e r b ii, da cui il lomb. ^érp (femm. lérba) ecc.
(v. anche le voci furlane notate neÀVArcJi. Gloft., I. p. 491, n. 1).
Dell'antichità poi della riduzione di w a a c/a paila la garda
(Verona) dell' 845, citata in una nota s. Mori.
In quanto a Valda (Cembra) [Nomi, p. 175) si avverta che
compare quale Gualda anche nel 1337 (Reich, Sul confine^, p. 70).
Il w diede dunque risultati vari : f, (jU, g, ai quali si aggiunge
il b in voci piti recenti, per lo piti d'origine bavaro-tirolese. Per
la storia del w non si dimentichi poi (r/w/a (Schnelleb, Tir. Nam..
p. 81 ; Salvioni, Boll. Stor. d. Svizz. Ital., XXII, p. 92), che pre-
senta risultato diverso da quelli di wiza (Marinelli, Riv. Geogr.
Ital.. Vili, p. 167-168: Salvioni, Krif. Jahresber., VII, I, p. 147;
Olivieri, Studi, p. 202; Altón, p. 68; Prati, Ricercìie, I, p. 35)
e V. NiGRA, Arch. Gloft., XIV, p. 384 ; XV, p. 115: Bianchi.
Arch. Glott., XIV, p. 305-307.
giare (nome antico)
1049 : de uilla que nominatur niarko (Rovereto) locu hubi di-
ciiiir giare [Arch. Stor. p. Trieste, V Istria e il Treni.. I, p. 294).
<^)uesta denominazione volgare di campagna non si tiova nelle
Tir. Nam.. dello Schneller, p. 81. Si tratta molto probabilmente
224 Angelico Prati,
della menzione più antica di un luogo di campagna spettante al
Trentino.
Grafiàm
Luogo in quel di Povo (Ttento).
1391: de Grafiano (Cod. C/es., Riv. Trid., XI, p. 189j; 1427:
de Graffiano de Paho (ivi, XII, p. 214); 1531: de gramphiano
(Arch. Treni.. XXVI, p. 198. all'a. 1531).
Notabile in questa vecchia forma l'inserzione del «, chiamato
dal n seguente. Cfr. il Linfàno, terra in quel di Arco, di fronte
alla forma collaterale Lufàno {Strenna dell'Alto Adir/e, 1901,
p. 50). V. anche Olivieei, Studi, p. 110, s. grafio^.
Gràuno
Villaggio nel distretto di Cembra.
Ritorno su questo nome per fare una rettificazione. Secondo
il Battisti, Catinia, § 14, p. 117, esso suonerebbe Graimo ed
io. fidandomi di lui. ò ripetuto questa forma nelle Ricerche, I,
p. 12, ma si tratta di un errore, perché il nome suona invece
Gràuno. Cade cosi del tutto la mia supposizione che esso si
possa riallacciare con Gardùm (ant. Garduno). In documenti te-
deschi del 1391 [Cod. Cles., Riv. Trid., XII, p. 59; ivi, IX, p. 279)
compaie la forma Kraiin, Craun. E v. Schneller, Tir. Xatn..
p. 16. Il nome pare si ripeta anche nella Valle di Non, trovan-
dosi nel Cod. Cles. : in villa Annidi (Dermiil, nel distretto di
Cles), ubi dicitur Al Graun apud Rivum aquae (1391) (Riv. Trid..
X, p. 265).
' Un nome locale, in cui si nota inserzione di n senza Ja spinta di un
altro n e, oltre Roncafq'rt (Trento) (Schneli.er, Tir. Nain., p. 140, n.),
gronzu (a-) (1424) (Arch. Trent., XIV, p. 48, n. 6), oggi Groz, in quel di
Terlago (Vezzano)- Cfr. Salvioni, Boll. Stor. d. Svizzera Ital., XXII, p. 95,
s. Pallanza.
Ricerche di toponomastica trentina '225
»
Grom (Dos de-)
Sta sopra iiiiiiiediatamente al paesello di Varano (Gardumo,
Val di Gresta, Mori) (Val Lagarina) {San Marco, IV', p. 84).
1234: icardia dossi de Grumo de Gardumo {C.W., p. 350); 1235:
castruvi Grumi (Schneller. Tir. Nam.. p. 83); 1236: de castro
Gromi (ivi); 1307: varda dossi et castri Grumi de Garduno [ivi).
Attira tosto l'attenzione, in questo nome, il fenomeno delTrt'
in ó, clie è bello veder documentato già nel 1236, ma che, se
è molto siiigolaie per se stesso, lo è ancor pili di fronte agli
, altri nomi locali riflettenti griìmu, i quali mantengono Vii
(v. Schneller, 1. e). Sennonché vien fatto di domandarci se non
sia pure g r lì m u il Gran, che si ripete più d'una volta nel
Trentino (v. Ricerche, J, p. 34, 35). 11 Gron del monte Gagia
(forma letter. Gai:{a) (V^ezzanu, Trento) è appunto un monti-
cello (lu. 599). Per V Agrónr del distretto di Condino e per il
Gron del Bellunese fSospirolo), antico Agrono (Olivieri, Studi,
p. 156, ove si cita pure un Agróus furiano), si potrebbe sup-
porre un a d g r u in u m, e, in ogni modo, v. in una nota s. Va-
réna, ma fanno ostacolo le forme dei documenti e per il Gron
bellunese è sempre probabile l'etimologia da agre " acero ,,
(furi, àjar) [Escursioni, p. 92). D'altronde confr. anche il nome
locale del Friuli Are, antico Agra [Ardi. Glott., I, p. 526). Da
g r u m u, e non da a g e r, deriva invece il Grun di Feltro (Oli-
vieri, Studi, p. 156). Per -ni > -n cfr. To'n (forma letter. Tomo)
presso Feltro ìArc/i. Glott., 1, p. 413) e bellun. ant., follin., ert.
grun [Ardi. Glott., XVI, p. 306; I, p. 418; B. E. W., 3889). Per
il trentino si ricordi che Grumo presso Mezzolombardo (Schneller,
Tir. Nam., p. 83) compare come Grimuni in più documenti me-
I dievali (Arch. Treni., X, p. 100, 109). Riguardo all'ó di Grom
soccorrono gli esempì di u -\- nas. e di / -[- nas. in o' ed (' rac-
colti neW Arch. Glott., XVI, p. 316. n. ( v. anche Bevue de
Dialectol. Roìu.. II. p. 94, e Vidòssfch. Aggiunte e rorrezioui,
226 Aiirrelico Prati.
p. 76 [269, N. 13]). Si tratta bensì di un fenomeno sporadico ve-
neto, ma Grom è prossimo al veronese, che k hrq' ila e spero' nsola
(venez. parùsohi) " cingallegra ,,.
Il Salvioni, Bendic. d. R. Ist. Lomh., s. II, v. XLIV, p. 783,
n. 2, cita quale caso di J^é, però non sicuro, il nome locale
Vifégna (Ingazà, Verona) (Avogaro, p. 38 ; Olivieri, Studi,
p. 155, n.), che trova riscontro in Vi/égn di Brentònico (Mori)
(ScHNELLER, Tir. N((in., p. 223) (non visen, come scrive Battisti,
Caiinia, § 25, p. 134), il cui é si deve forse al n, che à il potere
di ridurre anche To' in g' (v. Battisti, Die Nonsb. Miuid., p. 56).
V. poi i poles. véna " vite „, ghéna, skreno & penar o " pino „ [Rio.
Oeogr. Ital., XV, p. 89).
l's'cia
Nei Noìni, p. 179, n. 21, citavo, tra i molti luoghi trentini
COSI chiamati, un isda presso lliva. rammentata in un documento
del 1217 del C. W.. p. 505; ora va aggiunto che essa deve essere
certo identificata coìVI's'cia (forma letter. l'scliia), frazione di
Riva [Trid., I. p. 97-98, n.).
\]n Isola posila in Atesi in centrata de Molinario a Trento è
ricordata nel 1236 [Riv. Trid., II, p. 293) e nel 1553 la hischia
delti shardellati la qua! e sotto la regola de Sando Illario (Rove-
reto) [Atti d. Acc. Rover, d. Ag., s. IV, v. I, p. 103). V. poi il
Pian d'Istla, pascolo in Gardena, e il Pradistla, prato in Lavai
(Wengen), riferiti dall'ALTÓN. p. 44, 56, e Arrh. Trent., XXVI,
p. 194, all'a. 1328.
La voce isca, che, come dimostrò l'AscoLi, Ardi. Glott., Ili,
p. 458-459; XVI, p. 181-182, è una bella continuazione del lat.
1 n s u 1 a, mentre è tanto comune nel trentino, è invece, per
quanto se ne sa, affatto sconosciuta nel veneto, sia quale nome
comune, sia quale nome locale. Già nella vallo alta della Brenta,
ove à principio il veneto, essa è ignota e ì'Ts'cia. villaggio presso
Ricerche di toponomastica trentina 227
il lago di Caldonazzo (Lévico), e Vl's'cia Longa, vicina a questo
paese, si trovano appunto ancora nel territorio dialettale trentino,
sia pure in una zona con influsso veneto. Cosi T scia ecc. è comune
nella Val Lagarina (Schneller, Tir. Nam., p. 7, 84 ; si ricordi anche
il Lis'cél, isolotto dell'Adige presso Ala), mentre non si mostra
pili nel V^eronese, dove si incontrano invece Ifoléla, Ifoléta, Ifo-
Iq'ta, nomi frequenti lungo i corsi d'acqua (Avogaro, p. 48). Si
ricordi pure VTfolo di San Tomaso in Verona, sulla cui origine
V. SiMEONi, Atti e Mem. dell' Accad. di Verona, s. IV, v. XII,
p. 415-416; Nuovo Ardi. Yen., N. S., XXV, p. 140, n. 2. V. poi
Olivieri, Studi, p. 169 ^
Lagoràe (el-)
Si chiamano de Lagoràe, una cima (m. 2529), una valle ed un
lago sul versante fiamazzo della catena montuosa, che divide
Fieme dalla Valsugana. Ivi spesseggiano i laghetti e da essi
trae facilmente il nome la montaana.
^ Una voce, caratteristica nel veneto, che corrisponde ad Is'cia, I/ola, è
Poléfene, polefeneto, che un tempo era d'uso comune e che, insieme con altre
forme affini, è molto frequente nella toponomastica. V. Avogaro, )). 27;
Olivieri, Studi, p. 126; Bertolini, Rìp. Geogr. Ital., IX, p. 619, n. 1 ; Lo-
UENzi, ivi, XV, p. 82-83.
Neir^4/Y7(. Treni , XV, p. 82, si legge che nel secolo XV, al tempo della
dominazione veneziana della Val Lagarina, le acque dell'Adige, oltre al
Galiano (Rovereto), " non scorrevano come oggidì dritte per mezzogiorno
alla volta di Nomi, ma si dividevano in due rami, dei quali uno seguiva
il letto che solo è rimasto, e l'altro piegando come in un arco e volgen-
dosi ancora sotto al luogo detto La Palazzina per levante ponente, poco
dopo con nuova svolta si univa al primo, rinserrando cosi un piccolo tratto
della campagna, ossia formando, come allora si diceva, un poleseneto „. Cosi
scrive il Rambaldi e cosi lo avranno detto i Veneziani, ma gli indigeni lo
avranno appunto chiamato i'sca. Un'altra parola di significato affine è il
venez. bonelo, con cui si designano le isolette del Po e dell'Adige (cfr. ital.
boncllo "terreno formato da alluvioni ,) (Salvioni, Revue de Dialectol. lìom.,
IV, p. 211, N. 1208).
Archivio glottol. ital., XVIII. 15
228 Angelico Prati,
La C. M., le guide ecc. poi'tano la forma Lagorai, che s'ode
anche nella Valsiigana, ove non si fa che ripetere il nome fia-
mazzo, non avendosene uno indigeno, -àe, da anteriore -dj, e,
come si sa, la continuazione fiamazza di -a r i u (v. Ricerche, I,
p. 26, s.Aguae). Lagoràe sarà da *1 acni u, se non è un derivato
del plur. lógora, usato nell'italiano antico (v. anche Sabersky.
p. 48, e Ascoli, Ardi. Glott., XIV, p. 470). Per altri nomi in
-ora dell'alta Italia, v. Salvioni, Studj di Filol. Roni., VII, p. 190;
Boll. Stor. d. Svizz. Ital., XXII, p. 95, n. 5; XXIII, p. 88:
XXIV, p. 59. Per la formazione cfr. il tose, agorajo (Salvioni,
Arch. Glott., XVI, p. 447; Romania, XXXIX, p. 434, N. 3; Reviie
de Dialectol. Rom., IV, p. 97, N. 130).
Lamàr
Tra i nomi di luogo, nei quali è forse da ravvisare la voce
*m a r r a ^ " sasso ; masso ; smotta ; frana ; sfasciume di terreno „,
da me riportati noW Ardi. Glott., XVII, p. 287, n., ci sono la
Mar presso Lavis e il Lago della Mar, 1391 : lacus de Lamar
iCod. Cles., Rie. Trid., XI, p. 277), vicino a Terlago (Vezzanoi.
Li ò riportati dubitando, perché essi, che usano ancora scrivere
pure Lamar, possono invece dipendere da lama " palude „
(ScHNELLER, Tir. Nam.. p. 89; Lorenzi, Riv. Geogr. Ital., XV,
p. 81; R. E. W., 4862). V. anche Olivieri, Studi, p. 170, ove si
trovan citati Lamaro (Lonigo, Vicenza) e un Lamarile (Arcole,
Verona) del 1207 (v. anche Avogaro, p. 49). Anzi nel nònese c'è
lamàr " luogo paludoso ., (Battisti, Die Notisb. Mund., p. 149),
' Non *in ar-, come ò scritto nell'are/*. Glott., XVII, p. 285, 409. V. R. E.W.
5369. L curioso che I'Azzolini preferisca la forma marrogna, niarroijnom a
marogna. Ma scrive però maroc, la cui parentela con niarq'na non può
essere dubbia.
Ricerche di toponomastica trentina 229
col quale è imparentata pur lamq'ca " palude .,, che non discende
al certo da *1 i m o e e u, come riteneva il Battisti, ivi, p. 50 ^
Latemàr (el-)
Monte (in. 2846) della catena, che serra a settentrione la valle
di Fieme. Vi si trova un grande scarico di roccia.
C. 1050 o e. 1100: ad apicem silicis qui vocatur Crisma
da Laitemar usque ad alium apicem Limidaralt, et inde usque in
pratum magnum quod diciUir Pradassis... [Ardi. Ti'ent., XVIT,
p. 191)^.
Lo ScHNELLER, Beitràge, III, p. 83, pensò che Laitemar fosse
una metatesi di limitar, avvenuta in bocca dei Tedeschi al di
là del monte, cosa che parrebbe un po' difficile, perché con-
verrebbe ammettere che i Fiamazzi abbiano accolto una forma
tedesca per un loro monte notissimo. Tuttavia non è da scor-
dare che essi accettarono un nome tedesco per i Oclini, sella e
monte vicino alla Roca, a settentrione di Cavalese, dalla parte
dei Tedeschi, che non son altro che il ted. Joch Grimm (Schneller,
Tir. Nani., p. 82, N. 202).
Astraendo dall'ingegnosa supposizione dello Schneller, Lai-
temar si mostrerebbe per un nome composto dalla voce *7nar,
di cui è detto nell'articolo precedente, alla quale si sarebbe pili
tardi premesso il ted. Leite " pendio ,, (Schneller, Die rom.
* Da limu deriva invece il sicil. limarra "mota, fango „ (Salvioni,
Rendir. d. R. Jst. Lomb., s. II, v. XLIV, p. 940).
^ 11 Limidaralt non si sa dove fosse. V. del resto le congetture del Del
Vaj, ivi, p. 191 e seg.
Si ponga mente che Limidaralt e Aiiis, che compare nel medesimo docu-
mento {Ricerche, I, p. 29), e forse anche Laitemar, sono i pili antichi casi
di dileguo della vocale finale per quei luoghi. Per il veronese sia rammen-
tato Ilas del 1079 (Avogauo, p. 45; Prati, Escursioni, p. 112) e Leuniac
(Legnago) del 982 (Mise. d. Dep. Ven. di Storia Patria, II, Fonti, p. 97).
230 Angelico Prati,
Volksmund., p. 151; Tir. Nain., p. 72, n., p. 80, N. 23, p. 106,
N. 40, 42, 43, p. 170, 171, N. 84, 92, 131, p. 174, N. 263, 307,
317, p. 187, N. 49, p. 207, N. 231 ecc.) (tutte queste citazioni
provano la gran diffusione di questa voce nelle colonie tedesche
del Trentino) K
Lona (Pine, distr. di Civezzano); Lon (Vezzano).
Visto che vi sono dialetti, cioè il veronese e il vicentino, che
anno o'no " ontano „ [Arch. Glott., XV, p. 450), verrebbe la ten-
tazione di ricorrere per questi due nomi, che vengono pronun-
ziati con o', appunto alla base a 1 n u (v. anche Salvioni, Boll.
Suor. d. Soizz. Ital., XXIV, p. 57). Sennonché si presentano con /-
pure le forme antiche: 1253: Lona {Trid., II, p. 205, I r.); 1316:
lono [de-] {Arch. Treni., XV, p. 226). Poi è da notare che i nomi
locali da a 1 n u, compaiono spesso con al o au nelle carte me-
dievali. Cfr. AvoGARO, p. 21 ; Olivieri, Studi, p. 114, Appunti,
p. 193; Prati, Ricerche, I, p. 17, s. Don; Escursioni, p. 120, ecc.
Lo'na parrebbe invece il got. *1 o n a " pantano,, {R. E. W., 5114)
e il Malfatti, I, p. 82, rammenta a proposito di questo nome
locale una ant. Lana della Provenza: 1052: condamina in loco
qui dicitur ad Lonam... et }i.abet ipsa condamina ex uno latere
lonam aquarum. Il medesimo luogo nel 1040 è detto ad Launam.
Egli, osservando che Lona trentina è posta in alto, lungi da
acque, con intorno valloni e dirupi, preferisce porla coi nomi,
clie si appellarono da caverne o da avvallamenti vicini, è pro-
penso cioè ad ammettere l'attinenza colle Ione del Genovesato,
denotanti grotte od avvallamenti con acque stagnanti.
Per Lo'n ci sarebbe il nord. ant. 1 o n ^ got. *1 ó n a, ma la
natura di quel luogo, che è sassoso, anziché pantanoso, non in-
^ V. anche le Lente, luogo montano presso Caldonazzo (Lévico) (Graziadei,
Trid., II, p. 359).
Ricerche di toponomastica trentina 231
vita a tale etimologia. L'origine ne è dunque oscura, né io avrei
fatto parola di questi due nomi locali, se non fosse stato per
prevenire, colla scorta delle forme antiche, chi credesse di po-
terli connettere con a 1 n u.
Mani (che si scrive Man)
Luogo con case in quel di Trento.
1245: ad Manum [Ardi. Treni., XITI, p. 98); 1424: a Man
(Cod. Cles., Riv. Trid., XII, p. 206).
Un sito detto a la Man si trova pnre sulla strada, che, in
Fieme, mena al Lavazzé (Brentari, II, p. 246). Una Via da
Man, ch'è in quel di Telve, è menzionata nel 1516 (Morizzo,
I, p. 269). Nel 1340 e nel 1391 è ricordata una terra ubi di-
citur a Manon apud jnra ecclesia S. Mariae de Coredo in Val di
Non {Arch. Treni., XXVII, p. 112; Cod. aes., Biv. Trid., X,
p. 265) \
Questi nomi, ai quali se ne potranno facilmente aggiungere
altri, denotarono in origine, e forse qualcuno denota tuttora, dei
tabernacoli o solo delle immagini sacre, giacché mani o man è
la riduzione del lat. i m a g i n e, come, ad esempio, provana o
proana lo è di propagine (Battisti, Catinia, § 45, p. 150;
Die Nonsb. Miind., p. 138j. Cfr. cader. ìnàjna " tabernacolo „
e V. R. E. W., 4276 K
E sarà pure da aggiungere qui quella Itnàna, località presso
^ Nel 1399 due volte a Monon {Cod. Cles., Riv. Trid., XI, p. 53), forma
evidentemente errata, come moltissime altre del Cod. Cles.
'~ Nel valsuganotto da imagi ne si ottenne man e non mane, perché,
come prova anche ambra n, nome di una pianta, da a b r o t o n u, le parole
originariamente sdrucciole, quando divennero piane, si liberarono, al pari
di quelle originariamente piane, della vocale finale, accorciandosi in tal
modo ancor più! Nel valsuganotto scompaiono Ve e Vo finali dopo »t sem-
plice nelle parole piane e IV dopo r semplice pure nelle parole piane.
232 Angelico Prati,
Predazzo (pron. loc. Pardàc), ch'io pensavo altra volta che po-
tesse derivare da I m u o da 1 1 m u [Ricerche^ I, p. 48, n.). Di
alcuni altri nomi analoghi, v. Pieri, p. 182; Salvioni, Boll. Stor.
d. Svizz. Ital., XXII, p. 92. V. pure Altón, p. 43, s. Iman.
mani o man e fors'anco imàna dovette un tempo essere un
nome comune, giacché la voce kapitél (valsug. kapitélo), con la
quale si designa ora il tabernacolo, s'è introdotta di recente,
come dimostra il suo aspetto fonetico. Nella toponomastica tren-
tina si è conservata pure la voce ankona (Schneller, Tir. Nani.,
p. 3). Per il Veneto v. Olivieri, Studi, p. 187 ^
Margóm
E nome di un'altura presso Ravina (Trento) e di un paesello
nel distretto di Vezzano, posto in sito alpestre sull'alta costa
del monte Gràgia (forma letter. Margone).
Forse equivale all'alto engad. niargàn " stalla d'alpe „, che
si fa dipendere da un bàreca " stalla,,, da cui discendono
Barco ecc. (v. s. Pargóna, in nota). Riguardo al -g-, si noti che
un Barga citato dal Pieri, p. 139, si trova scritto in antico
Burca (errore per Barca) (v. l'osservazione del Pieri a p. 140,
n. 2). Né per Margom sarebbe da escludere un incontro con
malga, da cui proverrebbe anche il ni-. Cfr. d'altronde, per questo,
màcola < b a e ti 1 a dell'Appennino di Barga (Lucca) ed altri
esempì addotti dal Pieri, p. 79, 230 ^, e per m- > b- il bellun.
I
^ L'Altón, p. 34, 61, fa conoscere due casi singolari per la toponomastica
religiosa, egli cita cioè i coi dai paternostri, pascolo in Lavai (ted. Wengen),
e il Col dela Salveregina, pascolo a S. Cassiàn. Cfr. anche Cristeleison (eh)
(Costermàn, Verona) e Salreregina ( Valle-) (Caprino, ivi) (Olivieri, Studi,
p. Ili, n, 2).
^ Cfr. pure grainende'l o gramande'l (trent.) " grimaldello ,, da *garibol-
de'llo{ch\ ìiiGRx,Arch. Gìott.,XlV, p. 361; Salvioxm, Rendic. d. li. Ist. Lomb.,
s II, V. XXXIX, p. 484; R. E. W., 3688). Sennonché questa è una di quelle
Ricerche di toponomastica trentina 233
buga, allato a niuga, " mugo „, il venez. bugarin " muglierino „,
kodahiiélna (a Vittorio, Treviso) " equiseto ,, (bellun. kodamusina
" myricaria germanica „). Cfr. pure Tonnine (Villafranca, Verona),
neir 861 Turhinas (Giuliari, Il Veron. all'epoca rom., Mise. d.
R. Deput. Ven. di Storia Patria, s. IV, v. Ili, p, 18j. Dal Bianchi
IX, p. 390, n., si apprende che nella Toscana margone è un duro
pancone di rena silicea e di minuta ghiaia d'alberese forte, ge-
neralmente non pili grossa di un uovo, depositata in un alti-
piano quaternario e che sotto l'alpe tra la Sieve ed Arezzo ed
altrove margone vale pure " gora „ o " colta ,, di un mulino
(v. margoìie " bottaccio „ nel Petrocchi), ma la connessione del
nome locale in parola con questa voce sarebbe ben poco pro-
babile, essendo essa, sia nel primo significato, sia negli altri
due, specifica di luoghi determinati della Toscana.
I casati trentini Margón, Margóni, Margonàri ebbero origine
da uno o dall'altro dei due luoghi, di cui ò qui tentato di chia-
rire il nome. I Margón del Perginese vennero appunto da Ra-
vina (Lorenzi, Trid., IV, p. lO-l).
Mariézo (I-) (con é e z; forma letter. Merlezzo)
Luogo presso Lévico.
Nel 1215 si fa menzione di una Funtana Merleza presso la
Canzana (Lévico) {Il Raccoglitore, a. XXIII, Rovereto, 1890, N. 66,
II p., IV col.).
Questo nome, quale derivato di merlo, è da confrontare con
voci; che subirono tante e tali trasformazioni nei vari dialetti, da essere
considerate e poste nella categoria degli storpiamenti. Essa è quindi da
collocare accanto, per esempio, a fc/aìinera (treni.) " scarpone col suolo di
legno „, da dalmata {R. E. U'., 2462). Forse non fa alieno dallo storpia-
mento neppure il valsug. giirnàle "grembiale,, fiam. giinnjàl, trent. gviimjcL
(jromjul. gormjàl, grombjàl, greinbjdl. Natur-almente nelle voci venute di re-
cente gli storpiamenti anno luogo su vasta scala.
234 Angelico Prati,
quelli radunati dall'OLiviERi, Studi, p. 208, e dal Pieri, p, 236-
237, e si ricordino qui in particolare Aynellezze, monte (Sospi-
rolo, Belluno) (Olivieri, p. 132) e Bolpéz (ivi) (Olivieri, p. 139).
Marzbla (la-)
Monte (m. 1737) presso Trento.
Nei Nomi, p. 169, ammisi la derivazione da un *m al ice ola,
da *m a 1 i e a. Sennonché una tal base, per vudga " cascina di
monte ,., è bensì possibile, ma non è attestata, ed è forse meglio
addurre a confronto le antiche Martiola, Marciola ecc., delle
quali fa cenno il Gruber, p. 363 ^
Di diversa ragione è probabilmente il nome locale al mareol
presso Molina di Ledro, rammentato nel 1563 [Trid., X, p. 130).
^ L'Ettmayer, Ro)n. Forsch., XIII, p. 403, riteneva che la nialegola del 1188
fosse Malgol nella Val di Non e trasse pure in errore il Battisti, Catinia,
§ 39, p. 1-45, ma essa, che compare nel medesimo documento altre 5 volte
nella forma mnlgola, e l'odierna Malgij'la, monte in Fieme (v. Bìcerche, T,
p. 38). L'Ettmayeii la spiegava, però non con sicurezza, da un *m a 1
-icula, da malum, coU'interessante cambiamento di significato "frut-
teto; concimaia cinta di siepe; stabbio ,, etimologia che e certamente da
scartare, non però perché vi sia difficoltà ad ammettere la base m a 1 u
nei nostri dialetti, che essa s'incontra in nomi di piante e in nomi locali.
Il Battisti. Die Nonsb. Mund., p. 24, adduce un m. lat. malica, ma non deve
essere forma attestata : essa manca al Du Gange e non è citata dallo Schneller,
Die ro»i. Vollcsmund., p. 154, al quale rinvia il Battisti. A fatto quindi
bene il MeyerLubkk, B.E. W., -5264 a (ove va osservato che il trentino à
malgàr, non nialghe's, che è voce roveretana\ a non accogliere che la forma
*m a 1 g a. Pel significato, anche antico, di malga v. Cesarini Sforza, Ardì.
Trent., XIV, p. 38, n.
Da malga derivò Malgol, nome di pili luoghi nònesi e trentini {Ricerche,
I, p. 38; Reich, Trid., XIII, p. 478, n.), e la Malgola, di cui sopra. V. ancora
Schneller, Tir. Xam., p. 67-68. La Malgola dello Schneller, Die ro»i.
Volksmtind.y p. 154, e dell'ETTMAVER, 1. e, va corretta in Malgol.
Ricerche di toponomastica trentina 235
Monistiéro (con é).
Luogo di Lévico, vicino al Rio Magiór. Da esso si denomina la
Via del Monastero (forma letteraria).
Sono assai mimerosi i luoghi che trassero il nome da m o-
n a s t e r i u , nelle forme Monastèro, Monasterólo ecc. Si ricor-
dino qui in particolare: Monastiéro, luogo a Dospedale (forma
letter. Ospedaletto) nella Valsugana, Monastiér di Treviso^ Mo-
nastiéro presso S. Martino di Liipari (Cittadella, Pàdova) e il
tose. Monistéro (Masse di Siena), che col suo i fa riscontro a
quello di Lévico (cfr. anche venez. nioneétjér o monastjér). mo-
nistéro è anzi voce viva nella Toscana (Petrocchi). Per la To-
scana V. pure Pieri, p. 183. Questo nome può aver indicato
semplicemente un "' luogo abitato da un monaco ,,, ma ebbe
anche altre varietà di significato. V. Du Gange, s. monasteria.
In quanto 9Ì\\'jé di Monisfjéro, si noti che a Lévico, ove si parla
un vernacolo trentino influenzato dal veneto (v. in principio),
si rintracciano le propaggini del dittongo ven. jé (v. anche
Ricerche, I, p. 37), che abbraccia la valle alta della Brenta
(Valsugana). E si sa che accanto a -/eVo <C *-e r iu, c'è pure
/^ro<-eriu (cfr. Ardi. Glott., I, p. 488).
Morì (con o')
Borgata nella Val Lagarina.
Lo ScHNELLER, Tir. Nani., p. 100, non fa che ripetere la spie-
gazione deirORSi, Saggio, IV, p. 8, da un V i e u s M u r i u s.
Secondo il Battisti, Catinia, § 14, p. 118, questo nome proviene
forse pili probabilmente dal tema bavarese m u r " frana ,,
(KoRTiNG, 6379) ^ Alla stia volta il Ricamboni, Biv. Trid., X,
^ Nel caso, meglio da una base preromana, di cui v. Jud, Bull, de Dialectol.
Rom., ITI, p. 11. Ma una tale etimologia, come vedremo sopra, è da lasciare.
236 Angelico Prati,
p. 109-110, osservando che m u r i u avrebbe necessariaiiiente
dato mo'r, scrive che l'i finale deve assolutamente risalire a un %
lungo latino, quindi, secondo lui, deve risalire ad un locativo,
al pari del vicino Aoi (Ala).
Nessuna di queste dichiarazioni dev'essere nel vero. Infatti
non si è tenuto conto di una circostanza, di cui fa pur cenno
lo ScHNELLER, a p. 6, n. 1, delle Tir. Nain., la quale, mentre
esclude le spiegazioni finora date, mostra chiaramente quale sia
l'origine del nome. Nel placito trentino cioè dell' 845, documento
prezioso, data la penuria grande di documenti trentini anteriori
al 1000, mentre Avi compare nella forma de ani, Mori invece
compare nella forma de murrius e, del pari, Marco (pron. loc.
mark; MarkoUni gli abitanti) (Rovereto) nella forma de marcus ^.
Considerando dunque tale divergenza, non si può ritenere che
Mori risalga ad un locativo. Ed a proposito va rilevato che
^ de Murrius si legge nell'edizione del MiitAroia, Antiquitates italicae
meda aevi, li, col. 972, e de lìuirrius à infatti l'originale del documento,
come risulta dall'edizione, accuratissima, del Cipolla, ^4 re/*. Stor. p. Trieste,
l'Istria e il Treni., T, p. 290. E dunque errata la forma de Murius, data da
Girolamo Tartarotti, Memorie antiche di Eorereto, Yenezin, MDCCLIV, p. 25,
e riportata pure dal Rkich, Notizie, p. 12, il quale la à tolta appunto dal
Tartauotti.
Dal placito dell' 845 ricopio qui i nomi locali, che vi si leggono, toglien-
doli dall'edizione del Cipolla: de niarcha (8 volte :-p. 290, 292), de clau:e
(p. 290), de prissianum (2 volte: ì\ì), de niiliano (2 volte: i\\), de feltres (ivi),
de baouarius (2 volte: ivi e p. 291), (cfr. Schvklleu, Tir. Nani., p. 12; Lo-
KKNZi, Trid., IV, p. 269}, de apiano (p. 290), de ciuitatein tridentum (ivi), de
uerona (ivi), de uilla (2 volte: ivi), de marcus {2 \o\te: ivi), de ciuitiano (ivi),
de pergines (ivi), de fornaces (ivi), de tilliarno (2 volte: ivi), de ani (ivi), de
murrius (ivi), de castellionem (ivi), de lanzimas (p. 291), de garda (p. 292).
L'edizione del Muratori à de Milano (ma la seconda volta de Miliano)
(col. 971), che sarà errore di stampa, e Persines (ivi).
Stando al Reich, Notizie, p. 11-12, che, come egli dice, toglie i nomi dal
Tartarotti, o. c, p. 25, in questo placito dovrebbe essere nominato anche
Volano nella forma Volanes, ma questo nome non lo si trova presso il Tar-
Ricerche di toponomastica trentina 237
Avi nei documenti latini rimane comunemente in questa forma
{de Avi) (ScHNELLER, Tir. Nani., p. 5; Pro Cultura, T, p. 446, e
qui appresso s. Pilcanté), ma iYo'rJ vien scritto Murium o Morium,
proprio al contrario dell'uso odierno di scrivere Avio, ma Moì'i.
Ancora una volta si à quindi occasione di cogliere in fallo la
forma letteraria ^
Ma quale è allora l'origine di Mo'ri? Lo dice la forma munius
dell' 845, i cui rr non sono affatto uno sbaglio, come dovevano
ritenere gli autori sopra citati. Mo'ri è la continuazione fedele
di Murrius (cfr. Pieri, p. 55), poiché rj bensì passò a r, ma
non rrj, che passò a rj. V. le mie Escursioni, p. 119, s. Muràn,
i nomi addotti dal Pieri, p. 55, e quelli citati in nota. Ed ecco
sciolta la quistione. E quasi inutile aggiungere qui in fine che
1'// di murrius non è dovuto a metafonia, come propendeva a
credere il Battisti, 1. e. Si tratta invece della vera forma latina.
E del resto i notai eran soliti spesso di rendere con u Vó stretto
di forme volgati. Y. una nota s. Folgan'a.
Wlosée (con e)
Prati di monte posti a settentrione e sotto il passo di S. Va-
lentino sul monte Baldo [Trid., Il, p. 294).
In documenti medievali lombardi compare la parola mosa, moza,
col valore di " luogo paludoso, pantanoso „ (Schneller, Tir. Nam.,
p. 208, n. : Beiirage, II. p. 30; Olivieri, Studi, p. 174)2.
TAROTTi, 1. c, né compare affatto nel documento. Si tratta quindi di un grosso
abbaglio preso dal Réich. V. anche una nota s. Volano. Osservo che que-
st'autore, mentre scrive Pergines (p. 12, I r.), scrive invece Fornace (p. 11
ult. r. del testo"), ma il Tautakotti à la forma giusta Fornaces.
^ L'Orsi, Saggio, IV, p. 8, riferisce le forme Morum della fine del se-
colo XV e Murium o Morium del secolo XII, e ricorda Moriago e 4 Mo-
riano in Italia.
- Cfr. il furi, inufe, colata di fango, misto a sassi e detriti, che si produce
238 Angelico Prati,
Miìralta
Luogo in collina nelle vicinanze immediate di Trento.
E ricordato, nella forma Muraìta, fino dal 1210 (Cesarini
Sforza. Arch. Treni., XIII, p. 99). Non è composto con un miìr
di genere femminile, ma con un *mfira (femm.). Cfr. mura nella
toponomastica veneta (Olivieri, Studi, p. 196) e nel Petrocchi.
Nauna (nome antico)
Nome locale del territorio di Deno (Val di Non, distretto di
Mezzolombardo), che trovo nelle due seguenti forme:
1389: in Novena (errore per Naoena), in Navena [Cod. Cles.,
Biv. Trid., IX, p. 199, 200); 1391 : in Navena, Nauna, ad fontem
Natine (ivi, XI, p. 264), Naena (ivi, p. 265).
La base è probabilmente quel *n a v a " incavatura nel suolo;
piano chiuso da monti „, di cui v. Meyer-Lììbke, Einfuhrung^,
p. 222; JuD, Bull, de Dialecfol. Rom., III. p. 12-13, n. 4; R.E. W.,
dopo le piogge in una località presso Timau (G. B. De Gasperi, Termini
geografici dialettali della parlata friulana, Forum lulii, II, Gorizia, 1911,
p. 241 \
Mofuna, villaggio in quel di Giovo (Lavisi, può anche derivare dal nome
personale Musius [Studi Glott., Ili, p. 36), Il Reich, Notizie, p. 145, n.,
cita la forma letteraria Mausanna, sulla cui genuinità, anche se si tratta
di forma tolta da documenti, c'è da dubitare. E in ogni modo dovrebbe
essere Mausana, da cui si attenderebbe un *mosdna. Il Reich scrive pure
Mosauìial
Altra origine à Mofna, monte (m. 1222) presso Besenèl (Rovereto), che è
la voce mofna " mucchio di terra; mucchio di sassi; catasta „ (Azzolixi),
usata un tempo forse in tutto il trentino e che in un documento la si trova
anche tradotta con murogna. V. Cesarini Sforza, Arch. Trent., XIV, p. 46,
n. 3; ivi, XXVI, p. 198, all'a. 1525. Nel 1S91 trovo nominato un luogo a
le Mosine, alle Mosne, in quel di Deno (Mezzolombardo) [Cod. Cles.. Biv.
Trid., XI, p. 191, 259) e nel catasto di Pine dei primi del sec. XV un luogo
Dantre le Musne [Trid., XI, p. 376). Dal Del Vaj, p. 9, si viene a sapere
anche che in quel di Ziano, presso Cavalese, esisteva un Mofené, luogo sot-
Ricerche di toponoma,stica trentina 239
5858. Nell'Italia settentrionale, mentre si presenta pili volte la
forma Nave (v. Schneller, Tir. Nani., p. 102, 121; Olivieri,
Studi, p. 60; Ricerche, I, p. 13), che accenna al lat. nave, è
invece rarissima la forma Nava ed io non so citare che un Pian
de Nava, il quale deve essere in qualche parte del Vicentino e
in cui il Pittìt verrebbe a tradurre il seguente Nava. Cfr. Pianàve
di Brentònico (Mori, Rovereto), di cui Schneller, Tir. Nani.,
p. 121 1.
Si può chiedere poi se non rivenga a *n a v a anche Naone,
nome antico del fiume Noncello, da cui si denominarono eviden-
temente Pordenone e Cordenóns (Udine) (Olivieri, Studi, p. 107;
V. pure le mie Escursioni, p. 103, s. Codivérno). Una villa de
Naono è mentovata nel 1190 (Vergi, Storia d. Marca, I, p. 35
dei doc).
neblus trintìnus (nome antico)
Luogo dei Monti Lessini, cosi nominato in una carta del 1180
terrato da una frana, e in documento perginese del 1215 trovo il nome
musnedum (che non pare nome locale) [Il Raccoglitore cit. s. Marlézo, 1. e).
Per l'etimologia della voce v. Jud, Bull, de Dialectol. Rom., Ili, p. 71 ; Sal-
viONi, Rendic. d. R. Isf. Loinb., s. 11, v. XLV, p. 275-276. Una forma con «
è il valsug. ma/'na " gran quantità „. Giacché ò avuto da citare la forma
antica murogna, che sarà marq'na [Arch. Glott., XVII, p. 286) con intrusione
di milì- (o un derivato di quest'ultimo ?>, dirò ch'essa ricorre pure in un
documento di Caldonazzo (Lévico) del secolo XVI (Reich, Notizie, p. 182,
r. 7 dal b.) e che vive a Caldonazzo (mùrg'na) e nel fiamazzo.
' Naturalmente, se il nome Nare designa un luogo, che si trova o si tro-
vava alla sponda di un fiume, esso equivale a " porto „. Tale significato
avevano la Nave S. Felice (Lavis) e la Nave S. Rocco (Mezzolombardoì, due
villaggi, che stanno l'uno di fronte all'altro sulle spon(i|j opposte dell'Adige,
a settentrione di Trento. V. notizie storiche relative, ad esempio, presso il
Brkntaui, 11, p. 11. Un diminutivo ne è Nave/e'l (forma letter. Navicello),
nome di alcune case e d'una campagna presso l'Adige nella Val Lagarina
(Schneller, Tir. Nani., p. 102).
240 Angelico Prati,
(Cipolla, Mise. pubi. ci. B. Dcp. Ven. di St. Patria, Venezia, 1882,
p. 18). Di esso si occupa estesamente lo Schneller, Tir. Nani.,
p. 215-218; Snellir. Landsch., II, p. 388-390, connettendone ar-
ditamente il nome col cimbro Ehele, diminutivo di Eben " piano „.
Ma allo Schneller era sfuggita la spiegazione del Cipolla, 1. e,
che vede in nebliis un " torrente alimentato dalle nevi „. Cfr. Du
Gange, s. nibulatns.
Nomi (con o)
Villaggio nel distretto di Villa Lagarina (Rovereto).
II RicAMBONi, Riv. Trid., X, p. 110, scrive che questo nome
dairORsr è fatto risalire a un lat. vicus Niimius, ma sostiene che
esso continua una forma locativa, perché altrimenti si vorrebbe
No'ni, basandosi su vendéma (il Ricamboni à, per una svista,
vendémia) (cfr. però Malagoli, Arch. Glott., XVII, p. 186, e Oli-
vieri, Studi, p. 91, s. Postiimius; Escursioni, p. 123, s. Postióma). Sen-
nonché, per una svista ben pili grave, eglià letto e quindi trascritto
con 'deus Numius il vicus nummius dell'ORSi, Saggio, IV, p. 9,
N. 130 (non 124, come, per un'altra svista ancora, à il Ricam-
boni). L'Orsi cita appunto il nome gentilizio N u m m i u s, atte-
stato [C. I. L. ^, 1217), contro il quale non à più valore l'osser-
vazione del Ricamboni. E si noti che i documenti danno Xumium
o Nomium, non Numi o Nomi (v. quanto dico s. Mori). In un
documento del 1259 immediatamente dopo la forma Numii [de
castellanza-) sta scritto Mummii [de terra-) {ìniewàì: il territorio
di Nomi) (Schneller, Tir. Nani., p. 103). Se questa fosse la
forma originaria, converrebbe partire invece da M u m m i u s
(Olivieri, Studi, p. 88).
Onizo (al-) (nome antico)
Designava un luogo in quel di Tressila (ant. Trassilà) (Ba-
selga, Pine, distr. di Civezzano), come si apprende da un catasto
h
Ricerche di toponomastica trentina 241
composto pochi anni prima del 1429 [Trid., X, p, 425). Il nome
compare ivi a p. 428 e il Gerola, editore del catasto, lo fa se-
guire da un punto di domanda, il che vuol dire che è di lettura
incerta. Però trattandosi di una forma che riesce del tutto chiara,
ragguagliandosi al trent. oniz " ontano „, non sarà da dubitare
molto delhi sua genuinità. Essa è importante per due motivi,
perché ricorre in una regione, posta a oriente di Trento, che
costituisce l'estremità orientale del territorio del derivato in
-1 e e u di a 1 n u, che à per patria la Lombardia, da dove si
estende al trentino, al ladino centrale, all'emiliano, alla piemon-
tese Valsésia (Salvioni, Arch. Gloff., XV^ p. 455), e perché non
è noto alcun nome locale lombardo, che dipenda da esso, ed anche
da altre regioni il Salvioni. Boll. Stor. d. Svizz. Ital., XXIV,
p. 57, non sa citare che un Aunlccéi da auniccia nella Valsésia.
Ossàna
Villaggio nel distretto di Male (Val di Sòl).
Lo ScHNELLER, Tir. Art/zh, p. 109; Sudtir. Landsch., I, p. 81,
pensò a un V o 1 e s a n u m, da V o 1 e s u s, basato sulla forma
documentata Vulsana o ì'olsana.
L'Orsi, Saggio, IV, p. 10, riporta pure un Malsana del 1309,
cui accenna anche lo Schneller, ed è da notare ch'esso à un pre-
decessore in Vallis Sane del 1183, che non so donde abbia rica-
vato il Malfatti, Arch. Stor. p. Trieste, l'Istria e il Trent.. II,
p. 318. Altre forme sono: 1200: Uolsana ; 1220: Volsana, Wl-
sana, JJulsana, Fidsana, Fi^Zsa??« (Schneller. Trid. Urh., p. 173,
17, 19, 20, 23, 35); 1525; Olsa {Trid., II, p. 30, n. 4) (?). Se non
fossero attendibili le forme con a protonico, si presterebbe bene,
quale base, il nome romano Volsius (Pieri, p. 29; cfr. il
nome femm. V o 1 s u n i a di una lapide romana dell'Istria : Pag,
Tstr., XI, p. 101, n.), ma siccome non c'è motivo di dubitare di
esse, è dajammettere che Va di Volsana ecc., da cui Ossàna.
242 Angelico Prati,
sia dovuto all'azione della labiale e cosi si tratterebbe di una
valle sana.
Per la soppressione del v in Osseina cfr. Omlk (forma letter.
0/nigo), parte di Terlago (Vezzano), in documenti Vomicum (Ce-
SARiNi Sforza, Nota di toponomastica trentina.^ Boll. d. Soc. d.
Alp. Trid., VII, p. 21; Arch. Trent., XXVI, p. 194, all'a. 1333).
OStre (a-) (nóme antico)
È il nome di un luogo in quel di Lévico, che si legge in un
documento, di cui v. Arch. Treni., XXIV, p. 65, e die significa
" austro, ostro „. Cfr. ven. ant. hostro ecc. [Revue de Dialectol.
Boni., IV, p. 191, N. 807; B. E. W., 807).
Pais
Campagna presso Besagno (Tierno, Mori).
11 Battisti, Catinia, § 8, p. 104, scrive che I'Ettmayer, Rom.
Forsch., XIII, p. 482, fu tratto in inganno a portare come esempio
di J -^ é > j -\- ì nel trentino antico il nome locale ^ja/s, essendo
questo derivato dal bavarese i^ais {beitz), e in nota dice che vi
corrisponde presentemente alle Baise in Cimone. Chi fu tratto in
inganno è invece il Battisti, il quale lesse evidentemente troppo
in fretta ciò che sta a p. 110 delle Tir. Nam. dello Schneller,
che riporta Paijs (1256) e Payso (1454) quali forme antiche del-
l'odierno Pais, non delle Baise di Cimone (Villa Lagarina, Rove-
reto). Sarebbe poi superfluo il notare, per coloro che anno pra-
tica di documenti, che il ij non indica punto che sia da leggere
Pàjs, anziché Pais. Cfr. ad esempio la forma ragaysa del 1312
per le Begaif'e di Samón (Strigno, Valsugana) (Morizzo, III, p. 1).
Pargóna (con o')
Campagna presso Besagno (Mori).
Con forma uguale compare nel 1256, come scrive Io Schneller,
Jl
I
Ricerche di toponomiistica trentina 243
Tir. Nani., p. 110, che chiede se possa dipendere da pargus ^er
jìarcus " chiuso per le pecore „ del Du Gange, Il Ricamboni, San
Marco, HI, p. 39, osservando che il digradamento di e a <; dopo
consonante è caso inaudito nel dialetto trentino ^, propone, du-
])itando, la derivazione da pèrtica^ ma anche il t'enomeno richiesto
da questa base è pure inaudito, perché il trentino non è il nònese,
che à pérghja, o il bergamasco, che à pure perga (Battisti, Le
dentali, p. 127, n. 3). Del Yes,to pnrgus non dipende da p a r e u s,
ma da *p a r r i e u {R. E. W., 6253).
Patóne (pron. loc. jonto'm)
1242: Patonum (Schneller, Tir. Nani., p. 111).
Lo Schneller cita ivi alcuni altri luoghi detti Patón ed un
Patìlz, nome di un campo presso al Galiano (Rovereto). Questo
dà la chiave per spiegare anche Patóin ecc., che farà quindi parte
della famiglia di patùz (Trento: patih; poles., veron. ecc. patuéó)
" pattume „ ^, di patào (valsug.), d'ugual senso, di pattume
(tose.) ecc. [R. E, W., 6138 a).
^ Casi di rk > >'</ presentano il trent. lart^o " arcobaleno „ {Krit.
Jahresber., IX, i, p. 102), venez. argo " cielo „ (iferg.), il nome ven. Tergala
[Escurzioni, p. 130) e qualche voce lombarda, di cui tratta il Salvioni, Ro-
mania, XXXIX, p. 453, 454. In !ar,/o, del pari che nel pisano ant. argho
arco „, il Salvioni, Kì-it. Jahre.'iber., IX, i, p. 91, ammette come possibile
l'influsso di largo.
Pargo'iia potrebbe anche essere da anteriore ^Barkona (cfr. CuHelbarco,
di cui ScHXELLEK, Tir. Nam., p. 33, e v. Prati, Escursioni, jj. 95; Jud, Bull,
de Dialedol. Roin., Ili, p. 9; li. E. W., 958; Salvioni, Revue de Diuledol.
Rodi., IV, p. 200, N. 958: v. pure rover. bark " catasta di legna „), con
quella specie di metatesi, che è additata dal Nigra, nella Zeitschr. f. Roin.
P/iilol., XXVIII, p. 4. Sennonché la forma Pargona compare già in docu-
mento del 1256; e poi si spiega benissimo da *purricu.
• Cfr. anche patusara (poles. J " ingombro al libero passaggio delle acque
di un canale formato da un groviglio di piante acquatiche, e, più in genere,
da un cumulo di materie, fluitate da una corrente contro un ostacolo qua-
lunque , (Lorenzi, Riv. Geogr. Itah, XV, p. 82, 88).
Archivio glottol. itaL, XVIII. 16
244 Angelico Prati,
Il Salvioni, Quisquiglie, p. 379, cita del pari un nome locale
Patone, limitandosi a dire come esso non si possa contrapporre
all'etrusco Patu (I'Orsi, Saggio, III, p. 212, n., adduce un
etr. P a t u n a), in causa del t.
Pavióne (pron. loc. pabjo'ni ; Pabjonéri gli abitanti).
Luogo con alcune case presso Pissavaca (Trento).
Corrisponde ai Pavagión del Veueto [Escursioni^ p. 90-91, n..
Olivieri, Appunti, p. 196) ed equivale a " padiglione „ (cfr. trent.
a pahjo'm " a padiglioue (tetto) „). II solandro à paveón " assito
del tetto „ (Battisti, Zur Sulzb. Mund., p. 218-219) (non " assito
della copertura del carro „, come à il R. E. W., 6211). Per rj
secondario > bj cfr. trent. andibja, libi (venez. ecc. tirjo).
Pavión è anche il nome della più alta delle vette feltrine
(m. 2336), che si eleva tra la valle di Primiero e quella di Feltre.
ma qui il nome è dovuto alla forma di cono, che à il monte,
rassomigliante quindi ad una tenda.
Pedersàno o Pederzàno (pron. popol. pref'àm]
V^illaggio nel distretto di Villa Lagarina.
1211 : Peresana; poi: Petresanum, Pedrexanum^ Pederzanum, ecc.
(ScHNELLER, Tir. Nani., p. 113) ^
liO ScHNELLER lo Crede un P e t r e j a n u m, da P e t r e j u s,
ch'è foneticamente impossibile, e il Ricamboni, San Marco, III,
p. 39, un P e t e r -|- e s i a n u, del quale non si sa che cosa sia
il Peter. Inoltre, mentre P e t e r -[- e s i a n u sarebbe l'etimo
di Pref'am, per la forma Pederzàno egli ricorre a Peter + icianu.
' L'Orsi, Saggio, IV, p. 10, rendendo con forma letteraria la forma dia-
lettale, scrive erroneamente Pré-ssa»». Le forme antiche da lui recate sono :
1235: Petresanum; 1266: Pederzanum; 1285: Perexanum; 1307: Pedrexannnr,
1339: PedreUanHtn (!!); 1341: Predexanum.
Ricerche di toponomastica trentina 245
ed aggiunge: " seppure non si vuole supporre un Petr'iciu -\- anu
(ciò che noi però riteniamo ozioso) „. Qui non si sa invece che
cosa sia quell'-i clan u, né dove sia stato pescato, ma si sa che,
nel caso, bisognerebbe ammettere proprio un derivato in -a n u
di un *P e t r i e i u s (cfr. Petrus), che in Pederzdno però non
c'entra per nulla.
La forma Pederzano non è dovuta che ad una delle tante grafie
poco conseguenti od errate dei notai, copiata e conservata quindi»
attraverso le scritture, fino a noi, e le persone colte, che la usano,
o nella forma dialettale Pederzàm, o in quella letteraria Pederzano,
sia pure con z (sordo), non fanno che ripetere una forma, che
trovano ancora usata nelle carte, nei libri ecc. Ad essa non è
da dare alcun peso, in vista della ricerca dell'etimo del nome.
E poi non è da scordare che essa à accanto a sé la forma Peder-
sàno, che non può naturalmente avere un'origine diversa dal popo-
lare Pref'àm, il quale si mostra per un derivato per -ensianu
(-e n s i s -|- -a n u s) di P e t r u s ^ L'Olivieri, Studi, p. 90, n. 2,
ricorda, al séguito dei derivati da P e t r u s, una Silva Petre-
seya, nel Padovano, mentovata nel 1181, nel qual nome par di
vedere lo stesso doppio suff. -e n s i e a, che comparisce anche
in Brufalé/ega (v. ivi, p. 72, n. 1), in Seteméfega (v. p. 94) ed in
ArUfega (Mestrino, Pàdova).
Penin (Col)
Colle non elevato presso Isera (Rovereto).
Lo ScHNELLER, Tir. Nani., p. 85, il quale fa cadere l'accento
' Possibile sarebbe anche la derivazione da P e t r u s i u s (Pieri, p. 58),
ma le forme dei documenti non la comprovano.
Col z si volle forse indicare il/' dopo consonante. Son anche da confron-
tare, ma non forse per il z, i casati Federzg'li e Ferzq'li (Schneller, Tir.
Nani., p. 299, N. 117).
246 Angelico Prati,
snWe per una svista, ch'egli stesso corregge a p. 373, ci vede un
*pi?iin, diminutivo di pino, con i sostituito da e come in fem'r ecc.
Un tale diminutivo si può scartare senz'altro. Nel caso si sa-
rebbe ricorsi ad altro suffisso, che qui c'era anche il motivo
di evitare l'incontro dei due /. Meglio è dunque pensare alla
voce pernia, da pinna, che si trova con tanta frequenza nella
toponomastica, alludente a alture o monti appuntiti o a fianco
di monte a picco, ma che forse venne anche a significare sola-
mente " altura, colle „. V. in ogni modo Malfatti, I, p. 94;
Pieri, p. 160; D'Ovidio, Zeitschr. f. Som. Philol., XXVIII, p. 539
e seg.; Grasso, Riv. Geogr. Ital., XV, p. 340. Cfr. Pennino, Pen-
nóne ecc. nell'Appennino ed avverti che un colle Penile si eleva
presso Strigno nella Valsugana (v. Brentari, I, p. 371).
Pesna (pron. pé/'na)
Malga del comune di Brentònico (Mori).
Il RiCAMBONi, San Marco, III, p. 40, crede che sia il latino
p ì e -|- i 11 ^) indicante originariamente un tratto piantato a
picei. "Saiebbe una spiegazione molto comoda, che servirebbe
anche per Péfina (Caprino, Verona) (Olivieri, Studi, p. 55, n.),
se si potesse partire da p i e e, anziché da *p i e e u ! ! Che sia
pi Cina, forma attestata, da pix, piceni, pare poco pro-
babile.
Di questi nomi ò fatto cenno nelle Escursioni, p. 120. Nel
BoNELLf, II, p. 479, a. 1183, trovo nominata una Pesena, che sarà
quella veronese.
Pllcante
Villaggio presso Ala, alla destra dell'Adige.
Lo ScHNELLER, Tir. Nam., p. 117, conosce le forme di docu-
menti de Pulcanto (1203) (una volta de Pulcayto), de Pilcante (1285),
de Plicante (1454),
^
Ricerche di toponomastica trentina 247
In un lunghissimo elenco di luoghi del Veronese che è conte-
nuto in un documento del 1184, dopo Ani è nominato Puhli-
cantus, cioè l'odierno Pilcante [Nuovo Arch. Ven., X, 1895, p. 480;
AvoGARo, p. 32, ove si doveva citare la p. 480, non la p. 478,
nella quale incomincia il documento).
Come da Puhlicantus possa essersi svolto Pilcante non si sa bene
(per via di ^puhilcante ben difficilmente), e vorrei supporre che
Puhlicantus sia un errore di lettura per * Pullicantus ^
Altra cosa dovrà essere la valle di Polcanto (Firenze).
Pre
Villaggio nella Val di Ledro.
1323: de Pre, de Prato [Trid., X, p. 40).
Quàere
Casale di Lévico.
L'Altón, p. 57, cita Qiiaire, burroni in Ampezzo, e il Gra-
*■ Per l'alternarsi deUVf coli'» nella sillaba protonica cfr. ant. Mugazone o
Migazone (Migazón) (Bosentino, Lévico) (Malfatti, I, p. 52 ; Trid., X, p. 334,
N. 16, 17); trent. bu'saka, liimaga, liumiz, padov. linie'ga, ecc. e i nomi locali
veneti raccolti nell'are/*. Glott., XVII, p. 426, e quelli citati dall'OLiviERi,
Studi, p. 205 (v. anche a p. 171, s. limus (?)); pùnata (Cavedago, nònese)
(Battisti, Die Nonsb. Mutui., p. 85), cui fa riscontro pugnataro per pigna-
taro ■* pentolaio „, usato dal valsuganotto Giacomo De Castelroto (sec. XVI)
[Arch.. Trent., XXVII, p. 26,^; Finadri, cognome solandro, cui in antico cor-
risponde Funadro (Lorenzi, 7'W(/., IV, p. 354) ; 5ri*/"«(70 (Bedollo, Civezzano),
nel 1253 de Brisago [Ti-id., Il, p. 204, penult. r.); Lufe'rna (Lévico) (Prati,
Nomi, p. 169). nel 144"3 Luserna e nel 1471 Liserna, e un monte Liferna
in quel di Énego (Asiago, Vicenza) (Reicu, Notizie, p. 138, 215, 216); Lin-
fàno 0 Lufdno, di cui v. s. Grafidm; Lizzàna (Rovereto), in documenti anche
Lugana, Luzana (Schneller, Tir. Nani., p. 93). Il valsug./d^o'r^rt, da cicória,
è uno storpiamento. Si noti anche trent. i/'e'rdola e liìf'e'rdola. Tra i nomi
studiati dairOLiviERi, va segnalato Listoldde {l^iihón, Belluno , ant. Ustolatae
(p. 155), e tra quelli studiati dal Salvioni, Boll. Star. d. Svizz. Bai., XXIV,
p. 64, Lumino nella Mesolcina {\)yo\\. limin), che connette con limen.
248 Angelico Prati,
ziADEi, Tì'td., Il, p. 359, riferisce la forma qumjro di carta del 1400
corrispondente all'odierno Quàiero, luogo presso Caldonazzo (Lé-
vico), il quale sarà da anteriore *kuuero ed avrà subito l'inser-
zione di j, come bojàr, vajo'm, Prajól, Largaióli e forse Coraióla
(da Corrà " Corrado „, che è pure un casato) (Prati, Ricerche^
I, p. 41: Escursioni, p. 128, s. Saùgo). Cfr. le formo triestine
presso ViDÒssiCH, N. 115 a ^
Non v'à dubbio che i nomi citati rispecchino (anziché aquaria,
aquari u) quadra, quadru, che ricorrono con frequenza
nella toponomastica (Schneller, Tir. Nam., p. 130-132; Olivieri,
Studi, p. 178) e si ricordi che il veronese a kuàra (quara)
" brània „, ch'io mi lusingavo di spiegare da *koàra, da ko'a
[de Uro) [Arcìi. GloU., XVII, p. 406), ma che invece deriva proprio
da q u a d r a, come nota il Goidànich, ivi, n. 3 -.
Quàere ecc. è forma interessantissima dal lato fonetico^ in
quanto mostra lo sviluppo di d r in ;V, da cui poi er ^.
È noto che nel veneziano, nel polesano e nel triestino vive la
voce sknéro [squero] " piccolo cantiere „ (Luzzatto, N. 1), pas-
' Coraióla può cioè aver indicato in origine una donna della famiglia dei
Cordi " Corradi „ ed essere quindi una forma derivata da un plurale. Anche
per bojày però si pensa all'influenza del plur. boj (v. Salvioni, Aì-cJi. Glott.,
XVI, p. 366, n. 1). Cfr. i casi, tuttavia non uguali, indicati dal Salvioni
negli Studj di Filol. Rom., VII, p. 215.
^ V. pure AvoLio, Saggio di toponomastica siciliana, Sappi. Period. dXVArch.
Glott., VI, p. 10, s. s q u e r a. In documenti trentini si trova usata la voce
quadra " quartiere „, parlandosi dei quartieri di 'R\v&{Trid., X, p. 82, n. 1).
^ Non lungi dalle Quàere e dal Qudjero, che sono in un territorio, in cui
si parla un trentino influenzato dal veneto, si trova quella Calcerdnica
(pvon. loc. halzerànega), di cui v. sopra.
In relazione a ciò che ò detto nell'are/?. Glott., XVII, p. 278, n. 1, si os-
servi pure che il dialetto roveretano, a differenza del veneto e del fiamazzo,
mantiene il •(//•-, mentre lasciò cadere, su vasta scala, il d intervocalico,
anche secondario (Battisti, Catinia, § 73, p. 180-181; Le dentali, p. 103).
Ricerche di toponomastica trentina 249
sata pure nella lingua letteraria, cui corrisponde in antico squadro
(Ascoli, Arch. Glott., I, p. 458) e che, stando al Battisti, Le
dentali, p. 180, sarebbe l'unico caso, in cui dr si risolse in er,
ma egli aggiunge che di questo / avrebbe dovuto rimaner traccia
nella toponomastica veneta (specialmente nel padovano), mentre
non ne rimase.
Invece, come si vede, ne rimase in nomi locali trentini pros-
simi al veneto, ma non in quelli di territorio veneto, per quanto
se ne deduce dall'OLiviERi, 1. e, ed io ritengo tuttavia, anche
avuto riguai'do al fatto che non si è finora rinvenuto nelle vecchie
scritture uno "^squai/ro, che skuéro sia stato attratto da -^/•<;;-ar iu
(ViDÒssiCH, N, 1 ; Escursioni, p. 138, n.) ^ Invece è a chiedere
se il fenomeno sopra notato non abbia avuto luogo in quel me-
riga (ven. ant.) " cursore del comune „ ant. mayricus, da *m a-
t r I e a. di cui è fatta parola nell'^-lrcA. Glott., XVII, p. 411-412 ^.
Randéna (forma letter. Bendena)
Valle nel distretto di Tiene (Giudicane).
Negli antichi Ada s. Vigilii : vallis Randena (Schneller, Tir.
Sani., p. 68); 1155: Bandina (ripetutamente: Trid., X, p. 257, n.);
^ Qtiero (pron. feltr. A,-Mf';-) (l^^eltre, Belluno) potrebbe essere da quadru,
ma è richiesta la prova dei documenti, perché non è forse esclusa la deri-
vazione da aquariu, malgrado il k-, o fors'anco da *cotariu {Escur-
sioni, p. 125). Nel veronese antico qiiaro, in doc. lat. Aquarum, significava
" ponte „ (SiMEONi, Atti e Mem. d. Accad. di Verona, s. IV, v. XII, p. 412, 428).
L'Ascoli, Arch. Glott., I, p. 4ò8, riteneva che questa voce corrispondesse a
q u a d r u.
^ Da quanto circa a mariga, ecc. aveva detto il Salviom e da ciuanto ne
ò detto io neirjrc-/;. Glott., XVII, p. 279-280, il Meyer-Lììbke à tratto un
articolo del R. E. W., il 5417. matricula, che basta da solo a dimo-
strare come del R. E. W. non ci si possa fidare affatto e che qua correggo. La
voce Madricha (non madrica; in Madricha si à una grafia assai diffusa nei
secoli andati e che va rispettata) non è del trentino antico, ma del valsu-
250 Angelico Prati,
1168: Ramdena (Cesare Battisti, Guida delle Giudicane, Trento,
1909, p. 140).
Fo parola di Randéna per rendere attenti che tal nome è pure
ricordato in una carta, che forse risale al 983 e poi in altre
posteriori, come si vedrà tosto. La carta del 983 (?) si riferisce
ad una donazione fatta da Rodolfo, vescovo di Vicenza, al mo-
nastero dei SS. Vito e Modesto di molti terreni nel Vicentino
e altrove, come a Fonzase, Facino, Petro, Barbucia, Fidinario
(Fenèr) (Alano, Belluno) (Gloria, Cod. Pad., I, p. 97), Tituio
(Teólo) (Pàdova), Causelvo (Conselve) (ivi), Montecleda (Mon-
tecchia [pron. loc. -cia^^) (S. Bonifacio. Verona), il/o;?/?V?/Zo (Mon-
técio) (nel territorio di Verona?), Alhotune (Albetone) (Vicenza),
poi in Vivarolio (in altra copia: Vitririo) curfem unam cum ca-
pella sancii Petri extra Benacum lacum in loco qui dicitur Ran-
déna et hraida sancii Gorzii et Lainedo vites et oliveta (p. 98).
Altro documento del Cod. Pad,, T, p. 121, del 1013, parla di una
donazione di molti beni al monastero dei SS. Felice e Fortunato
da parte del vescovo di Vicenza Girolamo. Il documento, dopo
aver nominato luoghi vicentini, ricorda Menervi {in-) (Minerbe)
(Legnago. Verona), villam Zumellae (Zimella) (Verona), Colonia
ganotto antico, poiché essa si trova in un docmnento della Valsugana, nella
quale si parla e si parlò un dialetto veneto e non trentino. Anzi il dirla
trentina è tanto più errato in quanto che l'istituzione della il/rt(7r/V/;rt e del
mariga fu estranea al Trentino ed una tal voce non s'incontra infatti nei
documenti trentini. Essa ricorre nel tei'ritorio veneto oppure in paesi, che
un tempo furono sotto il dominio veneto.
Un rover. niarugele " lucertola verde „ non esiste!! Esiste invece il rover.
maràgola ".cavalletta verde „! La voce trentina corrispondente e indicante
la mantis religiosa non sona mariigela, ma mariì'gola.
Il Meyeu-Lubkk ammette, pur dopo quello che ò esposto n^WArch. Gìott..
1. e, che Madrichn ecc. sia stato rifatto sn mai ri cu la, cosa ch'io invece
non sento di poter ammettere. Una forma marigola, quantunque io la abbia
riportata dal Salvioni, non so se sia attestata.
Ricerche di toponomastica trentina 251
(Cologna), poi in Vivarolo capellam sancii Pelvi, Montecleda, in
Coloniola (Colognóla) (Verona) petias de vite duas et ortos duos
et extra Bennacum lacuin in Raudina (errore per Bandina) viles
et oliva. In altro documento ancora del 1033 {Cod. Pad., I, p. 162)
si legge: in Coloniola casalem unum et ortos duos. extra Benacum
lacum in loco qui dicitur Randena et hraida sancii Georgii et
Laginedo viles et oliveta, in Vivariolo corlem unam et capellam
sancii Petri.
Confrontando questo passo nei tre documenti, sì notano delle
trasposizioni e quindi delle confusioni, ma risulta però certo che
al di là del " Benacus lacus „, ossia del Lago di Garda, c'era
un luogo detto Randena o Randina, dove aveva possessi il ve-
scovo di Vicenza. Conviene osservare che il Glokia, come risulta
dall'indice del Cod. Pad., pone nel Vicentino nientemeno che
tutti i luoghi qui sopra citati, fatta eccezione per Titulo e per
CauselvoW Si tratta di un abbaglio altrettanto strano quanto
grande. Egli arriva persino a fare tutt'uno di Montecleda e di
Monticulo, identificandolo con Montécchio (pion. loc. -eco) (Vi-
cenza) (p. 390), non badando neppure al fatto che Montecleda
nel medesimo documento è seguito da Monticulo, e che quindi,
anche astraendo da ragioni fonetiche, si tratta di due luoghi
diversi, E di Randena e di Raudina fa, viceversa, due luoghi di-
stinti, naturalmente tutti due nel Vicentino! (p. 396), non accor-
gendosi nemmeno che Raudina non può essere che un errore!
E il Gloria ammetteva l'esistenza di un " Benacus lacus „ vi-
centino, da non confondere quindi con quello veronese!!
Come si apprende dai documenti citati, il vescovo di Vicenza,
come altri in quei tempi, possedeva dei beni anche lontani dalla
propria diocesi. Cosi è possibile che ne avesse anche in Ran-
dena, poiché vien fatto di chiedere se non sia possibile l'iden-
tificazione della Randena o Randina di quei documenti colla
valle omonima. Si ricordino anche i diritti feudali del vescovo
252 Angelico Pniti,
di Verona sa alcuni paesi pure nelle Giudicane nei secoli X-XIII
(Cesare Battisti, Guida delle (liudicfo-if, p. 13, Trento, 1909)'
Però essendovi un ostacolo a tale identificazione nell'accenno
agli ulivi, che avrebbero dovuto crescere nell'alpestre valle di
Randena, alta poco più di 600 metri, (la vite vi alligna tuttora),
né essendo forse molto probabili errori o confusioni in propo-
sito da parte del notaio, converrà ammettere che si chiamasse
pure Eaiìdetìa un luogo vicino al Lago di Garda ^. Sarebbe
quindi assai notevole il ripetersi del medesimo nome in due
luoghi relativamente non molto lontani l'uno dall'altro.
Per quanto riguarda la forma Uandina sovviene che nell'alta
Randena l'f seguito da nasale passò ad / (Battisti, Catinia,
§11. p. 110). ma è da ricordare che nei documenti latini Ve
e To' sono resi spesso con i ed u. V, una nota s. Folgavki e
si avverta appunto la forma Bandina del 1013, se non si tratta
della valle del distretto di Tiene.
Rigolór (el-) (con o)
Rivo affluente di sinistra dell'alta Fèrsena, che passa a Ro-
veda e sbocca presso Caneza.
• Oggigiorno l'ulivo vegeta lungo i laghi di Garda e di Toblino (Perini,
I. p. 431). Nel Bellunese esso cresce, quale pianta di ornamento, fino ai
400 ni. (ScuAviA, Tecnol,. boian.-forest. ci. prov. di Belluno, Belluno, 1877,
p. 134). 11 Brkntari, I, p. 357, dà notizia dell'esistenza di un ulivo nell'orto
della canonica a Garzano (m. 429) nella Valsugann. Un Col de l'Olirò (e. 400 m.?)
sorge presso Agnedo (pron. loc. ne) pure nella Valsugana.
Dnl nome dell'ulivo fu anche tratto quello pel ligustro (ital. olive'lla, oli-
rfllo, bellun. oliveta] (cfr. anche il nome locale Olivóne nel Canton Ticino :
Meyer-Lììbke, Einfilhricng', p. 243), ma nei documenti suaccennati si allude
certamente ad ulivi fruttiferi.
Occorre appena rammentare in fine che in tempi andati l'ulivo era col-
tivato in punti dell'Italia, della Francia ecc., nei quali ora non frutta più,
il che accennerebbe a mutamento di clima.
I
Ricerche di toponomastica trentina 253
Questo nome si legge in forma errata in più libri ed è bene
mettere sull'attenti dell'errore, affinché non venga tratto in in-
ganno anche qualche studioso di toponomastica. Rigolo'r cioè
compare come Bigolèr, per esempio, presso il Malfatti, Saggio,
I, p. 104, e cosi [Rigoler] k il Brentari a p. 240 della sua Guida, I,
mentre a p. 274, 276 à la forma giusta Bigolor. E il Baragiola,
1 " Mòcheni „, Venezia, 1905, che pure fu sui luoghi più volte
(v. p. 24), accoglie precisamente la forma errata Bigolèr (p. 9,
12, 21, 22), anzi, a p. 9, ult. r., arriva persino a scrivere, forse
copiando da qualche autore tedesco. RigolerbachW Chi non cre-
derà che questa sia una forma inventata di sana pianta? ^
Il nome mòcheno (ted.) è invece Glurtol (v. Beentari, I, p. 274)
»/d esso farebbe sospettare in Rigolo'r un composto di '*Ri -\- goìo'r.
Se ciò non è, Rigolo'r dovrebbe essere un derivato in -o r i u
di rivùlu. Cfr. Rugolàra, rio in provincia di Vicenza (Oli-
vieri, Studi, p. 179. ult. r.) e v. Pieri, p. 163, e pel v in g v. anche
Prati, Nomi, p. 167, s. Cùgola (pron. kiìgola), a proposito della
quale si avverta che il polesano à appunto kùgola " cupola „.
Rinalbo (nome antico)
Luogo nella valle di Fieme, nominato nel 1378 (Lorenzi, p. 139).
Dice " rivo bianco „. Circa la voce rin v. Marinelli, Riv.
Geogr. Ital., Vili, p. 166; Schneller, Zeìtschr. d. Ferdin., III.
F., 50. H., p. 125; Meyer-Lubke, Einfuhrung-, p. 222; Prati,
Ricerche, I, p. 14; Jud, Bidl. de Dialertol. Rom., Ili, p. 74, n. 5.
Rizzolàga (pron. loc. borldga)
Villaggio in Pine (Civezzano, Trento).
1253, 1388: Arzolaga [Trid., II, p. 204; Cod. Cles., Riv. Trid.,
* Rigolor à invoce il Gkam.vtica, p. 5, 8.
254 Angelico Prati,
X, p. 200); sec. XV: Arzollaga (doc. volg.) [Trid., X, p. 430,
433, ult. r.).
Da un nome personale *A r t i o 1 u s ? (Cfr. Artius: Oli-
vieri, Studi, p. 68).
Roméno (pron. loc. romén)
1185: Romenum (Schneller, Tir. Xain., p. 69); poi anche
Bumenmn.
Oltre quello che ne dice ivi lo Schneller, v. l'accenno del
Battisti, Die Nonsh. Mund., p. 36, n. Io aggiungo che si trova
il cognome R u m e n u s weW'Indice Epigrafico del v. XXIV, N. S.,
dell'yl/'cA. Triest., p. 234, dove si cita il v. VII, p. 129. Come
è naturale, non esiste relazione alcuna, contrariamente a quanto
scrive lo Schneller, p. 69-70. col nome del romito Bomèdio
(pron. non. romjédi), che deriva da R e m e d i u s {v.Arch. Trent.,
XXVI, p. 254-255) (non R o m e d i u s, come è stato stampato
nella Pro Cultura, III, p. 300). Cfr. invece la Val dei Bumini
in Vallarsa {Tir. Nani., p. 199).
Boro
Campagna in quel di Caldonazzo (Lévico) (Ctraziadei, Trid.,
II, p. 359).
rò'ro, che è qui la rispondenza di r o b o r e, ritorna anche
in Montero'ro (forma letter. Monteróvere) (Lévico), forma d'uso
nel distretto di Lévico. Il Graziadei, ivi, p. 358, che à Monte-
rovo, ceito per errore di stampa come in pili altri casi, riporta
la forma Monterover del 1300. Dal Reich, Notizie, riporto: 1503:
il monte, detto volgarmente jRovero (p. 147); 1537, 1556: monte
Bover (p. 163, 165); 1604: la montagna di Monte Bov re (p. 190,
r. 10-11 dal b.); sec. XVII: al Monterovero, dal Monte Bovero
(p. 214).
Il Cesarini Sforza, Di alcuni nomi loc, p. 117, 118, cita La-
Ricerche di toponomastica trentina 255
roré e Eoré luoghi presso Terlago (Vezzano) e nel distretto di
Cavalese (Fieme), verso Cembra, c'è un casale Eóver, volgar-
mente denominato 'l Boi o Ma/i di Eova (?) (Brentari, II, p. 100),
Cfr. Borei, forma ladina del nome della città di Roveréto (pron.
loc. rovere: Schneller, Tir. Nam., p. 136) (Altón, p. 60).
Nel 1365 è mentovato un luogo in pertinentiis montis Sersi,
ubi dicitur a Borre (Pòrgine) (potrebbe essere un *Bovré) [Trid.,
V, p. 394) e nel secolo XV un luogo al Boaro, al Bovre e a Bovre
in Pine (Civezzano) {Trid., X, p. 430; XI, p. 378, 382; XII,
p. 193, 321). Y. poi in una n. s. Varéna.
Nel 1382, pure in Pine, è ricordato Lovere {de-) {Trid., II,
p. 244) (che qui pare non possa essere un *Lovére). da confron-
tare con l'odierno Lo'ver (Mezzolombardo); che nei documenti
compare come Loverniim e da cui trae il nome il torrente Lo-
vernàdek' . V. Reich, Notizie, p. 58, dove si legge anche la forma
Lovro, nel 1385 de Lover {Biv. Trid., IX, p. 122). La città di
Rovereto dagli abitanti del vicino Teragnól (Terragnolo) è detta
L0V7'é.
È opportuno ricordare che ro'ì-o, oltre che nel distretto di Lé-
vico, vive nel trevisano {Ardi. Glott., XVI, p. 320), che roro
riporta I'Ascoli, ivi, I, p. 415, da una vecchia scrittura feltrina;
rore ricorre nel bellunese e nel valsuganotto occidentale (di-
stretto del Borgo) e rori, róul o rol nel furiano (ivi, p. 503, 529).
Nel vernacolo di Trento c'è rover. nel ro\eretano ro'vro (qui
anche Uvro " lepre „; cfr. levro e róvoro nel triestino: Vidòssich,
N. 215, 219, 226), nel valsuganotto orientale (distretto di Strigno)
rovre, nel veronese ro varo o rq aro. Il nònese à ro'ver, ma Bo'r
quale nome di campagne presso Cloz e presso Tassili, e Bore
presso Tret (Battisti, Die Xonsb. Muud., p. 35, 53). V. anche
il plur. rq'ri ivi a p. 102.
256 Angelico Prati,
Rovéda (con e).
Villaggio dell'alta valle della Fèrsena, nel distretto di Pòrgine.
Nel noto documento del 1166, del quale si è già fatto cenno
in una nota s. Canéia, compare nella forma latina Bohure e in
quella tedesca Hoicìilait (Bonelli, II, p. 438) ^
Dai Mòcheni Roveda è infatti detta Oacìilait (ted. letter.
Eichleit), che equivale quindi a " costa del rovere „ (v. s. Latemdr).
Nelle Eicerche, I, p. 30, n. 3, osservavo che Rohiire sembra tratto
dal nome tedesco, il quale si presenta come una falsa tradu-
zione di Bovéda, nome che gli immigrati tedeschi avrebbero cre-
duto tratto dal rovere, invece che dal rovo, ma domandavo poi
se Bovéda non sia al contrario una forma dissimilata di un
*Bovréda, visto che lo storico valsuganotto Montebello scrive
Rovereda (p. 403).
Ora sono in grado di rispondere di si a questa domanda ed
è quindi da abbandonare la derivazione da rùbéta.
Infatti nel 1572, oltre che Boveda (Momzzo, II, p. 337), com-
pare la forma Bovereda lurisdictionis Perzini (ivi. III, p. 50). La
prima forma si trova anche nel 1424, nel Cod. Cles., nel quale
è fatta menzione di Sicherius de Boveda, detto poi Sicherius Bo-
vede de Eno (di Den in Val di Non), nel 1437 apud... Sicher'mm
Bovedam [Biv. Trid., XII, p. 199, 203, 209). Anche se si rinvenisse
la forma Boveda in documenti molto più antichi, non ne ver-
rebbe difficoltà contro il ^Bovréda, poiché, come si avverte di
molti altri nomi, i notai eran soliti di usare spesso forme già
superate nella parlata comune e che essi leggevano in docu-
menti anteriori. Tale è il caso del Bovereda del 1572, di fronte
* Non Hochlait, come scrivono il Gkamatica, p. 38, 39, e il Battisti, Pro
Cultura, 1, p. 183. Nella traduzione del documento del 1166, che il Gra-
MATicA, p. 12, riproduce dal Gar, parte dei nomi compaiono in forma arbi-
traria ed errata. Di un Canestia (v. sopra) si fa un Canesia e cosi via!
Ricerche di toponomastica trentina 257
alle altre forme anteriori. E il Montebello non faceva uso di
Rovereda ancora nel 1793, cioè dopo secoli che il popolo di-
ceva E 0 veda? ^.
II ted. Oachlaìt [eh-, i nomi di Vallarsa addotti dallo Schneller,
Tir. Xani., p. 208. N. 302, 303) non è dunque una falsa traduzione,
ma corrisponde in parte a Rovereda, mentre il Robure del 1166
parrebbe, come ò detto, suggerito al compilatore del documento
dal nome tedesco, pure da lui usato.
Roverséi (con é)
Località boscosa posta sopra la frazione di Fontèchel del paese
di Brentònico (Mori) {Trid., IL p. 297).
Controia spiegazione dello Schneller, Tir. Nam.. p. 138, N. 5,
che lo interpretò come rovericelU, il Ricamboni, San Marco, III,
p. 40-41, osserva: " La sibilante nel nome odierno non ci per-
mette di accogliere questo etimo, perchè, a seconda dell'epoca
' Il Gramatica, p. 5, I col., dice che si scriveva Bovereda (la forma Ho-
vedera da lui pure riferita è naturalmente un errore, forse di stampa) due
secoli fa, ma, come si vede, lo si scrisse anche dopo. Perché il lettore non
perda il bonumore ricorderò che di recente I'Unterforcheu, Zeitschr. f. Boni.
Philol., XXXIV, p. 201, à derivato, pur dubitando, Rovèda da rupada {rti-
p(ita)V.\ E dire che lui rimanda allo Schnelleu, Beitrage, IH, p. 80, il quale
propende appunto per la derivazione dal rq'ver. A Boreda I'Unterforcher
pone accanto Bevo (v. Bicerche, I, p. 20), di cui riporta la t'orma Boado, la
quale, come avverto anche nelle Escursioni, p. 127, n., non è affatto atte-
stata, come non lo sono il Bevado e il Cugnado del 1190, riferiti dal Bat-
tisti, Cafinia, § 3, p. 92; Die Nonsb. Mund., p. 25, n. 1. Queste due forme
sono invece del latino chiesastico (del quale si sa quanto ci si può fidare!)
e del 1190 sarebbe la forma Cagnao, e del sec. XII sono le forme Boao, Boo,
come risulta dalTETTMAYER, Boni. Forsch., XIII, p. 397, che è la fonte del
Battisti. Io trovo la forma Cagnao solo nel documento, nel c|uale si legge
Boao, Boo [Bicerche, I, p. 19). Si avverta poi che anche il Caudonacio del 1205,
riferito dal Battisti, Catinia, § 3, p. 94 (v. pure Pro Cultura, I, p. 199), è
erroneo. La forma giusta e Caufonacio (v. le mie Ricerche, I, p. 29, 30).
258 Angelico Prati,
in cui Vi antecedente al celli cadde, avremmo avuto la z sorda
0 sonora, ma non mai un s che dev'esser qui originario. Si
tratta quindi di un riversii ~\- ellu, significante per tal modo la
posizione di questa località rispetto al sole „.
A 1' e V è r s u (non r i v e r s u, come à il Ricamboni) ricon-
duce infatti I'Olivieri, Studi, p. 152, un Boversello (Cologna, Ve-
roiìa); ma i Roverséi sono posti a tramontana? ^ E poi, a roveri-
celli non corrisponderebbe *rovere/'éJ, {ch-.monfef'él, venie/' él eco.)?
E i Roverséi, derivati da rover, non trovano forse riscontro m pe-
gorséla àa, pégora, in {por) laorsél " povera creaturina „, da lao'r?
Una formazione uguale devB essere il trevis. ant. harsella " ba-
riletto, barletta, piccolo otre „, che andrà quindi letto con s, non
con/', come suppone il Salvioni, Ardi. Gioii., XVI, p, 288.
Saluga (la-)
Rivo di Trento.
11 Grubf.r, p. 317-318, riporta dei nomi di fiumi, che si spie-
gano al solito dalla radice sai- " scorrere „ ^, ma aggiunge che
si tratta di fiumi, i quali percorrono regioni saline, e che quindi
si derivano meglio da sale. Ma per la Salilga, la quale del
resto non passa per terreni salini, data la terminazione -i'iga, è
appunto da pensare alla base s a 1-, sopra indicata. Nel voca-
bolai"io del celtico antico dello Holder c'è la terminazione -u e a
e vi son citati alcuni nomi di luogo forniti di essa. Per nomi
analoghi v. Altón, p, 60, 61, e cfr. Ricerche, 1, p. 43, n. 1. Cosa
interessante è che vicino a Trento vi è pure il piccolo torrente
^ Notisi inoltre che il trentino à reve'r's (veron. rove'rso, roe'r'so, non.
rove'r's), ma è possibile che in un nome locale sia subentrato Vo.
^ Della radice s a r-, che si presenta pure in nomi di corsi d'acqua,
V. anche Jud. Bull, de Dialectol. Rom., Ili, p. 74-76.
Ricerche di toponomastica trentina 259
Saie, di cui v. ivi. p. 43, e cfr. il monte SaUi dell'alta Fassa,
citato dall' Altón, p. 60 ^.
Di altre basi preromane, che anno dato luogo a nomi di fiumi,
di torrenti, di ruscelli delle Alpi v. Jud, Bull, de Dialectol. Bom.,
Ili, p. 742.
Samborlva
Monte presso Caldonazzo (Lévico).
Nel 1500: Summaripa (Graziadei, Trid., II, p. 359). Cfr. Pieri,
p. 135: Olivieri, Studi, p. 154, s. summw, Salyioììi, Boll. Stor.
d. Si-izz. Ifal., XXIV, 1902, p. 6. Per Vo. v. anche Samokléf so-
landro (Ricerche, I, p. 44) e Saìiionfe veronese (Avogaro, p. 50).
L'o si dovrà all'azione della labiale. Ma forse nacque uno scambio
ti-a Vo e Va. Con mm > mb cfr. un'end nel trent., feltr.,
bellun. spanda " spanna „ [Arch. Glott., I, p. 311).
^ A quanto tu detto nelle Ricerche, \. e,, circa Sale va soggiunto che forse
è pur possibile la derivazione da oxalis " acetosa „ [E. E. W., 6129) e
circa i nomi locali Salina è da rammentare che saline sono dette dai cac-
ciatori i luoghi, ove spargono il sale per attirare la selvaggina, e che nel
Cadore salina 0 salerà vale " sorgente salata „, come riferisce il Marinelli,
Riv. Geogr. Ital., Vili, p. 166, il quale osserva che però a volte sembra siano
semplici stillicidi, che si giudicano salati, perché ad essi sogliono abbeve-
rarsi i camosci.
Un luogo Salina {la-) c'è presso Lévico (nominato anche dal Brentari, 1
p. 297) ed è menzionato in un documento, di cui v. Jrch. Treni., XXIV, p. 63
^ Nel lavoro, molto attraente, intitolato Dcclla storia delle parole lombardo
ladine, ivi pubblicato, il Jud addita un'origine preromana di molte voci
anche usate fuori dei territori lombardo e ladino. V. però il parere del Sal
VIGNI, Rendic. d. R. Ist. Lomb., s. 11, v. XLV, p. 272.
Il .hid usa erroneamente la parola preromanzo (p. 5, 8, 68, 74, 82 ecc.)
invece di preromano, ma il bello e che in ciò lo segue anche il Guarnèrio,
Rendic. d. R. Ist. Lomb., s. II, v. XLIV, p. 966 N. 31, p. 1088, Ir. (A p. 3,
n. 4, Jud dà poi una deflnizione amenissima: bregagliotto siitx " vitello
che non dà latte ,. Chi dubiterà di questa definizione?!)
Archivio glottol. ital., XVIIl. 17
260 Angelico Prati,
Scandolàr
Luogo su quel di Vigolo Baselga (Vezzano). Un altro, pure
ivi, è nominato nel 1303 [scandolàr] (Arcìi. Tre.ìit., XXVI,
p. 54, n. 5).
Non stanno per *scandelar " luogo coltivato a scandella „,
come ivi dice il Cesarini Sforza, ma riflettono senz'altro il
lat. scandula " spelta „ (Flechia. Ardi. Glott., II, p. 383;
Pieri, p. 104; Avogaro, p. 28; Olivieri, Studi, p. 129).
Sommo
Presso Serada in Folgaria (Rovereto) ci sono due dossi, i cui
nomi vengono scritti Sommo (m. 1(311) e Doss del Sommo (m. 1669)
dal Brentari, I, p. 116. Il primo compare come Sommo alto
(m. 1614) nella C. M. L'Olivieri, Studi, p. 169 è nel vero, sup-
ponendo che questo nome corrisponda a ^on (scritto anche Xon,
Xom e Xomo, nella C. M. Colle di Xomo [m. 1056J) presso Pósena
(Vicenza) e ad altri nomi uguali del Veneto, che egli deriva da
*lovón. Infatti nel 1276 si trova la forma Zono Folgarido (Ri-
cerche, I, p. 34) e da Valsuganotti, che furono da quelle parti,
ò udito pronunziare do'mo, f'o'mo, le quali forme ci dicono che
si tratta di -- e che solo chi volle vederci sommo <i&\imm\\
si è indotto a scrivere Sommo. Di -iti <C -n fissato pure nella
forma letteraria (-wo) v. altri casi nelle Ricerche, I, p. 12, 13,
n. 1, e presso Sabersky. p. 50 [Baldimo, con cui cfr. il Monte
Baldo: Salvioni, Literaturhl. f. germ. v. rom. Philologie. XXI,
col. 145). ■
Tigneróne
Villaggio nel Bléggio (Sténico).
1155: de Tignarone [Trid., X, p. 257, n.).
Il Salvioni, Boll. Stor. d. Svizz. Ital., XXII, p. 100, ritiene
non improbabile che in Tegna (Locamo) si abbia la voce féna
Ricerche di toponomastica trentina 261
" tigna „, notando che un tal nome poteva darsi a un terreno
arido, pieno di sterpi ecc., e ricorda pure Tegnogno (Mal vàglia,
Elenio) e il Monfignoso di Massa. V. pure Pieri, p. 135.
Di un Mafarè di Val Tegnofa nel gruppo della Marmolada
in Fassa, si fa cenno nella Zeitschr. d. Ferdin., III. F., 55. H.,
p. 121, n. Un Tegnóne esiste presso Como, e gli fu mutato il
nome in Bevellino ^
Il Salvioni cita pure, 1. e, n. 1, a confronto il vogh. riign
" rogne „, terreni infecondi (Nicoli, Studi di Filol. Rom., Vili,
p. 233) e s'aggiunga che il rover. grufa " chiazza, schianza;
lattime, croste lattee „, applicato a terreni, venne a dire " ter-
reno sodo, sterile, infruttuoso „ (Azzolini). V. inoltre Olivieri,
Studi, p. 154, 180.
Per Tignale al Lago di Garda invece è forse da pensare a
tìgnu " trave „ (Meyer-Lubke, Einfuhrung-, p. 37). Forme
antiche: 1425: Tignalis (genit.); 1447: Tegnalum [Cod. Cles., Riv.
Trid., XII, p. 150, 285). Tigneróne poi avrà avuto la spinta ad
assumere il suffisso -óne dai molti altri nomi locali in -óne delle
Giudicarle {Ricerche, I, p. 21. n.).
Toràm
Case isolate presso Pedersano (Villa Lagarina, Rovereto).
Lo ScHNELLER, Tir. Nam., p. 177, fa conoscere le varianti
letterarie Torrano e Turano e riferisce la forma Tarano {in-)
^ Gabriele Grasso, Sul cambiamento di nome nei comuni attuali d'Italia,
Riv. Geoijr. Ital., Vili, p. 264. Come è noto, furono mutati i nomi a pa-
recchi villaggi, che ne portavano di quelli con brutto significato, sia reale,
sia apparente. V. in proposito Otello Cavara, 1 paesi che hanno cambiato
nome, La Lettura, XII, N. 8, Milano, 1912, p. 748-752. Si ricordi che come
il villaggio di Pissavàca presso Trento da molti è detto Belvede'r, cosi è
detto pure Belvedére il paese di Vaccàro in quel di Fobello (Varallo, No-
vara), riscontro che ò già notato nelle Escursioni, p. 122.
26'2 Angelico Prati,
del 1259 e l'etimologia dell'ORSi, da Taurianum. L'a di Tarcmo,
se non è errore, sarà per assimilazione all'd, poiché è poco pro-
babile che Vo odierno sia da anteriore a ed inutile sarebbe il
confronto coi trent. ago'ét e angiiràr [angurar anche nel vero-
nese: AvoGARO, p. 35). Come è ben noto, la consonante o il
nesso di consonanti, che segue al dittongo au viene a trovarsi
come in posizione posconsonantica. Cosi si spiegano, per esempio,
il é di k^'éa e di poédda (cfr. Ascoli, Arch. Glott., XVI, p. 182-
183 ; Parodi, ivi, p. 349) e il e del genov. noce <Cnaucléru
(Parodi, ivi, p, 338 ; Salvioni, Romania, XXXIX, p. 442). Ora,
si attenderebbe che anche il r j, che segue ad a u, rimanga rj.
E i fatti paiono confermare tale deduzione, dico paiono, perché
sembra vi sia qualche oscillazione.
Turano (Lavagne, Verona), compare nell' 862 e nell' 883 come
Tonano, nel 994 come Turiano (Avogaro, p. 15), nel 1158 Tu-
rano (Olivieri, Studi, p. 95). L'Olivieri riporta pure la forma Tor-
riano dell' 883. Questo nome sembra stare contro la supposi-
zione che aurj dia oìj, ma come provare ch'esso risale a
Tauri US? Conti'o questa base stanno appunto le forme an-
tiche, poiché, ben ammettendo che l'a u fosse già chiuso in o
prima del secolo IX, è strano che i compilatori dei documenti,
che tanto ci tenevano alle forme latine (di nomi con au c'è do-
vizia nelle vecchie carte), non scrivessero Taurianum almeno in
epoca SI remota. Ma, giacché sarebbe da escludei-e quest'etimo
per Turano, clie risalirà invece a T h o r i u s o a T u r i u s,
nome attestato da una lapide romana scoperta nell'Istria [Pag.
Isfr., XI, p, 101), si chiederà se T a u r i u s à lasciato dei deri-
vati con rj. Si, li à lasciati, e sono: Tauridno (Spilimbergo,
Udine), 1204: Taureano; Torcano [Torreàno] (Cividale), 1259:
Tauriano; Costa Turiana (Torrebel vicino, Vicenza). L'Olivieri,
Studi, p. 95, dal quale tolgo questi nomi, li deriva da T a u-
r i 1 i u s, ma basta invece T a u r i u s, ed infatti si noti che
Ricerche di toponomastica trentina 263
nelle forme antiche il / non compare. V. poi anche i nomi deri-
vati da a u r e Ò 1 a a p. 95 delle Escursioni (cfr. R. E. ÌV., 791).
Sopia ò però detto che sembra ci sia qualche oscillazione. A
Moràdega (Sorga, Verona) corrisponde infatti Mauriatica nell'SlS
e neir 883 (Olivieki, Studi, p. 86), né si vorrebbe sospettare di
questa vetusta forma. Potrebbe darsi tuttavia che qui a u sia
divenuto o, prima che rj divenisse r ?
Noto infine che aulj diede oj (v. Escursioni^ p. 122 s. Pojàn,
Olivieri, Studi, p. 68 s. Aulius, Appunti, p. 188 [P. 72]), come
1 Ij diede j, g (ven.), ma r rj > rj (v. s. Mori).
Traslél (pron. traf'jél) (forma lettor. Trafiello)
Case presso Castellano (Villa Lagarina, Rovereto).
V. ScHNELLER, Tir. Nani., p. 189, che cita le forme Trascm-
darium del 1309 e Trasidorum del 1450. S'aggiunga Tresse-
dnrium del 1305 [Ardi. Trent., XVI, p. 46, penult. r.). 11 Ricam-
BONi, San Marco, III, p. 41, al quale sono note le due sole forme
riferite dallo Sghneller, dopo aver detto che sono curiosamente
diverse dalia forma moderna, deriva Trafiél da t r a n s i t u s -[-
e 1 1 u.
E ammissibile che si possa diffidare a volte delle forme di
nomi locali, che offrono i documenti, quando vi è una solida
ragione, ma non credo che questo sia il caso. Infatti Trasan-
darium, sia esso una forma dovuta solo al compilatore del docu-
mente. sia forma dovuta al popolo, fu evidentemente avvicinata
a trarandél (trent.) " transito, chiassuolo, chiassolino „, da
*t r a n s i e n d a (Salvioni, Romania, XXXVI, p. 250, XXXIX,
p. 471, N. 68), e Trasidorum non può essere che errore per
Trasidarum, per il facile scambio grafico tra o ed a, dato il
brutto vezzo di certuni di scrivere Va uguale all'o, mentre Tres-
sedarium potrà anche essere invece di Tra-. L'etimo ne è *tran-
sitar i u (cfr. *s e m 1 1 e r i u, da cui éentér o éintér), donde, nella
264 Angelico Prati,
Val Lagaiina, *traf'edér e di qui traf'jél, con / dissimilativo, e
la forma letteraria Trafiello per l'illusione che V-él sia il suf-
fisso -èlio, nel dialetto -él.
Trento (pron. loc. trént)
V. le mie Ricerche, I, p. 51, n. 8; Escursioni, p. 98, n., Bat-
tisti, Le dentali, p. 135, ed aggiungi che si legge de trento anche
in un documento del 1028 {Ardi. Star. p. Trieste, l'Istria e il
Treni., I, p. 298).
Tres (con e') [Tréf'i gli abitanti)
Villaggio nel distretto di Cles (Val di Non),
Senza dire donde la abbia, il Malfatti, Ardi. Star. p. Trieste,
l'Istria e il Treni., II, p. 99, fa conoscere la voce irés, signifi-
cante " spazio di erba rigogliosa, che circonda un casolare o una
malga „ ^
Tresénga (la-) (con e')
Rivo, che passa presso il paese di Tères (Cles).
L'aveva messa tra i nomi in -i n g {Bicerche, I, p. 26), ma
nonio consentono le forme antiche, e quindi va levata. Cfr. 1891:
aqua Tresignegi {Cod. Cles., Riv. Trid., X, p. 270)^; 1401: aqua
Tresinegi (ivi, XI, p. 57); sec. XVIII: Valle Trisinica [Pro Cul-
tura, II, p. 245, n. 2).
^ Nella Valtellina c'è tres " mucchio di fieno „. V. Salvioni, Boll. Sfar. d.
Svizzera Bai., XXI, p. 96, n. 1. Niente potrà aver di comune il solandro
tres " concio del maiale „ (Battisti. Ziir Sulzb. Mund., p. 222) con Tre's,
di cui V. anche Orsi, Saggio, IV, p. 17.
^ Pel gti cfr. il Tugegnum del 1214 a p. 59 delle Ricerche, I, la villa Ca-
varegni del 1403 [Cod. Cles., Riv. Trid., XI, p. 113), forma da aggiungere a
p. 23 delle Ricerche, I, s. Cavareno (con cui cfr. C a v a r i n u s, nome cel-
Ricerche di toponomastica trentina 265
Tresslla
Villaggio della valle di Fine (Civezzano).
Y. i miei Nomi, p. 174. La forma Traxilla rìcoYve pure nel 1262
[Rie. Trkl., X, p. 226) e cfr. ancora Tregióvo (Revò, Cles), nel 1424
Trazocum [Cocl Cles., Riv. Trid., XII, p. 200) ^.
Valdàcole (le-)
Luogo presso Viliazzano (Trento).
Una spiegazione fu da me data nelle Ricerche^ I. p. 46, ma
un'altra la può offrire il lat. a e e ò 1 a, da cui il poschiav. ant.
accola " tenuta, fattoria „. l'obwald., engad., akla (Salvioni,
Rendic. d. R. Ist. Lomb., s. II, v. XXXIX, p. 569; R. E. (F., 81).
y. anche Gtruber, p. 355, ov'è addotto un lat. m. "^accola " po-
deie; fattoria: novale „.
Varéna (con e)
Villaggio nel distretto di Cavalese (Fieme).
V. Ricerche, I, p. 25, 26, e i nomi locali Varenna presso lo
HoLDER, e Varenna (Como). Il D'Arbois de Jubainville, p. 451,
riporta il nome Vare n u s -.
tico presso Cesare : v. Thesaurus e Arch. Treni., XII, p. .39), e VArsignadige
(genit.) del 1.336 per la Sendiga, affluente di destra del Zismón (^Wr?., Ili,
p. 164, n. 57; cfr. Ricerche, I, p. 9; Pro Cultura, III, p. 128, n. 12); nel 1525
ancora Aqua arsignatie (probab. errore, per (crsignafice): Morizzo, II, p. 313.
V. anche Gargniya, per Garni'ga {Ricerche, I, p. 24), presso Schneller, Tir.
Nam., p. 78, n., e de Sargnis a p. 146. Della grafia inversa, cioè di n per gn
V. Ricerche, I, p. 50, n. 1. V. pure, per altre grafie, ivi, p. 44, n. 1, e qua
sopra, s. Cojmajóm, ed Escursioni, p. 110.
' La grafia Tressilla e Siila (il torrente, dal quale trae il nome) non è
giustificata, e ciò tanto pili se si riconosce la parentela della Sila coi nomi
da me ivi ricordati (p. 175). V. anche Holder, s. Silis (F 1 u v i u s-). Lo
ScHNEt,LER, Zeitschr. d. Ferdin., III. F., 50. H., p. 133-134, pensava ad un'ori-
gine germanica.
'^ Un monte Verena si trova in provincia di Vicenza, presso il confine
266 Angelico Prati,
Vela (la-) (con e')
Rivo, presso il quale si trova un casale, detto pur esso la
V^'la, vicino a Trento.
Negli Ada S. Vigilii (IV sec.) : in via quae dicitur Vela {Arcìi.
Treni., XXVI, p. 62; v. Orsi, La topografia, p. 27). V. inoltre
(/ESARiNi Sforza, Piazze e strade, Ardi. Treni., XIII, p. 90-91,
104 n. 1, 107. Velón è un rivo dell'alta Val di Sòl (Perini).
L'Ettmayer, Bom. Forsch., XllI, p. 528, n. 1, la deriva, pur
dubitando, da *a q u e 1 1 a, ma egli scrive erroneamente {la)vrla,
mentre essa à e . Basta dunque questo fatto ad escludere l'eti-
mologia da lui proposta ^.
La Vela è pure una campagna in quel di Samón, nella Val-
sugana (v. Susteb, Trid., III, p. 166, n. 80). ma qui il nome
avrà, in origine, designato un prato od un campo triangolare,
a forma di vela. Anzi il dizionario polesano del Mazzucchi ac-
coglie la voce oela proprio nel significato di " campo irregolare
in forma di triangolo o di trapezio, pigola „.
Saran forse da avvicinare alla Véla trentina i due Vélo ve-
neti (Olivieri, Studi, p. 185) (v. anche Velo casale : Massone,
Oltresarca, Arco). Il nome dei due villaggi tirolesi Vols, nei do-
cci distretto di Lévico, dalla parte di Lavarone. Nel 1537 compare nella
forma Varena (Reich, Notizie, p. 162). Per la forma antica Avarena (v. Ri-
cerche, 1), cf'r. oltre Ambh'ir (v. ivi, p. 26, e Schneller, Beitruge, III, p. 23),
le seguenti forme antiche di nomi locali in quel di Lévico: in arivara [Arch.
Trent., XXIV, p. 62, 63); in aronre, in arovere (ivi); in arerna (ivi, p. 65).
Cfr. anche un Alenticlar del 1386 [Cod. Cles., Riv. Trid., X, p. 141, 142),
in quel di Mezzolombardo [Medium S. Retri), da * 1 e n t i e ù 1 a r i u (cf'r.
Schneller, Beitrlige, HI, p. 29; Tir. Nani., p. 84).
^ Questo non è al certo l'unico nome eri*ato addotto dall'ETTMAYER. Egli
p. 511) riferisce un erroneo treni, di contro a un trento del ceto civile;
ma tanto questo, quanto il popolo dicono tre'nt e il trent dell'ErrMAVER
ci dice quanto poco sia da fidarsi delle forme raccolte dagli stranieri. Vi-
ceversa, a p. 527, n. 6, Brenta va corretto in Bre'nta !
Ricerche di toponomastica trentina 267
cumenti Vellis, Velles, Vels ecc. vengon derivati dallo Schneller,
Zeitschr. d. Ferdin.^ III. F., 50. H., p. 150-151, da velia per
villa di Varrone.
Almeno i nomi dei due corsi d'acqua Vela e Velón sono pro-
babilmente di origine preromana ^
Uiazolo (casamsntum-) (alta Val di Sòl) (nome antico)
E nominato nel 1200 (Schneller, Trid. Urb., p. 173). Deriva
da viaticum nel senso di " strada „ (v. Du Gange). Cfr. viaggio
" via ,, , usato nei secoli XIII e XIV, nel vocab. ital. Viazo
" strada „ ricorre pili volte nei documenti della Valsugana, bensì
come designazione locale, ma con significato sentito: 1513, 1528:
Viazum (in quel di Tel ve di Sotto) (Morizzo, I, p. 266, 293);
1516: ViazHS consortalis, 1522: Viatium consortale, 1545: Via
Consortalis (ivi, p. 269, 276, 308); 1543: Viazo Consortali (in
Garzano) (ivi, p. 305).
Vinchel
Campagna ad occidente di Mori fra il torrente Camaràs ed
un fosso, che sbocca in esso.
Basandosi su questa circostanza, lo Schneller, Tìì\ Nani.,
p. 223, vede in Vlncliel senz'altro il ted. Winkel "angolo,,,
come se tale spiegazione sia la cosa pili naturale del mondo.
Anzi egli scrive addirittura Winrhel, foima che non so se egli
abbia letta altrove. In ogni modo la presenza del ted. Winkel
in quel di Mori sorprenderebbe assai, ma per ammetterla ci vor-
rebbero ben altre prove, oltre la circostanza suaccennata, colla
quale il nome può anche non avere alcuna relazione.
Vlncliel è identificabile col trent. vhikol " giunco ... cui cor-
^ La Velia, torrente presso Sulmona (Abruzzo), già descritto da Ovidio
{Amorttm lib. Ili, elegia VI), non so se qua possa esser ricordato.
268 Angelico Prati,
risponde mi nome locale in vinculo {(yi\'ez7Aino), nominato nel 1284
{Trid., X, p. 355, n. 2). In quanto all'è, basti ricordare temei
" temolo (pesce) „, te'mhel " sorbo salvatilo „, ko'el (valsug.,
vicent. ko'golo, veron. ko'volo) < *c ti b ti 1 u (v. Escursioni, p. 103-
104), Montéghel (Noréi, Rovereto) {Tir. Nani., p. 100), Fontéchel
(Brentònieo) (ivi, p. 65), Grumel (Lenzima, Rovereto) (ivi, p. 83)
(per il fenomeno inverso v. Battisti, Catitiia, § 37, p. 144), una
parte delle quali forme valgono anche quale riscontro per la
assenza della sincope da vinkel. Cfr. a proposito Battisti, Die
Nonsh. Mund., p. 69. Notevole il rover. r^o'nkola, veron. rust.
do'nkola [Ardi. Glott., I, p. 303). di fronte al trent. go'nca " ca-
pestro con cui si legano i bovi per le corna „. Molto singolare
è però Montéghel, in quanto continui un *monte'kolo d'epoca
tarda (cfr. invece i Monte co veneti: Olivieri, Studi, p. 173). E
difficile che sia un *inonte'glo (cfr. la Montigla del 1285, di cui
Schneller, Tir. Nani., p. 100, e l'antico Moiitegluin [Fornàs, Ci-
vezzanoj, qui più avanti), con ''^'-e già in -e'gliel anteriore alla
palatizzazione, o addirittura un *mo'nt -j- *e ghel <C e b u 1 u. Nel
trent. imhol " mangime ,, [lì. E. W., 6131), per il quale biso-
gnerebbe ammettere un *pàboIo, che avrebbe evitato la ridu-
zione di b'I a bj e del pari di -b- a -v-, o un b da anteriore r
assimilato al p-, si dovrà invece riconoscere un superstite di
condizioni antiche. Cfr. il nome locale Stàbol nella valle alta
del Ces (Cliiese) {Ardi. Glott., I, p. 313) e v.' Battisti, Catinia.
§ 57, p. 164, n. 3. La forma pabel o pabol ricorre pure nel ber-
gamasco, il quale à del pari stàbel (Ascoli, Ardi. Glott., XIII,
p. 457).
Volano (pron. loc. oldm)
Villaggio nel distretto di Rovereto.
Sembrerà a più d'uno che non ci sia da dire altro intorno a
questo nome, dopo l'accurata illustrazione fattane dallo Schneller,
Ricerche di toponomastica trentina 269
Tir. Nani., p, 223-224. Eppure c'è ancora da dire qualche cosa.
Egli non riferisce che la forma Avolanum dai documenti, e questa
è infatti la forma, che compare in essi comunemente. Nel 1563
trovo però Olanum (Morizzo, III, p. 125), che è interessante in
quanto rappresenta la forma dialettale, che à riscontro nel rover.,
veron. okina " nocciola „ (non olano, come sta nel B. E. ir., 17).
Secondo lo Schneller non vi può essere alcun dubbio fondato
che Volano sia il Volaenes nominato, tra i castelli del territorio
trentino distrutti dai Franchi nel 590, da Paolo Diacono, Hist.
LcuKjoh., III. 31 [JSlon. Genn. hist., Script, rerum langob. et ital.
saec. VI-IX, Hannoverae, 1878, p. Ili), e tale opinione è diffusa
tra gli studiosi di storia. Invece, malgrado anche l'asserzione
decisa dello Schneller, essa è assolutamente insostenibile. Dal
lato linguistico l'impossibilità dell'identificazione di Volano con
Volaenes e tanto chiara, che non ci sarebbe motivo di porre una
quistione in proposito. Tuttavia, dato anche l'interesse storico
dell'argomento, è utile di esporre le ragioni, pei- le quali è da
lasciare l'identificazione in parola.
a) In primo luogo Volaenes non si può identificare con Vo-
lano in causa delle due vocali accentate, inconciliabili tra loro.
Ma il bello è che lo Schneller (v. anche a p. 197 e le sue Sildtir.
Landsrh.. II, p. 38) riteneva che Volaenes si dovesse leggere
*Voldnes\ Ma, ammesso per un momento che tale lettura sia
possibile, com'è che Paolo scrive invece Tesana, Sermiana. Ap-
inanum, Fagitana, Vitianum? Perché proprio il solo Volaenes
compare scritto diversamente? Da questa difficoltà non si sfug-
girebbe che col ritenere non attendibile la forma Volaenes e,
viceversa, col prendere in considerazione le varianti Volannes e
Volancs, anzi solo quest'ultima^.
* Il Brentari, I, p. 102, scrive addirittura Volenes e il Catalogus Cleri
tanto coerente nello spropositare, à " Avolanus rectius Volenum ,!!
270 An,£>e!ico Prati,
b) La mancanza della vocale iniziale in Volaenes è un altro
ostacolo. Presso Paolo il nome avrebbe dovuto comparire nella
forma Avolanum, che ricorre nei documenti medievali ed anche
posteriori. E in proposito è da poi-re attenzione al fatto che, se
si fa eccezione pel Ferruge castrxm (Verruca Castel lum
presso Cassiodoro, III, 48 \Arch. Treni., XIII, p. 100]), gli altri
luoghi trentini, da lui nominati, compaiono in schietta forma la-
tina, non tocca da alcuna impronta dialettale: Tesami, Malehim,
Serniiana. Appianum, Fagitana, Cimbra, Vitiaman, Bremtonicum ^.
e) E poi Volaenes, con qnell'-é's, non corrisponde affatto ad
Avolanum. Esso allude a un nome in -e (cfr. alcuni nomi deir845
s. Mori in n.). E bensì vero che lo Schneller, basandosi appunto
sulla forma di Paolo Diacono, ammette un primitivo ad A v e 1-
1 a n a s^ ma questo è inaccettabile, perché non ne sarebbe ve-
nuto Volano e i documenti medievali non conoscono che Avo-
lanum. Una forma in -a s avrebbe dato altro risultato (cfr. Bat-
TLSTi, Catinia. § 23, p. 125 e seg.) 2.
^ Dopo Volaenes è nominato un Ennemase non identificato e probabil-
mente scomparso da molto tempo. Un'evoluzione dialettale si nota invece
hqW Alsuca, nominato subito dopo, che era fuori del territorio trentino e
che corrisponde all'A u s u g u m romano, ossia all'odierno Borgo di Valsu-
gana. Gli altri luoghi si identificano cosi: Tisens, ant. Maletum (v. Malfatti,
Ardi. Stor. p. IVieste, l'Istria e il Trenf., II, p. 319; Valenti [non Valentini],
Trid., V, p. 425), Sinnian, Eppan, Fadàna presso Cembra (malgrado l'opi-
nione contraria del Gerola, Trid., II, p. 20-41), Cembra, Yezzdno, Brentò-
nico. V. pure Escursioni , p. 130-131, n.
^ Il Rkich, Notizie, p. 11-12, riferendo dal Tartakotti, Memorie antiche di
Rovereto, p. 25, una parte dei nomi locali, che compaiono nel placito del-
l'anno 845 (v. una nota s. Mori), cita anche Volanes (Volano) e poi sog-
giunge (p. 12): " Di fronte a questo documento nessuno potrà sostenere con
serietà p. e. che Volano è chiamato originariamente col nome di Nassdorf
e Pergine con quello di Persen „.
Vista soprattutto la importanza grande che avrebbe una forma Volanes
dell' 845, forma che verrebbe a sconcertare la mia argomentazione, ò letto
Ricerche di toponomastica trentina 271
d) Naturalmente tutto ciò, presupponendo che già il latino
abbia avuto, come pare, accanto ad ab el lana la forma
*a u 1 1 a n a, e in considerazione dell' avo lana del Corpus
Glossar. Lai., III. 358, 53 [R. E. W., 17); che se si dovesse par-
tire dalla prima forma latina e quindi mettere a debito del
dialetto locale tutta l'evoluzione della voce, allora ci sarebbe un
ostacolo di più contro il Volaenes = Volano. Presso Paolo, in
tal caso, si attenderebbe *Avella.num od ^Abellanum.
e) Ed ora, quasi non bastassero le ragioni d'ordine lingui-
stico fin qui addotte, s'aggiunge una ragione d'altro genere.
Paolo, enumerando i castelli trentini distrutti, li nomina, l'uno
dopo l'altro, come s'incontrano scendendo per la valle dell'Adige
e seguendo cosi verisimilmente la marcia dei Franchi verso
mezzogiorno. Ora, nella Val Lagarina s'incontra prima Volano
e dopo un bel tratto Brentònico. Ma Paolo nomina prima Brem-
tonicum e poi Volaenes, che dovette essere quindi dopo Bren-
tònico. E vero ch'è supponibile che i Franchi, dopo aver distrutto
il castello di Vitianum (Vezzano), siano scesi per la valle della
Sarca, e, distrutto il castello di Breintonicion, siano saliti per
la Val Lagarina e che abbiano distrutto il castello di Volano,
dirigendosi poi alla volta della Valsugana, ove distrussero due
castelli in Alsuca (Borgo), e. ritornando nella valle dell'Adige,
siano andati a Verona, ma tutto questo giro non pare probabile,
ed è da pensare che solo una parte dell'esercito da Trento sia pas-
sato nella Valsugana e l'altra parte, dopo aver rovinato ad occi-
e riletto tanto la lista dei nomi del placito quale è data dal Tartarotti,
quanto l'intiero documento, sia nell'edizione del Muratori, sia nell'edizione
del Cipolla, ma Volnnes non si rinviene né presso il Tartarotti, né nel docu-
mento. Volano non vi è nominato né in questa, né in altra forma. Sembra
incredibile, ma il Volanes non può esser dovuto che ad un abbaglio del Rkich,
come ò detto in una nota s. Mori, ove sono riportati i nomi che si leggono
nel placito.
272 Angelico Prati,
dente il castnnn di ViiiiOììon, sia discesa per la Val Lagarina,
distruggendo i castra di Bremtonicum, di Volaenes, di Enne-
mase e poi uno a Verona ^
Da tutto quanto si è detto appare dunque manifesta l'asso-
luta impossibilità di identificare Volano con Volaenes. Non è
tuttavia da lusingarsi che gli storici la ammettano tanto facil-
mente. Pili d'uno continuerà a ritenere la vecchia opinione, chi
sa per quanto tempo ancora, poiché avviene alle volte che ab-
biano più accoglienza supposizioni poco probabili o addirittura
fantastiche, che non fatti provati da critica rigorosa ^.
^ V. anche le congetture del Malfatti. Arch. Stor. j). Trieste, V Istria e il
Treni., 11, p. 326, e cfr. Filati, San Marco, li, p. 71-72. Comunque possa
essere avvenuta la marcia dei Franchi, rimane però il fatto dell'ordine, con
cui enumera i luoghi Paolo Diacono e questo basta per la dimostrazione
nostra E non si dimentichi che, come ivi dice il Malfatti, p. 289, Paolo, nel
raccontare i fatti accaduti nel Trentino, mostra quasi altrettanta cura
quanta nell'esporre i casi del nativo Friuli.
^ Basti rammentare a proposito il caso della Chiarentana dantesca (cfr. Bren-
tari, I, )). 287; Ricci, Trid., I; Sustkr, L'Alto Adige, a. XX VII, N. 234,
12-13 ottobre 1912, p. 2).
Del resto vi sono ancora studiosi di storia che dubitano delle identifica-
zioni di bona parte dei nomi di luoghi del territorio trentino del passo di
Paolo Diacono, quasi che possano avere ancor valore le argomentazioni del
BoTTÈA, Arch. Treni., Ili, p. 83-94, e chiamano congetture le identificazioni di
Tesana, di Maletum, di Sermiana e di Appianimi fatte dal Malfatti, 1. e !
Lo ScHNELLER nei Beiirilge, III, p. 24, e poi nelle Sildtir. Landsch., I, p. 77,
ossia ancora 16 anni dopo il lavoro del Malfatti, riteneva che Maletum fosse
ilfa^e nella Val di Sol.
Giacché si deve escludere che Volaenes sia Volano, si chiederà che cosa sia
dunque Volaenes. Ecco : se esso è una forma giusta, rimane un'incognita,
come Ennemase. Ma se è possibile dubitare della sua autenticità, vorrei cre-
derlo uno sbaglio per *Volarnes e quindi identificarlo col villaggio di Vo.
largne (Dolce) alla chiusa di Verona. Il Malfatti, o. c, p. 328, s'attiene in-
vece alla lezione Volaenes, certo soprattutto in vista dell'identificazione con
Volano, da lui ritenuta giusta, ma qual calcolo si debba fare dell'opinione
sua lo si deduce da quanto egli scrive un po' sotto, che cioè non v'à dubbio
che il codice archetipo, perduto, portasse Volaenes, e meglio forse Volanaes (! !)>
I
Ricerche di toponomastica trentina 273
Ed ancora una parola su Oìatn, il quale non deiiva quindi
da ad avellana s, ma risponde esattamente al tose, avellano
(cfr. i Vellano, di cui Pieri, p. 79). E notisi che è un nome^ il
quale non trova alcun riscontro, ad esempio, nella toponoma-
stica veneta (v. Olivieri, Studi, cap. II).
il che è quanto dire che la forma Volaenes non è punto sicura, e quasi che
l'avere il codice archetipo un Volaenis oà \\n Fo^rtnae.s sia cosa indifferente!
Un argomento vi è invece, che indxarrebbe a ritenere Volaenes forma auten-
tica, ed è che gli altri luoghi nominati insieme con esso compaiono in
forma del tutto corretta. Ma, insomma, è possibile che almeno uno non sia
del tutto sicuro, in vista anche di qualche variante di altri codici : cosi
Volannes può essere errore per *Volarnes, e Volaernes parrebbe alludere a
quella forma Volemuni, nella quale, nel secolo XII, compare Volaiy/tie in
qualche documento (v. Escursioni, p. 1321. Nel 1055 Volargne si trova proprio
scritto: in vico Volarnes (ivi, p. 133. n. lì. Siccome Paolo Diacono dopo
Volaenes nomina ancora Enneinnse, cosi, nella migliore delle supposizioni, sa-
rebbe da ritenere che questo castello si trovasse molto vicino a Volargne.
Va però aggiunto che, contro l'identificazione con Volargne, il Malfatti,
1. e, oppone che questo luogo appartenne sempre alla provincia veronese.
Ma non adduce nessuna prova decisiva e che questa non vi sia lo si deduce
da ciò che scrive il Cipolla a p. 283 del v. I del medesimo Ardi. Stor., ove,
dopo aver citato qualche autore, il quale ritenne che Volaenes fosse Volargne,
ed aver detto che ora lo si identifica con Volano (si vede sopra con quale
fondamento!), osserva che resta ancora indecisa la quistione dei confini tra
il territorio veronese e il trentino, nell'alto medio evo. Il Malfatti stesso,
ivi, a p. 7 del v. Il, scrive: " Il ducato comprendeva... la valle dell'Adige
dallo sbocco della Venosta sin circa alle Chiuse veronesi. Dove fosse il con-
fine meridionale, non ci è fatto sapere con precisione : forse al rivo di Bel-
luno sotto ad Avio. Certo è che al Comitnto di Lagare si attribuirono ter-
ritori appartenuti in antico a Verona ,. Di fronte a questa incertezza non
rimane altro che l'attestazione di Paolo, alla quale si appella lo stesso Mal-
fatti parlando di Brentònico (II, p. 326-827): " Il capitolo di Paolo non
lascia dubbio fhe nel 590 fosse aggregato al ducato di Trento. Ma in età
piì; antica e fbrs'anco ai tempi dei Goti, doveva aver fatto parte della per-
tica veronese ,. Si potrebbe adunque fare la medesima deduzione riguardo
a Volaenes, che del pari che Ennemase, doveva essere a mezzogiorno di
Brentònico e ritenerlo per una forma errata in luogo di * Volarnes. Le
supposizioni, che fa il Malfatti, p. 329-333, intorno ad Ennemase sono da
trascurare.
274 Angelico Prati,
Nomi di luoghi dei distretto di Civezzano, rammentati nel secolo XIV.
Si trovano nella raccolta del Morizzo. I seguenti spettano al
territorio di Fornàs :
1331: ad Monregluni, che è un errore per Monteglum (dal
lat. montìciìlu), come si vede dal documento del 1358; in
Sogoclo, a la grava, in Cir, sub Case, a Camporotondo, in Costa-
longa, aseifontane (I, p. 100) ^.
Alla forma Monteglum si è già accennato, a proposito di un
Montéghel, qui sopra, al nome Vfnchel. Monteglum renderà effet-
tivamente un *Montéghel della pronunzia locale, mentre il mon-
teclo citato qui appresso fu avvicinato di più alla forma latina.
1358: in Villa Fornaciis in monteclo (I, p. 127), in Tonelle,
in loco dicto Bodoledo (v. qui addietro), ad Paludem, a Tradoc,
in Tavanigo, mons Guimelle^, a Castenario (i, p. 128), in Valle,
a Casteneto^, in Cimedro (I, p. 129).
^ Per una svista il Suster, Trid., IJI, p. 159, attribuisce i tre ultimi nomi
alla Valsugana e ad un'altra svista metto che sia pur dovuto quell'o bodo-
ledo, che egli cita ivi, p. 168, n. 100, come spettante al Perginese, da un
documento, pure della raccolta del Morizzo, redatto a Fornace, del 1279. Deve
invece trattarsi del Bodoledo di Fornas, citato da me sopra, del 1358.
V. anche una n. s. Bodoledo.
Un luogo denominato Seifontane si trova presso Castelnovo (Bardolino,
Verona) ed un Settefontane c'è presso Rovere di Velo (ivi) (Olivieri, Studi,
p. 208). Lo ScHNELLER, Tir. Nain., p. 189, riporta da un catasto del 1820 e.
il nome alle sette Fontane (Trambileno, Rovereto).
^ Cosi scrive chiaramente il Morizzo, ma deve essere invece un mons
Giumelle, nome non raro nei monti, che presentano due cime d'ugual gran-
* Per la nota 3 vedi la pagina seguente.
Ricerche di toponomastica trentina 275
Altri luoghi di Pine sono ricordati in un documento del 1390,
a proposito di parecchie decime, conferite dal vescov'o di Trento
ad un signore del Castelalto nella Valsugana (Morizzo, III, p. 62):
Decima Platearum de Pinedo, Decima Stramazolo, Decima Campi
lorìf/i, Manso de CasteUazzo, Decima de Lavino, Decima Mansi de
Campasterno, Decima de Rancho, Decima de Novale, Decima Cam-
ponim de j^orta grossa, Decima Ronchatijs, Decima Plazzarum,
Decima Hendrici de Lavi ^, Decima de Lona ^.
dezza, una vicina all'altra, oppure la forma di giumella (jumella nel Du
Gange). V. Altón, p. 44. Un monte cosi denominato [Giìtméla) (m. 3596) c'è
anche nelle Alpi Retiche. Si ricordi anche Timella veronese (cfr. Avogaro,
p. 48), cosi nominata già nel 1184 {Nuovo Arch. Veti., X, 1895, p. 479).
Anche Me'l nella provincia di Belluno un tempo si chiamava Znmelle. In un
documento del 1590 si trova nominato un Signor Anzelicìio del q. Girolamo de
Angelis della Contea di Mei (Melli), fattore di Castel Telvana (Valsugana) (Mo-
rizzo, II, p. 92), che in un documento del 1592 si presenta invece come
Angelictis q. Hieronimi de Anzolis Comitatus Zumellarum, abitante a Telve
di Sotto (ivi, p. 95). Per la scomparsa della sillaba iniziale v. Romania,
XXXI, p. 287: Arch. Glott., XVI, p. 224, s. dòrie; ivi, XVII, p. 281, -n. 1.
L'Olivieri, Studi, p. 122, non conoscendo che l'antica forma Mello e igno-
rando la pron. me'l, lo deriva da *m è 1 u s.
' Cfr. il Ca.'iteneto (Pèrgine) citato nelle Ricerche, I, p. 10, 51. n.
^ Si tratta evidentemente di un nome di un proprietario passato a nome
locale.
^ Sopra il H di Lona il Morizzo pose un v seguito da un punto di domanda,
ma la forma giusta sarà Lona, che è appunto un villaggio di Pine, del pari
che le Piazze. Di Lo'na v. indietro s. v.
Archivio glottol. ital., XVIII. 18
LESSICO PIVERONESE
DI
GIOYANNI FLECHIA
edito da CIUSEPPE FLECHIA *
1 ahsun ' bisogno ',
2 asa ' accia ', ' scure ', ' accetta '.
3 acuin ' lattugliino '.
4 Qra da alra ' aja '.
5 ev 'ape' e 'api', propr. del plur., passato anche al sing.
6 èva ' acqua ', ant. pieni, aiva. L'è (e) piv. e di dialetti conter-
mini è generalmente nato per contrazione da ai romanzo :
cfr. era, tor. aira, tumera, tor. tumaira ' tomajo ', gè, tor. gai
' ghiandaja ' [cfr. B. Et. TF., n. 3640], le, aviglianese lai
' lago ', ecc. È Ve nato da a tonico nell'umbrico, aretino, emi-
liano e anche in qualche altra varietà piemontese (cfr. Flechia,
Arch., Vili, 320 s. aigua).
7 ajel ' ramarro ' [cfr. Flechia, Ai'ch., Ili, 161 ; Nigra, XIV,
369-70 ; Salvioni, Rom. Jahr., v. I, 135 ; Bertoni, Romania,
1913].
^ [Con un' " Appendice „ più volte citata dal Maestro, e della quaJe non
s'è potuto rinvenire che qualche frammento, il presente " Saggio lessicale „
doveva andare unito allo scritto postumo : "Atone finali, determinate dalla
tonica, nel dialetto piveronese „ comparso in questo Archivio, XIV, 111-120.
Lo scritto è dell'autunno del 1889].
Lessico piveronese 277
8 aljam laetamen [cfr, REW., 349].
9 alsiva *lixiva [REW., 5089, 2].
10 aloani 'lievito' levamen: cfr. FLECHiA,^rc/i.,II, 25 \^REW.,
4998].
11 amboss 'capovolto', 'inverso': cfr. Arch., Vili, 383-4 [e
NiGRA, XIV, 376].
12 ambili/ ' ombelico '.
13 ambussà ' rovesciare ' : v. amboss.
14 anibusso7- 'imbuto': v. REW., 1425, s. buttia ' Fass '.
15 atnentase ' ammentarsi ', 'ricordarsi', 'rammentarsi'.
16 amnuja e amniiga = manicala *manucula ' ansa ', ' ma-
nico ', ' manichette '.
17 ampi u / ^ riempire', da, pieno pieno, *implenire: cfr. lomb.
impieni.
18 a/»7)s/ 'intirizzito' [cfr. Parodi, ftomawi'a, XXVII, 228 ; Nigra,
Arch., XV, 504].
19 anave ' aire ', ' mossa ', ' spinta ', ' rincorsa ' : pjà, dà l'anave
' prendere, dare l'aire, la mossa, la rincorsa '. Nome dever-
bale : *a n a V i 0 da *ana vjà = * inavviare, *in-ad-viare,
' avviare ', ' incamminare '. *Anavjà, aferetizzato in *navjà, e
poi, per protesi di s intensivo, fatto snavja, ha, tra l'altre, la
notevole forma snavfe o snaute ('avviati'), che ritirata ad
organica base latina sonerebbe *ex-in-ad-via te.
20 ancarmd ' incantato ', in- carni in are : cfr. Caix, SttidJ ecc.,
364 [REW., 1699, s. in carminar e ' bezanbern '].
21 ande 'sentiero', *andio andito [cfr. Arch., XIV, 115].
22 andja ' anatra ', da *a n i a *a n e a *a n e d a a n a t e. La den-
tale epentetica di questa forma presenta un fenomeno perfet-
tamente identico a quello della labiale inserta nell'it. combiato,
mil. simbia, ecc. [cfr. J. Storm, Voyelles atones en italien, Paris,
1873, p. 30].
23 andjer ' endice ', indicarlo o n i d a r i o ( ' endice ', ' guar-
278 Giovanni Flechia,
danidio ') : cfr. bresc. nal nidale, sic. niddli, friul. nijar [cfr.
NiGRA, Arch., XV, 291: REW., 5908. s. *nidale].
24 andri'c ' la parte diritta '. opposta a ' rovescio ' [cfr. genov.
indrltu].
25 anén ed anche nen, chierese enaint ' innanzi ', 'avanti' [quindi
va ne», che a Torino vale ' non andare ', a Piverone dice ' va
innanzi ' (cfr. torin. va nans), mentre per ' non andare ' si dirà
a Pi ve ione va nin].
26 anfld^ torin. anfìé 'sporcare', 'insudiciare', infaedare.
27 ankènia ' tacca ', ' taglio ' [cfr. Nigra, Arch., XV, 106].
28 anlim ' veleno ' {=*anrlim, *envenimé) [cfr. Korting^, 10039].
29 ankìdfo 'incudine', torin. ankitfo [cfr. BEW., 4307].
80 anseni ' insieme '.
31 ansia 'innestare', da insitare, e quindi ense 'innesto';
insito, mil. insedi, insed.
82 antavól ' ovunque ' : oa antavól, quasi ' va dove vuoi ' : cfr.
ante ' dove ' : ante ka va ? ' dove va ? '.
83 anierpe. tor. anterpi ' inetto '. ' pigro ', ' dappoco', ' disutile '.
'incomodo', 'inerte'. Poco verisimile parmi l'etimo d'inter
pedes (cfr. Promis, Storia dell' ant. Torino, p. 132), nonostante
l'interpedio per impedio di Macrobio (v. Forc. s. v.). Il
NiGRA lo confronta con torpido {Arch.. Ili, 13 n. 3), con-
nessione che potrebbe dirsi suffragata dall' in tor peo delle
Note Tironiane. GoW int erpica del Voc. arei. del Redi, signi-
ficante ' impaccio ', la parola piemontese corrisponderebbe
assai bene dal lato fonetico, ed anche potrebbe ammettersene
l'identità etimologica, confondendosi assai facilmente nel si-
gnificato i nomi ' impaccio ' ed ' incomodo ' o ' disutile ' appli-
cati a persona. E sia infine ancor messo avanti un intrepidus
antifrastico. L'accompagnarsi però che anterpi fa generalmente
coll'articolo indeterminato e il non aver forma speciale pel
femminile, come per es. in inalavi malavia, spali spalla, candi
Lessico piveronese 279
candia, rendono assai probabile che qui si tratti di un sostan-
tivo originario e sia quindi verisimile la corrispondenza eti-
mologica tra Vanterpi piemontese e VinterjAco aretino.
34 anfungun ' ginocchioni ' : v. funég.
35 aprefac ' di seguito ', ' senza interruzione ' : cfr. torin. apress
fait, e V. Fonol.
36 aps>\ V. anipsi : man apsie ' mani intirizzite '.
37 arbit 'tinozza', 'alveo'; ma urbe, arbio (cfr. Arch., XIV,
115].
38 arbiucimd ' rattoppare ', v. bioc.
39 arbuteic ' rimessiticcio '.
40 arkeica. propr. " ricaduta ' ; e dicesi comunemente di quella
specie di nebbia o caligine che la sera sembra cadere e ri-
cingere l'orizzonte. Trarrei questa voce da una base *r e ca-
di t a. In vari dialetti anche il partic. keic keica, keit keita ;
e nel genov. keitu keita e rekeita (v. Ardi., Vili 382, s. re-
chaia). Notevole il monf. arkenca (Ferraro, p. 11). V. ancora
Arch., XI, 363, s. cdjt\ XII, 61, s. cej ; cfr. questo lessico,
s. keic (N. 137).
41 arkobalestro ' arcobaleno ', ' iride '.
42 argalisia * liquirizia '.
43 arias, ariasera ' corda o catena adoperata per vari usi '.
44 ariundde ' malva ', malva r o t un d i f o I i a di Linneo :
propriam. *ritondella, cosi detta per la forma delle foglie.
45 ariiis ' malfatta ' : Va fah 'n ariiis ' à fatto una malfatta '.
46 arleva rilevare: arlevase 'rimettersi', H temp a s'arleva.
47 armane ; propr. ' rimanere ', quindi ' rimanere stupito ' :
annas e armaìiil : ' rimasto ' (cfr. Ferraro, GÌ. monf., p. 12).
48 armasse ' raccogliere ', ' ammucchiare '.
49 arme d' kossa ' animelle ', ' .semi ' di zucca.
50 armidiva ' ramo d'oliva ' ; quindi tautol. : 'n ram d'armtdiva.
51 arpasùa ' ripasciuta ', detto, verbigr., della vacca.
280 Giovanni Flechia,
52 arpia ' erpicare ' : cfr. vicent. arpegare.
53 ar/und 'ragionare', 'discorrere'.
54 armanga e arvanga ' rivincita ' : rivendica (cfr. fr. re-
vanche) o rimangia?
55 arvok ' ristucco ', ' sazio '.
56 arwitiila ' rivoltolare ' : *r e v o 1 ut u 1 a r e.
57 askós ' nascosto ' : d'askós ' di nascosto ' : cfr. monf. e genov.
askunde.
58 asi ' tutti i mobili attrezzi d'una cantina ' e ' gli attrezzi di
campagna ' : monf. asia e aste ' vasi vinari ' (cfr. Ferraro, 14) ;
cfr. ital. le asia, e v. Arch., II, 398.
59 babe 'rospo', *babio bablo babulus (cfr. Flechia, Jrc/i.,
II, 34) [REW., 852, s. bab].
60 babe ' campo \ ' prato ', pabbio, da pablo, pabulu [REW.,
6131, pabulum],
61 bakàt ' bastoncino ', ' ramoscello ', piem. baket.
62 badfà ' battezzare '.
63 èa/ei/r ' pianerottolo ', 'loggia': ballatorium [i^jEJPI^., 909,
ballare\
64 barbarot ' mento ', cfr. sicil. varvarottu.
65 barela ' barella '.
66 barjà ' cacciar via ' : baréja via sa besca ' caccia via quella
bestia '.
67 barjola ' trottola ' [cfr. valbross. birola, bèrjola, e v. Nigra,
Arch., XIV, 294. — Non credo però che queste e le altre
parole dal Nigra riferite derivino da pìrum. Noto che il ven.
impiràr significa ' infilare, infilzare '].
68 barlàt 'secchio fatto a mo' di barile' : bariletto.
69 barnas 'paletta': cfr. le varietà lombardo-piemontesi bernass,
bernas, quasi *prunacium da pruna ' bragia ' : cfr. Flechia,
Arch., II, 331 [KortingS, N. 7494].
Lessico piveronese 281
70 hautia 'altalena' [cfr. Parodi, Gioni. Lig., XII, 251].
71 begna 'maggiolino', melolontha vulgaris (tor, givu,
fr. ìianneton) : in altri vernacoli canavesani gebra, e nel mon-
ferrino genka, che non possono essere che tre varietà di forma.
Ma donde questo nome ? [Vedasi ora Nigra, Ardi., XIV, 365 :
si noti però che il Nigra dà come piveronese la forma bègra,
laddove la vera forma di questo dialetto è quella data dal
Flechia. Vedi inoltre il recente scritto del Merlo sul ' mag-
giolino 'J.
72 beikà ' guardare ', ' osservare ' : beiklu lilu o kuilu ' vedilo li
0 qui ', col pronome encliticamente ripetuto [cfr. Arch., XIV,
US]. Cfr. ant. ven. balkar 'guardare', balko 'occhio'.
73 beìfula o bifida, prov. musar, ted. gaffen, it. musare : ' ba-
loccare', ' contemplare ', ' guardare oziosamente ' e ' guardare
andando oziosamente a zonzo ' : fa 7 bel/ola e anche 'l bei-
fuliin (o bifuìun) ' fare il perditempo girando e guardando
come a caso '.
74 benola 'donnola': cfr. crem. bennula, e, coli' inserzione di (/,
sardo pindida (mer.), ferr. bendida, mant. bendala, regg.
bendla, ecc., da *bellula [cfr. Flechia, Arch., II, 47].
75 bèrìia ' prugna '.
76 bina ' acchiappare ', ' raggiungere ', ' giungere '.
77 bindìà o binlà ' partorir gemelli ' {binel 'gemello ') : cfr. genov.
abbinellà.
78 binon ' mastello [siiber] pel bucato ', cfr. it. bugno e v. Diez,
I, s. V.
79 blob 'toppa', propriam. = bioccolo, flocculus; di qui
'rbjucà arbjucd, 'rbjucund arbjucimà 'rattoppare', *refloc-
culare: cfr. fakund 'tacconare', ' rimendare '.
80 biov^ biava ' turchino ', ' livido ', fr. bleu, ecc., dal germ. blaw,
blao [v. Diez, I, s. biavo].
81 bifnlun ' curioso ' : v. beifuld.
282 Giovanni Flechia,
82 bJHìi 'tronco d'albero segato' [cfr. Niora, Arch., XV, 99|.
83 hoassat ' piccolo bucato ' propriamente *b u e a t a e e e 1 1 o : cfr.
pili sotto, bua ' bucato '.
84 bog 'buco', torin. òoé, monf. boijìj |cfr. Ferraro, p. 24].
85 boja ' insetto '. ' baco ', ' verme ', ' bacherozzoli in genere ',
specialmente nel linguaggio dei bambini.
86 bólja *bnllica, 3^ pers. sing. ind. di huljd [v. sotto].
87 bolkf boìka ' bidente', da bifurcus, pamp. bork, gen. burku.
Frequente \'u tonico mutato in o largo, quindi p. e. forka da
furca. Quanto alla riduzione fonetica del vocabolo lat. cfr.
mil. io/c = bubul cns e Arch., 1, less., s. bifure.o jv. ora
Salvioni, Rom. Jahr., IV, i, 168].
88 braska 'bragia', pur proprio dell'ant. lomb. e dell'odierno
mil., come pure di qualche varietà ligure con senso di ' gran
fame ' : cfr. Arch., Vili, 318 [e Salvioni, Arch., XII, 392].
89 Brei ni. ' bruoli ', prati attigui al villaggio di Piverone ove
il popolo teneva le sue adunanze. Cfr. i nnll. it. Broglio, Brolo,
Broletto, ecc. e il lomb. brol, hro ' frutteto ', ' pometo ', ' orto '
[Su Broljo, brogilum, ecc. v. Bianchi, Arch., XIII, 201;
REW., 1324].
90 bretta ' berretta ', torin. barèlla.
91 brìi 'erica', 'brontoli', 'scopa': nome di origine celtica
vivo anche nella Liguria [briigii) e nella Lombardia (briig).
Cfr. Flechia, Nomi locali derivati d. n. di .pie, p. 9 ; Arch..,
Vili, 334.
92 brua ' orlo ', ' margine ', tor. brila.
93 bruà ' bollire ', cfr. lomb. brovà (Biondelli).
94 bruàkul, pi. bruakuj, ' uva orsina ', m y r t i 1 1 u s v a e e i n i u m,
propriamente *brugakkolo, dim. di brìi {brugo), onde bruakera
= *brugakkiera.
95 Bruera, ni. da brìi, 'brughiera', fr. bruyère : cfr. i nnll. it.
Brughera, Bruera, ecc. e v. Flechia, Nomi loc. cit., p. 9.
Lessico pi veronese 283
96 br'àmas ' galaverna ' ; cfr. bruma, tV. frimas. Diez da ant.
nord ìirhìi : cfr. prina.
97 bruwantan, bruwantana, agg. con cui viene dinotata una
grossa specie di fava, dai botanici chiamata vi ci a faba
semine oblongo e volgarmente fiva napoUtana. Questo
vocabolo nel torinese suona baravantana , nel parm. barbantana,
nel piac. barbintcaia. nel bresc. sboventana [v. Vocab. del Ga-
GHAEDiJ, e signilìca sempre la medesima specie di fava che
alcuni traducono per fava bagiana, o meglio baggana =
bajana da Bajae, e cosi pur con nome che accennerebbe ad
origine campana o napolitaua. Non dubito punto di affermare
che questo vocabolo, insieme coll'altre forme vernacolari. ri-
spondono a beneventano, -na. Cade poi ogni dubbio dinanzi
all'antico piemontese proventana, con manifesto senso di be-
neventana, quale si legge nel " Memoriale di Giovanni Andrea
Saluzzo di Castellar dal 1482 al 1528 „, dove tra le varie
terre del reame di Napoli conquistate da Carlo Vili re di
Francia si enumera " la provincia de terra Proventana „
[V. Miscellanea di Stor. Ital., edita per cura della li. Depu-
tazione di Storia Patria, tomo Vili, p. 418]. L'r da n per
dissimilazione (cfr. sardo o piem. novanta = *nonanta, nona-
ginta, e il bresc. sboventana da sbvoventana con 8 profetico).
Notevole la varia designazione d'origine meridionale data a
questa sorta di fava coi nomi di napoUtana, beneventana,
baggiana, a cui sarà pur da aggiungere la lucana faba
del vocabolista Papia. Osserverò in fine come il Redi nel suo
■ Voc. ar.' s. bagiana dica che " le fave più glosse che si se-
minano negli orti di Firenze e di Arezzo ci sono mandate
ogni anno dal regno di Napoli „ [Lo stesso etimo di bru-
wantan ecc. dà ora il Salvioni in Postille ital. al Vocab. del
Korting, p. 5].
98 bua ' bucato ', femm. come generalmente fuor del fior, bucato
284 Giovanni Flechia,
■ che s'impose naturalmente all'italiano [sull'etimo, v. Flechia,
Arch., II, 328; Nigra, XV, 102-3]. Dim. honssaf, v. sopra.
99 bugà * moversi ' {boga ' si muove '), tor. bìigé = *bulcare
b u 1 1 i e a r e : v., più sotto, buljd.
100 bùje ' bollire ', come a dire *bógliere it. ; tor. boje : cfr. bólja
bulica.
101 bìildric : fa 'l buldric ' far quercia querciola ', propriamente
' far l'albero diritto ' : cfr. piem. fé l'erbu furkii, collo stesso
significato [v. Sant'Albino e Gavuzzi, s. erbu].
102 bìiljà 'essere indispettito' bulli care (cfr. biigà) : bólja
bullica: cfr. koljase 'coricarsi', s'kolja "si corica' [e cfr.
Arch., Ili, 122].
103 burb ' furbo ', donde ambilrbi ' infurbire ', ' scaltrire '.
104 burenfe (= -enpo) ' gonfio ' : cfr. Diez, Et. tv., IP, 233,
s. bouder ; Flechia, Arch., II, 327 [e XIV, 115].
105 bilrera ' zangola ', da biiru. come se in Toscana, da burro,
*burraja.
106 burlai ' treccia di capelli naturali fatta a forma di ghir-
landa per acconciatura del capo femminile '.
107 bìlrtel e briifel ' fuscello ' . 'n biirtel ant in eg ' un bruscolo
in un occhio '.
108 biiru ' butirro ', piem. biìr e btitir o bitir.
109 buse ' bosco ' e ' legno ', ' legname '. Notevole u per o.
110 bufrìard ' bugiardo ' = *b u g i o n a r i o (cfr, moden. bufon =
*bugione e v. Arch., II. 58). Nel Bainardo e Lesengrino del
cod. bodlejano canoniciano di Oxford, edito dal mio amico
Teza (Pisa, 1869) ricorre il nome Biisnardo (v. pag. 17).
Ili butelia ' bottiglia ' ; voce ant., francesismo.
112 biivrd 'beverone', 'broda per gli animali', quasi fosse
beverato : cfr. beverare, beveraggio, e Arch., VII, 518, s. bu-
vronda.
Lessico piveroiiese 285
113 huiva, tor. hila, vald. pila, ' rebbio ', ' dente di pettine, della
forchetta ', ecc. Incerto se si connetta collo sp. e port. pua
'spina' ecc., che il Diez dice verisimilmente nato da pugio
pugionis [Il NiGRA, Ardi., XIV, 359, connette ora tutte
queste voci con pupa: v, anche Korting^, Nn. 7511 e 7557].
114 hilf ' alveare ', ' arnia '.
115 cabra 'baccano', 'chiassata': fé la cabra 'dar la baja ',
' minchionare '.
116 kanin "bizzarro', 'irascibile', ' adirato ': cfr. lionese c/i«nÌM
' aigre ', ' horgneux ',
117 kaìiina 'bizza', 'collera', 'stizza' \REW., 1583J.
118 kantaranna 'raganella' [v. Ardi., XIV, 118, e XV, 109 n.].
119 kanteri ' palo ' ; cfr. genov. e lomb. canta.
120 kanva ' canapa ', canval, canvera ; al canve ' le canape ' : il
torin. canna per canva presenta lo stesso fenomeno del gr.
èÀccvvo} per *£Ì«rFoj [cfr. Brugm., Griech. Gr.., § 54 1.
121 capiileura ' tagliere ', tor. capiiloira, vald. capidoira = *ca-
pulatoria dal b. lat. capulare 'tagliare'. Ant. fr. cha-
peler, chapler, chaploier, pro.v. chaylar, tor. capiìlé ' tagliuz-
zare ', ' tritare ', indi tor. capulùr ' mezzaluna ', propr. Ha-
gliuzzatojo, *tritatojo. Il sic. kapuUari ' tagliuzzare ', con kapn-
liaturi ' tagliere ' è verisimilmente una delle importazioni
pedemontane |cfr. ora Nigra, Ardi., XIV, 378-91.
122 capilsà ' chiacchierare ', ' contendere ' (il monf. capisse, come
il genov, capìlssà vale ' acciarpare ', ' lavorare alla peggio ').
123 kar'ass ' palo secco per le viti ' : biellese e genov. karassa.
124 karche 'calcele', termine dei tessitori.
125 kardo, propr. cardine, 'la capruggine delle doghe' [cfr.
Nigra, XV, 106].
126 kareja 'sedia' da *catreda (cathedra): cfr. Diez, II,
s. chaire ; Schuchardt, I 159, III 81; Mvssafia, Beitrag., 42.
28(5 Giovanni Flechia,
127 karver 'carnevale', passato all'analogia dei nomi in -cr =
-a rio [cfr. Flechia, Ardi., Vili, 3361.
128 kaskurera ' specie di mestola propria della cantina '.
129 kaspe o kaske ' parte inferiore del torchio da vino ' [cfr.
Ferraro, p. 33].
130 kastàse ' pizzicarsi '.
131 kastian ' cristiano ', anche col senso d' ' uomo ' : p. es. merda
d' kastian ' sterco umano ' : cosi nel soprasilvano [v. Ascoli,
Arch., I, 10 n. 4, e I, 242] e nel genov. [cfr. Casaccia, s. v.].
V. ancora De Lollis, Arch., XII, 3 n. 5.
132 kastina 'castagna' da castena. Cfr. Meyer-Lììbke, It. Grainrn.,
§ 35.
133 card ' chiudere ', piem. cave.
134 caveura 'toppa', 'serratura', genov. caróa = *clavatoria:
cfr. sopra capi'deura e, più sotto, faceura.
135 cavette ' varietà di fagiuoli che si seminano dopo raccolte
le biade '.
136 sèndre ' cenere '.
137 kdc e keit (Lugnacco kenc), ant. fr. caeit 'caduto' = ca-
de ctum.
138 keìi ' covone ' (dieci eliéu formano una boria ' bica ') : cfr.
lad. kòf, Ascoli, Arch., 1, 314.
139 keina ' catena del focolare ' (cfr. genov. kena collo stesso
significato).
1 40 cisrà ' ceci cotti ' : *c i e e r a t a.
141 hit ' piccolo ', tor. pcit.
142 kluka 'chioccia', voce onomatopeica, s^. Mucca: cfr. Diez,
Et. IV., s. chiocciare ; Ascoli, Arch., 1, 304 ; Korting-, 2265.
143 ktné [me a Palazzo) 'come' [kiiemé nel dial. di Albertville:
v. Brachet, p. 154].
144 ko k' a t ve? ' che cosa vuoi ? ' anche kue q' e t ve ?
145 code 'chiudere' claudere: éo/ 'chiuso' : cfr. ^reA.^ I, 123.
Lessico piveronese 287
146 koja 'cotenna', da cutica, lomb. codega, ecc.. come da
*cutina il tor. ki'ma. Per la riduzione fonetica cfr. naja
*n a t i e a , sarcaja s i 1 v a t i e a. Cfr, Ardi., Ili, 1 35 ; Korting,
Lat.-rom. Wort., 2369, dov'è poco avvertita la forma *cutica
co' suoi derivati |cfr. ora Korting^, Nn. 2721, 2722].
147 kóje 'cogliere': tor. koje e kujf; part. kolexi, kolic, kolica
(= coUecto), tor. kiìji e kiljeit.
148 A'or/ ' tardivo ' : detto principalmente della frutta. Si dice
anche s'èinnà korf 'seminar tardi'. Lat. *chordius = ' se-
re ti nus '.
149 kor/à ' scoreggiare '.
150 cos 'chiuso', 'siepe': cfr. code (145) e cuvenda (170).
151 kosa 'coscia' e 'zucca'. Nel primo senso da coxa e nel
secondo da cucurbita, donde con forte e varia evoluzione
anche l'it. cucuzza, zucca, fr. courge, ecc. Cfr. Diez, 1, s. cu-
cuzza ; Mayer, Gramm. d. Rotti. Sjìr., I, 88 ; Korting-, N. 2652.
152 krattia ' crema '. ' panna ', ' fior di latte '.
153 krupa, krape ' stoppa ', ' capecchio ',
154 ^rjèi ' crivello ' *cribio *criblo cribro \ch\ Arch.,X\V,
Ilo], mil. crihhi.
155 krivele ' gheppi ' ' falchi terraiuoli ', ' specie di gufi ' ; cfr.
griva ' tordo '.
156 krova o kruva ' cadere ', detto di foglie, frutti, ecc. ; monf.,
krué, bresc. krodar. Per l'etimo, v. Ascoli, Arch., 1, 59 n. ;
Flechia, Riv. di Filol. class., I, 387 seg. ; Arch., II 837-8,
Vili 844 (gen. cruvà e croci).
157 krustiùn ' torso del cavolo ', ' crosta di pane secco '.
158 ksetit 0 aksent ' lievito ', da *kesent, *kersent kresent, vald.
krèssant, gen. kr esente.
159 ksisé 'molto': propriamente cosi assai.
160 kiier o kii^r ' cotario '.
288 Giovanni Flechia,
161 /i(l/\ fida 'questo', 'quello' (ecce- ho e-illic, -illac),
che sarebbe nell'it. ciò li, ciò là: cfr. tor. so)ì, lon 'questo',
' quello '.
162 kulina ' palo che sostiene il pergolato ' : anche mil. -na
' colonna '. Il pieni, kulona è termine catastale.
163 kuljase 'coricarsi': tor. kugese : 's kólja 'si corica': cfr,,
sopra, buljà e bólja.
164 kiinc ' sporco ', ' unto ' : cfr. it. sconcio, sconciare.
165 kunsà, kunsàse 'confessare', 'confessarsi': ìmi^ersit. kmisti
' confessati '. Cfr. monf. kimsesc ' confessarsi ', kunsur ' con-
fessore ' : V. Ferraro, p. 41.
166 kurdis ' bruscolo '.
167 Kurieur, ni. (propriamente corri do jo) designante una
parte del borgo.
168 kurnel ' corniolo '.
169 kìiria, agg. : èva kuria 'acqua corrente', propr. acqua
corriva.
170 cuvenda 'siepe', 'palizzata': cfr. gen. ciienda: cludenda,
e V. Ascoli, Arch., I, 123.
171 kuaira ' quaglia ', forse per via di quakra, forma propria
del ladino [v. Carigiet, Rdtorom. Wort., p. 248]: cfr, pieni,
aire *akro, maire makro,
172 kuaja 'treccia di capelli' scodacela da coda : cfr. lomb.
kuaza, ant. lomb. koasa, koasinna ' codaccina ' [cfr. Salvioni,
Arch., XII, 395].
1 73 kuassa ' coprire ' , daskuassd ' discoprire ' copertiare,
bresc. koverier (ant. gen, covertilo, Rime gen., 52, 12 [Ardi.,
I, 230] ' integumento ', propriam. ' coperticelo ', da aggiungere
al Lessico del Nostro).
174 kaeis, kueise ' stantio ', detto delle uova barlacce, Propriam.
' covaticce ' : cfr. tor, curis, sic. cuvatizzu [BEW., 2351].
Lessico piveronese 289
175 kuer co tari o 'astuccio per la cote'.
176 kui 'qui'; come l'it. e come il biell. ki da eccu-hic,
mentre il torin. si da ecce-hic [cfr. Flechia, Ardi., II, 333;
REW., 4129].
177 kuartarola ' quarto fieno ', ' quarta fienagione ' : cfr. riorda.
178 daìi 'danno', 'male' damnum: cfr. so^i somnum, scan
scamnum [cfr, sp. daìio e v. Ascoli, Arch., I, 87 n.].
179 dahà 'spandere', 'trapelare' (detto dell'acqua e dei liquidi
in genere), da dan : cfr. monf, fé dati, gen. fa dannu ' goc-
ciolare ' [cfr. BEW., 2467].
180 dantarel ' anello d'osso che si dà ai bimbi perché lo ten-
gano in bocca '.
181 dapé ' vicino ', ' appresso ' : anche valdese.
182 darrjere deretrariae [cfr. Arch., Vili, 345; XII, 399].
183 darfeinase ' mangiare un boccone per calmar l'appetito ' :
sdigiunarsi? cfr. feinà [V., inoltre, Salvioni, Zeitschrift filr
rom. Phil., XXII, 471, s. dersét].
184 daf barata ' cambiar moneta ', tor. déf barate.
185 dafdoc ' sgarbato ', tor. dèsdòit : cfr. doc.
186 c^rt/f/rt ' svegliare ' disvegliare: imperat. 6?f(/r/f/a ' sveglia ',
dafoigte ' svegliati ' ; dafgà e dasvig ' svegliato ' o ' sveglio '.
187 daf mura, da/mora ' divertirsi ', senza il pron. rifless.
188 dasparà ' disimparare ' : cfr. dasprende.
189 daspcà, daspéca 'indispettirsi', 'pigliare in dispetto' : detto
degli uccelli che abbandonano come per dispetto il nido colle
uova 0 coi pulcini quando sono stati molestati.
190 dasprende ' disimparare ' : cfr. sopra dasparà.
191 dastjd, dastija 'stigliare', 'stiglia': levar la tija (ti li a)
alla canapa [cfr. Salvioni, Post, al Kórt., 22].
192 dastre'c ' morsa ', ' strettojo ', propr. distretto.
193 dafvig ' sveglio ', ' furbo ' : cfr. sopra, dafgà.
290 ' Giovanni Fleclna,
194 cla/vnjà ' dipanare ' : cfr. ventini, defgojà, dejgol'a, propr.
*disoogliare [cfr. invogliare ^ in volgere, Ardi., II, 20-21],
monf. svìijé ; e v. Flechia, Arch., Vili, 348, s. desvoio.
195 demoda ' in voga ', ' di moda '.
196 dial ' anello da cucire ', propr. ditale.
197 diji 'dita', monf. ir dije 'le dita'.
198 dinta ' dentro '.
199 doc, doca 'garbato, -ta ' ; sost. doc 'garbo' (notevole);
dasdoc, dasdoca 'sgarbato, -ta'. Il tor. à dòit 'grazia', 'garbo',
dèsdóit ' sgarbato ', ma non a il positivo in senso aggettivale,
quale dovrebbe avere come originato da doctus, donde ven-
gono tutte coteste voci. Il Diez (II, s. duir) da doctus non
trae se non il prov. dohts e non accenna né allo spagnuolo
dìiecho ' esperto ', ' atto ', né alle voci piemontesi ; come non
v'accenna punto neppure il Kòrting nel Lat.-rom. W., n. 2650
[REW., 2712].
200 drinà, deìnera ' slombare ', ' lombaggine ' : cfr. it. direnato
'lombaggine', parm. dernara 'lombaggine'.
201 f/ro^^ (= *drópere, de-operire) 'aprire'. Varie le forme
di questo verbo nel piemontese : diirri, drilvì, diirbl, doì've,
drove. Notevole qui ì\ b=p proprio d'altri vernacoli conter-
mini e del monferrino. Quanto all'etimologia, cfr. Diez, less.,
II, s. ouvrir ; Ascoli, Areh., Il, 397 sg. Altre forme vernaco-
lari : romsco ìipH, rupH, ma opre ecc. ; romagn. genov. arvi,
ferr. avrir, pav. c?m* = d(ea)per(ere) ; parm. regg. arvir
e darvir (de-aprire), e contad. vérer (=*apérere).
202 due ' dunque '.
203 duminiki ' domenica ' : biell. dnieha.
204 dunkra (proprio del dialetto di Palazzo) ' dunque ' : la stessa
forma propria del valdese.
205 dunfeina ' dozzina ' : notisi l'epentesi.
206 dven 'davanti': cfr. anén i nauti.
Lessico piveronese 291
207 ebo : più raro ehul ' ebolo ' : monf. Ubo coU'art. agglutinato.
208 éi ' loglio '. ' zizzania ', tor. Idi. A Palazzo Vei coWe molto
largo. Notevole l'aferesi del /.
209 ense, ensià 'innesto', 'innestare', da insitare: cfr. mil.
msed , énsed, insedi, insidi, e v. Flechia. Ardi., II, 353
|XIV. 115].
210 erpe *erpio *erpico 'erpice' [cfr. Arcìi., II, 9 ; X, 92 ;
XIV, 115].
211 faceura 'fiscella', 'cascino', tor. fassela , mil. fassera.
Faceura da *factatoria come da factare il tor. faité
' conciare ', faità ' conciato ', faitùr ' conciatore '. Dallo stesso
tipo l'equivalente feittoria del Promptuarium di Vopisco (Mon-
dovi, 1564). Cosi il fr. chanteur da cantatore, non da
cantore [cfr. Littré, Dict., s. v.]. [V. ancora Flechia, Arch.,
VIII, 3491.
212 falospa ' scintilla ' : forma contratta di falavospa, che, ac-
canto a fcdavesca, falavosca, faluspa, falispa, vive in qualche
varietà piemontese: tutte queste forme procedono da *l'alliva,
metatesi di favilla [v. Flechia, Arch., II, 342].
213 Farger, ni. : incerta la fon., potendosi postulare una base
*frigdario frigidario ed insieme la base *filiculario.
214 farvaja ' briciola ', ' triciclo ' : anche fragili, gen. fregugga
[REW., 3501].
215 fauda ' grembo ', propr. falda : cfr. sottoselv. foda, Ascoli,
Arch., 1, 123.
216 faudal 'grembiale', dim. faudarel o fodarel, propriam.
*faldajiiolo [BEW., 62].
217 fausat ' falcetto ', ' roncolo ' , ' pennato ' : tor. fauset.
218 fé ' fai ' e ' fate ' ; feje ' facevi ' e ' facevate '. Notevoli le
forme analogiche che in molte varietà dialettali anno i verbi
dare, stare da fare : onde p. es. torin. dasia, stasia per anal.
Archivio glottol. ital., XVIIl. 19
292 Giovanni Flechia,
di fasta; dasend ('dando'), stasend ('stando') per anal. di
fasend ('facendo'); dait, stait per anal. di fait 'fatto'. Sin-
golare che in altre varietà e nello stesso toscano l'analogia
proceda al rovescio, cioè fare si foggi per alcune forme ana-
logicamente da dare ; quindi piv. fé ' fai ', ' fate ' foggiato
sopra de ' dai ', ' date ' e ste ^ sta ', ' state ' ; feje ' facevi ',
' facevate ' sopra deje e steje ; faje ' faccia ', ' facciate ' (cong.
2* pers. sing. e plur.) sopra daje, sfaje ; faja sopra daja, staja,
e l'it. (tose.) fo, fai, fa sopra sto, ecc. [cfr. i paradigmi delle
forme verbali viveronesi in Nigra, Misceli. Ascoli, pag. 16
dell'estr.].
219 feja 'pecora', piem. fea, prov. feda ecc., dal lat. feta
(ovis): cfr. Diez, II, s. feda [REW ., 3269].
220 fennu : sinonimo di dare ' sedere '.
221 fèrsa 'cicciolo di majale fritto ' : *frixa per fri et a. Cfr.
frixura per frictura e frixorium per frictorium
'padella', ven. fersora, frinì, fersorie := *irìK ori r [REW.,
3520].
222 fiera ' fiamma ' e ' puzza ', romsco /ìan/ : v. fiera.
223 fiera ' puzzare ', altrove finire, *f 1 a i r a r e *f 1 a g r a r e fra-
grare : cfr. fr. fiairer, prov. fiairar, sic. carari, cauru,
corari, coriari e sauru, saurari, sauriari, nap. saiirejare, saor-,
savor-, ; sauro ' fiato '.
224 fiarel ' ceneracciolo ', anche filarel (= -elio od -nolo).
225 fic ' fitto '.
226 fica ' fittare ', ' prendere ' o ' dare in fitto '.
227 ficeur ' fittavolo '.
228 Flcc, ni. filectum, propr. 'felcete': cfr. i nuli. Flet,
Feletto, ecc., e v. Flechia, Nomi loc. d'It. der. d. n. d. pie, p. 13.
229 fnd ' fonare ', ' far fieno '.
230 fneur ' fienatore '.
Lessico piveronese 293
231 fragili 'briciolo', cfr. gen. fregugga, mil. f ergili [Bion-
DELLI, p. 66].
232 fraja 'fragola', riflesso di fraga (plur. di fragum),
come braja di braga braca, lilrbaja di la uri -baca. Il
tor. frola da *fraula *fragula : cfr. sp., port. e ant. it. fraga
'fragola' [REW., 3480].
233 fraufini ' cesoje ', ' forbici ', propr. forbicine : var. forsine.
234 fra/à ' abortire ' : detto delle bestie, vacche, ecc. [cfr.
campob. fraga, gallur. fraggya 'abortire', i^E'TF., 3472. G.].
235 frel ' fratello ', plur. frej.
236 frug ' catenaccio " : v. furég.
237 frìiscà 'fregare', 'strofinare' [<;; frusti care ?, cfr. fr.
froisser, e anche frotter. G.].
238 filbjanna 'salamandra', la certa palustris, piem. piu-
vana, valsoanino pilbjàna. Parrebbe quasi accennarsi ad una
medesima origine : il piem. pinvana viene manifestamente da
*p 1 u V i a n a e probabilmente anche il vals. pilbjàna [cfr. Nigra,
Ardi., Ili, 26 n.] ; ma il piv. filbjanna trarrebbesi piuttosto
da *foveana [cfr. Flechia. Di ale. forme di nomi loc. , ecc.,
p. 81, s. Foppate], donde anche il mil. foppano, nome di una
specie di anatra fossajuola, detta cosi per l'aggirarsi che fa
nelle fosse [Purché non si tratti di una singolare metatesi. G.].
239 fujas ' fogliaccio ', ' foglione '.
240 fu)Ér 'fogliajo', 'deposito del fogliame secco'; cfr. pajer.
241 fujel 'cartoccio', 'involucro' della pannocchia della me-
liga, ecc. ['fogliello' G.].
242 fuJJer 'focolare'.
243 filmela ' femina ' (per contrapposto a masc ' maschio ') =
1. fame 11 a. Non inverisimile che la labialità dell'e atono di
femella abbia pur determinata quella deWe tonico del lat.
femina in finima (cfr. fr. femelle).
244 funina ' donna ', propriam. femina : cfr. filmela.
294 Giovanni Flechia,
245 fimég 'finocchio' fenuculum: cfr. furég e funég.
246 fioìf ' fungo '.
247 funfatole o funfètte ' funghi pratajoli '.
248 fura i dent ' metter fuori i denti ' : detto dei bimbi che
cominciano la dentizione.
249 furég 'catenaccio', biell. fureg, can. furig, monf. frug, torin.
fruj, ant. ast. ferrougl [cfr. Giacomino, ^rc^., XV, 411], gen.
ferrugà.
250 fnrgd ' dare il catenaccio (furég) ' : 3* pers. sing. ind. pres.
furiga, 1-"* plur. furguma.
251 gè ' ghiandaja ', tor. gai, fr. geai: cfr. Diez, less. s. gajo
[REW., 3640].
252 gera ' ghiaja ' g 1 a r e a.
253 gajo, gaja ' biondo, -a ' [REW., 3640, 3663].
254 ganeso o ganesul (cfr. nesjm e nespul) ' nocciolo ' di pesca,
ciliegia, ecc. [Sarà un *gallicciolo ; galla o un suo derivato
à spesso valore di nocciolo : abruzz. galle ecc., v. REW.,
3655. a.].
255 garabion ' calabrone ' (torin. galavrun) : v. fonolog.
256 garafion ' ciliegia marchiana ', ' ciliegia duracina ' : torin.
grafiuri, mil. grafion [Biondelli, p. 68].
257 garat 'calcagno', tacco: cfr. ir. jarret, it. garetta \^REW.,
3690]. Plur. garitt.
258 garatul ' mastello ', ' secchio per mungere le vacche ' ['^car-
rettolo ; il trapasso di significato carretto > recipiente non è
nuovo, cfr. REW., 1721J.
259 garbià o dafgarbià ' slegare le viti ' [^ *disgrovildre. G.].
260 garg ' pigro ', ' ozioso ', ' dappoco '.
261 gargas e gargun ' poltronaccio ' : cfr. garg.
262 gargun : v. gargas.
Lessico piveronese 295
263 gurnel ' corniolo ' : questo nome designa propriamente una
specie di ' corniolo ' selvatico, mentre il ' corniolo ' proprio
è detto kurhal o kurhel.
264 garoful ' garofano '.
265 garun ' mezzereo ', 'camelea', daphne mezzereum.
266 garilsole ' residuo del grasso suino nel processo della pre-
parazione dei salami '.
267 gas ' strame ', *iinpatto : fa 'l gas ' impattare ' : indi argasà
■ rifare 1' *impatto ', ' *rimpattare ' : cfr. gen. gassu.
268 gasa ' legacela '.
269 gavan 'bucato', ' forato ', 'cavo' : pan gavan, fera gavanna.
270 gavei ' quarti di cerchio delle ruote ' e ' fusi delle ruote ' ;
cfr. nap. gavel'a ' quarto della ruota '.
271 gavér ' gozzo '.
272 gàvja 'catino', 'ciotola'. Dal lat. gabàta ' vas escarium ',
' vaso da tavola ' : cfr. nap. gaveta ' abbeveratoio ', gavetella
' ghiotta ', ' leccarda ', gavetone ' truogolo ' ; sic. gavita ' gior-
nello ", ' vaso di legno da portar calcina '. Il piem. gavja da
gabata è normalissima riduzione fonetica: gavja gavia gavea
gaveta gabata [cfr. Flechia, Ardi., Vili, 351 ; Nigra, Ardi.,
XV, 401]. In quanto gabata significò poi largamente 'gota',
cfr. DiEZ, E. W., s. V. : Korting^, N. 4108.
273 gafiij e gafiijim ' torsolo ', ' i-osi echio ' di pera, mela, ecc.
274 gebtia ' maggiolino ' : forma propria del dial. di Palazzo :
a Piverone begna, v. sopra.
275 geddu 'garbo', 'grazia', 'vezzo' [cfr. ^rc7?.., XIV, 117].
276 gefia ' chiesa '.
277 gii 'ghiro', lat. gì ire, tor. gi, agi. Per la forma, efr.
rul = *rur roborem, tirul = *tirur, ecc. [cfr. REW., 3787].
278 gilard ' sudicio ', ' sconcio ',
279 ginà ' ghignare ', ' sogghignare ', ' deridere '.
280 ginet ' stranome ', ' nomignolo ' : efr. girici.
296 Giovanni Flechia,
281 gola 'fiamma allegra' e 'baldoria' [cfr. Nigra, Arch.,
XV, 112-3].
282 gornhalètte 'salti', 'capriole'.
283 gora 'salcio', 'vimine' [cfr. Nigra, Ardi., XV, 113-14].
284 gorin dim. di gora, v. sopra.
285 grampo ' afferrare ' ; anche grampo, sostant., ' manata ' [cfr.
Nigra, Arch., XV, 101].
286 griota ' ciliegia agriotta ', ' amarena '.
287 groja ' guscio ', tor. groja.
288 gniifu ' brivido ', 'ribrezzo' [cfr. Arch., XIV, 117] = -iggine
[cfr. ora Nigra, Arch., XV, 118, ove è fatto risalire a *grtdfiilu ;
si confronti però gruifu col basso canav. pruifu ' pruriggine ',
atikuifu *incudigine, ecc.].
289 gilb, la giiba ' gobbo ', ' gobba ' : basso lat. gybbus : cfr.
DiEZ, Et. W., s. gobbo ; Flechia, Arch., Ili, 168 (Guarnerio,
Arch., XIV, 407 ; Parodi, Rom.,XV[l, 53 ; Meyer-Lììbke, If. Gr.,
§ 265 ; Salvioni, Krit. Jahr., I, 126 ; Korting^, N. 4241 ;
BEW., 3755].
290 giìbés o gilbésk ' versi che fanno i bambini ', ' strilli '.
291 giiblat ' bicchiere ', plur. gublitt (ora cedente a bicer), pr. fr.
gobdet, torin. goblet e goblot.
292 giik ' pollajo ' : cfr. fr. jucher, juchoir, prov. azhouchié, sic.
gukku, aggukkarisi (cfr. Biundi, Diz. sic, s. vv.) [v, ora Nigra,
Arch., XIV, 273].
293 guj (*goglio) ' pozza ', ' gora ', ' pozzanghera ', ' lavatojo '
[Gouille nel savojardo di Albertville].
294 guliard ' ghiotto ', ' goloso ' : cfr. Arch., VII, 509 n. [e Sal-
vioni, Arch., XII, 406].
295 gurin ' coriaceo ', ' duro ', pieni, gureh : incerto se da gora
'vimine', 'salcio', o da *cutrineus: v. Flechia, Arch.,
III. 135.
Lessico piveronese 297
296 isula, it. cisciola, specie di ciliegia : dal ted. vlhsela ; cfr.
DiEZ, Et. w., 343, s. visciola, e Targ. Tozzetti, II, 79 [cfr. pure
KortingS N. 10392].
297 ji'm 'uno ' : cfr. Ardi., IX, 52 n. 5, dove pur brianz. ji'm.
298 jiis ' acuto ' : v. fonol.
299 jusiira ' punta dei pali che sosteugono le viti ' : v. fonol.
300 Lacuin ' lattughino ' : v. in addietro aciiin : tor. sarset.
301 lam 'allentato', 'lento': di qui lama, slama, ecc.
302 landa ' lamentazione ', ecc., usato principalmente al plurale
in senso di 'lungherie', ' noje ', ecc. Dal lat. legenda, it.
' leggenda '. Quanto all' -anda per -enda, cfr. bevanda, vivanda,
piem. pnivjanda da providenda, ' provvisione ', ' vetto-
vaglia '. La riduzione foneticamente normale sarebbe lienda,
quale appunto nell'equivalente aretino e milanese. Il novarese
ha lienda ' nenia' [Rusconi, Origini novaresi, p. 88 ; v. 49-69].
303 lavro 'labro': cfr. Arch., II, 113 n. ; Vili, 364.
304 le ' lago ' : aviglianese (Alp.) lai ; squasilv. lai [Ascoli,
Arch., I, 77], oltrengad. leich, lei [ivi, 207], friul. lag, lat
o lad [ivi, 523].
805 leca ' scelta ', gen. necca [Olivieri, Diz. gen.-it., s. v.], piem.
leta, lad. legga [Arch., VII, 533] = electa: cfr. Flechia,
Arch., II, 325.
306 lein, leina 'facile', 'scorrevole', 'pronto', propr. latino
(cfr. ladi, ladin, latin, ecc., e v. Arch., Vili, 321, s. alainar).
307 leina 'lendine', 1. lens lendis: cfr. Diez, I, s. lendine
[BEW., 4978] ; tor. lendna : nel piv. si à il dileguo di nd da
*leindna, metatesi d'^.
308 leifna ' lesina '.
298 Giovanni Flechia,
309 leio ' grasso del porco ', piem. sleivo : cfr. sleivé accanto a
slingué, *e x- 1 i q u a r e | v. Salvioni, Nuove post, al Kórting, 143,
e LoRCK, Lautlehre, p. 49].
310 lèsca 'specie di carice' (carex acuta?).
311 Usura ' licciuola ', termine dei tessitori.
312 livrà 'finire', 'terminare', fr. livrer |Korting^, 5561].
313 lóbia ' ballatoio ', ' palco ', ' balcone '.
314 Ioga ' cagna ' : cfr. mi). Ioga.
315 loira 'poltrone': nel torin. vale 'inerzia', ' fiaccona ' e
anche ' ghiro ', probabilm. per influsso del fr. ìoir ' ghiro ' e
' poltrone '. Il nome vero per ' ghiro ' nel piv. è gii e nel
torin. agii (v. sopra, s. gii), accennanti entrambi a gl'ire, non
glire come dà il Meyer-Lubke [v. REW., 3787 J.
316 lolio ' lauro ', ' alloro '.
317 liija ' vaso di terra ', quasi ' alberello '.
318 makd (tor. inaké) ' ammaccare ', ' picchiare ', ' battere ' :
makla 'picchiala' | cfr. vicent. makare 'battere'].
319 makaroka ' bambola ', mattarotta.
320 makàt ' il colore che lasciano le noci alle dita quando si
smallano ' : cfr. sopra ni.akd.
321 makkahà ' pestare ', ' ammaccare ': macc-aneare?
322 makkasia ' comechessia '.
323 mek 'solamente', tor. mak: cfr. numek, niimak, non magis
quam: v. Flechia, Ardi., Vili, 372-3, e cfr. friul. nóme,
pad. lomé.
324 magistri ' maestro ', tor. magister, che non è, come i più
credono, l'incolume forma nominativale del latino, ma una
normale riduzione della moderna forma scolastica magistro
in *magistr, che si mutò in magister come *quadr in quader,
*libr in liher, *vedr in veder, ecc. La normale evoluzione
dell'antico magistro nel piem. è generalmente meistr, e,
Lessico piveronese 299
come proclitico, meis, come meis-da miir ' mastro da muro ',
' muratore ', meis da bosk ' falegname ', nu^is Giuvan ' mastro
Giovanni '.
325 mal, agg. ' molto '.
326 maìstia 'lento', 'pigro', malesuadus?
327 manàt, tor. maniot ' piccolo manico '.
328 manka ' bisogno ' : avei manka 'abbisognare ', cfr. avei basta
' averne abbastanza '.
329 mannera ' accetta ', ' mannarolo ' : cfr. it, mannaja.
330 maraiia ' balocco ', ' giocattolo ', ' bazzecola ', ' inezia '.
331 marana ' baloccarsi ', cfr. maraha e v. Sp.
332 maranun (plur. -hen) ' baloccone '.
333 marel ' stronzo '.
334 marela ' matassa '. Notevole la connessione etimologica che
à con questa voce piemontese l'equivalente sic. marredda av-
vertita già dal Pasqualino che suggerisce l'etimo manus
(manarella ?).
335 mari/ ' mezzodì ' : cfr. Ascoli, Ardi., I, 346, e v. fonol.
336 marifanna ' melanzana '.
337 marlingin (canav. e biell.) ' il sonare a morto per bambini ':
propriam. *minimellinghino (cfr. marlin = inarmlin, mini-
mellino ' dito mignolo ') : v. Flechia, Ardi., II, 366-7, n.
338 maska ' strega ', maskun ' stregone ' (senza maschile al po-
sitivo : cfr. trecca, treccone), maskunà ' stregare '.
339 mascà ' masticare ' : tor. mastié.
340 maskunà ' stregare ' : v. maska.
341 masera ' muro diroccato ', propriam. ' maceria ', e cfr. i
nnll. Masera, Masera (cfr. Macerata), Macerata, Macerato, Ma-
cereto e ammasso di macerie') e il fundus Maceriatus
delle /. R. Neap., n. 216.
342 masarun, propr. ' macerione ' : v. masera.
343 massakiil o bassaki'd ' scanno di radicione di salice '.
300 Giovanni Flechia,
344 mat, mata, niatot ' ragazzo, -a ', plur. matoit (plur. anche di
niat), matota, matolina, mafas, matusa ; maton, plur. matén ;
bresc. matel, matelo ' fanticello ' \REW., 5401].
345 mate * mettere '.
346 mapa^ maparel ' pannocchia ' del granturco, ecc.
347 maunat, tor. niaunet (Gavuzzi maonet) ' sudicio ', ' sporco ' :
cfr. Ascoli, Arch., VII, 505 [Nigra, XIV, 372 ; Salvioni,
BoìH. Jahr., V, i, 135].
348 meir 'tralcio', meirel magliuolo? cfr. Meirel ni.
349 meur ' maturo '.
350 minsa ' milza ' : anche gen. minsa.
351 miola, miulat 'falce', 'falcetto'.
352 moj, tor. moj ' molle '. ' bagnato '.
353 inor ' amore ' : de parmor, propr. ' di per amore ', ma anche
generalm. ' per causa ', ed anche ' per odio ', 'per avversione'.
354 morjo ' muojono ', ' muojano '. Notevole la permanenza dell'i
non attratto : ìnorj ' muojo ', moì'je ' muori ', morja ' muoja '.
355 mas, mois ' matto ' : cfr. moifo. già cit. in Arch., II, 399,
come proprio del dial. di Sassello (Acqui). V. ora Arch., Vili,
361, s. inmocij.
356 'in peria ' dinanzi ', ' rimpetto ' (a ^joi'o ?).
357 insun, msimà 'spigolatura', 'spigolare' [cfr. iovìn. messun,
alomb. messoti ' messe ', ' raccolto ' : Salvioni, Arch., XII, 414].
358 muà ' mutare ' e ' movere ', muivi ' muti ' e ' muovi ' : nel-
l'ultimo senso dal freq. lat. mot are: muà 'n pé par baia.
359 ìHuJà 'bagnare', 'intingere', 'mettere in molle'; ìnoja
' bagna '.
360 muUja o mulés ' mollica '.
361 murdajd ' morso ', ' dentata ', ' morsicatura ' ; torin. murdjà
e murdjun.
362 murflun, plur. fem. -uni ' moccioso ', tor. murflus : da murfel
' moccio ' [cfr. Nigra, Arch., XIV, 291].
Lessico piverouese 301
363 musei 'gomitolo', forma aferetica di glomicello: cfr.it.
ghiomo, lat. glomus.
364 mussa ' insegnare ', ' mostrare ', ' indicare ', cfr. poschiav.
tnussà, e v. Ascoli, Arch., I, 284 ; soprasilv, mussar, Ascoli,
VII, 537.
365 miit, muta 'monco', '-a'.
366 mufin 'tenero', 'morbido', 'maturo', propriam. molli-
ci no, tor. muljin: cfr. ant. lomb. amulexinar (Par. Lomb. 107).
Cfr. Storm, Voyelles atones du lat., des dial. italiq. et de ì'itaL,
p. 52.
367 nero ' nidariolo ', 'éndice', nidarius: cfr. fr. niais ni-
dace : cfr. ven. niaro e piem. rìard ' cacheroso ', 'lezioso'
(cfr. bilfiard accanto a hosiaro) \REW., 5908].
368 naja 'natica'; cfr. sarvaja silvatica, koja *cutica.
369 na rissi ' narici '.
370 nan'ifià 'ficcare il naso': nare -]- f 1 ar e ?
371 naca ' nuotare ' : tiaee ' tu nuoti ' e ' voi nuotate '. Verbo
denomin. derivato senza pili da nave (cfr. fr. nager navi-
gare); da natare foneticamente problematico.
372 neiro ' nero '.
373 nelia ' inedia ' : v. Fonol.
374 tiié ' affogare ' n e e a r e.
375 nin ' niente ' e ' non ' : va nin ' non andare ' (tor. va nen),
propriam. ' va niente ' {fìi hint, nent nen) : veicell. aless. nent
e nenia, Brezzo nit, Vico Canavese niit ; v. inoltre Flechia,
Ardi., Vili, 373 n. 4.
376 niyisó ' manomettere ' : i n i n i t i a r e ; cfr. com. crem. ininid,
mil. inninià, bresc. inensi, mod. regg. linier, parm. liniar,
piac. linià, ecc. e v. Flechia, Arch., II, 356-7 ; Mussafia,
Beitr., 69 [REW., 4440].
302 Giovanni Flechia,
377 ninula ' ellera ' : bresc. ledena, gen. lellua : cfr. Flechia,
Arch., VIIT, 364.
378 nis 'livido': cfr. Flechia, Ardi., IV, 375 [^REW., 5614].
379 nos ' il noce ' e ' la noce ' : cfr. nusat.
380 'nt, 'nt al ' nel ' ; 'nt la ' nella ' ; 'nt al pra ' nel prato ' ;
'nt la strà ' nella strada ' ; 'nt ij kemp ' nei campi '.
381 ntè (in tu-?) 'dove'. Es. : ntè ka V ve? 'dove vai?'; mi
vai ntè ka t' ve ti 'lo vado dove vai tu ' ; nt' elo cai la ? ' dov'è
colui ? ' ; nt' elo ndà ? ' dov'è andato ? '.
382 numek 'solamente', 'fuorché': non magis quam \ da non
magis il pieni, e lomb. mima, nome, noma, doma (per dissim.);
da magis quam il pieni. waA- e mek ; da magis il piem.
e lomb. ma, mae [cfr. Flechia, Arch., Vili, 373 ; BEW., 5228].
383 nufàt ' noce '. albero ; propriani. ' nocetto '.
384 nufera ' terreno a noci ' ; cfr. i unii. Nocara, Nachera, No-
cera, Noghera, Nizzolaro, ecc. e v. Flechia, Nomi loc. da
nomi di piante, p. 16, s. nux, *nuceo 1 a.
385 nnstin ' piccolo noce ', ' piccolo 7iusat '.
386 'nival ' uguale ' : cfr. Ardi., Vili, 350, s. enguar.
387 'ntvald ' uguagliare ', ' compensare '.
388 olba 'la nicca del gran', 'pula': lat. voi va: cfr. ivalba
|v. Salvioni, Postille al Korting, 24].
389 oin ' uomo ', plur. omne.
390 ora ' aria '.
391 pafarin 'passerotto' e 'uccellino' in genere.
392 pajer ' pagliajo ' : cfr. fujer ' fogliajo '.
393 pjan pana ' compagno ', ' conforme ', ' simile '.
394 pjanà ' nettare ', da panno : cfr. panai.
395 pandt ' moccichino ', ' fazzoletto ', ' nettatojo ', propriam.
'piccolo panno'; monf. panel [cfr. Ferraro, p. 81].
396 pancarel ' granello d'uva saracinata ' ; v. pancorla.
Lessico piveronese 303
397 pancorlà, mil. pencorà, pincorà ' vajolare ', ' saraciuare ',
detto dell'uva che comincia ad annerire. Da *pinctura,
*p i n e t u r a r e , coni e nell ' it. pittura da pitturare (pictura
*picturare): cfr. fr. peinture *pinctura. Il piv. panharel
(v. sopra), mil. pinciro 'grappolo', 'racimolo' mettono capo
a *p i n et u ri ol o, it. pintajuolo. Pancorlà 'vajolare', da
*pin cturu 1 are, mil. pincirolà 'racimolare', 'raspollare',
da piticiro, *pincturi ol are. Pine-, pene-, pane- qui, com'è
noto, rispondono foneticamente a *pinct-.
398 pancilk ' acetosella selvatica '.
399 panjóla 'lucciola' [v. Salvioni, Boni. Jahr., IV, i, 171].
400 paper 'carta': cfr. Ascoli, Ardi., I, 177 n. 3.
401 parél ' pajuolo ', tor. pairol.
402 parjór ' priore '. plur. parjóre.
403 parmor ' per causa ' : v. mar.
404 paróla ' grosso pajuolo '.
405 parqué e purqué ' perchè '.
406 par/al ' lo spazio tra 2 filari di vite '.
407 pase 'mansueto' [cfr. Ardi., XIV, 115] pacidus? Cfr.
Paculus, Pacidianus (Pacidius?) da *Pacidus. Pos-
sibile per avventura anche da placido [anche il genov. ha
paze ' mansueto ', detto delle bestie].
408 pat ' crepitus ventris ' ; fem. petta : patta d' liiv.
409 patanil ' nudo ', fem. -nua, plur. -nuvi (cfr. Ardi., XIV, 114).
[Cfr. Salvioni, Rom. Jahresb., IV, i, 179, s. crii criia. Per
l'etimo, V. NiGRA, Ardi., XIV, 293].
410 pé, dapé ' presso ', ' vicino '.
411 ptec ' tette delle vacche '.
412 peco ' pettine ', pcind ' pettinare ', pheiìia ' pettina ', pcineur
' pettinatore ', pcineta ' pettinetta ' ; tor. epentetico : pento,
penine, pentena, pentnor o pentnaire, pentnèta ; monf . peccio,
péiné, pcinaura, painetta.
304 Giovanni Flechin,
413 peìr ' pero '.
414 peivre o pevre ' pepe ' : dal caso obliquo come il tor. peiver,
mil. pever.
415 penkna 'cingallegra'. Da *pinctula, donde anche i con-
termini pentna, p'mtna (cfr. ìodna ' lodola ', alaudula). No-
tevole nel piv. la gutturale per la dentale ; e pur notevole nt
da net quale anche nell'equivalente lomb. p^H^rt da *pincta,
mentre la legge fonetica di tutti questi dialetti vorrebbe
penca, pencna. pincna come p. e. in tenca da tincta, strenca
da *strincta. Diminutivo di pentna è il zimonese ^jawim'w'wa,
come di penta il com. pentin, che il Monti fa venire dal lat.
pem'tus {! !).
416 pesse ' pesco ', ' pesca ' ; plur. pessie vecchio : oggidì masco-
linizzato sul singolare : diij pesse (vecchio duj pessie) : a Ma^
guano (biell.) pénsie.
417 pewr ' paura '.
418 pikaja ' legaccio ', parm. pikaja, genov. vie. pikaga.
419 picareld 'specie di trottola'.
420 pikin ' gallinaccio ', ' tacchino '.
421 picìirus ' pettirosso '.
422 j;jA:m/ ' gambo ', ' peduncolo '.
423 piéy 'pidocchio': come l'it. da pedo ciò; cfr. mil. piòc ;
var. piem. ^jj'mJ, puj, pioj ; v. Ascoli, Arch., I, 314,
424 2^jova ' pioggia ' , piem. piova.
425 pisseur ' bocciulo ' dond'esce il ranno del bucato ; propria-
mente ' pisciatoio '.
426 piulat 'accetta', tor. piidet, propriam. ' pioletto '.
427 piulin ' zipolo ', ' zipoletto ', propriam. ' piolino '.
428 pivi 'specie di gabbiano' : la sterna nigra o la sterna
fluvialis degli ornitologi [cfr. Zublena, Avifauna del lago
di Viverone, Biella, 1896, p. 36-37]. Da pluvius. Nel tor.
pivi è chiamato il 'rondone', hirundo major.
Lessico piveronese 305
429 plija 'buccia', 'scorza', 'corteccia'. Da pel li ci a pelli-
cula, donde normalmente sarebbe da aspettarsi *pli()a, come
si à da ori eia iirirja, da manici a anmiga. Forse per ana-
logia del piem. iirija^ ploja da *pellocla, ecc.
4:30 pnarel o pnarola ' pratajuolo ' (agaricus campestris),
da *prarel pratariolo (cfr. it. pratajuolo) per dissimilazione
\EEW., 6732].
431 pìiun ' più nessuno '.
432 póla fola ' folaga '.
433 péra ' zuffolo quasi simile alla suhiarola ' .
434 pot 'poltiglia' e ' pollentina '. Lat. puls pultis, ìt. polta,
ant. fr. poiU [cfr. Forster, Romania^ IX, 580] [alomb. polle :
cfr. Salvioni, Ardi., XII, 422 ; REW., 6836].
435 prd ' sassata ' petrata [v. ora Nigra, // dialetto di Vire-
rone, p. 12].
436 pre ' vicino ' prope.
437 prel ' ventriglio dei polli ', da prer, proprio del canav., lat.
*petrarius [cfr. Garlanda, Il dial. di Val di Strona, in
Misceli, in onore di G. I. Ascoli, p. 327 : REW., 6446].
438 pres ' presso '.
439 j?rj^a 'pevera', 'imbottatoio'. Da *precla, *pretla,
*pletra [v. Ascoli, Studj critici, II, 94 e 96; Brugmann,
Grumi., II, 201]. Ne' dialetti contermini prega, pèrga (Azeglio),
dove -ga da -ti a come p. e. in vega, sega da *vecla *vetla,
*sicla si ti a. Il palazzese à prèja, come à vèja, séja. Piut-
tosto che una delle varie figure latine del suffisso -tra [cfr.
Ascoli, op. cit., 81 e segg.], qui più ovvio, forse, scorgere
una metatesi reciproca delle liquide, come p. es. in grolia da
gloria, colurus, colurnus da corulus, ecc. Nel Prow-
ptuarium di Vopisco (1564), p. 92 : " Pitia, vaso da porre il
vino dentro il bottale senza effonderlo, lacus „. Cfr. com.
plédria, mi), pidria, monf. prec \REW., 6597 1.
306 Giovanni Flechia,
440 pni ' abbastanza '.
441 prui'fu ' pruriggine ' : cfr. ursifu, (jruifu, ankuifu.
442 pruvi 'prudere'. Come nell'it., cosi pure nel piv. il lat.
prurire passa alla conjug. 3* e muta per dissimilazione il
secondo r in d che poi si dilegua, come anche nel tor. prui,
mantenendosi però nella quarta.
443 psià ' pizzicare ' ; psija ' pizzica', parossitono come nel biell.
e nell'odierno gen. pessiga (ant. peciga : cfr. Arch.. Vili. 376),
mentre il tor. pésya corrisponde all'it. pizzica.
444 psijùn ' pizzicotto ', propr. ' pizzicone ', tor. pessjón.
445 pii ' pili ' : cfr. Ascoli, Arch., I, 101 n. 2.
446 ^:>j/ya ' pipita ', torin. piìoja.
447 pìdat ' pulcino ', propriam. *poUetto.
448 piiliifel 'pollino': cfr. bergam. piliiol *puliciolum [cfr.
LoRCK, Sjautlehre eines Lat.-Bergam. Glossare des XV. Jahr-
hunderts, p. 30].
449 punèaril ' puntuto ', ' acuminato ', propriam. *punteruto.
450 pKsà ' scodellare ', ' minestrare ', ' attingere col ramajuolo
la minestra e versarla nella scodella '. Verisimilmente da
puteus, *puteare. Cfr. fr. puiser, prov. po\ar, vald. pouc:j:ir
(Salvioni, Ardi., XI, 301); [v. ora Nigra, Arch., XV, 120.
Anche il genov. ha apussd ' immergere '. detto specialmente
dei panni che si lavano', da *ad-puteare].
451 pussà ' spingere ', ' urtare ', tor. pussé : pussun ' urtone '.
È il lat. pulsare, fr. pousser [v. ora Nigra, XV, 120].
452 pupù, fem. 'upupa', mil. buba; cfr. Diez, s. upupa [Korting^,
N. 9910].
453 pùfa 'grossa cimice di campagna', la pentatoma grigia
degli entomologi. Da putida *put'da, putta (cfr. tietto ni-
tida, ratto rapidu). Un nome pur significante 'la puzzolenta'
à questo insetto nel fiairana dell'aviglianese, da fiairé ^=
^flagrare, fragrare 'puzzare'. Erroneamente il Cheru-
Lessico piveronese 307
BINI (s. scìmes salvadeg) e il Sant'Albino (s. punas) contrap-
pongono al nome di questo insetto il grecolatino buprestis
{^ovjiQtjoTic,, cfr. Saalfeld, Tensaurus italograecus, col. 194),
nome d'una specie di scarafaggio velenoso che trangugiato
dai buoi li fa gonfiare [cfr. Isidoro di Siviglia, Orig., 12,8, 5|.
454 PurrnH ' Piverone '.
455 kuaira ' quaglia ', forse per via di quakra, forma propria
del ladino [v. Carigiet, Bàtorom. Wort., p. 248] : cfr. pieni.
(lire *a k r 0 , maire m a k r o .
456 kuasa ' treccia di capelli ' = cedacela da coda: cfr. lomb.
kiia^a, ant. lomb. koasa, koasinna ' codaccina ' [cfr. Salvioni^
Ardi., XII, 395].
457 kuassà 'coprire', daskuassà 'discoprire' copertiare,
bresc. kover^er [ant. gen, covertilo, Rime gen., 52, 12 {Arch.,
1, 230). ' integumento ', propriam. ' coperticcio ', da aggiun-
gere al Lessico del Flechia].
458 kueis, kiieise ' stantio ', detto delle uova barlacce. Propriam.
' covaticce ' : cfr. tor. cuvis, sic. cuvatinu [REW., 2351].
459 kuer cotario 'astuccio per la cote'.
460 kuì 'qui'; come l'it. e come il biell. ki da eccu-hic,
mentre il torin. si da e eoe -hi e [cfr. Flechia, Arch., II, 333 ;
REW., 4129].
461 kuartarola ' quarto fieno ', ' quarta fienagione ' : cfr. riorda.
462 rakastnat ' reattino ', 'redimacchia ', 'sgricciolo' ; propriam.
' re castagnette '. Altri nomi di questo uccello sono nel pieni.
re dij biisson (tor.), j^cit re, reatel. Cfr. it. reattino (garfagn.),
recacco (fior.), sgricciolo (pis.), redimacchia (sen. e fior.), fora-
macchie (sen.) [Savi, Ornit. tose, I, 297] ; mil. reat, reot, riot,
re di ufi) ; lomb. re di sef (' re di siepe '), reaton, re de loder ;
trent. reatol ('reattolo'); v er on. imperatorel, retel ('reottello'?);
Archivio glottol. ital., XVIII. 20
308 Giovanni Flechia,
mant. reatin ; parm. riaten, re d'j o/len, oflen del fredd, oflen
moska, parpajó, arjetén ; boi. arjatein, arjetein [cfr. Flechia,
Del nome Ariosto, p. 7]; fr. roitelet; s^. reye-ueìo ; ted. Zaim-
honig, gr. ^aoiÀioxog |cfr. Caix, Studi di etim. ital. e rem.,
N. 4751.
463 rama ' ramo ', ' frascone '.
464 rama d'eva 'rovescio d'acqua', 'sgrollone' (lucchese);
genov, rama d'égua \a ramata nel v. 5° del Pataffio^.
465 rangà 'accomodare', tor. rangé^ genov. an-angà, ir. ranger,
arranger [cfr. Mackel, Die germ. Eleni, in der fr. u. prov. Spr.,
p. 96].
466 rania ' falce ' ; ranid ' falciare ' il fieno, la stoppia.
467 rapel 'grappolo'; mil. grapel = pinciro 'racimolo': cfr.
monf. rap, genov. rappu ' grappolo '.
468 Rapela, ni. di regione essenzialmente vitifera : cfr. rajjel
' grappolo '.
469 rase, rese, resca (Ivrea rese rèsca) ' ruvido ', ' scabro ',
' aspro '.
470 raska 'tigna', 'scabbia': cfr. sp. raskar 'grattare', ra-
si care.
471 raskit ' raspollo ', andà ai raskitt ' raspollare ' : cfr. andà
ai raplit.
472 re ' corda alla quale sta appesa la lucerna nelle stalle ' ;
propriam. ' ruolo '. Avei re ' riuscir bene in qualche cosa '.
473 rei ' rete ' : cfr. sei ' sete '.
474 reid ' rattratto ', ' duro ', 'stecchito' : rigidus ; reide plur.;
ma tor. sing. masch. reidi [cfr. Isler, Poes. piem., p. 52 ;
Salvioni, Post, al Kart., pag. 19 ; Korting^, N. 8080].
475 reime ' restituire ', propriam. 'redimere' [cfr. Flechia, Ardi.,
Vili, 383; Salvioni, Ardi., XII, 425; BEW., 7144].
476 rela ' panzana ', ' zacchera delle vesti ' (tor. kuiru), da
rotella?
Lessico piveronese 309
477 vésta ' sega ' : resici ' segare ', resieur ' segatore '.
478 riga, rige (al rigi) 'rughe' = 'righe' rigulae; ant. alto
ted. riga.
479 r'iorda ' seconda fienatura ', ' guaime ' ; cfr. quartarolo.
480 riva : da riva, frop da riva ' presso ', ' da presso ', ' vicino '.
481 roida 'comandata', sost., equivalente a un dipresso al
fr. corvée, con cui si connette anche etimologicamente, poiché
entrambi questi vocaboli metton capo al verso rogare 'do-
mandare ', ' esigere ', ' comandare '. Quanto a corvée = *c or-
rogata V. DiEz, IP, s. corvée [REW., 2255]. Il piem. roic?a
viene da un sostantivato *rogita, forma participiale di
rogare, assai frequente nel linguaggio medievale di cose
legali e amministrative ; e dinotava e dinota ancora una
specie di servizio obbligatorio prestato al signore, al co-
mune, ecc. Quanto all'evoluzione fonetica di roida da *rogita
cfr. ant. coìto, colo, coitoso da cogito-; vuoto, ant. ar. volto,
piem. void, voida da *vocitus, piaito, piato da pi a ci tu m,
arroto, arrota, arruoto, arruota da *arrogitus, arrogere;
e nel Ducange roitus per rogitus. Registrando il nome
roida da statuti saluzzesi, il Ducange aggiugne : " prò rheda
ni fallor „ riferendosi al gallico ré da ' currus ', che qui non
à proprio punto che fare, quantunque la nozione di ' carro ',
' veicolo ', ' vettura ' non possa dirsi estranea alla roida, con-
sistente anche in condutture, trasporti, ecc.
482 réd 'rovere', per ror (robur) : cfr. tirul, ecc.; monf. ru.
483 rua 'via', fr. rue, lat. ruga [cfr. REW., 7426].
484 rubi 'giallo': potrebbe venire anche da ruvido, ma più
probabilm. da rubeo, donde anche l'it. rebbio e ro^^/o|cfr.
REW., 7408].
485 riig, rikjd ' rutto ', ' ruttare ' : cfr. il com. e leventin. riiccà,
e V. Ascoli, Ardi., I, 205.
ino Giovanni Flechia,
486 rujà ' mestare ', ' rimescolare ' : rujà la pulenta ' limenare
la polenta': rotulare; ì'ója rotula.
487 ruitulase 'voltolarsi': piuttosto da rivoltolarsi che da
rotolarsi, stante la dentale (cfr. sopra rujà) [il monf. ar-
vitese (Ferraro, p. 14) e il biell. arvitulàse tolgono ogni dubbio
a cotesta etimologia].
488 rumià ' ruminare ' : cfr. monf. rime-, friul. bresc. crem. gali.
rumia, sp. port. prov. parm. e piac. rumiar, mod. arìuier, ecc.,
da rumi gare [cfr. Ardi., II, 7-8].
489 runkafo ' fiisaggine '. tor. runkajo. mil. runkafen (cfr. Ardi.,
XIV, 117]. Evonymns europaeus, del tipo *runcaggine. L'etimo
è incerto, ma la forma è latina (*runcago), come quella di
fusaggine che viene da fusus perché con questo legno si
fauno fusa ; cfr. anche il ted. Spindelbaum.
490 rìisjnn ' torsolo ', ' rosicchio ', tor. rusij.
4:91 fa ' già '.
492 sakaìià ' agitare ', ' scuotere '.
4:9'ò fabia "giovedì", pieni, gobia, j o v i a.
494 falerta ' lucertola ' : metatesi di Inserta come nel tor. [cfr.
Ardi., Ili, 160; v. anche Salvioni, J?om. ./cy^r., V. I, 136].
495 fé ' giuoco '.
496 SQ ' assai ', ' abbastanza '.
497 fein, feind, dar/einase ' digiuno ', s. e agg., ' digiunare ',
' sdigiunarsi '. Queste forme accennerebbero ad una riduzione
finale di jejiuno in *j è n o : se per aferesi o sincope, può
restare incerto; più verisimile forse la seconda (cfr. prov.
zeonar, fr. zeuner). Darfenaise da *d i s - j e j i u n i a r e (cfr.
genov. desaffiiìiase); non molto probabile un *de-re-jeju-
nare [cfr. ancora Flechia, Ardi., Vili, 348, s. desfafunao].
498 /emme ' gemere '.
Lessico pi veronese 311
4:99 /erbe 'luogo incolto', 'sterpeto', 'sodaglia', ecc. Risponde
normalissimamente a *g e r b i d o (cfr. cande= e sui dì d o
[e V. Arcìi., XIV, 115]). Gerbo, gcrbido, ferbo, ferbido, forme
medievali proprie dell'Italia superiore e segnatamente della
Lombardia e del Piemonte. Dial. gerb, Jerb, yerbi, yerbia,
ferbi. /erbe, ferbia agg. e sost., con forme derivate special-
mente in nomi locali propri d'oltre 60 luoghi, quali p. es.
Gerbo. Gerbido, Gerbino, Gerbona, Gerbone, Gerbosa, ecc., Zerbo,
Zerbaglio, Zerbone, Zerboso, ecc. [V. Dizion. geogr. post. d'Italia].
Noterò ancora come gerbii ' terreno incolto ' sia anche proprio
del siciliano e come il Pasqualino lo tragga dall'arabo gerba
' sterile ', sebben forse d'origine pedemontana. L'etimologia
può dirsi incerta, ma verisimilmente germanica, e il tipo la-
tino *g e r b i d 0 sarebbe di formazione romanza, come p. es.
ripido, sbianrido, muffido, emil, fbiavido {fbiaved, fbiavad,
fbiavod, fbiavd), piv. flave da *flavido (v. sopra), mil. flened
{ f legnido) 'i\g\\os,o\ ecc. Negli Statuti di Valle Anzasca e di
Intra: "in terris Zerbijs „ (terre incolte): v. Ascoli, Arch.,
I, 253 n.
bOO /neivre,Jneuro 'ginepro'; monf. fneiv, fneiver, juniperus.
501 fov 'giogo ' jugum (cfr. gen. fiivi, ni. it. Giovi), moni. /uve.
502 favo, fòvna ' giovane ', m. e f. ; cfr. ligure zuènu, zuma.
503 fud ' giocare ', ' scommettere '.
504 fune ' giunto ', ' congiunto ' : j u n e t u : mm funce ' mani
giunte ' ; fcf funca ' prestarsi la vacca ',
505 Jinikuli ' correggia, cinghia di cuoio che tiene attaccate le
corna dei buoi al giogo'; monf. fiinkre [v. Ferr., p. 129],
valtellin. jongola (v. Ascoli, Arch., I, 303) = *j u n e t u 1 a,
*Juncfla, *j u n e u 1 a, *j u n e 1 a, poi, per epentesi, ;w/jco/a.
[Nel dialetto di Albertville la voce mériva à lo stesso signi-
ticato).
506 funeg e f/ìug ' ginocchio ', tutti e due al plur. funigi ;
312 Giovanni Flechia,
fungun ' ginocchioni ' ; anfimgase (cfr. gen. infennugase) ' in-
ginocchiarsi '; anche anfungunase (propriam.*i«^mocc/iiowam),
anfunigte e anfungunte ' inginocchiati '.
507 salarili ' saliera '.
608 samnà ' seminare ' : sàmna o smelna ' semina ' ; sanine ' se-
mini '.
509 santarel ' passaggio ', ' valico ', propriara. sentieruolo.
510 sajyel ' chiudenda ', ' valico delle siepi ', ' callaja ' ; altrove
(mod. zapell, genov. sapellu) vale ' inciampo ', 'impigliamento'.
Circa l'etimo, v. Flechia, Ardi., Ili, 167-69.
511 saré ' chiudere ', ' serrare '.
512 saren ' ciglio '.
513 savà ' sciacquare '.
514 sausisa 'salsiccia'.
515 savei ' sapere '.
516 fbalkà ' finire ', ' cessare ', ' scemare ' ; cfr. mi), halka (Bion-
DELLi) [monf. barké, can. balkar, emil. balka, e v. Nigra,
Ardi.. XIV, 355].
517 fbardlà ' spargere ', ' sparpagliare ' : cfr. sjìalura.
bis fbarnd ' snidiare ', 'uscir del nido', tor. sfiirnié ^ *ex-
foris-nidare. Questo verbo con le sue derivazioni nomi-
nali (v., sotto, fbar7Ìeur) è pur proprio della Francia meri-
dionale, e il neoprovenzale ha eifournid, fournid [cfr, Romania,
I, 89]. Il piv. fbarnd ' uscir del nido ', per quanto singolare
nella sua evoluzione fonetica, non può non connettersi etimo-
logicamente col torinese e col neoprovenzale. — Vedi Ascoli,
Ardi., Ili, 90 n.
519 fbardeiir, fbarneura (tor. sfiìrniur, sfiirnioira). Dicesi di
uccello, che, già messe le penne, sta per uscire o può uscire
del nido. Risponde ad un ital. *sfornidatoJo [cfr. Arch., XIV,
113], dal verbo ^iv. fbarnd, tor, sfUrnié (v. sopra),
520 fbarnd 'spaventare' *ex-pavorare (cfr. it. are, spaurare).
Lessico piveronese 313
b2l fbilrdi 'sbigottire', 'sgomentare', 'impaurire'.
522 scera * vedere ' ; sceì' ' vedo ', tor. scairu.
523 skan ' sedile ', ' scanno ' : cfr. Arch., VIIT, 386.
524 skaravel ' gradino ' o ' pinolo ' della scala a pinoli.
525 skarun ' vomero ', ' coltro '.
526 scass ' spesso ', ' fitto ', ' compatto ' ; monf. scasse, genov.
scaiiu, mil. scassak, piac. scassag, pav. scassik, ant. lomb.
schiasseo [cfr. Nigra, Arch., XIV, 378].
527 skavià 'scarmigliare i capelli': scapigliare.
528 skivi 'schifo', 'schifiltà' = *skivio. Notevole il tipo
skivio, skifìo per l'it. 'schivo', 'schifo', proprio essenzial-
mente dei dialetti lomb. e pieni. : Bonvesin sgivio, sgivioso
(1. schi), Seifert, GL, p. 67 ; mil. skivi, sost. skivia, skiviett,
skivietta, skivio, skivios, skiviaria [v. Cherub., Voc. mil., s. vv.] ;
tor. skèfl, skèfius, skivié, monf. skive sost. Il tipo schifio è pur
del siciliano : schifìu, schifiari, schifìusii, schifignusu e schinfi-
gnusu. Quest'ultima forma ricorda lo schinfi Valenzano (Aless. :
Papanti, p. 751, 10), e vien pure a mente se anche qui non
si tratti d'elemento pedemontano. Circa l'origine germanica
v. Muratori, Diss., XXX, s. schifare, e Diez, P, s. schivare
[KoRTiNG, N. 3785].
529 skot ' bruscolo ', ' fuscello ' ; nel monf. scott ' spina delle
acacie ' [cfr. afr. escot, nfr. écot e v. Kòrting^, N. 8514].
530 skova ' scopa \
531 skrivfà ' graffiare ', ' lacerare ', ' sbrindellare '.
532 skuó ' scopare ' : scuci al nòs ' bacchiar le noci ' : scóva
■ scopa '.
533 skuat ' piccola scopa ', ' scopette ' ; plur. scuitt.
534 skum ' soffocare ', ' estinguere ', ad es. il fuoco. Aggett.
scmius.
535 skurfatd ' scoreggiare ', ' tirar delle coregge ' ; propriam.
*scoreggiattare.
314 Giovanni Flechia,
536 skutiun, pi. ' bordoni ', ' spuntoni delle penne degli uccelli ' ;
skutiun fiurl ' bordoni già bene spuntati '.
537 skiirs ' sorta di rettile ' ; cfr. skilrsé ' accorciare ', e v. Diez,
II, 129.
538 skiiarà 'scivolare', 'sdrucciolare' [cfr. Nigra, Arch.,
XIV, 379].
539 skuarenta ' sdrucciolo ', ' slitto ' : fa la skuarenta ' far lo
sdrucciolo ' : cfr. skuard.
540 skiteis ' pattume ', ' spazzatura ', *s e o p a t i e o.
541 skiiìca 'pollina'. Da un'antica radice germanica skit 'ca-
care ', donde più forme di nomi e verbi nei dialetti teuto-
nici fino all'odierno tedesco scheissen, scheisse (v. Fick, Vergi.
Wort., ecc., IIP, 336), donde anche più nomi e verbi dei dia-
letti dell'Italia superiore {skit, skita, sketa, skito, skiiita, skuitta,
sgit, sgita \ skitar, skuitta , sgitar, ecc.). Il piv. skui'ca veri-
similmente da *skuicla *skuit'la *skuitula. la
quale ultima forma verrebbe suffragata per es. dal berg.
bresc. com. skitula, ven. skitolar, monf, skitld, parm. skuitterà
(*s k u i 1 1 u 1 a r e), mant. mirand. skitna (*s k i t u 1 a. cfr.
pieni, lodna =: a 1 a u d u 1 a). Alla stessa radice gemi, mette
capo secondo il Diez, li, e. s. v. l'ant. fr. echiter ' mac-
chiare ', ' sporcare '. Cfr. ancora Schneller, Die romanische
Volksmund. in Sudtirol, 184, s. sghitar.
542 sei ' sete ' : cfr. rei ' rete '.
543 seja ' setola '.
544 seind ' salassare ', piem. sa7Ìé. Seine ' sanguini ' : notevole
V ei da ai per assimilazione come in keina da *kaina ' catena ' ;
cfr. fr. seigner.
545 seinia ' salasso ', cfr. piem. santa.
546 sele, selja ' liscio ', ' liscia ' : tor. soli, solja, mil. soli o soli,
gerì, sorju, da solidus [cfr. Ardi., XIV, 115]: all'o' lat. si
corrisponde nel piveronese con e e con o : v. Fonol.
Lessico piveronese 315
547 ségn ' ciglio '.
548 sene, senha ' cintura ', ' cintola ' : cfr. sirene.
549 sfajà ' stanco '.
550 /gara ' sgarrare ', ' sbagliare '.
551 /(jarbiUà ' frugare ', ' rimescolare '.
552 fgera ' sprecare ', ' sciupare '. tor. sgairé [genov. sgrejà :
cfr. Parodi, Giorn. Lig., XII, 250 ; Gius. Flechia, Postille al
gloss. mediev.-Ug. di Gr. Rossi, N. 5].
bb3 fgilrbia 'scalpello a doccia', 'sgorbia'.
554 slbbi, * subbio ' fischio ', ' sibilo ' (anche silbi [cfr. Areh.,
XIV, 115]).
555 silni o sirni ' cortile ove abitano più famiglie o persone '.
556 sivera ' specie di barella ', diversa da quella che in piem.
si dice baréla. Dal lat. cibaria: cfr. monf. sfeni. ìt.civaja,
sp. ciberà [v. REW., 1895] ; cfr. Diez, II, 257, s. civiére.
557 sivula ' cipolla ' ; cfr. piem. siula, genov. sioula e slvula, e
V. Arch., VIII, 338.
ùhS flave 'pallido', 'smorto', probabilmente da tipo in -ido,
*ex-lavido. Cfr. elavare, eluere 'lavando auferre ' ; it.
slavato, dilavato; ar. sci«/èec?o = *exalbidus, e sbiancido,
sbiancato [Il Salvioni, Rom. Jahresbericht, IV, i, 131 (contro
Parodi, Rom., XXVII. 234) postula *làvitus. V. ancora
Salvioni, Belcazer, pag. 968].
559 fleivrd ' lampeggiare ', ' balenare ', sinonimo di losnà.
bQO flengud 'liquefare', exliquare.
561 fleura ' aratro ', tor. sloira, pav. sloria, niil. siloria (e non
sciloira, come in tutte le edizioni del Diez, I, s. aratro e II,
s. siller, e quindi anche nelVIndex del Jarnik). Accennano
tutti colla speciale loro forma ad un prototipo *silatoria
che sarebbe nome significante propriamente lo stromento del
solcare, *solcatoJa (cfr. it. cesoja, strettoja, mangiafoja), e cosi
si renderebbe tanto pili probabile l'antica forma francese
316 Giovanni Flechia,
silloìre 0 silleoire congetturata dal Diez (s. aratro), analoga
ad écumoire, nageoire, ecc. [cfr. Diez, Et. tv., s. vv.].
562 fmorhe 'smorfioso', 'schizzinoso', 'delicato', da morbidus;
cfr. Ascoli, Arch., VII, 536, s. miervi.
563 fmune ' offrire ', ' esibire ', partic. pass, smos, stnost, smunti
(cfr. ant. gen. semoso [Arch., Vili, 389]) ; cfr. prov. e fr.
semondre da su mm onere [cfr. Tobler, Ugucon de Laodo, hi);
Ascoli. Arch., IV, 395] ; smoste ' esibite '.
564 fnaviase ' incamminarsi ', ' avviarsi ' *ex-in-adviare-se :
cfr. s. anave.
565 soja : voce colla quale si chiama una persona di cui s'ignora
il nome: cfr. mil. sòj. Il Ferraro (p. 110) registra il monf.
so;, soja collo stesso significato.
566 sora : sorasse 'sfogarsi': sorte 'sfogati', *ex-aurare,
tose, sdorare, sciorinare 'spiegare all'aria': cfr. Ascoli, Arch.,
I, 328, 9, 10 ; Mussafia, Beitr., 108, s. sorar, e Diez, Et. Wort.,
I, 366 [BEW., 2941].
567 sparangun ' laccio ', ' lacciuolo da prendere uccelli '. È pur
proprio del comasco. Verrebbe dall'a. a. ted. springa ' vincolo ';
' ceppo ' : V. Diez, II, 6, s. afr. esplinquer, dove è pur citato
il prov. esperenc.
568 sparfità ' osservare esplorando ', ' spiare '.
569 spatarà ' dispergere ', ' sparpagliare '.
570 spcà ' aspettare ', speca ' aspetta ' ; tor. speté, spela.
571 spia/ 'mallo della noce'.
572 spinga ' spilla ' = s p i e a : cfr. Ascoli, Arch., IV, 171 [e
NiGRA, Atrh., XIV, 298].
573 spuas 'sputo', propr. 'sputaccio', mil. sjjiias, -sa, ant. lomb.
spua/ar [cfr. Salvioni, Arch., XII, 433], ant. gen. spnazao
[Flechia, Arch., Vili, 392], nap. spotazza, sic. sputazza.
574 spungarola o spungola ' piccola spugna '.
Lessico piveronese 317
575 sputjiì 'molle', 'fangoso', *spoltigliuto, àa. 'putija 'poltiglia':
cfr. pòt ' poltiglia', ' pollentina '.
576 starcera, si dice della noce malescia: nuf staì'Cera =^ n u e e
*strictaria; lomb. nos strenca, parm. uosa stretta. È la
juglans regia fructu perduro de' botanici.
577 steiva ' manico dell'aratro ', ' stegola '. Nel dizionario del
Sant'Albino e del Ponza [e del Gavuzzi] si anno le due
forme stiva e steioa ; e cosi il tose, stiva e stegola.
578 stera ' stuoia \ tor. storia, It. s t o r e a.
579 sterne ' selciato ', tor. sterni, verisimilmente da s t e r n i o
(cfr. lectisternium, lectisterniator).
580 stibi 'tramezzo', 'assito', tor. stèbi ^*stìbìo. Nella parte
it. del voc. De las dos lenguas tose, y cast, di De las Casas ...
[il ms. non dice altro].
581 storfe ' torcere ', ' storcere ', partic. pass, sturfil.
582 stra ' sotterrare ', stera ' sotterra ' ; cfr. streur.
583 straia ' giacitelo ', ' fenile ' ; detto del fieno od anche della
paglia, riposti sotto la tettoia, considerati principalmente
come luogo dove una o pili persone (contadini o poveri) vanno
a dormire. Questo vocabolo riverrebbe, secondo me, per evo-
luzione, foneticamente normale, a *s t r a t a 1 i a, collettivo
del lat. strato, ' giacitoio ', ' dormitorio '. Sarebbe dalla
stessa radice donde l'it. strame col significato di ' letto ',
' luogo dove giacere '.
584 strassuà ' sudare ', ' sudato ', propriam. ' strasudare ' ; ma
sildór ; tor. strassué.
585 stravakà ' rovesciare' : cfr. Flechia, Arch., Ili, 149 [e Pa-
rodi, Rom., XXVII, 201].
586 streur ' becchino ', sotterratore.
587 striasa 'averla', propriam. 'stregacela': cfr. monf. e genov.
stria ' strega'. Pesto : ' lamias, quas gallica lingua strias dicunt'.
318 Giovanni Flechia,
588 strufa 'logorare', 'rompere', 'segare': strufun 'guasta-
mestieri '.
589 strunà e struhà 'rintronare', 'assordare'; tor. ^stnini".
590 strunpd ' recidere ', ' discerpere ', ' troncare '.
591 stiibia 'stoppia', stipula.
592 stiljà ' nettare ', ' pulire '. Notevole questo verbo proprio
del piv. e di alcune varietà biellesi e canavesane, più note-
vole in quanto è anche proprio, collo stesso significato, del na-
politano {stojaré) e del siciliano [stujari). Nel Voc. sic. etim. ecc.
del Pasqualino sono proposti come etimi di questo verbo lo
spagnuolo estrusar 'spremere" o il lat. ex tergere. Quanto
a me. non dubito di vedervi il verbo neolatino studiare,
donde normalmente l'evoluzione fonetica come nel nap. rajare,
sic. rajari da radiare, nel canav. an Vreja da in E p o-
r e d i a. Quanto al processo logico, come da cura r e, e x-
curare, vennero ai dialetti i verbi significanti ' nettare ',
' pulire ', ■ nettare strofinando ', ecc. [v. Arch., Ili, 137], cosi
da studiare derivaronsi con analoga significazione le ci-
tate forme nap., sic. e pieni. [Già nel lat. curare valeva
'nettare', 'pulire'. Cosi leggiamo in Plauto {Cist., II, 115):
"Cura te amabo, siccine immunda, obsecro, ibis? „ 'di
grazia, nettati, pulisciti '.
598 standa [il ms. ha qui una lacuna].
594 su, voce con cui si disperge o metto in fuga il pollame :
monf., id.
595 suat ' poltiglia ' : s u g h e 1 1 o.
596 silbri ' bigoncia ', ' mastello ' : varietà piem. sèbe?', suber,
mil. ziber, gen. sebbru, pav. sebar, trent. zever | cfr. Schneller,
Bie rom. Volksm., 131, s. cever, zever ecc.]. Questo vocabolo,
|)roprio di dialetti dell'Italia superiore, specialmente lomb. e
piem., viene dal germ. (aated. ziiibar, oggi ted. zuber, ingl.
fub, ecc.). Nel piem. sebré, siibré 'mastellaio'; indi il co-
Lessico piveronese 319
gnome Sobrero. Nei documenti medievali cevro, zivro, civrio.
Negli Statuta civitatis Montisregalensis (Mont., 1570, p. 313)
si legge: "prò quolibet tinello, cibrio et situla magna,.
Notevole la fortuita coincidenza etimologica del primo membro
dei due composti su- ber e bi-goncia. Il germanico znibar, zuber,
ricostruito a forma indoeuropea, metterebbe capo a dyii-bhoro,
gr. ói-g)OQo, lat. b i - f e r : e bi-goncia viene da b i - e o n g i o ;
e il cognome Sobrero, venuto normalmente al latino per an-
tico canale italico, sonerebbe *biferario. Vedi inoltre Lorck,
o}). cit., p. 55.
597 Sili ' accetta ' s e e u r e.
598 Stila, ni.
599 sìdat ' accetta ' ; dimin. di siìl.
600 siuita ' bovina ' ; cfr. fr. fiente, bi'esc. e gen. sola, tor. biifa.
601 supartilra ' funerale ', propr. sepoltura.
602 superbe, da superbio : canibe ' cambio ', armare, armario [e
v. Flechia, Ardi., XIV, 115].
603 supiatà e supiatund ' zoppicare ', propr. *zoppettare, *zop-
pettonare.
604 suì'asse, v. sera.
605 surti ' uscire ', come in generale negli odierni dialetti set-
tentrionali.
606 siistà 'raspolare', 'appetire', 'far lappa lappa': tor. silsné,
sic. susfari [cfr. Flechia, Ardi., XV, 393; Salvioni, Post, al
Kort., 21: KoRTING^ N. 9297].
607 silstun 'ghiotto', tose, 'lembrugio'; tor. susnun, nap. su-
stante,'sìc. sustussu : v. siistà.
608 silstunà 'appetire', tose. ' lembrugiare '; v. susta e silstun.
609 siì'J'iija ' cicigna ', lat. e a e e i 1 i a [cfr. Nigra, Canti pop.
del Fiem.; cfr. ciìfija, valbross. safiilja, e v. Flechia, Ardi.,
XIV, 114. NiGRA, XIV, 271-2; Salvioni, Rom. Jahr., V, i, 132J.
610 fvertid, svartid ' ripiegare ', exverticare.
320 Giovanni Flechia,
611 tarane 'ragnatela' [cfr. ant, gen, taraghà, neogen. tana, e
V, G. Rossi, Gloss. med.-liy., p. 127; Gius. Flechia, Postille
al gloss. del Rossi, N. 99J, torin. rarìd.
612 tarsarel ' terzo fieno ' : cfr. riorda.
613 far/loia ' specie di allodola '. Risponde anche di significato
alla terraneola della XXXI^ delle Novae fahulae di Fedro,
pubblicate nel 1811 dal nap. C. Jannelli secondo il Codice
Perottino :
avis quam dicimt terraneo la m rustici
in terra nidum quia componit scilicet.
A questa terraneola si risponde pur sempre col senso
d' 'allodola' dal terragnolo barese e pugliese, taragnola lec-
cese, tarragnola umbrico, tartìola, tèrhola, trènola, trinola ca-
navesano; e l'alto piemontese à tararla per l'alauda arborea
degli ornitologi. Questi echi vernacolari di t^e r r a n e o 1 a,
propri delle varie parti d'Italia, ben possono affermare un'alta
romanità del vocabolo latino e insieme col secondo dei due
versi sopracitati far del tutto contro la variante terantula
del Codice Vaticano (cfr. Mai. CI. anct., t. 3, p. 300). Il piem.
^ara/ia := *t e r r a n e a ci darebbe il primitivo di terra-
neola rappresentato con diverso significato dall' it. terrana
e ad ogni modo suffragato morfologicamente da center-
r a n e u s, m e d i t e r r a n e u s, s u b t e r r a n e u s.
614 teja ' baccello ' da t h e e a [cfr. bi(teja = a p o t h e e a]. Nel
ven. mant. com. tega, emil. tega e teiga che il Biondelli con-
nette con t e g e r e e col ted. decken ' coprire ' e il Monti
con tegmen. Non popolare l'origine del mil. tekka 'reli-
quiario'. Da theca verrebbe ancora [v. Diez e Littrè
(KoRTiNG^, N. 9512)] il fr. taie 'fodera del guanciale'; e il
gen. con teiga à destegà ' sbaccellare '.
Lessico piveronese 321
615 teppa ' zolla erbosa ', ' piota ' : cfr. sp. tepe, com. tepa, corso
teppa, tipponi.
616 tertifola 'patata': cfr. tartufo terrae-tuber; il piem.
proprio à trifola ' tartufo ', tartifia ' patata ' [notevole il chia-
varese (Ligure orientale) triifia ' patata ', trilfina ' patatina ' ;
tifra Albert ville].
617 tnebri ' raganelle '. . . ; lucchese tenebrone ' il giorno delle
tenebre ' ?.
618 tneja ' tanaceto ', ' atanasia ' (tanacetum vulgare
de' bot.), tor. tnea, volg. tose, daneta.
619 inesca 'bagolaro' (e e 1 1 i s a u s t r a 1 i s), tor. tanèsca.
620 tolat ' stagnaio '.
621 topia ' pergola ', ' pergolato '.
622 Tupièl e Tnpièi (plur.) ni. ant ij Tnpièi.
623 torna ' di nuovo ' : a piov fa torna ' piove già di nuovo ' :
pur proprio dell'alto Piemonte e del genovese.
624 tra, fem., ' spago '.
625 ^m/wq/' tramaglio', 'tremaglio', rmX.tremagg {ge.n. trémagi),
perché pel mil. ' maglia ' suona magga.
626 trampà ' sfreddare ' (temperare ?).
627 travess ' traverso ' : cfr. pésse ' persico ' : cosi trauscì ' tra-
versare ', transa ' traversa '.
628 traun'à 'inghiottito', da traimele, travonde 'inghiottire',
t r a n s f u n d e r e ? ant. lomb. traonne [cfr. Salvioni, Arch.,
XII, 437]. Cfr. monf. travus coll'ant. gen. travoso: v. Flechia,
Arch., Vili, 399. Piv. trawunuji ' inghiottitole ', ij u trawunuji
' le ò inghiottitole '.
629 trèbiil ' torbido ' : cfr. mil. tórber, nap. trurolo, friul. turgul,
beli, targala, dialetti veneti turvolo [cfr. Ascoli, Ardi., I, ind.
less., s. tiirbnlo].
630 trèmme 'tremare', lat. tremore: cfr. prov. cremer, fr.
craindre.
322 Giovanni Fleehia,
631 trètte 'pillacchere', tor. fèrie.
632 triat e triétta ' mezzaluna ', sin. di ciapUleura.
633 triés ' tritarne ', ' minutaglia ', t r i t i e e i o.
634 trincat e trincetta ' roncolo ', ' roncoletto '.
635 f riunì, sinon. di triés, prop. t r i t u ni e.
636 tre [tró) ' truogo ', che nel toscano assunse anche la forma
sdrucciola del dimin.: truogolo: cfr. stegola, heggioìa, ecc.
637 trusa ' fascio di erba ', ' fagotto di biancheria ', ecc.
638 ti'ic' 'tutto': v. Fono), e cfr. Storm, Voy. at., p. 61.
639 ttiméra ' tomaio '.
640 turni ' caciuole ' |v. Arch., XIV, 114 1. Cfr. Diez, s. for-
maggio [e NiGRA, Arch., XIV, 289].
641 tup ' oscuro ', ' bujo '.
642 turceur 'imbuto', gen.tm'faio, bresc. tortarol, ecc. [v. Nigra,
Arch., XV, II, 97, e Bertoni, Le denominazioni dell' ' imbuto '].
643 ua/a ' gleba ' : cfr. Diez, s. gazon.
644 i\(j<t ' ago ' a e u e u 1 a.
645 ilgà ' agugliata ', ' gugliata ', genov. aguggà.
646 ìlgon 'grosso ago': cfr. iljon.
647 iljnn ' aguglione ' : l'uno e l'altro da a e u 1 e o n e : cfr. Fle-
CHiA, Riv. di fil. class., I, 385 e seg. ; Arch. glott., Ili, 167.
648 umhreng ' ombroso ', detto di cavallo o vacca.
649 upi ' oppio ', opulus ; v. Fonol.
650 ural 'uragano', 'bufera': da aura: cfr. piem. oms, orme,
or issi (Ponza, Gavuzzi) a u r i e i o ; fr. orage; Bonvesin orada;
cfr. Seifert, Gloss. zu den Gedichten des Bonv. da Riva, p. 52.
651 tirsi/ u ' rosolia ', da tipo che nel latino sarebbe *russigine.
Cfr. sic. russaina o riissania (come vurrania e vurraina da
b o r r a g i n e), gen. russaffe od anche russa/fine da *r u s-
sagine [cfr. monf. rusafu, arsafu, Ferraro, p, 113].
652 urtidse ' orti carsi '.
Lessico piveronese 323
653 urtU ' luppolo ', tor. liivertin, pann. avertis {eh. Crescenzio,
voi. 3°, p. 357). [Vedasi ora, a proposito dei vari nomi neo-
latini del ' luppolo ', Salvioni, Romania, XXXI, 555-58].
654 urtiun ' cercine ' = rer^mw : cfr. il ni. f/rZm^ = Verolengo.
655 urubi ' grosso succhiello '. Questa forma è anche propria di
dialetti contermini, massime biellesi, e verisimilmente con-
nessa d'etimo cogli equivalenti lomb. oeropol (valtellin.), ve-
robi (vai Vergasca), sgarobi (com.). Le due prime forme fanno
naturalmente pensare all'it. verrina (gen. verina), 'trivello',
che il DiEZ (P, 442) connette con molta probabilità col lat.
V e r u, propr. ' spiedo ', quindi a ogni modo ' strumento per
forare' (infiggendo, trapassando). Or come da veru me-
diante il suff. second. -ina ne sarebbe venuto verrina (cfr.
DiEZ, ivi), cosi per analogia del suff. primario -buio, quale
appunto nei nomi di strumento v e n a b u 1 u m, fibula,
s u b u 1 a, i n s u b u 1 u m, ne venne pure foggiato per suf-
fisso secondario il nome *v e r u b u 1 o, donde come in forma
toscana ne sarebbe potuto risultare *verubbio (cfr. v. gr.
pabbio, stabbio, subbio, nebbia, sabbia), cosi nei dialetti del-
l'Italia superiore ne dovrebbe risultare verubi, verobi. Da
*verubi il piveronese urubi come da vertiim, urtiun, da Vero-
lengo il piem. Urleng. Il v e r r u b i u s (' terebrum ', ' in-
strumentum') di Papias non può essere che una sua latiniz-
zazione del lomb. verubi (cfr. Mussafia, Beitr. z. Kunde der
nord-it. Mund., p. 119 ; Ascoli, Studi crit., II, 503 n.). Vedi
inoltre Lorch, op. cit., p. 42.
656 urfel ' orzajuolo ' h o r d e o 1 o, mil. or/di, arfòl, sardo ar-
zolu, piem. urfeul. " urzel urzel — ven gross cm' in curbel „,
dice una canzonetta popolare.
657 ufel ' uccello ', uflat ' uccelletto '.
658 uslat, V. usel.
659 utubri ' ottobre '. Noto questa forma per osservare come
Archivio glottol. ital., XVm. 21
824 Giovanni Flechia,
qui la pura ragion fonetica abbia operai. > senza die quosto
nome siasi menomamente risentito dell' attrazione analogica
che poteva subire per effetto degli altri tre nomi morfologi-
camente identici stembre, nuvemhre, dfembre. Cfr. l'ant. fr. oc-
tembre.
660 vadrana ' sorta di erba ' v i t a n e a ?
661 vai ' vaglio ' v a 1 1 u s.
662 vaia 'vagliare', v. vai e cf. Mussafia, Beitr., 117.
663 Valfanna, ni. valligiana o *Vaìgiana da Valgius? cfr.
tose. Valgiano.
664 vantajina ' ventaglio '.
665 vargun ' bastone '.
666 varlera 'bastonata', 'bussa': de die varlere 'dar delle botte'.
667 Vaì'tiei, ni. da verna ' ontano ' *v e r n e t u m; v. verna.
668 va/il), va/iva, va/iva ' vuoto ' , ' vuota ' , ' votare ' ^ v a-
ci V u s : cfr. lo sp. e port. vasio, sp. vasiar, port. vasar; Diez,
II b, s. vasio; e il vald. odierno va/iva ' vuota di latte ', detto
della pecora [cfr. Morosi, Arch., XI, 346; v. ancora Kòrting^,
N. 9949].
669 vei 'vero': l'è oei 'è vero': a l'è nin vei 'non è vero'.
670 veina ' vena ' e ' avena '.
671 veira 'ghiera', ' viera ' v ì r i a, mil. v'era; virola, nap. ve-
roletta, campob. varuletta [cfr. D'Ovidio, Ardi., IV, 157).
672 veirole e virole ' vainolo ' : cfr. Ascoli, Ardi., 1, 50.
673 vei ' vitello ' = *ve{d)el [cf. Nigra, Arch., XIV, 367].
674 verna ' ontano '. Nome di origine celtica : v. Flechia, Arch.,
II, 367; Nomi loc. d'it., ecc., p. 22-23. Vivissimo in tutto il
Piemonte, mentre nel vicino biellese auna, gen. dna, fr. aune,
lat. alnus.
675 vess ' rumore ', propriam. ' verso '.
Lessico piveronese 325
676 vgard ' vecchiaia ' = *vetulariata *vecchiajata : cfr. ve-
gliardo = vetulario, vecchiaia vetularia.
677 viera ' filare di viti ' v i t a r i a : cfr. vrera.
678 viag ' volta ' : 'n viag ' una volta ' : ' viaggio ' per ' volta '
è pur proprio del toscano, di alcune varietà napolitane, del
romaico delle province meridionali, dei contadini lombardi, di
alcuni luoghi del Piemonte, ecc. [V. Flechia, Rivista di filol.
class., 1873, p. 389. Nella Liguria è proprio dei dialetti di
vai Polcevera].
679 viaga ' presto ', propriam. ' viaggia ' imperat.
680 viai'd (a) 'presto', 'subito', 'in fretta '. Neil' Alione (ediz.
mil,, 1865), p. 265: ' ven a vieird'. Nel biellese viarése 'in-
camminarsi ' : kmensa a viaréte equivale al piv, cumensa a sna-
vidte. — Cfr. Mussafia, Monmn., p. 122, s. via/amento. Anche
anviarase nel piv.
681 vijì-él, vijrei (da vejr - vair v a r i o 1 o) ' grillo ' (specie di)
che canta la sera e la notte in agosto e settembre quando
l'uva comincia a saracinare e si matura ; forse così detto dal
vOjare o vajolare (variolare) che fa l'uva, indicato dal suo
canto.
682 vira ' volta '.
683 vira ' girare ', ' volgere ', ' voltare '.
684 viruja ' calza priva della soletta '.
685 virulin ' fusaiuolo ', da virare ' girare ' : lat. vorticillus.
686 oifdsse ' ricordarsi ' : cfr, friul. visassi.
687 vito ' presto ', anche biell. (fa vitto), gen. fUu, fr. vite [cfr.
KoRTiNG% N. 10234].
688 vivi, vivia, vivido, vivida, ' vivace '. L'it. vivido e della
lingua letteraria; indi probabilmente all'italiano la mancanza
dell'astratto vividezza che potrebbe tuttavia adoperarsi al par
di vivido qual voce letteraria, come p. es. ' la vividezza dei
fiori ', ad analogia di morbidezza, pallidezza, ecc.
326 Giovanni Flechia,
689 vni e ni ' venire '.
690 voj, voja ' vuoto ' : vujà ' votare '.
691 vole 'volo', tor. voli, dal lat. *v o 1 i t u s. Il vocab. ital, à
due antichi esempì di volito e il sardo ha bólidu. Il Tramater
cava l'it. volito da volitare; più verisimilmente da v o-
I a r e come spiritus da spirare, anhelitus da
a n h e 1 a r e, lascito da lasciare, lievito da levare.
692 vrera ' impannata ' : da *v i t r a r i a, propr. vetraja ' inve-
triata ', ma oggi ' impannata ', per essere al vetro succeduto
panno, tela o carta [cfr. Nigra, Arch., XIV, 282]. Vopisco
ha nel suo ' Promptuarium ' : " ver èra, fenestra chartacea „.
693 vriia ' ruca ', ' eruca '.
694 waka * vacca '.
695 wacd ' guaitare ', ' guatare ' [cfr. Nigra, Arch., XIV, 384].
696 wero ' guari ', ' non molto ', aated. weigaro [cfr. Korting^,
N. 10372]. V. Arch., VIII, 358, s. guairi.
697 wamja * zia ', da *amea, lomb. ameda, lat. a m i t a, con pro-
tesi di w, mentre il palazzese ha amia. Cfr. Mussafia, Beitr.,
s. ameda. Il piemontese magna potrebb'essere dal lat. [amita]
magna, sorella del nonno. V. Forcell. s. amita. [Il Sal-
vioNi, per contro {Arch., XIV, 480) spiega màtia come pro-
cedente da mamja e il piveronese wamja da *vamja = *mamja.
V, ancora Salvioni, Rom. Jahresb., IV, I, 132].
698 walba (non valba) ' tratto di terreno '.
699 wand ' guadagnare ' : cfr. fr. gagner : ant. alt. ted. tvei-
denen.
700 wantér, wantéra ' volentieri '. Cfr. Storm, Voy. at., p. 56.
701 wardà ' guardare ' [cfr. Nigra, Arch., XIV, 384].
702 wari * guarire ' [cfr. Nigra, Arch., XIV, 384].
703 warnà ' custodire ', ' conservare ' ; piem. guerné, prop. ' go-
vernare '.
Lessico piveronese 327
704 warni ' guernire ', germ. warnjan [v. Korting^, N. 10357].
705 warnijon ' guarnigione ', v. warni.
706 wastà 'guastare',
707 wata, watin ' corpetto ' (ora korp) : nel biellese qualsiasi
' giubba '.
708 ivatula 'gleba', monf. natarun [Ferraro, p. 121]: di qui
watulà ' gettare la gleba '.
709 werg ' storto ' e ' guercio ' : werge, verfia, verfije. Le forme
piveronesi accennano a tipo in -io, al quale accennano pure
guercio, guerzo, ecc. [cfr. Nigra, XIV, 384].
710 wev, weva 'vedovo', 'vedova': cfr. Mussafia, Mon., 121,
s, véva.
711 windul 'arcolaio' [cfr. Nigra, Arch., XIV, 384].
712 wisca 'verga', 'sferza' =*viscla, *viscula (cfr. Ascoli,
Arch., I, 284 n., 356; Mussafia, Beitr., 121); [cfr. ora Nigra,
Arch., XIV, 383-4].
328 Angelico Prati,
ETIMOLOGIE E APPUNTI VARI
angondra (veron.), ingonàra (padov. e venez. del contado), an-
gonàda (Roncegno, Borgo [valsug.], nònes) ecc. ' gugliata ',
Nel V. XVIl p. 393 di C{\xesi' Archivio connettevo queste ed
altre forme corrispondenti con un *ac6ne, termine che è però
superfluo, poiché la desinenza -onàta trova riscontro nei valsug.
balonàa ' sassata ' (cfr. balg'to ' sasso, pietra, ciottolo ') e pikonàa
'picconata', da, piko.
In quanto poi all'i- di ingonàra si confronti il valsug., poles.
ingg'éa <Iangùstia, vicent. ingordre, poles. ingurdre, ingùrjo
(cfr. veron. angurdr, trent. angilrdr).
babilg'li (a-) o babilg'jo (a-) (trent.).
E questa una voce equivalente a baiilg'jo (a-) ecc., di cui ò
parlato a p. 396 del v. XVII di questo Archivio. Per la con-
servazione del -li cfr. il nònes olik^'li, cui si accenna nella Pro
Cultura II p. 383.
bakdre (padov.) 'boccheggiare' (di chi è vicino a morire);
bakagàre (poles.) ' sbaccaneggiare; cornacchiare ', bakagq'n 'ur-
lone '.
Cfr. le voci valsuganotte citate a p. 395-396 del v. XVIL
baldrigo (Lévico, trent.) ' roventino '.
Etimologie e Appunti vari 329
È il veron. hrigdldo, rover. brigàlt ecc. (Schneller Die roìttr.
Voìksmund. p. 123, 221), con scambio reciproco degli elementi,
implicante pur la vocale accentata, scambio aiutato o determi-
nato forse dalla voce haldonàz (trent.) (valsug. baldo'n, padov,,
venez. baldo n o baldQ'n).
boeékdr (valsug.) ' parlare in fretta o male, in modo da non essere
intesi, biascicare', boééko (valsug.) 'chi boééka, biascione': im-
boescare (pavano) ' parlare o scrivere in modo da non essere
intesi '.
Magagnò nel suo proemio scrive:
Mi mo, eh' a son Pavan,
No sera ve na bestia, s' a lagasse
Questa mia lenyua, o che la stramuasse?
Che me vai se a parlasse
Miegio del mondo, e che a no sea intendù
In quela Vila donde a son nassìi?
L'è con dise quelli,
Fa con' gì altri, s'te no viiò falare,
E laga ai Pulitani imboescare.
Il Pasqualigo La lingua rust. padov. ecc.^ p. 25 osserva che
questi Pulitani che s'imboscavano erano gli umanisti napoletani,
Giovanni Fontano, il Sannazaro ed altri, le cui opere latine veni-
vano stampate a Venezia e che, mentre erano la delizia dei let-
terati, rimanevano oscure ed impenetrabili al popolo, il quale
parlava unicamente il suo dialetto.
Il Pasqualigo, col tradurre imboescare con ' imboscarsi ', di-
mostra di non aver compreso la natura e il significato di tal
verbo, che trova invece la sua spiegazione nelle due voci val-
suganotte addotte sopra. La base pare ne sia b^' ' bue ' e la.
330 Angelico Prati,
formazione fu probabilmente determinata dai sinonimi todééko,
todeékàr o todeékàr su (valsug.) (poles. intodeskàre) ^
broéga (valsug., padov., venez.) ' vilucchio ' ^ ; roéga (poles.)
' piselli ; vilucchio ' ; orde'ga (poles.) ' piselli ' ; erhjg'ni (padov.)
* piselli '; ruvigdre (padov.) ' involgere, abbatuffolare ' ; r. intorno
* aggraticciare, avviticchiare ' ; ruvigo {de rq'hà), ruvigg'io ' vi-
luppo, batuffolo ' ; ruvigo'la de filo ' grovigliolo ', ruvigo lo ' ba-
tuflfoletto'; ruvigo n ' ciarpone '.
Per un mio sbaglio è comparso a p. 424 del v. XVII di questo
Archivio il padov. inroegdre, inroegdrse. inroegiare, inroegiarse; e
forma del padovano d'un tempo (v. Ruzante SproUco) e il pa-
dovano odierno à invece le forme sopra citate. Il De Toni
L'Ateneo Ven. a. XXVII v. I p. 358, già prima di me, aveva
fatto notare la parentela di roégia (forma ch'egli cita come pa-
dovana) e di broégia (il Patriarchi à broeia; v. pure broeggia
nel Vocab. ital.) con ruvigiare (non ruvigiar, com'egli scrive) e
con ruhiglia da e r v T 1 i a 3. Il Meyer-Lìjbke R. E. W. 3792 trae
al contrario il tose, groviglia (non grooigliol), grovigliolo (non gro-
* intoescare anche presso Ruzante (Wendriner, Die paduan. Mund. bei
Ruzante Breslau 1889 p. 45 N. 86).
0 si tratterà invece di un toesco, {in)toescar{e) dell'antico veneto, in cui si
sia introdotto bg"i Non sarà poi facile supporre che le voci in parola deri-
vino dai Boji, il popolo celtico della valle del Po, che, accanto ai Lingones,
era prossimo ai Veneti, pei quali il linguaggio dei Boi doveva essere incom-
prensibile. Si dovrebbe qui partire da -iscus, suffisso diverso da quello
di todf'sko ecc. (Meyer-Lììbke, Rom. Gramm. II § 520).
^ Nella Storia di Bassano di Ottone Bkentari (Bassano 1884) p. 292, 293
si legge che la Contrada Zudii di quella città un tempo (dal secolo XIII)
era detta Contrada Cagabroegia (cfr. per simili nomi R. de D. R. V p. 115,
122, 129 e le citazioni ivi fatte).
^ Il Bokrio riporta rovigiòla ' grovigliola ' quale voce usata nel contado
verso Pàdova, rovigiolà ' aggrovigliato ', rovigiòn ' ciarpone '.
Etimologie e Appunti vari 331
viglinolo, com'à egli!!) da un *g 1 o b i 1 i a, ma, dopo quanto ò
esposto neW'A. G. I. XVII p. 423-425, non sarà da insistere contro
una tale etimologia. Ricordo invece, a maggior conferma della
base e r V T 1 i a, la forma toscana gruiglio, che il Pieri A. G. I.
Suppl. V p. 86 riporta allato ad orhiglio.
In testa a quest'articolo ò notato le varie forme venete con-
tinuatrici di e r v T 1 i a, qualcuna delle quali richiede due tre
parole di spiegazione, broéga procede verisimilmente da *orb^' ya,
con scambio degli elementi, e da *rodéga (con d inserito) (cfr. il
moden. rudéa) procede il poles. ordéga. Il padov, erhjo'ni è sin-
golare per la riduzione I j > j, con dileguo poi di questo. Che
sia voce capitata dal di fuori? (cfr. milan. erhJQn).
Bidcintg'ro (term. stor.) ' nave maestosa di Venezia destinata
allo sposalizio annuale del mare '.
A proposito di questo nome, che un tempo s'usò anche scri-
vere Buccintoro e su cui v. Luzzatto 1 dial. di Veti, e Pad.
Pàdova 1892 N. 105, E. Musatti Guida stor. di Yen. Ili ediz.
Milano 1912 p. 35 n. 1 noto che in un documento stipulato
a Pàdova nel 1194 è nominato un bucentaurus index {Arch. Ven.
XX p. 323). Per altre attestazioni antiche della stessa voce
v. Gloria Cod. Dipi. Pad. II p. CVIII, CIX.
endérno (trent.) ' inutilmente '.
Tale voce, da me udita nel contado dì Trento e precisamente
in Camp Trentim, viveva un tempo, come si sa, nella Lombardia
(v. Ettmayer Rom. Forscìi. XIII p. 389 n. 2) e a Genova
{indérnu [Parodi A. G. I. XVI p. 108]), oltre che nella Toscana,
nella forma indarno. Il De Gregorio, proponendo un etimo nuovo
per indarno, su cui v. Ascoli A. G. I. XII p. 135-136, scrive
che questa parola non à riflessi negli altri dialetti italiani e
la considera infatti come propria del toscano {Romania XLI
p. 373-374)!
332 Angelico Prati,
feràr la épg'/'a (trent.), nferàr la épo'/'a (valsug.) ' comprarle
gli ori, le gioie, ingioiarla'; nferàr ago àio (valsug.) 'festeggiare
il ferragosto '.
Da *f e r i a r e ' festeggiare ' (cfr. f e r i a r i e ital, ant. fe-
riaré).
gravatelo (Pieve, tasino) ' slittino ferrato per scivolare sul
ghiaccio ' (e v. A. G. I. XVII p. 434-435).
Ritorno su questa voce, della quale fo cenno ivi, per chiedere
se essa non sia della famiglia medesima del poschiav. gràt o
grami ' barella ', valtel. garovat ' corba grande da trasportar
concime su carretta ', engad. girtùn e gratùn ' carro da concime
a due ruote ' (Salvioni Tìendic. d. B. Ist. Lomh. s. II v. XXXIX
p. 511).
gjarnic (nònes) (a Còredo graniz), graniz o greniz (trent.) ' fi-
liggine ', engrenizàr, engranizdr o negrizar ' lordar di filiggine o
di carbone; annerire; imbrattare, insudiciare, tingere; sparlare,
calunniare '.
Per l'etimo il Battisti Die Nonsb. Mund. p. 79 (ove sta
scritto gjàrnlc, mentre a p. 99 c'è gamie, come nell'indice) ri-
manda al Salvioni A. G. I. XVI p. 435, ma a p. 99 ammette
quale base nigru con metatesi sillabica. Questo infatti è
Tetimo preferibile; gjarnic ecc. corrisponde quindi al tose, ne-
riccio e non andrà posto assieme colle voci lombarde, delle quali
ragiona il Salvioni nel 1. e. (s. calèna).
kampanjél (venez.) ' campanile '.
Il R. E. W. 1556 rimanda per la spiegazione di questa forma
al MussAFiA Beitrag p. 41 e al Salvioni A. G. I. XVI p. 304 n.,
il quale propone quale base un collettivo *cam})anédo, -da. L'as-
senza però della vocale finale in kampanjél ci avverte dell'in-
Etimologie e Appunti vari 333
fluenza di kampanU, come rilevò già il Luzzatto I dial. di Ven.
e Pad. Pàdova 1892 N. 16 (cfr. invece kampjélo [v. A. G. I.
XVII p. 501 N. 1563] e tabarjélo [\it)Òs^icb. Studi sul dial.triest.
N. 6]). Il ViDÒssiCH (ivi) pensava all'innesto di -elio su -ile
(v. anche le Aggiunte e correzioni ai suoi Studi e Parodi A. G. I,
XVI p. 354).
kato'co (venez.) ' prigione ' ; katg'ca (gergo solandro) ' chiesa ',
katocg'n, -a ' pinzochere, -a ' (Battisti Atti d. I. R. Accad. Rover,
d. Ag. s. IV V. II p. 310).
È parola scherzevole, che va unita alle altre affini, delle quali
tratta il Salvioni nella Romania XXXIX p. 451-452 ^
kro'noìo (padov.) ' bernòccolo ' (dicesi di ciò che rilevi alquanto
sulla superficie di qualunque cosa) ; krg'nolo de pan ' orlicelo '
(l'estremità del pane) ; krónol (plur. kró'iioj) (rover.) ' pugno ',
kronolàr ' dar pugni '.
Il BoÈRio, s. crògnolo, la dice voce del contado verso Pàdova
e la fa equivalere a gnoco * bernoccolo '. Il De Toni invece, os-
servando erroneamente che crògnolo non è registrato dal Boèrio,
lo traduce con ' còrniòlo ' ed aggiunge che per l'analogia coi
frutti passò a indicare la sporgenza dell'articolazione ossea della
mano tra il metacarpo e le dita, che si rende visibile stringendo
il pugno {L'Ateneo Ven. a. XXVII v. I p. 337).
In prima è da pensare che crògnolo in quanto dica ' còrniòlo '
non sia affatto una voce reale, ma solo supposta dal De Toni.
Infatti se le sporgenze della mano accennate traessero il nome
dal frutto del corniolo, il nome sonerebbe *krg'nola, cioè dovrebbe
entrar in campo il nome del frutto, non dell'albero!! E poi si
' 11 trentino à invece ko'tega * gattabuia, prigione ', il roveretano ArtJ^reya
(V. AzZOLINl).
334 Angelico Prati,
sa che i vernacoli veneti anno invece kg mola (veron. korndla)
(v. R. de D. R. V p. 90 n., 139), Nel polesano v'è kroìióla, ma
per indicare la ciliegia corniola, mentre il corniolo è detto kor-
nolaro, come nel padovano, e con kornàle si indica il suo legno.
Neppure è a ritenere che krg'nolo risalga a e o r n e u ' fatto a
corno ' (cfr. R. E. W. 2235 a).
Molto probabile è al contrario che krq'nolo proceda da un *kóno,
con inserzione di r come in altri casi, di cui v. Salvioni Krit.
Jahresber. IX i p. 102. Cfr. valsug. krùkolo ' rilievo rotondeg-
giante ' (di terreno ecc.), padov. krukiiióla ' cima, cocuzzolo ;
vetta (degli alberi) ; comignolo del tetto ' ^ trent. krukol ' crocchia ',
triest. kródiga < e ti ti e a, furi, kródje, skroded {&ai.ywniA.G. I.
XVI p. 236), ven. bréépa (valsug, héépa) ' vespa ', brufolo ' fi-
gnolo ' [R. E. W. 1373, A. G. L XVII p. 399), bellun. brédol
' betulla ' < *b e t ù 1 u ecc. Quel *kóno poi sarà una forma otte-
nuta, con scambio di sillabe, da ng'ko (cfr. vicent, kóno ' gnocco '
[Salvioni A. (J. I. XVI p. 313 n. 1]) ^. Poco probabile che la base
sia invece e ìi n e u, da cui nel veneto kùho (nel valsug. però
k^'no e nel triestino ko'no accanto a ki'mo [Vidòssich Studi sul
dial. triest. N, 19]). La toponomastica à però forme con ó (v.
Olivieri S.G.I. Ili p. 165-166).
morélo de fàào (venez.) * rocchio di legno, pezzo di legno della
lunghezza d'un braccio in circa, che, accoppiato a de' legni più
sottili, compone un fascio ' ; morélo (venez.) (termine dei pesca-
tori) ' modano ' ; Uhi de morélo (venez.) ' legni di misura per le
costruzioni navali '; morélo {de lugànega) (venez.), morélo {de luga-
* Cfr. veron. krukune'l o kukune'l ' crocchia ' (poles. krikene'la = krika
'sommità [d'un edificio]' [cfr. valsug. klko 'crocchia']'.
- Cfr. anche poles. gèna o nóka 'protuberanza', venez. góna 'grinza nel
vestito...'.
Etimologie e Appunti vari 335
neghéta) (valsug.), morelét (trent.) ' rocchio di salsiccia ' ; morélo
de hif'àto (venez.) 'rocchio d'anguilla, pezzo tagliato di anguilla';
morèna {de kaétéhe, de fighi ecc., de u/'éj, de fJQJ) (valsug.) ' filza
(di castagne, di fichi ecc., di uccelli); branco di figlioli'; morèna
(valsass. |lomb.]) 'giunture della mano'; moróna (enb., bad.,
livinàl longh.) ' catena ' (ScHìNeller Die rom. Volksmund. p. 240),
V. ancora Boèmo s. morelo.
Tutti i termini citati sono evidentemente i discendenti di una
base *m o r -, che si presta al più bel confronto col tose, rg' echio,
per quanto riguarda i vari significati, pei quali questo passò. E
detta base non sarà diversa da quella del tose, mo'ra e degli
altri derivati raccolti dal Jud B. de D. R. Ili p. 11 n. 2 e
dal GuARNÈRio Rendic. d. R. Ist. Lomb. s. II v. XLIV p. 966
N. 31. e che avrà avuto appunto anche il valore di 'rocchio'.
Cfr. inoltre la voce *m arra coi suoi derivati {A. G. I. XVII
p. 285-287, 409, e le Ricerche di topon. trent. II di questo vo-
lume, s. Lamdr).
paruéola (venez.), parùsola o peruéola (triest., poles.), parùsule
(furi.) parisóla (trent.), parisuéla (nònes) ' cinciallegra' ^
Il ViDÒssicH Studi sul dial. triest. N. 108, osservando che
l'unico esempio triestino di e j > s è parùsola, suppone che esso
forse sia importato, ma aggiunge che è curioso che anche il
BoÈRio scriva, contro il suo metodo, parnssola {non parùsola) (e
parussolìn). E pur'auco il Mazzucchi à forme con -ss-, con un -s-
cioè che non è il solito é della pronunzia veneta del z. Vano è
quindi il supporre, come fa il Battisti Die Nonsb. Mund. p. 146
per la forma nònesa (e quindi per la trentina) la provenienza
dal lombardo, che à parasóla, o dal veneziano! Non occorre quindi
' L'AzzoLiNi (rover.) à parissola e parnssola. TI Marchi Note e osserv. in-
torno all'avifauna trident. p. 60 riferisce anche la forma parussa.
336 Anorelieo Prati,
neppure ammettere l'importazione nel triestino. Naturalmente
pariUola ecc. col suo é non è un caso isolato, ma si possono
porre in sua compagnia le forme seguenti ; gandùsa (ven.) (v, Sal-
vioNi A.G.I. XVI p. 305, De Toni L'Ateneo Ven. a. XXVII v. I
p. 346), ganduéa o/'ganduéa (trent.), ganuée (plur.) (fiam.) (non
ganùse, come c'è nell'ai. G. 1. I p. 346); nagóéa (venez. ecc.),
negósa (vicent., poles.) (Salvioni A. G. T. XVI p. 313 n, 1,
Z. f. R. Ph. XXX p. 534; tì. E. W. 5881); pekóèo (ven.) 'ginoc-
chiello; peduccio' (forse con avvicinamento a kg'éa); f'bééola
(ven.) ' bazza (mento sporgente) ', héjla (novell. [regg.]) ' mento '
(Malagoli a. G. 1. XVII p. 149 N. 198), se dipendono da
*beccea da beccu (Salvioni A. G. I. XVI p. 600); emhe-
éolàrse o f'beéolàr (trent.) ' biasciare ' (I'Azzolini scrive il primo
anche con -z-), bééola (rover.) ' scilinguatello ', che vanno coi
valtel. bécola (Bormio), bèsciole ' labbro ', bergam. bézzole ' lab-
broni ', pei quali il Salvioni R. de D. R. IV p. 203 N. 1013
propone un plur, *bécci 'labbra'; gg'éo (ven.) 'gozzo' (ma
valsug. gg'/'o; emil. gg'f [A. G. I. XVII p. 185]); rasàr{e) (ven.,
trent.), 7'asd (furi.) 'raschiare' da razzen (alto ted. ant.)
[R. E. W. 7101) ; vésa (valsug.) ' veccia'; fràèela (valsug.) ' specie
di coltella, coll'estremità della lama più larga della rima-
nente, che s'usa dal macellaio ecc.', in un documento del 1576
scritto frazelo (probabilmente errore per frazela) (Momzzo
Doc. II p. 349), e si connetterà con un *fractiare (cfr.
*frictiare, *f ri et a re); nésa (valsug.) 'inedia', che è pro-
babilmente *n e e e a da n e e e (cfr. chian. [tose] anecéto ' af-
famato grandemente ', da néce ' carestia ' [Pieri A. G. I. XII
p. 127]); arkdéo (valsug.) 'acacia', che non è però voce an-
tica ; ficassar (trevis. ant.) ' trafiggere ' (Salvioni A. G. I. XVI
p. 301), fichassar fuocìio 'appiccare il foco', che s'incontra
nella Regola di Scurelle (Valsugana), del 1552, pubblicata dal
SusTER (Lanciano 1887) (P. I cap. 16); kapHé (trent.) 'cavolo
Etimologie e Appunti vari 337
cappuccio ', di contro al ven. kapùéo con -s- di pronuncia veneta
(BoÈRio, Patriarchi, Mazzucchi: capuzzo), valsug. kapiipo; Ni-
colussi (cognome di Luserna, presso Lavarone [distr. di Lévico
trent.]) (cfr. Nicolùzzi altrove nel Trentino [Lorenzi Saggio di
coinm. ai cogn. trid. Trento [1895] p. 60]). Cfr. ancora il nome
Campo Lusso presso Teragnól (Rovereto) (Schneller ^^V. Nam.
p. 31) e V. per il trevisano antico VA. G. I. XVI p. 260. Altri
casi nei quali il -s- non è tra vocali sono: sùpa (ven.), supa
(trent.), sàpa e sapar (valsug.) allato a Papa, f>apar, sidjàr(e)
(ven.) (v. però A. G. 1. XVII p. 417), éego'éta (trent.) 'catena
del camino ' (v. Schneller Die rom. Volksmund. p. 181) di contro
a zigo'éta del contado di Trento, a meno che questa non pre-
senti un caso quale in zo'éta (trent.) ' molla ; susta ecc. ' e
in pjéf'la (valsug.) {A. G. I. XVII p. 415-416). Nei trent. éesar
(cfr. anche Salvioni A. G. I. XVI p. 294, Romania XXXIX
p. 467 N. 60), séf'a, sérco (Battisti Catinia § 58 p. 165),
éelcàr o éercàr ' coreggiate ', éénga vi è naturalmente assimi-
lazione 0 dissimilazione.
Si noti a proposito di parùsola ecc. che il valsuganotto à pe-
nìsola; e peruzzola scrive pure il Patriarchi (padov.). In quanto
a quest'e protonico, che s' incontra pure nel triest. penisola
(ViDÒssiCH Studi sul dial. triest. N. 38) e nel veron. épero'néola,
cfr. peruka (valsug., padov., ventiz., poles.).
regolg'to (valsug.) ' confusione di gente ' ; regoléta (venez.)
' pranzo o merenda fatti in brigata ',
Il valsug. regolg'to è un derivato di règola, voce che un tempo,
nel Feltrino (al quale spettava la Valsugana) e nel Trentino,
indicava, tra altro, la radunanza degli uomini del villaggio per
per deliberare ^ regolg'to è quindi un diminutivo con senso spre-
^ Cfr. tra altro, Bottèa Le carte di regola, Arch. Trent. X p. 259-265. Nella
Valsugana vive tuttora il termine regola per denotare il territorio spet-
338 Angelico Prati,
giativo. Da esso non pare sia facile di staccare la venez. re-
goléta, quantunque non mi sia noto un fondamento storico per
tale connessione. Potrebbe tuttavia trattarsi in origine di una
voce del gergo e in tal caso sarà stata accattata altrove. Gli
studiosi del diritto e delle usanze passate del Veneto son forse
in grado di chiarire la cosa ^
Santuàri (cognome di Trento).
Nella prima metà del secolo scorso lo trovo scritto nella forma
Saltuari. Non si tratta quindi d'altro che del trent. saltar ' guar-
daboschi ' reso nella forma letteraria latina. Per / -|- cons. >►
w -j" cons. V. Battisti Catinia § 61 p. 169 (aggiungi mo'nier,
allato a mo'lier, e monto' m, per cui v. però Pieri A. G. I. XY
p. 175; B. E. W. 5739), ma in Santuàri vi sarà uno storpia-
mento e precisamente un avvicinamento a éantuàri, visto che
pili non si sarà sentito il significato della voce.
ékùréo (veron.) ' avaro, taccagno ' (detto spec. a' ragazzi che
non vogliono far parte altrui delle cose loro); ékùrz (rover.)
' avaro, taccagno '. V. Schneller Die rom. Volksmund. p. 180.
Come la voce citata si connetta con *excurtiare è detto
nella Pro Cultura III p. 140 n., ove si ricorda opportunamente
che il rumeno à curtà ' risparmiare '. Qui si aggiunga che pure
scarso nell'italiano d'un tempo valeva ' avaro ' e cfr. ital. corto,
corto a quattrini, tenersi corti, trent. lenir kg'rt. *excurtiare
tante ad un paese. Notisi che nel trentino, in cui a tal voce questo si-
gniBcato è estraneo, essa suona re'gola.
^ E però probabile che regole'ta sia da recollecta (cfr. i significati
dell'ital. ant. colletta e di accolta e il napol. scuglietta 'brigata di viziosi,
combriccola ' da e o 1 1 e e t a [v. Salvioni Rendic. d. R. Ist. Lomb. s. II
V. XLIV p. 807 N. 86]). regole'ta poi, inteso come un diminutivo, potè pro-
durre regolq'n, che si usa pure a Venezia.
Etimologie e Appunti vari 339
8Ì continua inoltre nel padov,, poles. ékurédre, padov. ékùréo
' scorcio '.
staégo {del bévo deh karg'ée) (padov.) ' bracci ' ; étavigo (valsug.)
(a Roncegno stégo) (v. A. G. I. XVII p. 418).
La spiegazione della desinenza di étavigo ivi accennata non
va forse cercata in un incontro con altra parola, ma V-égo e
V-igo delle forme recate sono ambedue probabilmente venuti dal
plurale, riflettente il suffisso -e 1 1 i. Cfr. il vicent. kavégo da
kavégi (pavane cavieggi e caviggi) (Salvioni A. G. I. XVI p. 374,
252 n., Ascoli A. G. I. I p. 426).
La base non è basta, ma *statellu (cfr. stator, sta-
tumén).
torpoii (valsug.) (a Roncegno torzo'n o terzo'n) ' scopa, erica '
(che serve per far letto al bestiame).
Questa pianta, com'è noto, presenta tutto un viluppo, ed è
quindi da ritenere che torPoii sia stato tratto da ntorpàr ' avvi-
luppare ', precisamente come il lomb. scopo'n ' dianthus caryo-
phyUiis ' fu tratto da scojkì (Salvioni Rendic. d. E. Ist. Lomb.
s. II V. XLV p. 281 n. 2, A. G. I. XVI p. 406).
Il Battisti Zitr. Sulzb. Miind. p, 220 n. 5 riporta la voce
torzón da Vermiglio (pron. loc. varméj) (Val di Sol) nel signifi-
cato di ' rimasugli nella mangiatoia '.
vedrice (trent.) ' vitalba '
0 questa voce da Pissavaca (Ravina), nel contado di Trento,
e si tratta di un femminile plurale, che, al pan del tose, ant.
viticchio ' vilucchio ', continua il lat. viticìila. LV protonico po-
trebb'essere sorto per dissimilazione, ma converrà vedere, sulla
scorta di altri nomi vernacoli della vitalba risalenti a vite,
se esso non abbia ragione diversa (probabile influsso di v i -
ti ce). Per il r inserito sia ricordato il tose, oétrice (trent. védeé,
valsug. véf'e) (v. anche s. kn/holo).
Archivio glottol. ital., XVIU. -22
340 Angelico Prati,
Il Ricci, per la ' vitalba ', conosce la v.i^b sogàza, che vale
' grossa éo'ga ', alludente alla forma della pianta.
velude (trent.) ' sbarre (del carro) '.
È il lat. voluta 'voltata' e la ragione della denomina-
zione sta nella piega formata dalle sbarre caricate specialmente
colla béna (cfr. il valsug. nio'ge, che è pure il nome delle sbarre
e che risale a *m ò 1 1 i a) ^. Singolare è Ve, il quale ritorna nei
derivati di *v o l ti t ù 1 a : trent. menudola, non. settentr. arnu -
dola (che nulla à che fare con *m i n ti t ù 1 a, come vuole il
Battisti Die Nonsb. Mund. p. 82, 111) (cfr. Salvioni A. G. I.
XVI p. 490 n. 1), poles. relùca, tose, vilùcchio ecc. Cfr. pure
bellun. helùrega. Il fatto di ritrovare Ve in continuatori di si-
gnificato COSI diverso da quello delle veliìde induce a supporre
un'antica forma *velùta, che non saprei però come possa esser
sorta. [Si tratterà di dissimilazione di o-ù in e-ù. G.].
;dga (trent.), daga (valsug., bellun.) ' lettuccio che si usa nelle
malghe, formato di quattro assi unite a forma di cassa e riem-
pite di ramicelli di abete e di fieno ecc. '. V. anche Schneller
Die rom. Volksmund. p. 211.
Il Battisti Zur. Sidzh. Mund. p. 222 riferisce pure la voce
zaga ' giaciglio ' dal vocabolario manoscritto del dialetto di
Mezzana (Val di Sol) del Salvadori, ma egli la trascrive con
gàgq (= a;-), forma che temo sbagliata.
La base dovrebbe essere un *j a e a, di cui *j a e 1 1 e ^ non
^ È termine notevole in quanto potè passar a designare delle sbarre di
legno. Qui non si tratterebbe dunque di (*férra) m o 1 1 i a (v. Salvioni
R. de D. R. II p. 96). Le molle nel valsuganotto son dette moge'ta.
^ Che diede il tose, giaciglio (D'Ovidio A. G. I. XIII p. 408), il trent.
fgafil (plur. r'gafij) o ^afil {^afij), il rover. Tiofil o dafil, (plur. -/;),
(ScHNELLER Die voìn. Volksmutid. p. 212-213), il veron. da/il, il valsug. da-
file (plur. dafni) o defilé, ' sedile (per lo pivi di legno) delle botti '. Il d- è
Etimologie e Appunti vari 341
sarebbe che un derivato. Si ricordi a proposito la postulazione
di un *a 1 e a ' gazza marina ' (cfr. a 1 e e d o) per l'abruzz.
dleke (Salvioni R. de D. R. IV p. 105 N. 331 a).
TI nome Vigilio nei documenti d'un tempo.
Lo ScHNELLER Tir. Nam. p. 244-245 asserisce di aver tro-
vato il nome Vigilius (nome del patrono di Trento) solo in un
documento del 1397 (non in nessuno, come riferisce il Battisti
Catinia § 7 p. 103), ma egli non si accorse che deriva certo
da Vigilio il Villius, che cita a p. 261 N. 156, dell'a. 1266,
poiché Villo ' Vigilio ' era appunto la forma del trentino antico
(v. Battisti 1. e. e Salvioni B. S. d. S. I. XIII p. 105 n. 8),
mentre ora vive la forma vigili o vegili. Un Villi di Folgaria
(Rovereto) è nominato nel 1200 e. {Tridentum XI p. 260),
• nel 1386 un Vilio p. Christiani de Roveredo {Riv. Trid. IX
p. 193), nel 1415 un Vilius Carli de Telvo (Valsugana) (Mo-
Rizzo Doc. I p. 178), nel 1526 un Leonardo de Vilio de Burgo
(Valsugana) (ivi p. 289). Nel 1259 s'incontra anche la forma
Vezilli (genit.) (di Brenta presso Caldonazzo [Lévico]) (cfr. trent.
veiilja) (MoNTEBELLO Notizie p. 27 dei doc). Cfr. poi i casati
odierni Vili e Vilotti (scritti Villi o Willi e Villotti) e Giti, Gi-
lioni (scritti Gigli, Gilli. Gillioni) (e v. Schneller Tir. Nam.
p. 246, 295 N. 66). Cfr. anche un zilli del 1431 {Tridentum
X p. 80).
La forma Vilio si conserva pure in San Vilio dei Corner
(Montebelluna [Treviso]) (Olivieri S. G. I. IV p. 197).
Si ricordi infine che una carta dell' 883 nomina Vigilium et
Leonem Veneticos (a Venezia) (Gloria Cod. Dipi. Pad. I p. 32).
Angelico Prati.
per dissimilazione, come nel trent. ding'co e v. Salvioni Rendie. d. R. ht.
Lotnb. 8. II V. XLIV p. 946 n. 2. Cfr. l'inverso nel rover. idfn allato a
dà/*a (ScHNKLLER Die rom. Volksmund. p. 137). •
34S Angelico Prati,
GIUNTE
P. 203. Calìdno {kaljdm) richiama un Galiano della Toscana,
che il Pieri, S. R., X, p. Ili, trae da un *Calejdno, da Cale-
rianu. Ora, tenendo conto che il kaljdm trentino, come si è
detto, non compare mai nei documenti in una forma che accenni
a una base con Ij o llj, pare che anche in esso sia da rico-
noscere un *Calejdno, il quale però avrebbe per antenato, in
questo caso, non Calerius, ma un Calejus.
P. 235. Si avverta che pure la forma dialettale del Monastiér
di Treviso è Munistiér (v. Ninni, Materiali, ecc., serie II, p. 142).
P. 249. (Randéna). Da quanto sul limite e l'estensione della
coltivazione dell'ulivo espone A. R. Toniolo nella Riv. Geogr. Bai.,
XVIII, p. 532-537 (v. pure la relazione, di cui si fa cenno ivi
a p. 540-541), riferendosi anche al Veneto occidentale, si può
arguire che del pari in certe parti della valle di Randena sia
stato coltivato l'ulivo, come, nel medio evo, in tutta l'alta Italia.
Tale coltivazione subì un forte e costante regresso col sorgere
dell'olio di semi e poi fu lasciata del tutto {Forum Julii, III,
p. 100).
È accettabile quindi l'identificazione discussa nell'articolo, di
cui v, sopra.
P. 328. Alla spiegazione ivi data di angondra (veron.) ecc.
si oppone il fatto che nel vicentino antico viveva proprio il
termine angon ' ago ' (Bortolàn, Vocabolario del dial. ani. vicent.,
I
Giunte 343
Vicenza, 1893) e siccome non pare probabile che questo sia
stato estratto da quella {angondra e anche del vicentino), è oppor-
tuno accogliere la mia prima dichiarazione, voi. XVII, pag. 393,
da un *acóne.
P. 331. Il Ninni, a p. 128 delle Giunte e correz. al Dizion.
d. dial. venez., accoglie il termine bocentòro, corretto a p. 263
in bogentoro e quindi da pronunziare bof'entóro, per ' barca grande
di fiume avente la prora simile a quella della raékóna (grossa
barca per il Po) e la poppa solo un poco piegata verso l'interno '.
P. 332. — La più bella conferma che in kampanjél c'entra
campanile è data dalla forma preziosa campaniele (venez. ant.),
che il MussAFiA, Beitrag, p. 41, riporta allato a campanile, cam-
paniel.
P. 335. parussola e peruzzola dà pure il Dizion. bellun.-ital.
del Nazari, parussola e perussola quello trevisano del Ninni,
parussola quelli vicentini del Nazari e del Pajello ^
P. 337. riegola ' brigata, comunità ' c'è nel Cavàssico (v. Sal-
viONi, II, p. 387) e vi corrisponde il bellun. régula ' comunità,
confraternita ', a cui il Salvioni pone ivi accanto pure il venez.
regoléta.
P. 339. V. anche bellun. rust. stadéi ' chiavi del carro ' (Nazari).
P. 340. Il trentino à inoltre, quale nome della vitalba, ve-
daCQin (v. Ricci), altro bel derivato di viticola. L'g c'è fa-
* [Nell'articolo su parusola ecc. è da corregf^ere la scrittura Bormio in
Bormio, perché la pronunzia locale è bo'rm (cfr. Burmium nei documenti
latini) (v. LoNOA, Vocab. borm., S. R., IX, p. 294)].
344 Angelico Prati, Giunte
cilmente per influsso di menudola <i*venudola^ di cui v. s. velilde
(p. 340)1.
P. 341. A proposito dei continuatori del nome Vigilio si no-
tino il Vei del Cavàssico (bellun. del sec. XVI) (v. Salvioni, II,
p. 400) e i sanesi Viglio e viglia ' veglia ' (Romania^ XVIII,
p. 595).
Angelico Prati.
* Altre forme però, come il bellun. vidi/'ón, sembrano richiedere la base
vitice, sia pure coU'incontro di vite.
I
Cesare Poma 345
NUMERI COME COGNOMI
Abbiamo in Italia in uso attuale, e più ancora ne troviamo
nelle carte medioevali, una curiosissima serie di cognomi for-
mati da Numeri.
Non sono esclusivi del nostro paese, perché ne troviamo, ad
esempio, anche in Inghilterra : Thousandpound (1000 Libbre),
Sixapple (6 pomi), Twentyinan (20 uomini, cioè il " vintenarius „,
capo di 20 soldati) ^
Ma, alla stessa guisa dei cognomi composti con verbi (tipo
Bevi-l'-acqua) ^, i cognomi numerali sono più frequenti e più
svariati nel nostro paese che in quelli esteri.
Naturalmente non sono altro che dei soprannomi, dovuti a
circostanze diverse, e poco per volta cristallizzati in cognomi.
Li colloco in ordine numerico, e si intendono viventi quelli
che non sono seguiti da data di secolo o da fonte antica.
1/2.
Mezzabarba.
de Megavachis, XIV, Bologna, trad. Mezzavacca.
* Sono cognomi medioevali citati da Lower, nella sua opera English
Surnames, I, 253, 254, 143 (Londra, 4» ed., 1875).
' Veggansi i miei opuscoli: Il composto verbale nell'Onomastica italiana
(Torino, Artigianelli, 1910) ; Cognomi italiani formati da verbi che indicano
azione (Città di Castello, Lapi, 1914) — che formano parte dei miei studi
sulla Onomastica italiana.
346 Cesare Poma,
Mezzacapo, da " capo „ che, come osservò Flechia, è femm. in
napoletano.
Mezzacappa, XV, Abruzzo.
Mezzadonna, Sutri.
Mezzamosca, XV, Abruzzo.
Mezzanotte.
Mezzapelle.
dns Mezarocha de Mezarochis, XIV, lomb. — da mezza rocca.
Mezzasalma, sicil. — da salma che è un peso.
Mezzaroma, XV, Sutri — da mezza Roma ?
Mezzofanti.
Mezzopreti: già un loh. Muctiarellus, alias Mezoprete, Cer-
nete, 1406.
Mezzorotolo., XV, Abruzzo.
Mezziconfi, M° E**, Padova, in lat.° de Mediis Comitibus — col
n. p. Mezzoconte dei Mezzoconti, XIV.
Medius panis, de Mediopane, Cod. Astensis.
Mezzovillani, XIV, Bologna, in lat.° de Megovilanis — e un
Mediusvillanus, magiscola a Modena, XII-XIII.
Mezamici, XVII, Romagna.
Mezocelli, Mezucelli, Mezzucelli, Teramo.
loh.^ de Megavrilis, 1327, giudice a Modena, anche de Medio
Aprili — da mezzo aprile.
Dovilli, XIII, Vicenza — che in latino era De duahiis villis.
Ascherius, Manfredus, Ruffinus de Duohus soldis, Cod. Astensis.
Forse Treanni, Napoli : cfr. Settanni, Trentanni e Centanni.
Trelancia — probabilmente da 3 Lancio e d'origine militare,
come il seguente. Tre Lanze è anche nome loc. in Calabria.
Trelanzi, Milano : cfr. Centolanzi, per 3 e 100 lancia.
Numeri come coofnomi 347
Trepiedi.
Trerotoli.
Trecapelli, Pofi (Lazio).
Tresoldi : cfr. loh. Tressolidi, Chart. Dertonense in " Bibl. Soc.
St. Sub. „, XXIII, 1203 — Jacobus Tresoldi, Cod. Astensis.
Trisoldi — è certo una semplice variante del precedente. E però
da tener presente che questi due cognomi possono essere
delle deformazioni popolari di un tutt'altro nome : giacché
nelle nostre carte medioevali troviamo il n. p. teutonico
Thrasoaldus che in italiano diventava Trasaldo e in Lom-
bardia Trasoldo, da cui facile la trasformazione ad un si-
gnificato ovvio.
Treré, Milano.
Trescove, XIII, Milano ^ da 3 scope.
Jacobus Tria Modia, Cod. Astensis.
Triangoli, XVII, che fu il cogn. d'un Marco Antonio, tipografo
a Gubbio, 1624, in latino Triangulus^.
Detregiache, piem., dalle 3 giacche.
Treddenti^ 3 denti.
4.
Quattrocchi, Quatrocolo, Quattrocolo (Torino) ; cfr. lohanninus
Quatuor oculi, Chart. Derton., CHI, 1221.
Quattr orecchi.
Quattromani — e Francesco de Qiiatromeni, impiccato 1388 (Cro-
naca Carrarese dei Gatari, in RR. II. SS., pag. 323).
Quattr ociocchi — o da ciocche ; cfr. Braccialarghi per -larghe ;
— 0 da ciocco, ceppo, come Cavacìocchi.
Quattr osoldi.
* A. Ratti, A Milano nel 1266 (Milano, 1902).
* Fumagalli, Lexicon typogr. tt. (Firenze, Olschki, 1905).
348 Cesare Poma,
5.
Cinque (Campobasso).
De' Cinque (Roma).
Cinquegrana, Napoli, e Cinquegrani.
Cinquemani.
Cinquini.
Crescentius qui vocatur Quinque Dentes, 1011, Roma.
Seidenari, Sanremo.
Seidita, sicil. — Un cogn. consimile 'E^aódxTvÀog esiste anche
in Grecia.
Settamii, Napoli : cfr. de Septemannis, Cod. Astensis.
Settegrani.
Settesoldi.
Setteamanze, XV, Abruzzo.
Settecoltelli, „ „
Settepani, Ponzano (Lazio).
dei Settesoli, XIII, Roma, appartiene solo apparentemente a
questa categoria, perché la famiglia a cui appartenne lacopa,
la discepola di S. Francesco d'Assisi, prendeva il nome dal
suo feudo, il castello di Settesoli, che sarebbe stato il
Septesolium di Settimio Severo.
Nel " Liber Instrumentorum ,, di Mondovi (B. S. S. S.) ricorre
spesso un Set (talvolta scritto Septem) Molinarius, 1288,
1293, 1305, ed è forse da intendersi per il nome di Settimo.
11.
Ubertono Sartori, detto XI lire, 1342, Biella ^
' Da UQ doc. conservato nell'Arch. della Scuola Professionale.
I
Numeri come cognomi 349
12.
Diecidue.
Donzena, Milano — lomb. donsena per dozzina : forse da qualche
maestro raedioevale che teneva scolari a dozzina ^.
Dodici- Schizzi^ famiglia nobile di Cremona : il 2° cognome non
à relazioni col 1°, perché dall'Annuario della Nobiltà Ital.
parrebbe che siavi entrato per via di matrimonio, e d'al-
tronde Dodici esiste nella stessa città da solo.
13.
Tredici, Somma Lombarda.
14.
Maynfredus de Xiiij solidis, 1211 , doc. 562 Cartario di Staffarda,
in BSSS.
Ma Ubertus Quatuordecim, Cod. Astensis, e
Henricus, Guillelmus Quatorge o Quatorze, 1185, 1200 Carte
Arch. Arciv. Torino, in BSSS
derivano indirettamente da 14 attraverso al nome locale che
ora è Quattordio, circ. d'Alessandria.
15.
Passaquindici.
19.
Diexinuove, XIV, Venezia, in latino Decem et novem.
27.
Delvintisette, Nizza Marittima — letto nel " Corriere della Sera „.
^ Di questo uso discorre il prof. F. Gabotto, Lo Stato Sabaudo, a pro-
posito delle scuole in Piemonte.
3B0 Cesare Poma,
30.
Trenta.
{Trentini forse è etnico, malgrado l'analogia di Cinquini, e cioè
originario di Trento).
Trentanni.
Trentacoste.
Trentalance, Napoli.
Trentacapilli, Napoli, XVIII ^
Trentoncie, XV, Abruzzo.
Trente, cognome di Gressoney, tradotto in francese dalla sua
forma tedesca Dreisiger, trentesimo.
Il n. p. maschile Trentafile è citato dal Molmenti ^ tra quelli
in uso a Venezia fino a tutto il secolo XII — e siccome
parecchi erano di provenienza bizantina, congettui'o che
questo sia il greco TriantafiUis, ora cogn. in Grecia, cioè
30 foglie.
34.
de Trentaquatris, XIV, Bologna.
39.
Trentanove.
Quaranta, Quarantelli.
40.
48.
Quarantotto (Trieste). — Quarantotti, ma già Quarantaotto, XVI,
Padova.
^ Gennaro Grande, Origine dei Cognomi gentilizi nel Regno di Napoli
(Napoli, 1756), p. 268.
^ La Storia di Venezia nella vita privata, I, 440.
à
Numeri come cognomi 851
50.
Cinquanta, Milano.
100.
un notaio Bertolinus Centumpecudes, Pavia, 1294 ^.
Centomani, nap.
Centofanti.
Centoniiglia.
Centonza, Centonze, It. merid.
Centolanzi, Milano : cfr. Trelanzi.
Centanni, Di Centanni, Napoli.
Centamori, Perugia — Centamore.
Johannes Centum Porci, 1026, Roma.
Sansoldi, piem. : nel Codex Astensis è Censoldus, Alba, XIII :
ma nelle Carte di Signori e Luoghi del Pinerolese (B. S. S. S.)
si trova un dns Ogerius C. solidi, 1234, doc. 119, che il
prof. F. Gabotto spiega in nota appunto coll'attuale forma
Sansoldi.
Centunviro, è probabilmente cognome di Brefotrofio.
1000.
dns Ruffinus Milsolidi, Alessandria, 1230 (Relaz. Alba-Genova
in B. S. S. S.).
Millelire, It. merid.
Millefiorini .
Milleiari, sicil. — cfr. cogn. Tari a S. Maria Capua Vetere.
Millunzi, „ — cioè 1000 oncie.
Johannes Millemusche, 1244, Vercelli.
* Doc' Arch.' Pavia relativi a Voghera, B. S. S. S.
352
Cesare Poma, Numeri come cognomi
Enechus (forse leggi Enochus) Milemerce e Moyses Milemerzia,
1266, Milano (A. Ratti, 1. e.) paiono Ebrei.
C'è anche il cogn. Millanta, ma sarebbe forse arrischiato at-
tribuirgli il significato di mille ^ : certo il più desiderabile
cognome fu quello di Gumbertus de multis denariis, Cre-
mona, 1207 ^
Cesare Poma.
Piazzo 34, Biella.
* Ma il colmo di stranezza in siffatto genere è un cognome che leggo
appunto in questi giorni nel Times di Londra, ove, tra le persone di cui
questa sciagurata guerra ha fatto smarrire le traccie nei j^aesi belligeranti,
il Console americano cerca notizie di una signora di sangue indiano (Pelli
Rosse d'America) che si trovava in viaggio in Europa e che porta il sin-
golare nome di Mrs Tivo Tivo, cioè Due Due.
^ Documenti di Voghera, num. 46 e 47, B. S. S. S.
Cesare Poma 353
Fallaci apparenze in cognomi italiani.
Nulla vi è talora di più fallace dell'apparenza etimologica
nei cognomi, la cui forma attuale è talvolta una. o più d'una,
trasformazione d'una forma anteriore, e il cui significato appa-
rentemente ovvio non è che l'effetto della tendenza naturale
del popolo di dare a una parola incompresa il suono di altra
che gli è intelligibile.
Nei cognomi vi furono due correnti contrarie :
1° di oscurare nomi di significato lesivo dell'amor proprio ;
2° di chiarire, con un significato attuale, quelli il cui senso
originale era perduto.
I.
Della prima tendenza fecero già cenno l'illustre Flechia ^ e
il prof. A. Gaudenzi 2, che ne danno alcuni cospicui esempì.
In generale i nostri proavi del Medioevo non erano molto
schifiltosi per i loro nomi, e ne troviamo che non nascondevano
affatto di chiamarsi F-ttivecchia ^, Tappac-lo *, C-c-losso ^ e C-c-
^ Di alcuni criteri per Voriginazione dei Cognomi italiani (negli "Atti
dell'Accademia dei Lincei ,, III, 2, Scienze morali, 1877-78).
^ Storia del cognome a Bologna nel secolo XIII (in " Bull. Ist. Stor. It. ,,
n. 19, 1898).
^ Bernardus Fotuegla, 1241, Cartario Staflfarda, B. S. S. S. — Petrus Fu-
tevetula e Ruffinus Fotevefulla, Alessandria, 1227, Relazioni Alba-Genova,
B. S. S. S. — Aggiungasi Girardus Fotendarnus (f-tte indarno), 1193, Doc'
Arch.' Pavia relativi a Voghera, B. S. S. S.
^ Un " dictus Tapacul , , 1305, Val d'Aosta , Estratti Conti Camerali,
B. S. S. S.
^ Bellonus de Caca^osso, Novara, 1211, Cart. Museo Civico Nov., B. S. S. S.
354 Cesare Poma,
insacco ^, né di derivarsi da c-lo si vergognavano Guillelmus
Culus niger de Pellio (Pegli), 1209 ^, Bonjohannes Culflociis,
Vercelli, 1167 ^, o Ugucio Culhaatus, ibi-d., 1163 *, se, come è
tradotto dal prof. F. Gabotto, significa C-lbaciato : che anzi nel
Codex Astensis troviamo ad Asti nel s. XII un Guillelmus Culus
Aureus !
Però, col graduale affinarsi dell'educazione familiare, certi
cognomi osceni vennero in uggia, e furono trasformati per ma-
scherarne il senso primitivo.
Il Flechia ne cita alcuni di significato soltanto molesto, come
Cappasanti da gabba-santi, Pestalozza per pesta l'ossa,
il ben noto Pallavicini^ ecc.
Ma il prof. Gaudenzi ne ricorda alcuni di tenore prettamente
osceno, come i medioevali bolognesi Corforati e Figahozza ^.
Cosi oggidì Feccarotta ^, ed altri si potrebbero aggiungere se
1' "Archivio „ fosse scritto in quel latino che permette piìi de-
centemente la esposizione di cose invereconde.
*■ Bregognonus Cainsaccus, Vere, 1175. o Bergognonus Caginsaco, ibidem,
1183, e Cribaldus Cacainsaco, ibid., 1143. in Carte Arch. Capit. Vere, B.S.S.S.
— Per cognomi derivati da c-c-re e p-sc- -re, veggansi i miei due opu-
scoli citati alla nota 2 del precedente studio " Numeri come cognomi ,.
^ Doc. 23, Relazioni Alba-Genova, B. S. S. S.
' Doc. 215, Carte Arch. Capit. Vere, B. S. S. S.
* Doc. 180, Carte Arch. Capit. Vere, B. S. S. S.
^ La forma anteriore di quest'ultimo era F-gabìisa.
^ La forma F-carotta è tuttavia rimasta fino ad oggi. Anzi, mentre scrivo
trovo tra i morti di Milano il cogn. Fidarrotta, che, se non è uno sbaglio
di stampa, è un deliberato travestimento del cognome in questione. —
All'ombra discreta d'una nota menzionerò solo il cogn. Conrotto, non raro
a Torino, l'ingiuria del cui significato deve essersi prolungata ai figli e
nipoti della femmina a cui fu applicato, se un della Crosa, di Albugnano,
XIV 0 XV s., chiamavasi Conroto di nome proprio (Cartario Grazzano, in
B. S. S. S., p. 108, regesto 105).
Fallaci apparenze in colorai italiani 355
II.
Ma io voglio invece illustrare il fenomeno contrario, cioè il
trapasso da un significato perduto a uno ovvio, il passaggio di
un nome oscuro ad una forma che significhi qualcosa, e con
alcuni esempì mi propongo di dimostrare come l'apparente signi-
ficato di molti odierni cognomi non sia che una fallace parvenza.
Prenderò a paradigma il bel nome medioevale Tigrino, por-
tato in Romagna nel Trecento. In mezzo agli Orsi, Lupi, Cani,
Mastini, Vitelli che erano tanto in voga in quei secoli bestiali,
Tigrino pareva avere una specie di superiorità. In verità l'aveva,
ma non per il suo apparente significato di maggiore ferocia,
bensì per la sua antica origine dal bel nome teutonico Tegrimo,
Teudegrimo ^.
I cognomi che seguono — elencati in ordine alfabetico — si
intendono viventi, se non altrimenti specificato.
Baldacchino — dal n. p. Baldachus, ex. gr. Friuli, XIII = Baldo
col peggiorativo -acco.
Boemi, sicil. — è una variante di Buemi. Molti altri cognomi
siciliani cominciano in Bu-, e derivano da nomi locali di
origine araba, cosi denominati da antichi proprietari sara-
ceni i cui nomi principiavano con " abu „ padre, cioè la
proprietà del tale, padre del tale 2.
^ Il cogn. Tegrini, XVI, Lucca, era del pari una alterazione di Tegrimi.
— 11 n. p. Tegrimo fu frequente nei conti Guidi del Casentino.
^ AvoLio (Corrado, di Noto), Di alcuni sostantivi locali del siciliano, in
"Arch. Stor. Sicil.,, Nuova Serie, anno XIII, a p. 390 — a comprova egli
cita i nomi locali egiziani Abukir, Abuklea, ecc.
Archivio glottol. ital., XVIIl. 28
366 Cesare Poma,
Carlomagno. — Il trovare nel Chartarium Cupersanense, doc. 174
del 1238, un Ioannacarus de Carolomango, mi fa supporre
che si tratti del n. p. Mangus del Reg. Farf., da cui i tre
nomi locali San Mango e i cogn. Mango e Santomango, tutti
dell'Italia Meridionale.
Catone, Saluzzo — ove, secondo il prof. A. Bongioanni, della
Biblioteca di Udine, sarebbe variante di Chiattone, da un
dial.^® ciattùn, ciàt = gatto. Per contro lo stesso cognome
a Gesualdo, pr. Avellino, potrebbe essere uno dei tanti de-
rivati da nomi classici romani, adottati nel Medioevo come
nomi personali e indi passati a cognomi ^ ; ma ciò io lascio
a qualche studioso di quella regione, essendo necessario
che ogni cultore di studi onomastici si occupi della propria
regione e non invada quelle di altri, ove, accanto ai criteri
comuni di formazione dei cognomi, vi sono particolarità
proprie del dialetto, della storia, delle vicende delle regioni
stesse che solo possono essere apprezzate da uno studioso
del luogo.
China, Masserano — n. p. China in famiglie biellesi del s. XVII
risulta aferesi di Franceschina.
Dardanelli. — Bardano, nome del mitologico antenato dei Troiani,
fu n. p. in uso a Firenze nel Trecento, da cui i cognomi
Bardani, Dardano. Del resto già un Dardanus presbyter
et monaho {sic) nel s. X ^ e un Dardanus a Bari nel 1028 ^.
Disegni, isr. — per Di Segni, uno degli innumerevoli cognomi
che gli Israeliti dello Stato Pontificio tolsero da nomi locali,
allorché furono costretti dal Governo ad adottare un co-
gnome.
* Frequentissimi nel Lazio i cognomi dovuti a reminiscenze classiche:
Ascani, Catulli, Cecilj, Livi, Manili, Marcofulli, Mevi, D'Ortemi, Pomponi,
Quinzi, Rotilj, Sallusti e forse Salustri, Sestili, Tarquini.
' D. MoREA, Chartularium Cupersanense (Montecassino, 1893).
' Cod. dipi. Barese, voi. IV, doc. 18.
Fallaci apparenze in cognomi italiani 357
Disertori, Trentino — equivale a " di Sertorio ,,, n. p, che trovo
portato nel s. XV a Parma da un Sertorius Billiardus. e
a Padova nel s. XVII da Sertorius Ursatus comes.
Efferati, isr. — la " Jewish Encyclopedia „ menziona già a Va-
lencia nella seconda metà del s. XIV un Amram ben Nathan
Efrati, rabbino per più di 40 anni : la desinenza -i denota
una derivazione araba da località, cioè nativo o originario
di Ephratb. altro nome di Betlemme. In Russia è Ephrati
e in Tunisia Efrati, che il Cazés ^ colloca infatti tra quelli
che indicano il paese d'origine.
Ghiotti, pieni. — da Gruyotus. forma franco-provenzale di Guido.
Grassini, isr. — diversamente dai cognomi cristiani che deri-
vano da " grasso „, il cogn. israelita Grassini (o Grassino,
XVIII, Modena) sta per Gersciom, n. p. (dal primogenito
di Mosé e Zipporah), giacché nella " Jew. Enc. „ trovo che
il fondatore della fam. Cantarini fu un Gherescion o Grassin,
n. 1546 ad Asolo, m. 1620.
Lardi — aferesi da Ilardi che sta a Agilard, Ailard, come
leardi a Aicardì.
Leggieri — con Leggeri e Liggeri dal n. p. Legerius, Leggerius,
nel Trecento Legerio o Leogieri, dal teut." Leodegar delle
nostre carte del s. X, come Beringeri da Berengario — ,
rad. : " leudi ,. di Forstemann.
Lenzuoli, XV — è un flagrante esempio della tendenza di dare
un significato italiano a nomi forestieri introdottisi in Italia,
quale quello spagn. dei Llencol parenti dei Borgia.
Malattia, Barcis (distr. di Maniago). — Il sullodato prof. Bon-
gioanni, che si occupa di cognomi friulani, lo crede corru-
zione di Malachia.
Marsiglia. — Non dalla città, ma con Marsilia, dal n. p. Marsilia.
Cosi Marsili, Marsilii, Marsilio dal n. p. Marsilio degli an-
tichi romanzi cavallereschi, il quale forse significherà " ori-
Histoire des Israélites de Tunisie (Paris, 1889).
358 Cesare Poma,
ginario di Marsiglia, città che ebbe già nel M. E. fre-
quenti relazioni commerciali specialmente con la Toscana „
come vuole il prof. Fumagalli ^ ma non è certo, come so-
stiene il Bianchi ^ citando Ampère, corruzione di Omaris
fìlius (ben Omar), principe arabo di Spagna.
Mattone — forse da Matteo, come indubbiamente Mattucci.
Mafucci, e, a Roma, XVI, Mattuzzi o Matuzzo dal n. p.
Matuzzo che risulta equivalente a Matteuccio ^.
Monelli, XV, Crema — aferesi di Simonelli.
Mortali, Torrita Tiberina — da qualche n. loc. derivato da mirto,
come Pian del Mortale in Abruzzo *.
Mota — variante di Motta, pure da n. loc.
Nono, veneto — da n. loc. : cfr. Giovanni da Nono, cronista
padovano del M. E., in lat. lohannus de Naone, cioè del
villaggio di Non, sulla sponda sinistra della Brenta ^.
Patrassi — da Pietro : cfr. Patrasso, Petraso o Petrasso degli
Anguillara, XIII,
Persia, biell. — è freq. nei documenti di Mosso dei sec. XIV
e XV colla forma Persica: lohs psica de Moxo not. e Ubertin,
fìlius qda"Johis psice de Moxo not. rogarono rispettiva-
mente le due pergamene 1, VI 1316 e 30. IV. 1352 ora
nell'Arch. della Scuola Professionale di Biella. È dalla forma
dialettale per " pesco „, come tanti altri cognomi presi da
piante: cfr. cogn. Carpo, Mottalciata, da " carpo „, carpine.
Pesante, XVI, isr. — Come cogn. israelita, significa Bizantino:
la " Jew. Enc. „, tra le principali famiglie di Widdin, di
origine greca, menziona i Pyzante o Byzante. In Turchia
scrive vasi anche Pizante, XVI, e oggidì Pesantij (Gerusa-
^ Piccolo dizionario dei nomi proprii italiani di persone (Genova, 1901).
A. G. I., XIII, 192.
3 V. Indice al fase. 105 RR. II. SS.
* Prof. P. Rolla, Toponomastica abruzzese (Casale, 1907).
^ P. Rajna, Le origini delle fam. padovane e gli eroi dei Romanzi cavai-
lereschi (in " Romania „, anno IV, 1875, p. 162).
Fallaci apparenze in cognomi italiani 359
lemme). Da noi, nell'Italia meridionale, il n. p. Byzantius,
freq. nei doc. di Napoli, Bari, Conversano, ha lasciato i
cogn. Bisantis a Gimigliano, Bisanti e Bissanti a Napoli,
Già Gennaro Grande ^ giustamente derivava Bissante, nap.,
da Bisancius.
Pilato — da pelato. Infatti Ugo Pilatus e Ugo Pdatus in due
atti di Borgo S. Dalmazzo. 1285.
Bava, isr. — Mentre il cogn. Bava cattolico è naturalmente un
antico soprannome da " rapa „ , la forma Bava adottata da
qualche israelita che tende ad occultare la propria qualità
è in realtà il cogn. fìara,i?rtèa, i^aèèd, dall'ebraico " rabbah „,
il grande, signore.
Cosi i Bapa, XV, israeliti fissatisi in Italia verso il 1472,
erano dei Bappe di Magonza, da " rabe , corvo, che poi
adottarono nello stemma allorché, trasferitisi in Austria ed
altrove, divennero importanti sotto il nome di Bappaport,
ossia Bapa di Porto, per aver vissuto qualche tempo a
Porto Mantovano (" Jew. Enc. „).
Buscelli, XVI, isr. — Obbedendo alla tendenza sovra accennata
l'israelita spagnuolo Mordecai Raphael ben Jacob Bosello,
di Barcellona, trasferitosi a Napoli, Roma e Ferrara nel
sec. XVI, fu da noi conosciuto sotto il trasformato nome
di Buscelli.
Santanera, Villafranca d'Asti. — Non ha alcuna relazione col
Martirologio : ma viene da qualche n. loc, come la Cente-
naria, Centanaria. Centenera in terr. di Carmagnola, fre-
quente nel Cartario dell'Abazia di Casanova in B. S. S. S.
e la quale naturalmente in origine esprimeva una super-
ficie di cento unità o la parte di qualche " centenarius „ ^.
' Origine dei Cognomi gentilizi nel Regno di JV^a^o/t (Napoli, 175fi), p. 273.
^ Resta cosi corretta la leggermente diversa etimologia da me data di
questo cognome a pag. 23 del mio opuscolo : / cognomi longobardi in Italia
(Torino, Artigianelli, 1911).
360 Cesare Poma,
Spezia — non dalla città, ma dal vender spezie, come l'altra
forma Spetta, cioè " della spetia „, " spitiale „ come dice-
vasì a Roma nel s. XV.
Stuardi — cogn, di Poirino. Non à alcuna relazione colla Scozia,
ma deriva dalla borgata di Stoherda presso Poirino, che
nel Cedex Astensis è Stoherda e Stoarda (col cogn. de
Sto{h)arda) e che, come il fondo Stodegarda presso Vespo-
late \ e come la località Stoccarda tra Vergano e Roma-
gnano, rappresenta il teut.° " Studegarte „, steccato di
arbusti ^.
Suino. — Questo apparentemente brutto cogn., freq. a Torino,
è invece un bel residuo teutonico, aferesi di Ansuino.
Varrone — cogn. di Chieri, ove si trova anche la forma Varane
che è la vera, dovendo connettersi col franco-provenzale
" vairon „, " veron „, detto degli occhi coli' iride cerchiata di
bianco, " les yeux vairons „, che Littré deriva da " varius „.
Questa lista si potrebbe allungare a piacimento, ma, per non
stancare il cortese lettore, voglio finire con un esempio cospicuo
della tendenza, dirò cosi mimetica, dei cognomi di adattarsi
all'ambiente :
Verderame, Licata, e Verdirame, in prov. di Reggio Calabria. —
Ognuno resterebbe ingannato sul loro significato, se il sul-
lodato Grande non ci avesse conservato il cogn. Verteraimo
di Nola, ch'egli rettamente a p. 272 deriva dal n. p. teu-
tonico Bertheraymus, citando un comes Bertheraymus An-
driae, 1322. Questo nome ha subito l'influenza di Aymo,
Raymo, ma la sua vera desinenza è -amus, come si trova
' Doc. 24. XII. 989, N» 101, Cart. Ardi. Capit. di S. M. di Novara, in
B. S. S. S.
^ V. il § 5 del mio art. : Gli elementi etnici del Novarese verso il Mille,
in " Boll. St. prov. Novara „, anno Vili, fase. IL
Fallaci apparenze in cognomi italiani 361
in Trincherà ^ : f Ego Bertheramua Bove tester : infatti
Forstemann colloca un esempio cassinese di Berteram sotto
Berlìta (clarus) hraban (corvus).
Per concludere questo articolo sui fallaci aspetti di molti
cognomi, non v'è esempio pili appropriato dello stesso cognome
Fallaci, della Sicilia e Calabria, che, colle varianti Falace,
Faillaci, appartiene a quella categoria di cognomi, numerosis-
sima in quelle due regioni, che derivano da nomi greci in -axì]g,
quali Farace, Gregoraci, Jerace, Peronace, Starace, ecc.
Cesare Poma.
Piazzo 34, Biella.
*■ Syllabus graecarum memhranarum (Napoli. 1865), p. 547.
362 P. G. Goidànich,
ANCORA DELLE SINTESI LINGUISTICHE
(Rivendicazione di metodi critici alla scuola italiana).
Nel Cours de linguistique generale di Ferdinando de Saussure,
messo piamente insieme su appunti di scuola dai suoi scolari
Ch. Bally e A. Sechehaye, professore il primo e libero docente
il secondo all'Università di Ginevra, a pag. 137, al quesito se
i mutamenti riguardino le parole o soltanto i suoni, l'insigne
Maestro ginevrino risponde: " la réponse n'est pas douteuse:
" dans néphos, méthu, serpo, etc. c'est un certain phonème, une
" sonore aspirée indo-européenne qui se change en sourde
* aspirée, c'est l' s initial du grec primitif , qui se change
" en A, etc, et chacun de ces faits est isole, indépendant des
" autres événements du méme ordre, indépendant aussi des mots
" où il se produit „.
Orbene, a queste parole del Maestro i suoi discepoli fanno
seguire questa annotazione : " Il va sans dire que les exemples
" cités ci-dessus ont un caractère purement schématique; la lin-
" guistique actuelle s'efforce avec raison de ramener des séries
" aussi larges que possible de changements phonétiques à un
" méme principe initiale; c'est ainsi que M. Meillet explique
" toutes les transformations des occlusives grecques par un af-
" faiblissement progressif de leur articulation (voir " Mém. de
" la Soc. de Lingu. ^, IX, p. 163 et suiv.). C'est naturellement
" à ces faits généraux, là où ils existent, que s'applique en der-
" nière analyse ces conclusions sur le caractère de changements
" phonétique „.
Ancora delle sintesi linguistiche 363
Gli egregi colleghi ginevrini dicono, invero, " /a linguis-
" tique a et nelle s'efforce „, ecc., mala citazione ch'essi fanno
del solo Meillet potrebbe far sorgere nei lettori di un libro de-
stinato a larga diffcisione l'opinione che il merito di aver inau-
gurato questo metodo critico delle sintesi linguistiche nell'esame
dei fatti glottologici spetti alla scuola francese, laddove esso va
attribuito completamente alla scuola italiana, e precisamente,
mi si permetta di dirlo, al modesto autore di queste righe. Gli
egregi colleghi ginevrini non anno che a vedere la mia Prefa-
zione al voi. XVII dell' " Archivio Glottologico Italiano „, ed
esaminare i miei lavori antecedenti ivi citati a p. xxxvi sg., in
cui io ò applicato e raccomandato questo metodo. E per venire
incontro alla curiosità degli egregi colleghi citerò quattro passi
del mio libro snW Origine della dittongazione romanza, due da
verso principio, uno da verso il mezzo, uno da verso fine: " Più
" che fermarci analiticamente sulle alterazioni singole ^ noi
" dobbiamo considerare il complesso delle alterazioni „ (pa-
gina 21). " In territori etnologicamente affini noi troviamo una
" serie di fenomeni omogenei che complessivamente costituiscono
" una bene spiccata caratteristica fisiologica di tutto il gruppo ;
" ma per una ragione o per l'altra gli effetti di una tale carat-
* teristica possono essere i più vari in estensione e in intensità „
(pag. 22). " S'è visto replicatamente quale vantaggio si ricavi
" dalia considerazione complessiva delle alterazioni fonetiche di
" uno 0 più idiomi affini „ (pag. 120). " Nel volume molto van-
* faggio ò riscontrato nella considerazione sistematicamente
* sintetica delle alterazioni fonetiche, spontanee o condizionate.
* Il metodo non sarebbe mai abbastanza raccomandabile „ (pag. 193).
Leggendo il mio volume essi troveranno molte e vaste applica-
zioni di questo principio metodico e troveranno altri interessanti
Gli spazieggiati sono nel testo.
364 P. G. Goidànicli, Ancora sulle sintesi linguistiche
principi enunziati ed applicati. Ma, come avverto nella citata Pre-
fazione al voi. XVII dell' " Archivio „, non solo nelle questioni
fonetiche ma anche nelle questioni morfologiche va seguito il
metodo sintetico; esempio di questo procedimento metodico io
ò dato nel mio studio sul Perfetto e aoristo latino e nelle Note
rumene S come espressamente ricordo nella Prefaz. citata ; in
questa ultima mia pubblicazione è anche un esempio di quali
brillanti risultati si raggiungano anche nelle ricerche fonetiche
col tener presenti i fatti morfologici, oltre che i fonetici.
A scanso d'equivoci aggiungerò che i miei rispettosi rimpro-
veri di trascuranza ^ ai colleghi ginevrini non toccano affatto
il Meillet, il quale nella sua instancabile attività si è compia-
ciuto di rivolgere l'attenzione anche alle mie modeste pubblica-
zioni e mi onora di molta estimazione. Chi legge le citate pa-
gine del Meillet ^ non vi troverà ombra alcuna di un suo proposito
di adornarsi di meriti altrui, ma solo vi vedrà l'esposizione di
principi metodici * ormai accettati dalla scienza ^.
P. G. GoiDÀNICH.
^ Poiché sono sulla via delle rivendicazioni ricorderò anche la Postilla
a pag. 559 fine del voi. XVII di questo "Archivio „.
"^ II mio libro suWOrifpne della ditt. rom. tratta abbondevolmente di
fatti indoeuropei e doveva per il suo sottotitolo e per la recensione fat-
tane dal Meillet stesso, esser richiamato all'attenzione degli indoeuropeisti
francesi.
^ Non tutte le analisi dei fatti colà esposte mi paiono approvabili ; ma
di una critica particolare di fatti indoeuropei non è questo il luogo.
* Sulle tendenze latenti nel linguaggio e il loro graduale e vario svi-
luppo i colleghi ginevrini potranno anche consultare utilmente, sulla scorta
degli Indici, il mio libro sulla Ditt. rom. E un vanto della scuola italiana
di rendersi ragione delle cause delle alterazioni fonetiche, anche di quelle
dette normali.
^ Anche il Meyer-Liibke, a proposito della mia citata Prefazione, mi
scriveva: 'Auch was Sie uber die Sintesi linguistiche sagen hat meinen
Beifall ,.
i
365
Di un preteso aurufice.
Il Meyer-Llibke, nel REtW, e, quel che è più dannoso, nel
Thesaurus dì Berlino, registra, sulla fede del Salvioni, una
pretesa forma aurufice. Ma una tal forma che il Salvioni
{Miscellanea ascoliana, p. 89) dava sul fondamento di una con-
tinuazione abruzzese di essa, non à fondamento veruno ; infatti
l'abruzz. rofece, che il Salvioni allegava come continuatore
abruzzese di aurufice, appartiene alla varietà di Paglieta;
ma a Paglieta tutti gli e di ossitona e di proparossitona o
parossitona coperta, dove non s'abbia -i finale, si riducono (per
la trafila di oi) ad o : es vedo Vedere, so'qiiete Séguito, krg'se
Cresco ecc. ecc. ; le forme abruzzesi che continuano E con è
anno e {uréfece, aréfece, cfr. Finamore^, p. 46).
P. G. GOIDÀNICH.
366 Umberto Valente,
Nomenclatura dell'ape in alcune regioni setten-
trionali d'Italia e specialmente nelle valli del
Pellice e del Chisone. ^
Ape. — Tipi lessicali: ape (varietà fonetiche o morfolo-
giche: alf Gattinara, cit-m Tortona); api cu la (territorio piem.
var. fon. anvia Narzole) : moscone (muskiìn Gallarate).
Ape regina. — T. less., oltre regina, madre {mari
Mattie, mare Val Chisone).
Pecchione. — T. less. : maschio {maklo Meana, màkiu
Mattie, masc Pinerolo) : bordone [burdun Pragelato).
Arnia. — T. less.: apiculariu {abel'é Val Chisone); fa-
va r i u (fave Meana) ; buso {buf Alessandria, bifun Vili [vedi
anche REtV^ 1376]); prov. brusk [cfr. REtW 1342] [brussón
Mattie, èmsc Angrogna) ; buco -j- brusk [G.] (èrwc Roure).
* [I luoghi da cui le informazioni son tratte si possono ordinare geo-
graficamente cosi: Valli alpine piemontesi di nord-ovest: Stura di Viù:
Viù; - Dora Riparia: Meana, Mattie; - Val Chisone: Pragelato, a monte
di Fenestrelle, Roure ; - Val Germanasca (affi, di destra del Chisone):
Ferrerò (si veda l'indicazione precisa di queste località nelle carte a p. 202
del voi. XVII, e a p. 12 del voi. XVIII), S. Secondo di Pinerolo (a sud-ovest
di Pinerolo); - Val Pellice: Villar Pellice (sul fiume Pellice, a monte di
Torre Pellice), Angrogna (subito a nord della Torre); - in prov. di Cuneo,
in pianura, sono Narzole (a sud di Bra) e Mondovi ; - ad est di Alessandria,
sullo Scrivia, è Tortona; - in prov. di Novara, sul Sesia, presso Roma-
gnano S., è Gattinara ; - e Gallarate è un noto grosso paese a nord-ovest
di Milano. P. G. G.].
Nomenclatura dell'ape, ecc. 367
Sciame. — T. less. : ex amen (esome V. Chisone, eissdme
Villar Pellice) ; jectu, gettone, piein. biit {giet Mattie, gic
S. Secondo di Pinerolo, zitùn Pragelato, biit Angrogna) ; truppa
(strupa Mondovi) ; nidiata {Pia Vili).
Favo. — T. less.: fa varia {fave Mondovi); pertusu
{partii/ Vìù) ; telar in {file V. Chisone, tlule Pragelato); lion.
kotji^ó de mier [G.], kutél Angrogna, gutél Mattie.
Cella. — T. less.: cella {sella e simm. Mondovi ecc.);
nicchia {neis Mattie, nis Meana, nit Viù).
Polline. — T. less. : polline {pullein Pragelato) ; pol-
verina [cfr. REtW 6842 " ostfrz. pus, neuenb. piisc ecc. „]
{pusa Mattie, pUsa Meana).
Bocca. — T. less.: bocca (Viù, Val Pellice, Piemonte e
Lombardia in genere); gola {gulà Meana, gula Mattie, gule
Val Chisone, gido Perrero) ; labbra {lahre Pragelato).
Smelatura. — T. less. : vendemmia {vendémmia tori-
nese, vendumia astig.).
Pungiglione. — T. less. : aculeo ne {agil'on Val Chisone,
aigul'on Angrogna ; var. fon. e morf. argol'in Val Chisone) ;
8 u e t i 0 n e {susùn Pragelato) ; suctione4- pungiglione [G.]
{sungil'ón Val Chisone, sol'ón Val Chisone, sol' un Pragelato) ;
punzone + punta [G.] {puinton Mattie, Roure).
Petto o Corsaletto. — Quella parte del corpicciuolo che
sta fra il capo e l'addome, di materia solida, la quale sul dorso
forma una specie di scudo. T. less. : petto {pitre Fenestrelle) ;
corsaletto (cors^^g^ Fenestrelle) ; stomaco (s^om/ Piemonte).
Umberto Valente.
368 G. Malagòli,
FONOLOGIA DEL DIALETTO DI NOVELLAKA
APPENDICE
Saggio di testi dialettali/
a) Tradizioni popolari.
1.
L affala ed^Sferindjana.
Jl_i da^save'r na^vólta k'^a^g'^èr'^un^ré e na^'egìna, k'^i^g^ave'vn^
un^fjql. Avftn al^re a^k^steva na^maistra k^a^feva^skqla. Al^fjql
(talare, per^divertìres , tut^el^sìr l'^andèv^ihdV^'rt a^vedr^a^:{uge'r
stel^puteli. Una^sìra al^càtna la^Sferindjdna f^l^g^dìf:
— O^Sterindjàna,
kvanti^foj fa la^vostra ma^oràna ?
E^le, stampatela, la^s^n^à tànt^al^gr&n^yermf'l, k^la^a^su' da^
' Unisco con ^ le parole legate insieme nel discorso, le quali, di con-
seguenza, diventano enclitiche e proclitiche intorno a quella su cui cade
l'accento di proposizione. Le vocali toniche delle singole parole nella pro-
posizione non pèrdono, però, mai del tutto il loro colore ; ma l'attenuano
solamente. Più notevole è il mutamento nella quantità : di regola, le lunghe,
in proclisi, s'abbreviano, tranne in pochi casi nei quali sembra che si voglia
quasi dar rilievo alla parola. Molto influisce poi nei legamenti la maggiore
0 minor lentezza delia dizione : qui s'è voluto rappresentare un modo di
pòrgere piuttosto lento e con pronunzia bene spiccata.
Fonologia del dialetto di Novellava 369
la^so^jmaistra e__la^k^kqà(a la^stòrja. Lri ^maistra la^g^dlf: — E'inan^
da^sìra kvand^ahde^^ó, s'^al^v^dlf ankora :
— O^Sterindjàna.
kvahti^foj fa la^vòslra maiordna ?
im n^g'^l da ^risponder :
— E^lu k^l'^é aksè^nòbil kavale'r,
k^l'^iiin^sapja^dlr
kimhf ^atel^in^zel,
kvant^pes^in^mèr
e^kvanti^puti a^q^é da^maridé'r.
La^putela l'^a^n^vdeva^l'^qra k'^a^nis kV^etr acuìrà pr^andè'r ^o^
ihdl[_òrt. A^vèhs ^l assira ; e al^re al^n^av/lna e^al^g^dìf:
— O^Sterihdj&na,
kvanti^foj fa la^vòstra malo rana ?
E^le la^g^dif :
— E^lii k^V^é aksè^ngbil katialè'r,
k^l'^um^sapja^dir
kvant^stel^in^zèl,
kvanf^pes^in___mèr
e ^kvahti ^ptiti a^^g^é da^maride'r.
E^lu al^resta tahf^mortifikf Ic^al^dlf: — Ajt^a^faró^me!
A^kV^eter ^gdreìi a^s^ved a_gir§'r per^la^zitf' un^om k^al^fbràja :
— Ki^vql ijbej^mazorm^d^fjq'r ? ! Ki^vdl i^bej^muzorm^d^fjd'r ?! —
Tut^el^puteli d^la^skqla^ed^kla^maistra el^selten^fdra per^veder ku-
fa^gjèra. Kul^gardine'r al^j^i^ved e^al^fa^fermè'r la^so^mula , e^
Poji^g^dl/: — K'^i^venen a^tor^i^fjò'r ! — Tufi el^s^g^avfluen
fora ^ke ^la ^Sterihdjàna. Alqra lu al^komlhca a^Cainfrla d/endeg :
— KJla^t^eha ahka^lè u^tòr iin^mazolìn^d^fjò'r, k^la^vena^anka^le ! -
Dop^tahti^pregjéri la^g^và. Lu al^zerka al^pjujbel^mazoìhn^d^fjó r ;
ma^priina ed^dèrgel, al^d'if: — Pr^averel hi/ona baje'r al^kùl a^ìa^
me^mula. Le ht, _g __al ^hèfa , e^lu al ^g^da^al^mazolin.
370
G. Malagòli,
A^kl^etra^stra el^piiteli el^vnh tuti indicò rt. Al^re, kom^al ^sQlit,
al^s^av/ìna a^la^Sterindjàna e^l^g^dlf:
— O^SferindjSna,
kvanti^foj fa la^vdstra ma^^pr&na ?
E^le la^ripét :
— E_ lu k^l'^e aksè^nòhiì kavalè'r,
k^r^unt ^sapja^dt r
kvant^stel^in^zel,
kvaht^pes^in^niér
e^kvahti^puti a^g^é da^maridé'r.
E^lu al^saltì^su' : — Pr^ave'r ùh^mazolìn^d^fjq'r, t__ba/\s^al^kfil
a^Ja^me^mula. — E^le la^va^su da^la^maistra e^la^kominca a^
pjànxer e^la^k^kgnta la^stQrja. Ela^maistra la^g dì/: — Lasf fèr
a^ine. — La^k^komincn a^preparé'r na^vesta^ntgra , la^k^td/ a^nòl
na^mula, la^la^bèrda tut^ed^nìger e^po^ihdel^^oréc la^g^met du^
lumih. A^mezanò't ih^pùht la^la^fà montf'r su e^po la^la^màhda
al^paliz dal^re.
Kvahd^V^e^là dav&hti sta^ragàza, eL^gvèrdi i^g^dl/en : — Alt ki^
va^là ! — E^U la^dlf:
— 55» la^mòrte, dena di^korqna,
ke_và a^vifitàre oni^persqna,
e^voljo il^filjo delire, sakra^kordna.
E^lór i d/in : — Pasè' pur, pasé' pur.
Alóra la^và a^picè'r a^V^us^dal^re. E^lu al^dìf :
E^le la^dlf :
— Sòn la^mòrte, dena di^korqna,
ke^và a^vifitàre otii^persòna,
e^voljo il^filjo delire, sakra^korqna.
— Ki^é? —
Elu al ri
Va da^mio^pàdre,
va da^mia^màdre,
ke^son _^vekjareli ;
Fonologia del dialetto di Novellara 371
va giorno a^L<i^kàs;i
de^mjej^denà ri,
f^nie lAsjami_,stàre.
Qiiànd la^l'^avi spca-eMè' beh^a^nwt, la^s'^in^và a^kà.
ji^la^matìna i^aènten ke^l^fjòl dal_^re al^s^ta^mèl e^'^i^g^d/^n Iq.^
kot»unjd'h. La^maisfra alava la^st^t/iet in^pens/'ì% e^la^g^dl/: — A^n^
doveri mlga fèr nn^kòfa kohpàna ; f/iO^pe^'ó tafétn, — Pog^gòren dQp
a^s^sént k^al^sta^hnlh ; anzi na^alra j^al^vedn indl^Qrt. Al^càma
a^Sterindj&na e^l^g^dìf :
— O^Sterihdjàna,
kvahti^foj fa la^vòstrn maior&na ?
E^le la^g^dtf:
— E^lu k^V^é aksè^nòbil kavalè'r,
k^V^utn^sapja^dlr
kvant^stel^ih^zèl,
kvant^pes^in^nièr
e ^kvaht imputi a^g'^é da^maride'r.
E^lu al^ripét : — Pr^ave'r un^)>iazoDh^d^Jjf/r, t^bafìs^aljkù'l a^
la^me^mula. — E^le la^naltì^su' :
— Và da^mio^pQdre,
va da^mia^màdre
ke ^^oh ^rekjijireìi,
va^torno a_Jia^kòsa
de^mjej^denSri,
e^nte lasjami __stàre .
E^lu al^dxf pjàn : — • A^t^serviró^me. —
Al^gòren dòp al^và da^la^naistra e^al^q^dmànda la^inàn ed^sta^
r<m^a. l^a^maistra la^o^d'if k^la^n^èra^mtga na^per^sUa , mo^lu
l'^insi'st t&ht ke^la^g^la^kohcéd. Al^goren prijna dal^matr impili la^
fÀ un^bel^fanto'h k'^a^fi'^asomilja a^la^rag'tza e^in^wex^aj^pàn la^
g^met^denter dla^sàba. E^po ia^(/^dì/: — Ednwn^dQ^slra , kvahd^
and^' M^lef, meli qil^fanto'h in^me^ al^Iet e^vu nif,dé' sola. — I^se^
spò/en , e^po^la^ragàza la^fà kma^f/^avh)'^iÌ!isi^è' la^maistra. A^la^
Archivio glottol. ital., XVIII. 24
372 G. Malagòli,
sira la^spnfa l'^akùf^un^yrah^mel^d^testa. e^^o^nOuu la^dif: — Ande
pur a^let. Pog^dòp a^veh indla^kanir ^al spof e^l^g^dtf: — A ! te^
k^sè'h^ve adesa. — E^sehza^fer^èter, al^k^pj&nta uh^kortél indal^
kò'r, e^h^sflta di^spric ed^s&hu in^hoka. Lu al^komìhca u^zigè'r,
ma^nisvh a^veh, perké l'^eva de drdin ke^nisfin s^niovisa. Aloru lu
l'^e^tant^edespre' k'^al^vdl mazfres. Ma^le kvatid ^la^ved^aksé, la^sflta
fora e^la^dlf: — No, no, mìga mazfret, k'^a_son^ki'. — E^lu al^k^
sflta^al^kòl ; i^s^hràzen, i^s^béfen e^i^s^vqlen senper beh.
La ^m e ^f ola l'^e^bel^e^finida,
la^s^rdhpa sU per^na^vìda.
2.
Proverbi e detti popolari.
a) Meteorologici.
1. Kvand^a^tira^al^tròn ed^fervè'r , — to^el^bot e^pórtU indal^
granè'r.
2. Kvand^el^nuvoli el^van^a^stra, — to^la^roka enfila (cfr. Ferraro,
op. cit., pag. 100).
3. Kvahd^el nùvoli elevati ^a^mattna, — to^^la^zàpa e^kamtna ; op-
pure : — to^al^sàk e^và a^farlna ; o anche : — ^^t^f^^^iog^a^
la^manlollna, o a^la Carina (cfr. Ferr., 1. e).
4. Kj)ahd^el nu'^oli el^van^ih^su, — to^la^skràna e^sedeg^sà (cfr.
Ferr., 1. e).
5. Kvand^el ^nuvoli el^van^in^ió, — to^al^io;^ e^metl^al^bó (cfr. Fer-
raro, 1. e).
6. Kvand^al^sql al^s^vòlta indre', — bela^matma al^s^cdma adrè
(con significato opposto a questo nel Ferr., 1. e).
7. Kvahd^ih^zel a^g'^e^la^làna, — a^piqv denter^dala^stm&na (cfr.
Ferr., 1. e).
8. Kvahd^a^kàhta al^gCil ihdal^polfr , — s^l'^e bel^tenp, al^s^ról
gvasté'r (cfr. Ferr., 1. e).
9. Fervarq'l kùrt kùrt — l'^e^pe^ ke^nn^tùrk (cfr. Ferr., 1. e. ; Merlo,
Stag. e mesi, p. 92, n. 4).
Fonologia del dialetto di Novellara 373
10. Per^Santa^Né/a — V^ar/ehtela la^s^rànpa su perula zrefa (cfr.
Ferr., p. 99).
11. Santa^Luzia — la^nQt pju^tohga k'^a^se^k^sia (cfr. Ferb., ib.).
12. Saht'^Antoni — un'^ora^tohda (cfr. Ferr., p. 98).
13. Mfrz marzò't — taht^al^di' kom^é la^nò't.
14. San^Fabj^n — kon^la^vjqla in_màn.
15. Per^San^Luka — ki^n^a^semnè' se^spluka.
(V. inoltre numm. 120, U9.)
fi) Detti sentenziosi o scherzevoli,
1. Ki^fìla a^na^amì/a, e^ki^n^flla n^a^do.
2. Ki^e^sot^al^zel, e^sot^al^disgr&zi.
3. Ki^h^s'^afénta, stènta.
4. A^n_^e^ahkora^andf a^let ki^a^d^ave'r la bona^nòt.
5. Daj^brut _^zòk a^g^vèh del^beli^tdp (con significato opposto nel Feb-
RAKO, p. 103).
6. Arlój, don^,e^kav^j j^ih^taht trav^j (cfr. Ferr., p. 102).
7. Ki^rqnp pèga e^i^skoz al^kól.
8. Kahpan d^Rez, strfda ed^Koréz, gustizja d'^Ahvalfra, — OL^n^g'^e^
nis^h k^t^inpera.
9. Visti' s uh^pfl, al^pér uh^kardinè'l (cfr. Ferr., p. 102).
10. Al^meste'r d^Miklàz — mané'r e^bever e^anàfr a^^spds.
11. yadfl a^kà di^sq, karnvf'l a^kà di^niàt e^Pàskva ando^s^inbùt.
12. Pah d'^ith^di' e^vlh d'^un^àn, e^na^puta ed^desdot^^n (cfr. Fer-
RARO, p. 101).
18 Skérpa lérga e^hice'r pìh, e follia kom^la^ven (cfr. Ferr., ib.).
A. Vena la^Fràkza, vena^la^Spàha, — nie^a^n' infòt, basta ka^m&na.
^5. Pju^kojq'n ke^TanÙh k'^al^gireva pr^i^spìh kon^el^^skfrp in^màn :
oppure : — k'^al^mneva la^polenta kon^el^fnàh e^po^l djeva ;
Marna, la^skóta.
(V. inoltre numm. 63 n.. 299.)
87é G. Malagòli,
3.
Preghiere e canti infantili.
a.
Nòna, Snor, nòna, Madontna, fem^gràzja k'^n^p&sa na^bona^npt
tant^per^l'^anma kotné pr^al^korp (cfr., con qualche variante, Ferr., p. 66).
/?•
^ Rondanina dal^Sin7/r,
preffa Dio k'^a^vena^l^sdl,
prega Dio k'^n ^I ^rena^prést :
eko^là' k'^a^l^ven^adés !
(Cfr. Fkhr., p. 71.)
y-
Rondanlnn a^bUs a^bàs,
prega Dio k'^n^t^na uh^sgvàz,
prega Dio k'^a^J^vena^prést :
eko^là' k'^a^l ven^adés !
■^^PJÓv a^pjm^ !
largata la^fà j^qv
e^la^veCa^Pirohdìna
In^l'^a^f&t estamattna.
e.
Govanin da^la^hreta^rosa,
dim^uh^pò kuf^la^te^kosta.
La^me^kosta^ un^knrant^.h
sot^il^pdnte di^Milàn,
sot^il^pqnte di^Kremqna,
dov^a^se^b&la, dov^a^se^sqna,
dov^n^se^pista V^erba^bòua ;
Fonologia del dialetto di Novellara 375
V^erhn^hòna fa i^fenóc,
Katarlna striJca dl^gc;
strika dl^oe e^dà l'^oeèda,
Katarlna inamorèda ;
inamorèda d'^uh^hel^put,
Katarlna su per^f^us ;
su per^l'^us e^per^la^pòrta,
Katarlna meia^mòrta,
meia^mòrta da^morir,
Katarlna da^suplir.
Làsa k^la^indra,
a^k^farém na^kàsu nova ;
nova novéhta,
uh^pjato di^poìehta,
uh^pjato di^tortéj,
a^farém balè'r i hari/éj,
e^f^e^i^hariféj i^n^vUen balè'r,
capa la^frusta e^fàj trote'r.
Tròta, varola,
la^màma V^e^ahdeda a^skola,
e^al^papà' l'^e^andè' al^markf,
a^visttr i^pjtt^malè',
a^vistlr la^pelegrlna,
kòka kpka la^me^galJna.
(Cfr. Fkrk., pp. 81, 77. V. anche num. 63 n.)
4.
Rispetti amorosi e contrasti.
— Af^salù.t, hela^ragàza,
dala^elta, e^dala^hSfta,
e^dal^eìber beh sphw f,
qvest^ki' V^e^l^nalut dal__voster^morò'/-
[oppure] e uh^pez k'^n_n^i^rist al^voster^morò'f?
376 G. Malagòli,
srisuv^rù kul^hel^sogét ?
[oppure] nàh al^n'^e^kól k'^a^rlva adés.
— Af^salnt, ragòza bela.
— Me^h^son^hela, ndh^h^son^kvela.
pr^el^beléz e^pr^el bontè',
af^sikUf k'^a^f^si fbaljf ;
iv^/baìjé' , if^fat^a^pósta,
el^beléz j[_^ìh da^ka^vpstra.
Af^salut, bela_ragàza,
da^ke^pért portfv la^sàka ?
A^la^pprf in _st ergalo' il,
l'^ir^savfi, alarne ^niih Cu' n ?
A^let, a^let ke^la_l]ima l'^e^s!£ta :
al^me^morq'f l'^e^andf' da^n'^etra puta,
V^e^andè' da^n^etra^p^sta a^moroje'r,
po^dpp al^ven^da^me a^prediké'r.
(Cfr. Ferr., p. 64.)
Me^m^son^tòta su dalaskd'/
per^andè'r kon^al^me^morò'/,
e^a^tnéva al^me^ ed^la^strèda
perké la^lfina la^h^lii/era.
Kvahd^a^fu^là' daì^pondfél,
a^m^inkqhter tne^fradél.
Bisona^dìr ed^g'^àbi pòk in^kó ;
s^te^rd mari', a^n^t'^al^daró ?
E^s^t'^en^t'^ate'nt a^parlfr,
fàtnel dir per^bfrba Rinè'l.
Fonologia del dialetto di Novellara 377
A^n^t^n'^o^fat^parle'r per^hérha Rihf'l?
Mo al^let e^la^kasa f^n^um^vq der.
Just adés k ^V^e ^al^mèj^d'^agóst,
a^n^t'^o^mja^fòt un^korsét ros ?
h'^e^hen^vera te^m^l'^e^tót ;
mo di^tn te_g^n^e__mis pòk.
Just adés t'^um^vd ffr m&t :
te^n^mane'v ih^dal^me^sàk ?
e^po^kvand^a^sera via,
te^fèv sehper aitala'.
A^se ! a^vreva fèr kvel^ed^hqh
koh^dla sfarina ed^f or mento' n !
TJètra gent, a^n^k^fé mja^ììteht :
a^g'^eva ahk dà sàk ed^fonnènf.
Da^me^e^fi a^k^sem^ih^dù,
e^s^teg'^f^ave'v te^j^e^vendv.
5.
P e r f u s e.
a.
Beli^dón, fev dai^pèra
k'^e^ki al^mdt dala ^granerà
la^granéra ed^sangonina,
a^g_darém na^spazadìna ;
ahdarém su da^kel^don,
k'^a^g^^e^smper di bergón ;
e^k^la^màta ed^me^inojera
l'^i^n^konsf£ma na^panéra ;
e^k^la^sjòka ed^me^sorela
l'^i^ii^koitsutna na^manela ;
e^kul^pdver me^fradél
al^kons!£ma ank^al^kapél.
zie G. Malagòli,
L'^e^propja^vera kvel^k'^a,^s dì/
ke i pare'nt i^n^tn aniig,
ke^j'^atntg i^n^ìn pare'nt,
ke^la^fèva V^a^n^é foi'mè'nt,
ke^al^forme'ht al^n'^é Ict^fèva,
^^^^«—PCA la^n^é la^gvera,
ke^la^gvera a^n^é la^pf/,
ke^lii^stopa a^n^é banhé'f,
ke^al^bahbe'f al^n^é la^stopa,
ke^al^fùf al^n^é la^roka,
ke^la^roka la^n^é <d^fùf,
kc^la^fnester lu^n^é un^hùf,
ke^un^hùf al^n^é na^fnester,
ke^du^pàn i^n'^in na^mnester,
ke^na^mnestr i^n^ìh du^pàn,
ke^un^tvajq'l al^n^é un^gab^h,
ke^un^gab'Sn al^n^é nn^tvajd'l,
ke^na^v&ka la^n'^é uh^mah\d'l,
ke^uh^man:(ò'l al^n'^é na^vàka,
ke^iin^badi'l al^n'^é na^zàpa,
ke^na^zàpa la^n^é un^badi'l,
ke ^al^vief d'^agóst al^n^é ki^el^d'^avri'l.
6.
Canto della donna lombarda. ^
Amarne mi, dona^lonb&rda, (bis)
amarne mi. (bis)
Kma^vqt k'^a^fàga, belare di^FrànCa, (bis)
k'^a^g'^ó' mari', (bis)
* In questo canto storico predomina l'elemento letterario italiano sul
dialettale. (Cfr. Fkrraro, p. 49 e seg.)
Fonologia del dialetto di Noveliara 37d
— Tuo marito V^e^uh^vomo veJcjo, (bis)
falò mor'^r. (bis)
— Kìtirt^tqt k'^a^fdga farlo morire (bis)
ke^non^g'^o^nent. (bis)
— Va nel^^atdino del^si'hor^pàdre (bis)
ìc^a^g^e^un^serpentln. (bis)
Tàlja la^testa di^kvel serpente, (bis)
taljela^bèh, pistela^ben ;
e^po^metela nel^vaseleto (bis)
dal^vln pju^bon. — (bis)
Vjene a^kàsa suo marito (bis)
kon_una^qrah__se. (bis)
— Va tràr del^vìno, dona^lonbàrda, (bis)
k'^jl^o^na^grah^se. — (bis;
Un^fanculeto di^sete^mefi (bis)
n^a^maj^parlù. (bis)
— Noh^star^a^bère, sinor^pàdre, (bis)
k^l'^e_ veleni, (bis)
— Ko/ à sterrino, dona^lonb&rda, (bis)
k^l'^e intorbed^. (bis)
— L'^e^stato^il tuòno deV^àltra sera (bis)
k^l'^a^iittorbedi. (bis)
— Bévelo t'J, dona^lohbàrda, (bis)
hévelo t>j. (bis)
— Kma^rqt k'^a^fàga, karo^marìto, (bis)
ke^non^o^.sé. (bis)
— Sol per^la^spàda ke^pòrt il^fjànko (bis)
lo^beveréi. (bis)
— Soi per^l'^amóre delire di^Frànca (bis)
lo^beveró, poi^moriró.
Aggiungo la notazione musicale del vecchio canto, come si ode aticora
qualche volta tra noi :
ÌEÌ^^^=Ì=?_^ÌÌs^5^ì^jiì^^J^
A - ma - nip mi do - na loii - bar - da A - ma - me mi do -
gjg^pgg^-^-Epfiigg^g^^-^^
- uà lon - bar - da a
380 G. Malagòli,
bj Poesia vernacola della seconda metà del sec. XIX.
In occasione di un accompagnamento funebre. ^
0, l'evia laheVtif&ìtza,
kom^a^s^fare' intana ^Icofttradàhza,
ke^tut^kvàfit s^dSgen la^màh
tant^j^ahréj konié i^kristjàn.
Ahk^aksé iittìa^religd'n
ci^k^pèr nù na^kohvenzfln
k'^a^k^pona^entrf'r ank^ed^j^abréj
a__kovpanè'r i^nòster fradéj.
Lor^i^f^dan na^gì'an ^prettiùra
ed ^ko» pane' res ala^sepoltùra,
e^koii^un^hel kaitdìo'f in^màn
ank^ih^Cefa di^ k r istflh .
;^à k'^i^gòden ìn^ciriltf',
ank^al^kanpUn a^g^rre inprestf
sehper^ke iitt^al^religo' h
a _,n'^eg^voja la^dirifjth .
Tnìv a^mèht ke^uh^Gràhd V^a^dit
k'^i^f>ran smper maìedét,
ke^rami'f'ig pr^al^moiid j^andran,
tolerè' in__^ntex aj^kristjaii.
* Qaesti versi esprimono il risentimento dell'autore, provocato dal fatto
che un israelita aveva preso parte al corteo funebre di un cristiano, e,
portando il cero, era entrato con gli altri in chiesa (v. Introd. § 1). —
Linguisticamente presenta — come il saggio del Papanti che risale circa
allo stesso tempo — intla e sim. (cfr. Boni., XVIII, 621 ; Arch. Gì., XIV,
247 n. 4), di fronte alle forme col -d- prevalenti nell'uso urbano odierno.
L'art, femm. plur. è qui al, che s'ode ancora tra il popolo ed è normale
in proclisi secondo il num. 161 ; pili comune ora, almeno nell'interno, "e el,
dove non sarà forse estraneo, per l'è, l'influsso dell'ital. le; rarissimo il,
che leggesi nel Papanti e che sarà analogico sul masch. i.
Fonolosria del dialetto di Novellara
381
Aksé a^dfèva i^nOster péder,
ma^a^ritén k'^i^s^sien fhaljè',
perké adés a^s^ved di^kvfder
ke^i^konpCtn i^n^s'^in mfj de.
c) Carte del sec. XV.
li robe infrascripte cJl da :{eliolo a
liboì
ia '
Die 13 Julij 1493
p.° hraza 24 (ì tela a soldi 3 el hrazo mòta . . L.
3
/12
hraza 12 ^ tela da fodretj
n
2
. 8
braza 12 d banbasina
„
2
r 8
camisj 3 a soldi 15 l'ima .
,
2
. 5
lenzoli 2 mòta
„
1
. 15
una fodreta et una carni ff a
V
0
, 8
cofinj duj • ...
V
1
, 0
drapeseli 10 . . .
„
1
. 10
gremhriali 2 . . .
„
0
, 8
paneseli 2 . . .
K
0
r 15
touagioli 4 .
r.
0
, 8
veli 2 et veleti 2 .
,
1
, 4
para due (f manige ^
,
2
« 5
una banbasina turchina
n
3
. 10
una camisota
,
0
. 16
uno peso e mezo et j)ena
B
4
. 10
braza cinque d tela .
"
0
« 15
' Per alcune delle voci di questa carta cfr. Corredo di Elisabetta Gonzaga
Montefeltro, illustr. dal conte L. A. Gandini in Mantova e Urbino di A. Luzio
e R. Renier, Torino, Roux e C, 1893, pp. 293 e segg.
^ Per la declinazione secondo il genere dei numeri cardinali v. Salvioni,
JB. Vili, I 139.
•'' A questo punto lo scritto è stinto e lógora la carta.
382
(t. Malagòli,
una capsa venefiana .
una stagnata et uno lavezo
uno telavo fornito
tino vaselo et una tavoleta .
cugiari odo
In praesentia et marchin petenaro nicolo tintor bnrtolante ma/eia petro gualter
li sota al SHO portego in casa sua.
. L.
2
/IO
„
1
, 0
„
U
. 0
„
1
. 0
ji
0
. 4
Inventario de le robe cfi fui del quondam petro figiolo et nicolo balasino.
vaseli 6 cti tene men/uri 16 vel circha
tineli dui uno grondo et uno pizolo
una burga granda e tri mezani
una concita granda da salar
una busola da samo granda
uno tolero da pà
cofaneti. 3
una panava da farina
uno stagnato
uno bronzo '
lavezi dui uno grando et uno pezenino
una segiir et uno segurolo
una ase * de ferro
una marazola et uno corteleto
tina niefora da vai et laltra da medre
una trivela
uno botazo et una botazola
uno ferro da segare cu la preda in/iema
cu li mar teli
sechi due et conche due da fcudele
uno armariol et as/e due da fcudele
uno crivel da fava et uno da riso
una vanga et due zape et uno badile
et uno forchato et uno roto.
una cadena da porcho et una cadena
da fogo
una tavoleta pezenina
scrani due et uno scano
una scala granda et una pezenina
una padela da castagne
una spinaza da tino
una bragagna da formazo
paneri quatre grande et due pezenine
et cavagnolinj. 3.
una forhes/a da tosar pegore
mesuri 4 de vino bruscho vel circha
uno testo et uno orzalo da olio
una pala da grà
una barila vechia desfondata
due busoli da samo
una forcha et uno rastelo da grano,
uno seso da caro
cerchieli octo et 3 as/eseli pizoli una (?
rouera et una de salize
mezo peso de canipa vel circha
una stadera che leva pesi 2 et mezo vel
circha
pesi. 3 e mezo et carne folata vel circha
' La prima lettera par cancellata.
Fonologia del dialetto di Novellara
383
uno remo da burchielo
una letera cil una stara
uno ledo cil uno pumazo et uno cojìno
pesa ogni cosa circha pesi. 3.
una coperta cittn tela turchina et rosa
para dui ct lenzolì uno paro cT Uno et
uno paro cT canipa
uno zupono biancho
una camisota biancha
una cantora morela cum manige morele
eami/se 3 mezane
L 10 anzi 13 di stopa biancha cum la
sachela
L 12 de filo biancho cu II sachelo
Una quartarola
uno paneselo cu li capi tenti
cainisi. 5. usade eh fui (f pedro et mu-
dande 3. quale dice volerle dare amore
dei
una coltrlnela bruna da lecto
una capa turchina Como nona in parte
fodrata d biancho
una vesta morela
una stara
uno gabà it biso biancho
uno specleto
uno manteleto (f verde scuro vechio
vache due cu dui viteli
dui sagli
una cariola
a/e due et rouer da burchielo
una afe in dui pezi incavichiata insema
una tina et rouer eh rendo mesuri 12
vel circha
uno topo et una morfeta
fa/i per fogo et altri Ugnami insiema
cara uno e mezo nel Cortilo
Carra uno flf cana
predi Crude odo cento
tnezo mi aro d copi crude
circha prede dusento cote tra bone et
cative
Copi Casi Cento cinquanta vel circha
uno remo da burchielo
1^1!!) inventario, che abbiamo riportato come uno dei più ricchi di
particolari, è scritto in un mezzo foglio e trovasi inserto in un altro che
porta la data del 1493.]
Giuseppe Malagòli.
APPUNTI BIBLIOGRAFICI
A. Thauzzi, Attraverso Vonotnastica del Medio Evo in Italia, Rocca S. Ca-
sciano, fase. I, 1911; fase. II, 1913.
I.
La ricerca del Trauzzi à questi limiti: va dai pili antichi monumenti
dell'alto medio evo fino al 1200 e s'estende a tutto il territorio italiano
comprese le isole, ma esclusa Venezia e il Veneto. " Mi son voluto fer-
mare, dice l'A., entro il sec. XII, perché dal principio del sec. XIll i docu-
menti crescono spaventosamente e perché, entrato in quel nuovo, non avrei
vista poi nessuna ragione per fermarmi prima della sua chiusura „ (p. 7).
" Di Venezia e del Veneto non mi occupai, perché non potei ottenere a
mia disposizione la raccolta dei documenti , (p. 7). Questa involontaria e
lamentata lacuna è grave; e noi ne prendiamo occasione di deplorare che
non si correggano i meschini regolamenti sul prestito dei libri, regolamenti
fatti, si direbbe, apposta per inceppare l'attività degli studiosi, e dare a
molte opere onorata sepoltura nelle nostre biblioteche.
La messe dal Tr. raccolta è ingente: si tratta di circa 56.000 nomi; e
il solo fatto dell'ordinata esposizione di tanti materiali è un titolo di me-
rito dell'A.
Riferisco i risultati più importanti d'ordine generale cui l'A. è arrivato
e faccio seguire qualche osservazione pur d'indole generale :
1. Gli elementi latino, greco, germanico, arabico, ebraico, componenti
questa onomastica, sono disposti nella nostra patria in modo da distribuir-
sela in due grandi campi: il Sud e il Nord con la Sardegna, legati fra
loro da una zona intermedia;
li. Il ricordo dell'antichità classica non scompare del tutto nel medio
evo, ma è molto tenue;
III. Le comunicazioni nell'Italia sono quasi sempre circoscritte entro i
limiti di una stessa regione, difficilmente a regioni vicine e molto meno
alle lontane fra loro; e cosi le relazioni dell'Italia col bacino orientale del
Mediterraneo sono molto superiori ai suoi rappox'ti coll'occidentale;
Appunti bibliografici 385
IV. L'elenco dei nomi di genti e tribii barbare, che direttamente o in-
direttamente fecero sentire la loro influenza sull'Italia è pili ampio di quello
datoci dagli scrittori e cronisti;
V. Possiamo anche ritrarre un disegno, sebbene molto sbiadito, della
costituzione sociale in Italia in quell'epoca;
VI. Il sentimento religioso cristiano assorbe gran parte dell'onomastica,
sebbene rimanga ancora traccia della religione pagana dei Greci e dei
Romani;
VII. Scaturisce con una certa chiarezza lo stato psichico delle varie
genti, che popolarono l'Italia, e la maniera d'intendere e di sentire il mondo
morale e il mondo materiale ,.
Secondo, dunque, l'A., " gli elementi latino, greco, germanico, arabico,
ebraico, componenti questa onomastica, sono disposti nella nostra patria
in modo da distribuirsela in due grandi campi : il Sttd, e il Nord con la
Sardegna, legati fra loro da una zona intermedia „. Ma l'esame della sta-
tistica dell'A. stesso (p. 10) conduce a risultati alquanto diversi. Cosi, ad es.,
nel Piemonte la percentuale di nomi latini è 15,5, dei germanici e. 60; in
Sardegna dei latini e. 40, dei germanici e. 11; in Romagna dei latini e. 41,
dei germanici e. 53; nelle Marche dei latini e. 23, dei germanici e. 51; nel
territorio rappresentato dal Codex Cavensis [limiti : dalla parte di Oriente,
la costa adriatica da Manfredonia a Bari; dell'Occidente, la costa tirrena
dal Volturno a Policastro ; del Settentrione, la linea segnata dai corsi del
Volturno-Calore-Celone; del Mezzogiorno, il displuvio delle montagne della
Maddalena e delle catene che ad esse fanno séguito verso Oriente], dei la-
tini 23, dei germanici 55.
Questi dati statistici ci fan concludere che, per quanto riguarda l'onoma-
stica, non può essere l'Italia divisa in due grandi zone, l'una comprendente
il Nord e la Sardegna, e l'altra comprendente il Sud, con una zona, diremo
cosi, centrale mista; ma che nel Nord e nel Sud le varie regioni contigue
presentano condizioni diverse per la prevalenza dell'elemento onomastico
indigeno od esotico.
Forse l'À. non à avuto il coraggio di venire a questa constatazione,
perché tali condizioni onomastiche sono in opposizione colle condizioni les-
sicali dell'Italia dialettale moderna. Ma una tale opposizione è ben lungi
da destare meraviglia. La diffusione del nome personale non è avvenuta
come la diffusione del lessico: questa ebbe luogo per trasmissione auricu-
lare, laddove l'onomastica in genere e soprattutto la nostra è un fatto
culturale.
E a questo proposito giova rilevare, coll'Autore, un fatto d'importanza
capitale. A pag. 11-12 il Tr. giustamente osserva che dalle condizioni ono-
mastiche non si potrebbe trarre alcuna illazione di ordine etnografico; sa-
386 Appunti bibliografici
rebbe ridicolo cioè inferire, per es., ilalla prevalenza dfi nomi germanici in
Piemonte, una grave immissione di sangue germanico in quella regione:
* noi non possiamo parlare, dice bene l'A., che d'influenze ,. Per essere chiari
su questo punto sul quale nessun equivoco dev'essere permesso, noi po-
tremo inferire dalla prevalenza o meno dei nomi di tipo germanico, in una
od altra regione, solo una prevalenza politica, economica, sociale, cultu-
rale dell'elemento germanico nei principali centri di una od altra regione,
e di soggezione, ossequio o simpatia dell'elemento latino allo straniero; e
ciì) anche per una data estensione di tempo; che ad una certa epoca i
nomi personali germanici, ormai fatti propri dagli indigeni, si saranno con-
tinuati a dare per ragione di affetti familiari e di simpatie verso amici e
protettori indigeni o per ragione di fervore religioso, obliata la precisa
origine del nome.
Fra ^li elementi che compongono l'onomastica italiana son riferiti a
pag. 5 l'arabico e l'ebraico (biblico); qui e altrove fpag. 13) questi due ele-
menti sono giustamente tenuti distinti, perché, come l'A. stesso osserva
(pag. 12-13), per l'arabico si tratta d'influenza diretta di Arabi, mentre
l'elemento ebraico è di provenienza religiosa, agiologica. Non s'intende
quindi perché l'A. abbia voluto raggruppare queste due correnti del tutto
eterogenee, nella tabella statistica a pag. 3 0, dove l'elemento arabico e
biblico sono compresi sotto il nome di elemento semitico.
Qualche altro dubbio lasciano anche le altre illazioni dell'A., o per lo
meno egli avrebbe dovuto più chiaramente fissare intorno a qualche punto
il suo pensiero. Dice il nostro A. (pag. 14) che " colle invasioni del sett. e
del mezzog. il ricordo dell'antichità classica trasmesso dalla tradizione e
dagli scrittori non scompare del tutto. Ne fa fede una serie di nomi latini
e greci ^, come Cesare, Giulio, Giuliano, ecc. Qualcuno potrebbe opporre
che verso il IX, il X secolo questi nomi potevano essere dati senza pen-
sare all'origine loro, cosi precisamente come nell'età nostra si danno, senza
alcuna predilezione per la loro origine, i npr. Dario, Alcibiade, Antonio,
Alberto, ecc. L'A. avrebbe potuto, prevenendo quest'obiezione, dire che la
prevalenza dei nomi o indigeni o esotici è in ogni modo indizio sicuro di
una reazione o forte o debole all'influenza culturale esotica e che la que-
stione dell'età di questa opposizione fra i due elementi, per il suo attuale
intento, non era essenziale. Un'osservazione analoga andrebbe fatta a pro-
posito del suo tentativo di dedurre dall'onomastica lo stato psichico della
popolazione italiana indigena e dell'elemento esotico nel M. E.
Ma queste osservazioni, come le altre particolari, che seguiranno, del
Poma, non potrebbero sminuire il uierito di questo diligente studio del
Trauzzi.
P. G. GoiDÀNICH.
Appunti bibliografici 387
II.
Le osservazioni che seguono sono fatte esclusivamente per gli studi ono-
mastici e per invitare la discussione degli eruditi sopra questo ramo di
ricerche, e non con la più lontana intenzione di rimproverare all'egregio A.
di essere caduto in alcuni errori o di aver avanzato alcune ipotesi non
sostenibili.
Nella prima categoria collocherei :
p. 21. bonecausus, non è il msc."di bona causa, ma certo un n. p. teut.
colla freq. des. -causus, comecché si voglia spiegare la prima parte [? G.].
p. 37. genesius neppure " debolmente e solo in reminiscenza conserva
la distinzione delle classi sociali ,, ma è tolto di peso dal Martirologio,
senza la più lontana idea del suo significato.
p. 50. fA^aviaKaXyiog, non da mana homo — ma variante di marescalco,
l'attendente {scale) ai cavalli {maràh) *; infatti Fòrstemann non cita
quella forma né sotto mana né sotto scalca.
p. 56. theucarestus certo nulla à da veder colla Eucaristia, ma è il
&€0-xdQi<jTog menzionato nella pagina successiva.
p. 61. Non so a quale arma guerresca alluda l'A. con iaspidus, che,
come tanti altri nomi dell'Italia bizantina significanti metalli e pietre pre-
ziose, ~e idoTtig, diaspro.
Certamente errate, e del tutto incondonabili, sono le attribuzioni seguenti:
p. 52. zeuso, da Zeus ! — quantunque non so spiegarlo, non avendolo
mai incontrato : ma siccome il D'' T. lo trovò in Piemonte, per cui si servì
dei M. H. P., scorrettissimi nei nomi, congetturo che sia il teut. teuzo.
p. 57. Te-deus, da Te Deum praecamur ! E letto correttamente nel-
l'unico esempio occorso al nostro A., ma non dev'essere altro che Taddeo '^
^ È certo singolare che Maresciallo e mascalzone abbiano la stessa origine,
La voce marescalco, attendente ai cavalli, ha prodotto il cogn. Marescalchi,
quelli di Marescalca, Marescalla e Marescallo citati da Gennaro Grande
in Origini dei cognomi gentilizii nel Regno di Napoli (Napoli, 1756), la pa-
rola Maresciallo e cogn. Marescial (Alghero) : poi, con passaggio d'e in i,
Mariscalco, Mariscalchi: poi ancora, con ulteriori deformazioni. Maniscalco.
Maniscalchi, Miniscalchi, e le parole maniscalco e maliscalco : infine con
contrazione Mascalchi (cfr. Seschalchi da siniscalco); mentre da mascalcia
deriva *mascalcione, mascalzone, che fu già cogn. a Firenze nel s. XIV,
oggidì Mascalzoni, diventato anche, per eufemismo, Mascanzoni.
^ Infatti trovo nel Diario di Roma dell'lnfessura (ed. Tomniasini, p. 277)
il cogn. Tedey a Roma nel s. XV, che nell'Indice e tradotto Taddei. A Al-
bano Laziale c'è Tidei. Il n. p. Thedius, Firenze, XIV, rappresenta la transi-
zione tra thadeus e tedeus.
Archivio glottol. ital., XVm. 25
388 Appunti bibliografici
p. 89. canforatus, da cane ! — Mentre è da connettersi coU'attuale
cogn. Canfora dell'Italia meridionale [? G.].
p. 100. garahellus, da carus ! — che è certamente da escludere, quan-
tunque la etimologia dei cogn. Garabelli, Garabello (che è anche piemon-
tese) mi sia oscura.
Ma ritorniamo a nomi, la cui errata interpretazione fornita dall'egregio
A. risulta positivamente corretta da elementi che ben possediamo, attorno
a cui si può positivamente fare qualche aggiunta o riserva :
p. 16 — che Sibilla sia sinonimo di Sybilia è controverso, come non
è affatto sicuro che il pur frequentissimo Mobilia, p. 100, equivalga ad
amabilis — e quanto all'unico aif4,iÀia, p. 83, che il D"" Trauzzi ritiene in-
dicativo di somiglianza, vorrei accertare se non sia invece da leggersi
atlSiÀia '.
p. 19 — turcus è effettivamente derivato dalle relazioni coi turchi e
il n. p. turclits si trova già nel 1147 e nel 1153 nel Regesto di Camaldoli ^.
p. 19 — deliana non certo da Delo, l'isola, perché troviamo questo
nome anche fuori dell'Italia bizantina e colla forma deliana ^ [? G.].
* Già il Rajna {Origini epopea francese, p. 195) scriveva : * Non so se
occorrano Sibille [nella Onomastica di Francia] avanti la fine del s. XI.
L'origine del nome a me pare incerta : dubito cioè se si tratti propria-
mente del Sybilla greco-latino o invece di qualcosa che cotesto Sybilla
abbia solo attratto e assimilato ,. Infatti io penso che sia aferesi del
n. p. Marsibilie dell'epopea carolingia, che in Italia è (come si può vedere
nel * Boll. St. Pistoiese ,, anno XVI, p. 55) Marsobilia, Marsibilia si ve So-
bilia. Sibilio, Bilia, Bigia, Billia. Ad ogni modo Sibilla fu n. p. usitatissimo,
a cui dobbiamo ora i cognomi Sibilia, Sibiglia, Sibillia, Scibilia, e i biel-
lesi Biglia e Billia. A p. 57 del succit. Boll, figurano a Pistoia, s. XIII,
anche i n. pr. Sibella, Sibellina, che il Boll, accentua sull'/ come se signi-
ficar dovessero cosi bella, come infatti c'era Tantobella : ma non sono che
delle varianti di Sibilia, come altrove Sebilia, Sibinia, e da una forma
*Sibelia ritengo che vengano i cognomi biellesi Beglia e Bellia (come più
sotto Mavellia da *Mabelia). Mabilia (che si trova parimenti, ma non al-
trettanto spesso, colla forma Amabilia) fu certo confuso con Amabile : ma
è esso pure una cosa diversa. In Francia è rappresentato dal cogn. Mabillb
(in Normandia Mabire) ; in Inghilterra dal frequentissimo n. pr. Mabel;
e in Italia dai cogn. Mabilia, Mobilia e a Foggia Mavellia.
^ Turclus (per -ulus, diminutivo frequentissimo in quel Regesto) spiega
appunto il cogn. del Tcrchio, Pisa, M. E., e che, accanto a Turchi, Turco,
Tdrchetti, ecc., vi sia in Toscana un cogn. Turchi pronunziato come se
fosse TuRCHjt, come riferisce il Bianchi in "Arch. Glott. It. ,, X, 391, e
XIII, 181.
3 A Tortona, 1135, doc. 40 Carte Arch. Capit. Tortona, in B. S. S. S. Il
n. pr. Diliano anche in Toscana nel M. E.
Appunti bibliografici 389
p. 24 — nor-andus, dalla rad. nor comune coi Norici, anziché da northa :
quantunque non figura affatto in Forstemann * [? G.].
p. 32 — naÀoyeQog deve spiegarsi col senso bizantino di monaco *
[Si rie. S. Calogero].
p. 49 — il famoso nome guis-cardus è spiegato dal nostro A. con vis,
ducere, e hurdu, fortis. Ma altra è la opinione di Forstemann, che inclina
piuttosto a collocarlo sotto una radice malnota viso [? G.].
p. 50 — bonaguisa, ben lungi dal riprodurre la suddetta rad. teut. vis,
è uno dei tanti nomi toscani formati da buona con giunta, derrata, voglia,
ventura, vita, ecc.
p. 51 — palmerius non è " vago ,, ma significava nel M. E. i pellegrini,
i chierici che andavano in giro distribuendo (e vendendo) indulgenze, ecc.,
dalle palme che portavano.
p. 56 — homodeus, anziché esprimere la natura di Dio-Uomo!, signi-
fica l'uomo, il servo di Dio '.
p. 89 — i concetti di orso e lupo nei nomi sono comuni anche ai Greci
ai quali dobbiamo in Italia i cognomi Licudi, Venezia (piccolo lupo), e
Arcudi, It. merid. (piccolo orso) *.
p. 95 — fora-pao e citato dal Chart. Cupersanense, nel quale per vero
non l'ò rinvenuto : pao equivarrebbe a 2^(ivo (pavone) secondo il D^ Trauzzi
e in tal caso io aggiungerei fora = fura ^.
p. 97 — gilius, zilius forse verranno talvolta da giglio, ma, per lo pili,
da Egidio, frane. Gilles ^ [? G.].
*■ Io ho trovato n. pr. Norandus nel Friuli, XIII. Il suo diminutivo .^o-
randinus, Nurandinus {Norandino nei poemi del Baiardo e dell'Ariosto) si
è poi confuso col saracenico Nur-ed-din, il cortese e pietoso figlio del Sa-
ladino, che lasciò ottima fama anche presso i cristiani, come scrisse P. Rajna,
e che nelle cronache delle Crociate è Nnradinus. 11 n. pr. Norradinus ho
trovato a Carmagnola nel sec. XIII.
^ Cognomi Calogero, Caloiro nell'lt. merid., e, per aferesi, in prov. di
Catanzaro, Loikri.
' Si confrontino il n. pr. Ondideo, XIII, Romagna, e eogn. Ondkdei, Pesaro,
da homo de Dea. Ne sono affini Ondesanti, XIII, Imola, in lat. de Honde-
SANTis, DE Undesanctis, cioé uomo (servo) dei Santi, e il n. pr. Uomosam-
piero, XIV, Pesaro. — Abbiamo anche, tuttodì, il cogn. Servodidio.
* I Licudi sono forse da noi di venuta recente, ma l'altro nome è tra
noi antico : nel " Syllabus graecarum membranarum „ del Trincherà trovo
n. pr. Arcudius, aQxovòios, freq , e il nome Archudacus, A^KovóaKog, 1167,
doc. CLXXI.
^ Per altri composti da " furare „, veggasi il mio op. : Cognomi it. for-
mati da verbi che indicano azione, S. Lapi, Città di Castello, 1914.
^ Molto vi sarebbe da dire sui nomi e cognomi derivati dalla deforma-
390 Appunti bibliografici
p. 107 — c'è due volte nel Chart. Cupera. ego beneaggi, che sarebbe
un bellissimo composto verbale se si potesse credere, con il D'' T., che già
nel 997 significasse bene tu abbia. Ma il Morea che pubblicò il Chart. lo
traduce Benaggio — e forse è mecflio lasciarlo li fino a ulteriori elementi.
p. 124 — malvetio ^ esprime forse peggio che un " difetto , —
giacché, come il n. p. Sozzamico ^ è troppo probabile che alluda a un
sozzo peccato che nel M. E. sappiamo assai frequente e alquanto condo-
nato [cfr. il ven. Malusa, nome in cui non saprei vedere nulla che gridi
vendetta al cielo].
Veniamo infine alla seconda categoria di osservazioni, quelle cioè rela-
tive a ipotesi 0 letture dubbie :
p. 14 — YLÀiag, yiÀiavo, che l'A. connette con lulius, avrebbero bi-
sogno di conferma, da me non essendo mai stati riscontrati.
p. 14 — Imilia non è Aemilia, ma certamente un vezzeggiativo di
Imma, ora Emma, rad. im di Forstemann, e si trova anche colla forma
Immilla in Piemonte [Un suff. -ilia non è produttivo nel M. E. ; e nulla
s'oppone all'ipotesi del Tr. G.].
p. 14 — Saragozza, che l'A. crede una contrazione di Cesare Augusto (!?),
proviene da un solo esempio che avrebbe pur bisogno d'esser riscontrato :
d'altronde, se accertato, potrebbe essere analogo ai n.' p.' femm. pampalona
e terrascona ^ a Pistoia, nel M. E.
p. 14 — dometius (2 esempi di Cava), interpretato domitius, lascia
parimente molto luogo a dubbio.
p. 15 — maccione certo non deriva dal cognomen di Plauto, per quanto
* ammirato , nel M. E. — ed è uno di quei nomi la cui interpretazione di-
pende dalla regione o dall'epoca, siccome quello che può essersi formato
in varie regioni in diversi modi *.
zione di Egidio : qualcosa ne ò detto a p. 27 del mio op. : Antichi cognomi
biellesi, Biella, Testa, 1909.
* Ora Malvezzi, Bologna.
^ N. pr. Sugoamicus, 1250, doc. 678 Doc. genov. relativi a Novi e Valle
Scrivia, B. S. S. S. : cfr. cogn. Sozzifanti e Sozzofanti, Pistoia, XIII. — Bi-
sogna però concedere che la parola sozzo forni anche altri cognomi non
obbrobriosi, come Suzusnasus e de Suzoviso nel Chart. Derton., B. S. S. S.,
DE SuzopiLo e SogAFiGURA negli stessi Documenti genovesi dianzi citati.
^ Veggasi il succitato " Boll. St. Pistoiese ,, a p. 43. [A Bologna e a
Modena c'è una Via e una Porta Saragozza ; a Bologna, all'estremità in-
terna della Via Saragozza sorge il Collegio di Spagna, fondato nel 1369
dal cardinale Albornoz ; ma il nome della strada è di almeno un secolo
anteriore (Guidicint, Cose notabili della città dì Bologna, voi. V, p. 3) G-.].
* In epoca tarda, ex. gr. 1300, e in Toscana, sarebbe un derivato di
Moccio, Guglielmaccio o altro peggiorativo consimile.
Appunti bibliografici 391
p. 18 — bricius certo non deve avere relazioni con brix-ianus, bresciano,
e anche la sua origine dipende molto dalla regione ^.
p. 18 — né guaitana come doppione di gaetana pare da accettarsi
senza ulteriore prova.
p. 35 — Azz-arius è molto discutibilmente derivato dal teut. atha,
aza pater, con harja, gens. In tal caso sarebbe distinto dal cogn. Azario,
biellese, che certo rappresenta il freq. Alzakius di Vercelli, xii-xiii.
p. 85 — né pegolottus significa piccolotto [? G.]. Nemmeno è da accet-
tarsi senza restrizioni l'equazione Pegolotto = Paolo del Fanfani [Le accor-
ciature dei nomi prop. ital., Firenze, 1878), giacché il n. p. Pegolottus e il
cogn. Fegolotus si trovano in regioni e epoche tali da escludere l'una e
l'altra ipotesi.
p. 96 — sylus, silitis, malamente sono derivati da Silva. 11 n. medioe-
vale silus, sylius, sylus, silonus, sylonus è un labirinto da cui per ora è
meglio star fuori : basti lo accennare che talvolta si confonde con syrus e
talvolta con silius, zilius (Egidio).
p. 112 — officia, uffitia non "dinotano l'operosità,, perché certo non
derivano da officium. 0 trovato officia nel s. xii a Venezia e nel Cartario
di Staffarda : ma non mi airischio a esprimere una congettura [Si ricordi
pero il cogn. Podestà. G.].
p. 123 — safifilo del Ghart. Cupers. è spiegato dall'A. come da aa^^s,
chiaro, quindi amico della sincerità, ma c'è anche ivi stesso la forma safilo,
e converrebbe dilungarsi a esaminare quale delle due sia la corretta.
p. 124 — l'A. colloca mala-goi con mala-morte e altri numerosi com-
posti di siffatta specie, ma che intende per -goi ? [goi = godi G.].
Facile sarebbe, senza far torto all'esimio A., il dilungarsi nella discus-
sione di molti quesiti sollevati dalla sua interessante pubblicazione. Con-
cludiamo reiterando il voto, già da me espresso in alcuni dei miei saggi
onomastici, che per la libera e ampia trattazione di queste indagini sorga
finalmente, per opera di qualche intraprendente erudito o editore, l'auspi-
cata Rivista Onomastica Italiana.
Biella-Piazzo, 34. Cesare Poma.
' Brizio è nome di Santo, patrono di Orvieto, e a cui era dedicata anche
una delle parrocchie di Torino. Ma in Cronache romane del sec. XV trovo
Britio 0 Brizio per Fabrizio. — Abbiamo i cogn. Brizi, Brizio, Brizzi
(Brizzo, Cuneo, XVI) e a Venezia nel XIV, Brici o BRigi.
CENNI NECROLOGICI
ERNESTO MONACI
Il 1° maggio del corrente anno mori a Roma Ernesto Monaci, che da
quarant'anni v'insegnava Storia Comparata delle lingue e letterature neola-
tine nell'Università, ed era uno dei più insigni maestri di quella disciplina
che in Italia acquistò valore di scienza colla generazione di dotti a cui
egli apparteneva. La sua efficacia nel movimento degli studi da lui colti-
vati si estese anche fuori della scuola coi periodici che diresse per quasi
cinquant'anni, dalla Rivista di Filologia Romanza che iniziò nel 1872 fino
agli odierni Studi Romanzi. Cooperò alla fondazione e alla vita della Società
Romana di Storia Patria. dell'Istituto Storico Italiano e ultimamente della
Società Filologica Romana, che molto per merito suo è divenuta una delle
nostre istituzioni di cultura più fiorenti.
L'opera sua di rouianologo esplicò oltre che nella filologia anche negli
studi storici e di paleografia, iibbracciando nella loro unità tutte le disci-
pline che convergono a illuminare l'evoluzione della parola e il movimento
della cultura dei popoli latini.
Non è possibile in questo breve cenno parlare delle sue molte pubblica-
zioni che riguardano la storia, la paleografia, la letteratura latina del me-
dioevo e le varie letterature romanze, segnatamente la italiana, la proven-
zale e la portoghese. Un elenco di esse si avrà prossimamente in un vo-
lume commemorativo che la Società Filologica Romana sta preparando.
Qui si vuol notare soprattutto quanta opci-a egli diede allo studio dei dia-
letti italiani nella loro fase primordiale, pubblicando e illustrando anche
sotto l'aspetto linguistico antichi testi veneti, toscani, marchigiani, roma-
neschi, abruzzesi e siciliani. Ma l'opera maggiore, in cui riassunse i risul-
tati delle sue indagini di parecchi anni, è la Crestomazia italiana dei primi
secoli (Città di Castello, Lapi, 1912), cospicua raccolta di monumenti della
nostra lingua e letteratura delle origini, accompagnata da un ampio prò-
Cenni necrologici 393
spetto grammaticale e da un ricco lessico, che sono al momento presente
quanto di meglio nel genere si può additare.
Fu uomo di carattere integro e di vita semplice, che spese tutta nel culto
degli studi, sollecito sempre, più del progresso di questi, che di soddisfa-
zioni e onori personali. Ma il suo nome sonava alto nella estimazione dei
dotti italiani e stranieri, onde la sua perdita è un lutto per la scienza e
per la patria.
Mario Pelaez.
EGIDIO G O K F^ A
L'ultimo fascicolo del Giornale storico della letteratura italiana, il n. 3°
del voi. LXXII, testé pubblicato, esce listato di nero in segno di lutto per la
morte del suo Direttore, Egidio Gorra, rapito immaturamente nell'età
di cinquantasette anni all'affetto dei suoi e degli amici, all'ammirazione
e alla stima degli studiosi. Fu per molt'anni decoro e lustro dell'Ateneo
pavese, dove insegnò Letterature neo-latine, e fu Preside di Facoltà e
magnifico Rettore ; nel 1915 era succeduto al compianto prof. Rodolfo
Renier nella cattedra di Letterature neo-latine nell'Università di Torino,
e insieme nella direzione del Giornale storico citato.
Chi à seguito il movimento della nostra critica letteraria e della scienza
della parola in quest'ultimo trentennio sa il debito di riconoscenza che
ogni cultore dell'uno e dell'altro ramo degli studi à verso Egidio Gorra.
Dopo avere nei suoi primi anni di studio presa conoscenza profonda dei
classici e delle condizioni di tutta la letteratura d'Italia e delle altre Na-
zioni latine, scelse, per le sue ricerche e per la sua attività scientifica,
i periodi pili difficili ed attraenti, quelli delle origini neolatine, indagò
le reciproche relazioni soprattutto tra il campo italiano e quello francese,
è riportò dalle sue ricerche tali frutti da esser considerato uno dei pili
reputati maestri in materia, e da esser posto per autorità all'altezza del
Rajna, del Renier, del Tobler, del Paris, del Meyer, tutti un tempo suoi
maestri.
Né Egli deve essere men lodevolmente ricordato nel campo delle inda-
gini glottologiche. Collaborò nelle note principali Riviste della materia.
394 Cenni necrologici
L'opera sua DelV epentesi di iato nelle lingue romanze, 1893, in ' St. fil. rom. ,,
VI, 465-598, è sempre consultata con utilità. Con affetto filiale, in omaggio
alla sua terra (era nato a Fontanellato nel Parmense), illustrò con sobrietà
ed acume i parlari di Parma e Piacenza, in due lavori pubblicati poi nella
* Zeitschrift f. rom. Phil. „ : Fonetica del dialetto di Piacenza (voi. XIV,
pag. 133 e segg.) e Dialetto di Parma (voi. XVI, pag. 372 e segg.) ; cosi la
regione emiliana con gli studi linguistici degli altri che lo avevano pre-
ceduto e di quelli che lo seguirono riuscì una delle pili completamente
illustrate della Penisola.
E nel campo linguistico attese anche nobilmente a fini didattici. Il Ma-
nualetto Hoepli " Lingue neolatine , è del 1894, quando non erano ancora
venuti alla luce i tanti lavori speciali, che su ciascuno degli argomenti in
quel manualetto contenuti ora possediamo ; e pure è " divenuto classico per
le scuole italiane ,, e specialmente nei primi capitoli conserva la freschezza
e l'interesse di un libro del giorno; e se ne sta preparando una seconda
edizione.
Cosi, fresco e interessante, accanto alle opere fondamentali uscite pili
tardi dalla mano di W. Meyer-Lubke, rimane un altro manualetto Hoepli,
che il Gorra fini di compilare pure sulla fine del 1894 : Morfologia italiana,
continuazione dell'opera, pure nei Manuali Hoepli, di L. Stoppato: Fono-
logia italiana, che era rimasta a mezzo per la immatura morte dell'autore.
E di quattro anni più tardi è l'altro lavoro : Lingua e letteratura spagnuola :
delle origini, Milano, Hoepli, 8°, pagg. xvii-430, che insieme col notissimo
Manualetto provenzale di V. Crescini costituisce una guida indispensabile
agli studenti delle nostre Facoltà di Lettere per introdursi negli studi di
questi due rami del neolatino.
La vita sua laboriosa, gli sforzi tenaci durati nei primi anni di studio,
che resteranno ammirato esempio dei giovani, e l'operosità spiegata nel-
l'attività sua di maestro, giustamente riconosciuta, procurarono al Nostro
grandi soddisfazioni nella sua vita ; ma a Lui fu avaro il destino della più
alta gioia che a un cuore di patriota, quale Egli era, poteva essere riser-
bata : la gioia di vivere i giorni della vittoria romana e della grandezza
nuova della Patria nostra cara — moriva in Pavia il 27 agosto ultimo scorso.
Alberto Trauzzi.
RAGGRANELLANDO
Ecco un'altra raccolta di spiegazioni e di osservazioni intorno
a numerose parole, soprattutto trentine, toscane, vènete, mo-
denesi.
Sul parlare trentino vedi quanto è detto qui a p. 197. V. poi
una nota più avanti, al N. 76.
1. algéri (trent.), aljéri (nònese), a;V'ri (moden.), «/fr (bologn.)
" ieri „ ; alséra (trent., nònese), arsirà (moden., bologn. contad.)
" iersera ,, .
Quest'ultimo corrisponde a iersera ecc.. pur nella forma, se-
condo il Fléchia, Arch. Glott., v. IT, p. 11. ed è a ritenere che
Var-, con r passato a / nel trentino e nel nònese e sparito nel
modenese e nel bolognese, in tutt'e due i casi per dissimilazione,
sia stato attaccato anche a {ieri ecc., e, almeno nel trentino,
in età non lontana, perché (jéri. dati il dittongo e il trapasso
di ; a g (je ^ gè), giunse al certo in questo dialetto dal vèneto
{triest. jéri : cfr. jéra " era „ [Vidòssich. Studi, sul dial. triest.,
N. 5]). Che il trent. algéri, accanto ai rari gerì, jéri, il cui j
sarebbe nientemeno che prostetico secondo il Battisti, Catinia,
§ 47, p. 153, sia recente e d'accatto lo prova il pur trent. laltréri
" ier l'altro „. E cfr. jér a Bormio, allato all'indigeno éjr. Ma
vi è chi pensò che algéri sia il lat. ad illum beri (Slop ;
CksariiVi Sforza, Strenna trent. p. Va. 1894, p. 66).
Archivio glottol. ital., XVIII. 26
396 Ancrelico Prati,
2. andirivièni (tose).
Il Salvioni, Studi di Filol. Rom., v. VII, p. 234, n. 1, scrive :
" Curioso il tose, andirivieni (It. Gramm.^ 606), che par quasi
contenere un anda va, e sarebbe quindi ' va ritorna '. Tuttavia
si pensa anche a un * andar ' e ' venire ' fusosi con un ' va
vieni '„. Lo Zambaldi {Vocab. etim. ital.) separava poi addirit-
tura questa parola cosi: andiri-vieni (!I).
Un tempo, com'è noto, si diceva ando^ andi, anda, come ora
riandò, riandi, rianda, e quindi non vi deve essere dubbio sulla
formazione del termine in parola, che non so perché debba es-
sere curioso.
3. a u r u f e K (lat.).
Il GoiDÀNicH, qui indietro, a p. 365, dice, contro il Meyer-
LiiBKE, che la forma a u r u f e x per a u r i f e x non à fon-
damento veruno. Ora, è bensì vero che il rg'fece di Paglieta
(Vasto [Abruzzi]) è il continuatore di aurìfìce, ma d'al-
tronde è pur vero che aurufex è attestato. Infatti nel The-
saurus, s. aurifex, riga 67, è riportato unAlexsa au-
rufex di un'iscrizione della Sabina (N. 4797 del voi. IX .del
Corpus Inscript. Lat.) [v. p. 472. PGG.].
4. bacàm \ba/cànì] (trent.), bakàn (valsug.) " contadino be-
nestante .,.
Va collo spagli, pagano " contadino „, da paganu " cam-
pestre „, e cfr. veron. pain " contadino, villano „, da *p ag I n u,
(v. JuD, Zeitschr. f. Rom. PhiloL, v. XXXVIII, p. 30). Cfr., per
uno scambio dei suoni somigliante a bakàm, il lomb. ant. cupido
•<[ cubito, e ancor meglio il trent. braska = graspa " graspo „
(con mutamento di posto delle consonanti), il poles. brékane
*• sterpi „ (venez. grébani " greppi „j (cfr. il valsug. begéro " gril-
laia .,, con altro suffisso). Nel 1562 è ricordato un luogo a Bagan
Raggranellamlo 397
a Scurelle nella Yalsugana (Morizzo, Dog., v. Ili, p. 13), che
sarà pure da p a g a n u. In tal caso il b- sarebbe per assimi-
lazione, e poi per dissimilazione sarebbe venuto hakan.
5. beino, ba.i;(/tfo (tose), ecc.
A quanto è detto alle p. 284 e 396 del v. XVII deWArch.
Glott. si deve aggiungere che, come risulta dallo scrittore del
Casentino Antonio Bartolini [La Falterona, Firenze, tip. del
Vocab.), sono ivi dette vacche bar,.ie quelle use a svernare in
montagna, dette anche maremmane, che a Pazzano (Monfestino
[Modena]) ba^gt si dice d'animale di grandezza mezzana, e che
presso il Fagiuoli {Rime, 4. 151) ballotto assume un significato,
che lo ScARABELLi (Vocabolario) interpreta per " molto grasso „ :
" È in somma un cotale tonfacchiotto... non tanto piccino e pili
bazzotto „. Varrà " più grassotto „.
6. birichino (pron. tose, birihino).
Nell'alta Italia si trova spessissimo scritto e stampato biric-
chino e persino da persone, dalle quali meno che mai si aspet-
terebbe un tale sbaglio. Ed è appunto il eh che verrebbe a
negare la parentela con sbricco (ital. ant.), briccone. Se si pensa
però al tose, cario'la, allato a carriq'la, parrebbe pur possibile
un birichino da un *birirchino di prima ^. L'i poi vi sarebbe stato
messo dentro, come in birincéllo " brincello „ (Petrocchi), in
biro'ldo (pist.) " sanguinaccio „, se è da *broldo e se va assieme
col borm. bo'ldro " salciccia fatta in un budello grosso dell'in-
testino „ (LoNGA, Vocab. borni., s. lugàniga), berg. broli " trippa „
(SALVfONF, Romania, v. XLIII, p. 376, n. 1), in Ghirigoro (tose.
* canìccio, core'ggia eco. sono invece per dissimilazione (Salvioni, Rendic.
<l Ist. Lontb., V. XLVI, p. 999), Caliinala (Firenze) (v. N. 123) per assi-
milazione.
398 Angelico Prati,
ant.) " Gregorio „ (Zambaldi, Atti d. Ist. Yen., t. LXI, P. II,
p. 270).
7. hoarinu (padov., poles., veron., venez., bellun.. rover.,
treni., mantov.j, boarine (furi.), huarena (romagn.), buarénna
(bologn.), boalena (pavese), boaro'la (valsug., bellun.) \ boarq'ta
(brosc). bharq'ta (cremon.), armentnresse, pastoresse, pastorele
(furi.) " cutréttola, ballerina „ ^.
bonrina, bovarina compare pure nel Petrocchi, il secondo ri-
portato dal milanese Giovanni Gherardini, e motacilla boarula
è un termine scientifico.
Il Pieri, Zeitschr. f. Boni. Fhilol., v. XXX, p. 297, rispose già
al Salvioni, Romania, v. XXXI, p. 277, perché la cutréttola è
detta bovarina, bovarota ecc. in Lombardia ecc., sulla scorta del
Savi e dell'OLiNA. Le cutrettole, com'è noto, vanno, sui campi,
dietro all'aratro, per beccare gl'insetti e i vermiccioli scoperti
da esso. Anche il Bonelli, Studi di Filol. Rom., v. IX. p. 442,
n. 2, dal quale tolgo parte dei nomi su riferiti, dopo aver detto
che il Rollano spiega i nomi francesi delle motacillae : boujeirefo,
semeur, osservando che esse, siccome di solito cercano il cibo
nella terra appena smossa, si trovano nei campi quando vi sono
il lavoratore e il seminatore, domanda se non varrebbe tale
spiegazione anche per i corrispondenti nomi italiani boaròta ecc.
Ed ivi. a p. 390, n. 2, riporta dal Rollano che la motacilla
' 11 GiGLioLi, Avifauna italica, Firenze, 1886, p. 82, dà boaròla quale ter-
mine del Vèneto in generale, ma essa è esattamente valsuganotta e bellu-
natta. In piti trovo il poles. boarulin " pratincola rnhicola „ presso il Lorenzi,
Rir. Geogr. Ital., v. XV, p 150. Anche dal Marchi, Note e osserv. intorno
all'avifauna trident., Trento, 1907, p. 75, la forma boaròla è accolta in quanto
è valsuganotta.
- In italiano anche batticoda, che non designa la cingallegra, come, per
una svista, à il Petrocchi, Diz. unir. V. invece ivi s. ballerina.
Raggranellando 399
va a cercare i pìccoli insetti persino sul dorso dei buoi, come
fa anche lo stornello. E già il Boèrio scriveva, a proposito
del venez. hoarina, che quest'uccelletto " frequenta i prati
dove sono animali bovini al pascolo, ov'egli pur si pasce di
que' vermetti che escono al calpestio di questi animali „.
Il Pieri, I. c, è affatto fuor di strada quando pensa che, se
esistesse nell'Altitalia un *b o v a r i a "sterco di bue „, allora
la bovarina potrebbe aver nome dagli escrementi del bue an-
ziché dai buoi o dal boaro. In primo luogo un continuatore di
un *b o V a r i a non esiste e l'Altitalia conosce invece bonza ^ ;
in secondo luogo, perché andare in cerca di una tal spiegazione
se un'altra s'impone in modo assoluto ed è la più chiara che
vi possa essere? hoarina ecc. è senz'altro da boaro (vèn.) ecc.,
sia che si accenni, con questo e altri nomi simili, al fatto che
quell'uccello si avvicini e segua i buoi che arano, sia che si
accenni all'uso suo di accostarsi agli animali bovini pascolanti,
com'è il caso pure dei termini furlani riportati sopra e del
frane. hergeromiPtte ecc. (v. sopra e Eom. etìjm. Wort., N. 1180,
6279). Si rammenti infine un uccello asiatico detto " guarda-buoi
indiano „ (Giglioli, Avif. ital., p. 281).
8. boescàr (valsug.). imboescare (pavano) (v. a p. 329).
Quando scrissi ivi di queste voci, non conoscevo il bergam.
' hoaza, boassa vien tradotto nei vocabolari dialettali al solito con
■* bovina ,, ma in realtà si tratta d'uno sbaglio dei compilatori, in quanto
questi confusero " bovina , con " bica, meta (d'animale bovino) ,. Questo
dice appunto bonza, mentre la prima è detta, p. e. nel Vèneto, grasm,
leaitte ecc. Per detto sbaglio v. i vocabolari di Patriarchi, Pagello, Maz-
zuccHi, Patuzzi e Bolognini ecc. Nel Ricci (trent.) c'è pure l'errato boaza —
bovina, buina, e boazaròl — chi raccatta bovine per le strade ! ! Anche il
vèn. fiJcito vale " cacherello de' polli e degli altri uccelli ,, non " pollina ,
in quanto inilichi l'insieme dei cacherelli, il letame.
400 Angelico Prati,
imhedeskàs o imbddeskds ** arrenare nel discorso „, che contradi-
rebbe quindi alle spiegazioni proposte ivi, se risultasse che esse
non si potessero separare da quest'ultima.
9. bovolo (veron.), bo'lo (valsug.) " bidollo „ (v. a p. 200, 201).
10. brel da torchio (trent. ant.).
In un documento trentino del 1435 è notato im brel da torchio
{Arch. Trent., v. XXVII. p. 16), che deve essere quell'arnese sul
quale poggia il torchio. È una forma maschile corrispondente
all'ital. predèlla, milan., veron. bréla. Quest'ultima voce indica
la "cassetta (da lavandaia) (cassetta e lavatoio),,. V. il Rom.
etym. Wort., N. 1287; Salvioni, Rev. de Dial. Rom., v. IV, p. 216,
N. 1287 ; Bertoni, Italia dialettale, Milano, 1916, p. 32. Data
la base bretil (alto ted. ant.) " assicella „, bisogna arguire
che il termine di quel documento trentino sia di provenienza
lombarda o veronese, data la scomparsa del d secondario (cfr.
Battisti, Catinia, § 73).
11. brùdo (Caldonazzo, Lévico) ; bnristo, burlstio (sanese)
" sanguinaccio „ (v. Petrocchi e Pianigiani).
Prima certo del trent. virstel, milan. vilrstel " salsicciotto te-
desco „, penetrò in Italia il ted. W u r s t " salciccia; salame „,
che diede dunque i termini citati, i quali rammentano il rover.
probust " mortadella di manzo „ (ted. B r a t w u r s t " salciccia
arrosto „), (che manca invece al trent. Ricci), buristo potrebbe
essere da *bÌ7'usto, con scambio delle vocali (cfr. Guarnerio, Fo-
nologia romanza, Milano, 1918, p. 369), e questo avere un i in-
serito, come forse il pist. biroldo (v. N. 6). Invece il Salvioni,
Rendic. d. Ist. Lvmb., v. XLIX, p. 1034, osserva che dovrebbe
sonare quantomeno buristo, se derivasse da W u r s t. Sennonché
potè sonare cosi' in origine, per poi farsi parola piana.
Raggranellando 401
12. cayna [kada] (treni.) " grillotalpa „, (poles.) " sala-
mandra „ ecc.
Il Merlo, Studi Rom., v. IV, p. 157, n. 2, crede voci d'im-
preco il trent. cagna, il lomell. kanata, il piazz. caifunlétt e il
sard. d'Ozieri cani criada, pur avendo presenti il lomb. kaìió
" tarlo „, il frane. cheniUe " larva „ ecc. E qui porrebbe anche
il frane, étrangle-porc e l'alvern. téte-vache. aggiungendo che il
contadino, in tutto ciò che gli incute terrore, vede una grave
minaccia a' suoi tesori, che son la vacca, il porco, la capra, il
fido cane ; e però tette-vache sono il rospo e il grillotalpa, teto-
cabro, allaite-tsivra, succiacapre il fottivento, bramo vaco (lette-
ralmente " fai muggir la vacca „), tuo-chin, tia-chen [e tue-chien^,
estranglo-chin il velenoso còlchico ecc. ecc.
Credo che il giudizio del Merlo riguardo all'origine di detti
nomi non risponda al vero, e che essi abbiano una ragione par-
ticolare nei singoli casi. Si aggiunga in prima che nel trentino
son detti kaìio'ta il millepiedi (iulo), kanóla il cobite (pesce di
fiume) e kanéta un pesce, cui in italiano corrisponde cagnotta,
secondo il Ricci (Appendice) ; a Pissavaca presso Trento kaìia
e detta la monachella [mantis religiosa), nel Polesine è detta
cosi la salamandra, che pur nel padovano si chiama bissa cayna.
In parte si tratta di nomi d'animali, la cui testa, nella forma,
ricorda più o meno quella del cane, oppure son di quelli che
mordono, o almeno cosi si crede. Appunto perché mordono, se
si avvicinano loro le dita, son detti kaiie nel trentino il grillo-
talpa e la monachella.
Tra i nomi dei pesci tratti dal cane si notino i venez. cagnèa
o cagnia, o manio de mar, " cane carcaria, squalo cane „ e ca-
gnolefo " il più piccolo dei pesci nel genere de' cani „.
Altri nomi, quali il frane, étrangle-porc, l'alvern. téte-vache,
del pari dello svizz. rom. lèytye-vatsa (" allaite-vache „) ^ sala-
mandra „ {Arch. Glott., V. XVII, p. 517, N, 4817) accennano ad
402 Angelico Prati,
alcune delle tante superstizioni sugli animali. In quanto al
frane, tette-chècre, ital. succiacapre, nel trentino anche cilcavake,
fefavake, lat. caprimulgus, è opinione nel popolo che succhi il
latte alle vacche e alle capre, e v. Bonellt, Studj di Filol.
Rom., V. IX, p. 390. E si crede pure che lo zafferano bastardo
(còlchico) ammazzi le vacche, che lo mangiano, come potrebbe
ammazzare un cane.
13. calzidrél o crazidél (trent.) " secchia .,, ecc. (v. a p. 202).
14. canderla [lianderUi] o Mandorla (trent.) " bricco „.
E forma usata allato a kdndola (v. anche Altón, Die ladin.
Idiome, p. 179), d'origine tedesca (Schneller, Die rom. Volksmutid.,
p. 128), che per r>- trova riscontro nel trent. kanéderli, soita
di gnocchi, dal ted. knodel "gnocco,,, spindorlàr o sjjìh-
doldr " spenzolare „, nel moden. ségerma " sàgoma „, nel venez.
kàorlo " cavolo „, nel poles. zamperìón " ciampicone ; strasci-
cone „ (da zainpela " ciabatta „), nell'ital. màndorla e scandorìa ^
15. canigghie [kaniggje] (pugl.) " crusca „.
Se ne fanno pagnotte pei cani.
16. capindr [kapindr^ (allato a kamindr) (trent.) " cammi-
nare ; andar avanti ; andar via, partirsi ; licenziarsi „, kjapindr
(nònese) " andare „, kapindr (e kamindr) (rover., veron.), skapi-
nare (e kaminare) (vicent.) " camminare „, skapindr (venez.),
skapinare (padov., poles.) " calcagnare, spulezzare „.
* Certo per una svista il Salvioni, Rendic. d. Ist. Loinb., v. XLIX, p. 1017,
fa corrispondere al trent. condola cogoma e a canderla, càndorla bricco.
l-g'yoma è forma trentina, molto meno usata di kq'doma, e vale natural-
mente "bricco,, come Y\t»\. cùccuma. Anche il trent. canedel, dato subito
dopo dal Salvioni. va corretto appunto in canéderli, mentre la forma senza
Vr è roveretana (I'Azzoli.vi dà solo canedelini " bonifàtoli ,J.
Raggranellando 403
Stando al Battisti, Die Nonsb. Mund., p. Ili, n. 2, kjapindr
sarebbe da caminare -\- capitare, ma, come provano le forme
vènete, il p è dato appunto da shapin " tomaio „.
17. castellina (tose.) "cappa; mucchio (di piatti, di libri ecc.)„.
11 Bertoni, Archiimm Rominicum, v. II, p. 357, 358, spiega
la connessione del sopraselv. Icislét " mucchietto „, valtel. kaflét
" mucchio „, coll'arbed. kaflét, posch. kastelét " cappa, castel-
lina „, ma il bello era da notare che la stessa vicenda ebbe
il tose, castellina, che venne a dire " mucchio (di piatti, di
libri ecc.) „.
18. cianta | ca^/a J (trent.), 2:aw<a (fiamazzo) " sottana „ ; f>àn-
dola (valsug.) " brandello, sbrendolo „ ; fganda o (janda (valsug.),
fgando'na (valsug., trent.) " donua sciatta, cimbraccola ; sgual-
drina „, fgandom (trent ) " bacchinone, bighellone ; gaglioffo,
giramondo ., ; fgondanare (poles.) '" andare a zonzo, girellonare „,
ffiondano' n (poles.) " dondolone, girandolone ; perdigiorno ,, .
Il Battisti, Catinia, § 63, p. 172, cita un trent. candtf, che
egli deriva da e h 1 a m i d e (meglio da chi ami' da). II
Ricci però, a p. 517, accoglie la forma cianta, che ò udito
anch'io, e ca)it pronunziano i Mòcheni (tedeschi) della valle alta
della Fèrsina (distretto di Pèrgine) (Aristide Baragiola, / "Mò-
cheni „, Venezia, 1905, p. 34), Da un tale, non so di qual parte
del Trentino, udii però scanda nel senso di " cencio „. Nel
mentre che le parole intestate si palesano, a quanto pare, d'una
stessa famiglia, parte di esse provano che non si deve partire
da una base con ci-. La connessione di canta ecc, con fganda ecc.
pare convincente, quando si consideri, a esempio, il poles. /6r/n-
dolo " sbrendolo, rimbrenciolo, brindello „, da cui fbrindolo ìì
"brindellone; dondolone ecc. „, fhrindolare "sbrindellate; gi-
rellare ecc. T, /brindala " girellona ; sgualdrina ,, il tose, ciìn-
404 Angelico Prati,
brdccole " panni di poco valore „, cimbràccolo " ciondolo, straccio „
e cimbraccola o cirimhraccola '" donna sciatta e bécera „, venez.
salambraca (Ninni, p. 217) (cfr. ital. ant. zambracca, vicent. sam-
braka " baldracca „).
L'origine è forse comune col tose, cianfa, ciantèlla " ciabatta
col quartiere» (a proposito: c'è un cantélla "ciana,,, che non
so di qual parte sia [rom. ?|). d'origine dubbia (cfr. Arch. Glott.,
V. XVI, p. 203).
fganda ecc. saranno d'origine gergale, e quindi proverranno
dal trentino, dove e e <] per a; e ; persistono a volte pur nel
parlare cittadino (v. Battisti, Catinia, § 58, p. 165, e w.fmarijél
al N. 49). Cfr. il poles. gerg. guida " polenta „, trent. guido, ^aldo
" granturco (il grano) „ (v. Rev. de Dial. Rom., v. VI, p. 177,
n. 2). Il d di pàndolu (valsug.), di fganda (valsug.) ecc. è sorto
certo per vicende dissimilative, e, in ogni modo, cfr., oltre
l'ital. poUnda, il venez. bréndolo (ivi, p. 150), lignamine mercan-
darescho di un documento valsuganotto del 1456 (Morizzo, Dog.,
v, I, p. 227), i cognomi Mei-caudino (piem.) e Mercandèlli, so-
praselv., engad. kandariàls, kandaréls " sonici „ (v. Salvioni,
Romania, v. XLIII, p. 380, N. 16), il nome del paese Dasindo
nel distretto di Sténico, nei documenti anche Desinto, Dasintho
(ScHNELLER, Tir. Nam., p. 329), dov'è chiara l'azione del d-,
come quella del t- nel valsug. tarando " verdone „ (v. Arch.
Glott., V. XVII, p. 421). Del resto il valsuganotto conosce pure
karàndola nel senso di góndola, e quello può aver attirato questo.
Termino l'articolo, domandandomi se qui non sia da ricon-
durre scantu (vèn., trent.) " zinzino „, venuto dal senso di " bran-
dello „, ma è forse meglio la connessione con scìiiunto.
19. cigàgnolo [cigi'aiolo] o cikaàolo (orviet.) " fignolo „ ;
cigolai [cigg'tol, zigg'tol] (trent.) " tùtolo „.
Vanno col venez. sigolo [cigolo nel Boìsrio) " vinacciolo „,
Raggranellando 405
mentre col parm. cich ecc. va il treni, zikola " ritaglio, rita-
gliuccio ,,. Cfr. Boni. etym. Wort., N. 1899; Levi, Le palatali
pieni., p. 119.
20. ciòssa [co sa] (Pazzano [Modena]) " siepe „.
Da e 1 a u s a , col moden. ant. chionsa [Romania, v. XXXIX,
p. 441). Il Bertoni, Italia dial., p. 40, riporta cosa [= co'fa]
" siepe „ di Cimalmotto Fusio (Ticino), ma il / è sicuro ? In
ogni modo cfr. A7-ch. Glott., v. XVII, p. 427, n. 2.
21. rifona [cifo'na, zìfo'na] (trent.) " anatra salvatica „.
Dev'essere il vicent. ant. cisano (veron. séfeno, venez. sé/ano,
Stefano [non siezeno com'è nel Boni. etym. Wort., N. 2435])
" cigno „, con altro suffisso.
22. ciucòuna {cuko'una] (moden.) " scampanata „.
Ubaldo Mazzini, Giorn. Stor. d. Lunigiana, v. IX, p, 189 e seg.,
nel suo lavoro sui nomi e l'uso della scampanata, riferisce pure
il pontrem. ecc. ciocada, da cioco " tocco, rintocco „ (p. 194).
Cfr. anche moden, cg'k " scoppio ,, cukér, verbo esprimente le
diverse maniere di far scoppio o suono (v, Maranesi, Vocab.
1 moden. -ita l.).
23. conigliolo, grovigliolo (tose).
Presso il GrUARNÌ;Rio, Fonol. rom., p. 4.59, si legge la forma
conigliuolo, che sarebbe, secondo lui, da un *c u n i e (u) 1 o 1 u ^
ma bisogna credere che sia una forma inventata da lui, com'è
inventato il grovigliuolo del Meyer-Lubke, Bom. etym. Wort.,
N. 3792 (v. Ardi. Glott., v. XVIII, p. 330-331) K
^ E COSI acquazzo (N. 758) (cfr. Aìxh. Glott, v. XVI. p. 332), aggregrjiare
(N. 8865) (cfr. Eomania, v. XXXIX, p. 436), frane, cauchemare (N. 1491, 5848)
(cfr. Arch. Glott., v. 11, p. 10, n. 3; v. XVII, p. 283).
406 Angelico Prati,
Lo ScAEABELLi dà beiisi le pronunzie conigliòlo e grovigliòlo,
ma si tratta nient'altro che d'uno sbaglio. Il Fanfani e IIigu-
TiNi anno conigliòlo, che sarebbe da leggere conigliòlo, ma il
Tommaseo, il quale rimanda al Fanfani, à conigliòlo e cosi anno
il Petrocchi e gli altri vocabolaristi. È una forma popolare
(il Fanfani la dice plebea) da confrontare appunto con groin-
gliolo. Di un conigliuolo poi non c'è ombra nei dizionari. Sfuma
cosi la supposizione d'un *cùniciilolu ^
24. cori \kort] (trent.) " corto „.
La base *c fi r t u , come si sa, è richiesta da tutta l'alta
Italia, all' infuori del trentino. Cfr. infatti pieni., ligure, lomb. kiirt,
emil. huri, kiirt, vèn. Jcurto, nònese, furiano kurf, vegììoto korte
{curio anche nel portoghese). V. a proposito : Arch. Glott., v. I,
p. 500 ; V. XVI, p. 298 ; v. XVII, p. 94, 225 n. 3 ; Vidòssich,
Studi sul ditti, triest., N. 20; Rom. etym. Wort., N. 2421 ; Guar-
NERio, Fonol. rom., p. 225, 270 2. E dunque un fatto notevo-
lissimo quello che il trentino abbia kort in corrispondenza col
toscano {corto), in quanto pare difficile che quella forma sia di
origine recente letteraria, non inducendo del resto neppure a
supporre questo la circostanza che nella Catinia compaiono curta,
curti (Battisti, § 16, p. 119 [dove il curt (!) di Ruzante è da
correggere in curta^), giacché quel testo mostra anche altri-
menti l'influsso vèneto, anzi padovano (v. Bull, de Dial. Rom.,
V, VI, p. 91, n. 2). La toponomastica trentina non ci illumina
per niente al riguardo. Quella vèneta offre molti esempì di curfo
^ Errore è invece il fondìgliolo del Petrocchi, s. belletta nella lingua for
d'uso, mentre egli à appunto fondigliòlo s. v., e s. fondinie.
^ curto si legge anche presso il Petrarca, il Machiavelli, l'Ariosto, il
Carducci (v. Petrocchi) e ritorna, a esempio, a Orvieto nell'Umbria. I nomi
di luogo della Toscana conoscono solo corto, a quanto risulta da Silvio Pieri,
Toponomastica della valle dell'Arno, Roma, 1919, p. 278.
Ragorranellando 407
(v. Olivieri, Studi Glotf., v. Ili, p. 145 ; Saggio di fopon. ven.,
Città di Castello. 1914 [1915], p. 216) K Bisognerebbe però
vedere se a ciirfo, e non a corte, risalgano Col di Cortdl (Gogna
di Cadore). Cortale del 1184 (Minerbe [Verona]) (Olivieri, Saggio,
p. 319), Cortale (Reana [Udine]) (anche uno presso Nieastro
[Catanzaro]). Infatti nella Valsiigana, dove pure si dice knrto,
una campagna presso Frazzena è detta l Curiale. Cfr. poi i co-
gnomi alto ital. Curio, Curii, mentre Corti. Cortazzi (e Cùrtis)
possono essere da corte.
2ò. Curvata (ti'ent.) " pozzo nero, bottino, cloaca „.
Per una svista il Salvioni, nei Rendic. d. Isi. Lonib., s. II,
V. XLVI. p. 1005. n. 1, adduce un trent. troaca '• cloaca ,.. che
non esiste. Questa è invece una forma lucchese, come risulta
dallo stesso Salvioni, Arch. Stor. Sardo, v. Y. p. 217, n. 1, il
quale ivi riferisce e dichiara anche la forma intestata. In horvata
si à una dissimilazione inversa che nel lucch. troaka. Da un
*kroah(, ottenuto collo scambio di / con r. facile in voci dotte
(cfr. lo scambio inverso nei trent. hléda e kléna [che manca nel
Ricci 1), si venne a *kr<>ata e di qui a korvaia (cfr. rover. kor-
vata " cravatta „, valsug. korvato " Croato .,).
Altri esempi poi di k — k^k — t o t — k allega il Salvioni
nelle due note citate.
26. cuba (venez., padov., triest.) '" cupola „ (v. p. 2 lo e
Keviie de Dialeciol. Rom., v. VI, p. 140).
^ L'Oi.rviERr cita anche un vèn. cartolo e rimanda alle mie Esc. 129, ma
è bene avvertire che quella voce fu da me supposta, sulla base del valsug.
skàrtolo, allato a skiirtaro'lo, per spiegare appunto diversi nomi di luogo
che ne derivano (v. Rer. de Dial. Boni., v. V, p. 106 [non 129]). Nel caso ai
deve parlare di un vèn. ant. *cnrtolo. poiché non se ne conoscono attesta-
zioni, mentre è vivo il solo valsug. siciirfolo.
408 Angelico Prati,
27. defmansar (Concordia | la Mirandola, Modena]) "span-
nocchiare „, mansarina (ivi) " granata ,,.
Il Bertoni, Ardi. Boni., v. II, p. 74, accostando qnesti due
termini, li trae da massa, a cui si allacciano il fianc. ra-
masser ecc. {Boni. etym. Wiìrt., N. 5396). ina non s'accorse del
rover. fmanzarina " spazzola „, del trent. Jnuthar in o Jntalzarina
" spazzola ; brusca (grossolana) „ ecc. Inoltre il trentino e il
mantovano anno una voce caratteristica per " pannocchia „ ed
è appunto manza (notisi bene : anche questo con z, non con ;),
da cui nel trentino il verbo nianz'ir " gettare la pannocchia „
e il defmansdr di Concordia. E da manza viene pure mansarina
e fmanzarina ecc.. poiché, secondo I'Azzolini, il rover. manza
non solo vale pannòcia [pano'ca], ma aftche " fior della pianta
del granturco „. V. ancora Salvioni, Bendic. d. Ist. Lomh., s. II,
V. XLIX, p. 785, n. 2.
28. Die nai, parole dette dai naviganti, quando fossero
stati alcuni giorni senza vedere terra, tratte da un codice del
quattrocento (v. La Bassegna, s. III, v. II, [a. XX VJ, p. 353,
e Zeitschr. f. Rom. PhiloL, v. XXXIV, p. 315).
Die nai, in quanto non dica altro che Dio n' alti, Dio ci aiuti,
trova un bel riscontro nei cognomi dell'alta Italia Delalti, Da-
latti, Dallalta, Delaidòtti, Delài, Dallài, Delami, Dallari, Dallara,
e nei nomi d'uomo, dati da documenti, Delay, Delaidus, Delaitus
(v. ScHNELLER, Tir. Xam., p. 249;, N. 19), che dicono Dio Vaiti
(nome augurale) (cfr. anche ivi p. 268, in fondo). Riguardo alla
forma Die per Dio in nomi composti v. Petrocchi, s. v., e Ce-
sare Poma, Il composto verbale nella onomastica italiana, Torino,
1910, p. 14 1.
* Lo ScHNFLLER non pensava alla spiegazione sopra accennata.
à
Raggranellando 409
29. digojr {hoi'm.),adigó {morhegn.), diigojr, digojr (poschinv .),
adgi'ir (Val di Monastero), degjdr (Male [Val di Sol]), degor
(Ossana), degoj (Mezzana, Termenago, Peio), argji'jr, ardjor
(Rabbi) [Pro Cultura, Trento, v. I, p. 36(J), bc/djór (Samoclevo)
(Battisti, Zur Stdzb. Mund., p. 214, n. 1), agtiér, diguér (alto
nònese), diguéi (garden.), digé (fassano), adigoi (fiamazzo), digór
(bergam.), ligdr (trent.).
Tutte queste voci indicano o il secondo fieno (grumeréccio)
0 la raccolta del grumereccio. Nell'alto nònese v'è pure be/gorin
" terza raccolta del fieno „ ^
L'Ascoli, Arch. Gloft., v. I, p. 264, N. 166, scrive che con
digiira (vai levent.) da d e e u r i a , va forse digdir (poschiav. ecc.);
fieno seròtino, cioè del decimo mese, ma a pag. 553 osserva:
* Quanto a digdir, bisogna che si mandi con una quantità di
sinonimi, che lo mostrano impoverito per aferesi. Mi limiterò
a citare il morbegnese adigd..., Vartegnói {v-arteguói) di Val Fio-
rentina, e Schneller 232-3 „.
Della resipiscenza dell'AscoLi non s'avvide il Salvioni, Rendic.
d. Ist. Lomb., s. II, v. XXXIX, p. 491, n. 4, il quale nota che
il pili antico esempio della voce è forse Vadigoiriim del cap. 195
degli Statuti di Bormio, e che Va- par contrastare anche al-
l'ètimo dell'AscoLi.
* Lo ScHNKLLER. Die roin. Volksinund., p. 232, dà la forma argor per la
parte della Val di Monastei'O presso al confine tirolese, mentre i Pallioppi
per la Val di Monastero danno la forma adgor, che non è quindi engadina,
come risulterebbe dal Rom. etyin. Wort., N. 2508, che à, per giunta, adgoir,
e dal Salvioni, al 1. e. poi sopra, p. 491. L'Engadina conosce ra/dìf{v. Rom.
etym. ÌVort., N. 7117, dove si legge un vicent. reèadif, che non può essere
ià\e\ Lo Schneller dà inoltre le forme nònese o rgor, arguer, adegor {anchu
nònese ant.) e ampezz. antigoi, la prima delle quali compare come urger
e l'ultima come artigoi al N. 7130 del R. e. W., ohe à pure un posch. digijr
(al N. 2508 c'è la forma giusta).
410 Angelico Prati,
Nel 1378 è nominato un certo Zuliaiio Adegoi a Tesero in
Fieme, dove oggi vive la forma adir/oi, e in un documento di
Pellizzano in Val di Sol, del 1408, si legge feniim et adegorium
(Cesarini Sforza, Per la storia del cognome nel Treni., Trento,
1914. p. 154).
Com'è noto, il valses. argorda, pieni, ariorda ecc. " grume-
reccio „, risalgono a *r e e o r d u (v. Jud, Arcìt. f. d. Studili m
d. Neueren Sprachen n. Liferat., v. CXXVII. p. 421), ma a
questa base non possono risalire le forme riportate sopra, e
à torto il Meyer-Lubke, Barn. etym. Worl., N. 7130, ad acco-
glierle sotto detta base, malgrado le dica difficili da spiegare
(v. anche Jud, 1. e.) ^
Nel Vèneto esiste una parola, che, a quanto pare, può recare
gran luce sulla origine delle forme, di cui trattiamo: padov. ko'ro
" limo, limaccio, terreno che fonda e non regge al piede; melma,
porcheria che si genera nelle paludi „, poles. kiiora " melma
de' fossi, delle paludi; aggallato „, kuoro, kuora "cotica di terreno
fitògeno, costituito principalmente da radici di erbe palustri
non ancora trasformate completamente in torba „ (v. Lorenzi,
Riv. Geogr. Itai., v. XV, p. 80. il Boerio s. cuori, e Olivieri,
Saggio di topon. ven., p. 2B2j. Nel bolognese vi corrisponde cur
{v. Ungarelli) e nell'italiano cuora o qìiora " aggallato „. Il
Lorenzi avverti già che si tratta del lat. e o r i u m , che vale
anche " crosta o superficie delle cose inanimate „, esempi : co-
riuni arenae, corta terrae: ital. ant. cuoio " crosta, delia terra ,.
Cfr. anche vicent., valsug. ecc. ko'dego, ital. cotica " erba e ra-
dici che avvolgono la terra d'un prato „ e cótica di terra '• piota „'-.
'■ Il valsoan. rekq'rp è da -cq'rdiu (cfr. qui a p. 287, N. 148).
- cnriglianu deriverà naturalmente non da coriu, ma tlal nome di
luogo (v. Petrocchi, in basso, e Pieri, Topon. d. ralle d. Arno, p. 139), mentre
un luogo Cojo riferito dal Pieri, p. 81, trova qui la sua spiegazione migliore.
Tra i nomi di luogo dati dall'OLiviERi, che vanno col padov. l-o'ro ecc.,
Raggranellando 411
Ciò premesso, non mi pare difficile supporre che e o r i u possa
aver indicato anche l'erba che ricopre il prato.
Il borni, digojr e gli altri termini affini sarebbero dunque il
risultato dell'unione del prefisso re- con coriu, cioè d'un
*recoriu, che trova riscontro in recoriare " ricoprire „ del
Du Gange, verbo il quale pur da solo ci potrebbe suggerire la
spiegazione cercata. 11 d di buona parte di essi sarebbe sorto
per dissimilazione, secondo i noti esempì italiani (v. Guarnèrio,
Fonol. rom., p. 621) (anche valsug. parladm " parlatore „ [cfr.
kantarin " chi canta spesso e bene „J, e il nome del paese
Duvredo (Sténico [Trento]), se è da rovere [Flechia]), come pure
il l del trent. ligor, che non sostituirebbe quindi il d, come pen-
sava il Salvioni, Romania, v. XXXVI, p. 233.
L'ar- di alcune altre forme è un mutamento comune di re-
(v. anche i continuatori di *r e e o r d u e di r e e I d T v u)
e il bef- di qualche altra è il lat. b i s- Nell'alto nònese agiiér
il r sarà caduto per dissimilazione. In quanto all'/ protònico di
parte delle forme addotte, esso trova riscontro in tanti altri
casi (v. pel trentino le mie Quistioncelle di topon. trent., Rove-
reto, 1914, p. 30) ^ Pili oscuro può parere Va- del morbegn.
c'è un Caorcrevd (Bottrighe [Rovigo]), ch'egli spiega bene come -crepata.
Ora questo ci aiuta a dichiarare Crevnlcore (forma letter. anche Crevalcuore),
borgo ora del Bolognese, che fu sinora tradotto come " crepa il cuore „
(v. Salvioni, Boll. Stor. d. Svizz. Ital , v. XXII, p. 87, in fondo). Il nome
allude invece a delle crepature del terreno, e infatti nei secoli XII e XIII
è detto Crepacorium, Crevacorium (Tirabo.schi, Diz. topogr.- storico d. Stati
estensi, v. I, p. 233; v. II, p. 173). Con esso andrà facilmente Creracuore
(Biella), ma non già un Crepacuore toscano (v. Pieri, StudJ Rom., v. X,
p. 116; Topon. cit.. p. 340).
* Sarà da scartare la supposizione che, ad esempio, in un *argdjr sia stato
inserito un i {*arigo'jr, donde *adigu'jr, digojr) (cfr. pel fenomeno : Guar-
NKRio, Fonol. rom.. p. 370; Salviosi, Renate, d. Ist. Lomb., s. II. v. XLVl,
p. 1007, n. 2).
Archi vio.glottol. ital., XVIII. -27
412 Angelico Prati,
adigo ecc., sul quale attirarono l'attenzione I'Ascoli e il Sal-
vioNF. Esso potrebbe essere stato premesso dinanzi a r (v. Guar-
NERio, FonoL roin., p. :}65), e cfr. del resto l'ita!, ant. anappo
" nappo ^, anare " narice „, il rover. aìiaro " nido „ {Arch. Glott.y
V. XVII, p. 403, n. 1), il rover., trent. agràm " gramigna „, a
tacere di esempi vèneti. Per i nomi di luogo v. Ardi. Glott.y
V. XVIII, p. 266, n. ; Kev. d<^ Dial. Boni., v. VI, p. 183, n. Contro
questa dichiarazione non varrebbe il fatto dell'antichità del-
V adkjoirum ricordato dal Salvioni (che, del resto, non si di-
mostra tanto antico), e delle altre forme riprodotte sopra, poiché
è pure antico il fenomeno e forse pili diffuso che non ora (v. i
nomi di luogo), né il fatto della quantità degli esempi con a-
asseriti dall'AscoLi, giacché non sono affatto una quantità, e poi,
come ripeto, l'aggiunta dell'a- potè avvenire in diversi luoghi.
Ma quell'a- può anche essere dovuto a quell'elemento, che entrò
certo neWarteguói della Val Fiorentina (Cadore), ennebergh. ar-
tighei, livinal longh. arfeguoi, ampezz. antigoi, furi, artijùl, altijul^
antijt'd, elemento che potrebbe render conto anche dell'?. Quale
parola formi quest'elemento non saprei dire, ma speriamo che
verrà pure fatta luce sn di esso, e per ora v. Schneller, 1. e.
E tuttavia da rilevare che pure nella seconda parte di arte-
guói ecc. si presenta chiaro coriu. Il furiano poi offre delle
forme, che, attraverso a varie dissimilazioni e assimilazioni,,
corrispondono perfettamente all'ampezz. antigoi ecc. (quindi V-M
di esse sta per -tir). Per il /'- della variante varleguoi della
Val Fiorentina cfr. bellun. vérola " oliera „ (trent. érla) e v. Prati,.
Ricerche di topon. treni., p. 60.
30. dona o donila de munì (sardegnolo) " donnola „.
A quale speciale concezione risponda " donna di muro „ \\
Salvioni dice di non saper vedere {Rendic. d. Ist. Lomb., s. II,
v. XLII, p. 671). Ma la cosa è facile da spiegare, sapendo che
Raggranellando 413
le donnole spesso abitano nei buchi dei muri, dove si vedono
rifugiarsi le tante volte all'avvicinarsi dell'uomo.
31. fradaja (rover.) " confraternita „ ; fredaja (trent.) " ri-
coverata dell'orfanotrofio „.
Anche il trentino antico conosceva fradaya nel senso di " con-
fraternita „ e ne\V Arch. Stor. p. Trieste, l'Istria e il Treni., v. I,
p. 398, II col., vi è opposto giustamente il trent. mod. fredaja,
che è forma infatti ancor viva a Trento, ma non più in tal
senso, bensì in quello indicato sopra, essendo un tempo il luogo
di ricovero delle orfane di una confraternita. E pur ora la
chiesa di S. Maria della Misericordia è detta volgarmente delle
Fredaje {Catal. Cleri, p. il 1913, p. 38) (v. (/Esaeini Sforza,
Arch. Trent., v. XIII, p. 54).
Nel trentino vive pure fraja " ribotta, bisboccia ; stravizzo ;
brigata godereccia, triocco „, con derivati; ma questa parola,
al pari di naja (in sot a la naja " nella milizia, sotto le in-
segne „) [Arch. Glott., V. XVI, p. 312), venne dal Vèneto, che
10 diede pure ad altre regioni (cfr. Bendic. d. Ist. Lomb., s. II,
V. XXXV, p. 964, n. 27 ; Vidòssich, Studi sul dial. triest., N. 99).
È quindi strano che quale unico continuatore di *fratalia
compaia proprio il trent, fraya nel Boni, etijm. Wdrt., N. 3485 !
11 continuatore indigeno trentino ne è invece fredaja, con e per
dissimilazione (v. altri casi presso Battisti, Catinia, § 26, p. 135),
rover. fradaja, questo col significato antico, come il furiano
fradae {Arch. Glott., v. I, p. 527, e cfr. p. 458).
32. frana (tose.) ; sfralna (trent.) " gran quantità, monte,
subisso, diluvio, buscherio di „.
Che le due parole intestate abbiano la medesima origine non
par dubbio. La seconda presenta il senso figurato della prima
e nulla à quindi da fare coli' italiano farràgine, frana, come
414 Angelico Prati,
sappiamo, procede da un ^fraina, e sfrohm mostra l'accento
spostato come in alcuni nomi, che ci riconducono naturalmente
al significato primitivo di questa parola: Fraine nel Veronese
(AvoGARO. Appunti di topon. veron., p. 46) ^ e luogo presso Bren-
tònico (Trentino) {Tridentum. v. II, p. 293), Infralne (tose.) (Pieri,
Topoìi. d. ralle d. Arno, p. 311). Per spiegare lo spostamento
il Pieri pensa ivi a inorine, ma io credo che non occorra richia-
marsi a un tale influsso. L'accento poteva portarsi sul secondo
elemento del dittongo, come in altri casi si ritirò sul primo
elemento (v. Salvioni, Rendic. d. Isf. Lonib., s. II, v. XLVII,
p. 595 ; Bertoni, Italia dial., p. 74).
Coll'accento al posto originario si presentano, a esempio,
Fréina in Fassa, Fraines (Vigo, ivi), Fréines ecc. (v. Altón,
Beitrdge zar Ethnol. von Ostladinien, p. 41 ; Schneller, Beitrage
z. Ortsnamenkunde Tirols, II, p. 94). Il Bertoni, Arch. Glotto-
logico, V. XVII, p. 519, notando le forme documentate Fragiria,
Freina ecc. date dall'UNTERFORCHER, Zeitschr. f. Bom. Fhilol.,
V. XXXIV. p. 197. e del pari nomi quali Forcella forada, Petra
forada, Foram, si sente disposto a ricorrere a un *foragin(a),
da forare, ma questi ultimi nomi non vanno affatto insieme
con F\agiua ecc. e il loro significato è alquanto lontano da
quello di frana. Il nome Voreins del 1288. oggi Freins (Malgrei)
in Layen (Bolzano), dato dallo Schneller, 1. e. deriverà da
voragine, ma ciò non induce a ritenere che da tal base
venga anche frana. Il senso potrebbe condurci a questa base
solo in certi casi. Quella che meglio s'attaglia è *fragina
(cfr. f r a g i u m " rottura „) ^.
^ Secondo I'Olivieri, Saggio di topon. ven., p. 265, Fraine, ma è forse una
svista. L'AvoGAKO lo spiegava come un fraginae.
^ Lo ScHNELLKR, ). c. dà tra altro un pratum Fragina del 1299, e una
Freginu del 1460. V. anche Battisti, La voc. a tonica nel lad. centr., p. 43,
dove son da correggere F'rains in Freins e Lagen in Layen.
Raggranellando 415
33. fuhjanna (piveron. [pieni.]) " salamandra „.
E nota la derivazione da *foveana, proposta dal Flechia
(v. qui a p. 293, e Rom. etym. IVort., X. 3464 [dove, invece
di 127, si deve leggere t. 27]], malgrado il piemontese in ge-
nerale abbia pjuvana e il valsoanino ptibjana, che sono da
*p 1 u v i a n a , perché la salamandra esce dopo la pioggia, È a
credere che il termine piveronese non si stacchi affatto dagli
altri due e che quindi il f- sia per dissimilazione, come nel
bologn. fjgpa " pioppo , (Flechia, Arch. Glott., v. HI, p. 130),
che il Trauzzi nel ì''ocab. bologn. dell'UNGARELLi, p. xxx, mise
già a confronto col venez. folpo " pòlipo „ (non folp, come scrive
lui !) 1.
34. f lieto (veron.), foét, foim (trent.) " frustino, scudiscio „.
Il frane, foiiet si fa derivare dal frane, ant. fou " faggio „
[Rom. etym. Wort., N. 3145), ma, sebbene il veronese abbia
fo " faggio „, e il trentino fo'u, fg'o, foto, quelle intestate an-
dranno messe tra le rare vecchie parole venute dal francese.
Cfr, trent. biifét " comodino „, di contro a bufé " credenza „,
frane, buffet. E v. Bertoni, Italia dial., p. 16.
35. yana (trent.) " crepaccio ; cavità, insenatura (nelle
rocce) „ (v. a p. 220).
36. garbo (vèn.) ecc. " agro „ (v, a p. 222).
37. gattèllo (ital.) " mensola ,, gatél (rover.) " legno che
serve di sostegno ad un altro, zoccolo; beccatello „, gatél (moden.)
" beccatello, gattello „.
' folp sarebbe forma emiliana venuta dal veneziano secondo il Rom. etym.
Wort., N. 6641, ma, nel caso, è solo di qualche parte dell'Emilia.
416 Aiigolico Prati,
Il Pieri, Studi Rom., v. I, p. 41, scrive che gattello deve es-
sere da capitello, ma è però da notare che l'ital. beccatello non
è che l'ital. ant. beccatello " capretto „, un derivato in -atello
di becco e che nel padovano e nel veneziano vi corrisponde
kanolo. Son dunque tre nomi d'ugual senso derivati da nomi
d'animali, e la loro ragione sta forse nel fatto che un tempo,
più d'ora, si usavano delle mensole raffiguranti gatti, becchi,
cani ? Oppure erano fatti in modo da ricordare uno di tali ani-
mali ? Cfr., del resto, i significati assunti da cane e da capra ^
38. gabarra (tose.) ; ga^ér, garjra (trent.) " confusione,
guazzabuglio; chiasso, frastuono, brusio, passeraio; gazzarra „.
La madre di questi termini è certo la ga^a, e non l'arabo
gaz arali " baccano „ (cfr. spagn. algazara, grido di guerra
dei mori imboscati ; grido di allegrezza), come il moden. gatéra
" cagnaia (fig.) „ (che manca al Maranesi) è da gal (cfr. ital.
passeraio, cagnaja, cagnara, canèa [cfr. fumèa, mìscéa\). L'ital.
ant. aveva pure garzeria " gazzarra „, che non può essere che
da gaiia. Per il -rr- di ganarra cfr. ramarro (Flechia, Arch.
Glott., V. Ili, p. 162 ; Bertoni, Romania, v. XLII, p. 171, n.), a
tacere di ferragosto (Merlo, / nomi d. stagioni, p. 201).
Col trent. ga^èr, galèra cfr. trent. moskér " moscaio „, fmar-
ziméra " marcitura „, fUméra " gran quantità di fumo „, lomb.
orberà ecc.
' Cfr. pure gatte nel vocab. ital.
Pei suffissi -ate'llo, -ite'llo, -etello v. Pieri, Topon. d. valle d. Arno. p. 402;
Salvioni, Arch. Glott., v. XVI, p. 304, n.; Romania, v. XXXVI, p. 227, n. 4;
Prati, Quistioncelle di topon. trent., p. 19. Aggiungi anche ceppatfllo, da
ceppo. Anche il fungo detto ceppate'llo potrebbe essere la stessa parola,
perché col suo gambo grosso può rassomigliare a un cepperello. Lo Zambaldi
però dice che spunta vicino a' ceppi {Vocab. etim. ital.). Nel caso si doveva
dire presso le ceppaie, e allora sarebbe un derivato dell' ital. ant. ceppata.
Raggranellando 417
39. fjua (nònese ant.) " cupola „ (v, a p. 213).
40. intormentire (tose).
Un tempo indormentire e inter mentire, questo con e per assi-
milazione. 11 t pure per assimilazione o per azione di tormentare,
€fr. poi indormentare " addormentare „ e venez., vicent. ecc. in-
donnensàrse " intormentirsi „.
41. is'cia (trent.) " canneto, giuncaia (terren paludoso, con
canne o giunchi) ; salceto, vetriciaia (umido, pieno di salci o
vétrici) ; granocchiaio (spreg.) „ (v. a p. 226).
42. laniòcia [lamg'ca] (nònese) " palude „ (v. a p. 229).
43. lao'r (trent.) " coso ; creatura „, por lao'r (trent.) '" po-
verino, meschinello, povero diavolo (compassionando) „ (anche
por laorsél, diminutivo [v. N. 129 e qui a p. 258]).
Notevole il senso qui assunto da lao'r " lavoro „, da confron-
tare con afdr, che s'usa pure per " coso (solo riferito a cosa) „.
44. lodrihn (trent.) " redo ; esile, mingherlino, sparutello
(fanciullo) „. lodrum o ludrùm (rover.) " malescio „ ; lodrùm o
nodrùm (nònese) " agnellino „ ; nodrùm (milan.) " animali nu-
driti solo pei lavori della campagna „ (Salvioni, Studi di FU,
Rom., V. VII, p. 225).
Il Meyer-Lììbke, Rom. etym. Wort., N. 6005, derivandolo da
nutrì men " alimento „, cita un trent. lodrin " vitello di latte „,
che, viceversa, non è voce trentina, poiché nel trentino essa
suona lodrum e à il significato sopra detto ^. Nota poi in-
*■ Il Ricci la traduce con " agnellino, vitellino da latte ,, ma nelle cor-
rezioni a p. 520 le dà il significato detto sopra.
418 Angelico Prati,
vece il furi, niidrihn " bestiame giovine da razza „, che è dunque j
da porre accanto alle parole riportate.
45. lucchesina \lukkesina\ (orviet.), lukksina (foggiano) " pan-
nolano, catalogna „.
Forse cosi' detta, perché un tempo se ne fabbricavano a Lucca,
ma occorrerebbe la prova storica. V. del resto ital. ant. Iucche-
sino, colore rosso, e, per altri nomi del pannolano, Salvioni,
Studi di Filol. Rom., v. VII, p. 221.
46. lugo'r (Pazzano [Modena]) " chiarore „. H
Trova riscontro nel tose. ant. lucore, nel bellun. ant. (Cavàs-
sico) lugor (Salvioni, Arch. Glott., v. XVI, p. 309) ecc.
47. m(d del rédof (trent.) " mal della suocera .,.
Manca al Ricci. E un dolore acuto, ma passa presto, come
il dolore di tanti, quando perdono la moglie, e come può essere
quello di certe suocere dopo la morte della nora.
48. ìtiaUja (pieni., lomb., trent., valsug., settecom.) " cascina
di monte „ (v, a p. 234, n. 1).
49. margéla (nònese), fmargél, fmargéla, fmariél (trent.)
" moccio, moccolo (grosso) „ ; fmargél o fmariél (rover.) " sca-
racchio „, margél (valsass. [lomb.]) " moccio „.
Secondo il Battisti, Die Nonsh. Mund., p. 73, 135, N. 4, la
base ne è senz'altro *n ari celi a (cfr. lomb. nan'c, ossol. naviga
* moccio „ [Salvioni, Bomania, v. XLIII, p. 569]). Il Salvioni,
Postille, p. 269 [15], ammette invece l'immissione di marca
(lomb.) (v. anche Rom. etym. Wort., N. 5825, dove il 635 va
corretto in 48 ò).
La base, in realtà, non può essere che *amurgella, da
amìirga, a cui ci conducono diverse forme dell'alta Italia, già
Raggranellando 419
ricordate dall'AscoLi, neìVArch. Glott., v. II, p. 403, dove accenna
egli pure alla possibile connessione con a m ìi r e a , romagn.
murgoj, levent. nmrghl '• moccio „, com., milan. margaj " sca-
racchio „. Io aggiungo il treni, fniargo't = fmargél, il moden.
finurgaj " moccicaglia ^, il bologn. fmurgajàn " moccioso „.
Inoltre nel Vicentino vive fmorP'in " moccio „, che dipende da
a m ìi r e a , e si noti che questa base assunse, attraverso i
continuatori romanzi, pure altri significati (cfr. N. 57) ^
50. marók (moden.) " tutolo „ ; marél (piveron. [pieni.])
" stronzo „ ; maréla (piveron.), marredda (sicil.) " matassa „ (v. a
p. 299); marél (rover.) "cavalletto (di biade); castellina „.
Dopo quanto fu esposto wqW Arch. Glott., v. XVII, p. 285,
409; V. XVIII, p. 228, 335, e tenuto conto pili di tutto del
veron. marg'kolo o maràgolo " rocchio; grosso sasso „, sarà fa-
cile vedere pure nei termini riportati la base *m a r r a , che
vive pure nel trevis. maro de fìen " mucchio di fieno „. Arrivati
però ai significati di " rocchio „ e di " tutolo „, non sarà da ri-
condurre qua quel bresc, bergam., com., cremon. marél " ciocco;
randello ecc. „, che il Roui. etym. Wort., N. 5402, mette sotto
il gali, m a t a r i s " giavellotto „ ? Ivi è accolto pure il venez.
maréla " vèrtebre lombari „ (non marelo, come vi è stampato e
dov'è pure da correggere Lungenbraten in Lèndenhraten) -, e il
bellunatto conosce maréla " ferro dell'ombrello „, pel quale il
Salvioni, Krit. Jahresber., v. Vili, P. I, p. 142, penserebbe a
mare " madre ., (il trentino e il valsuganotto anno madréla
" dado, galletto (della vite) „).
* 11 venez., poles. /morkago è inokago, fmokago, che i?i risenti for.se di
a m lì r e a.
-' Anche il venez. madraso (ivi) è forma sbagliata. 11 veneziano à maroso
natrice tessellata {trvpidonotus tessellatus] , (Ninni, I, 63), mentre madrasa
è parola istriana.
420 Aiij^^elico Prati,
Il moden. murók poi avrebbe un esatto corrispondente nel
nome d'una strada toscana: il Marnicco (Calcinaia) (Pieri, Topon.
d. valle d. Arno, p. 379). E potrebbe pur questo essere da
*m arra (cfr. Ardi. Glotl., v. XVII, p. 287, n.; v. XVIII, p. 228).
51. mariìyola (poles.) " regina (delle api); conduttore, guida
(dei ladri) „ : marùgola (rover.) " cavalletta verde „ ; marugola
(trent.) " monachella [mantis religiosa) „.
Le due ultime parole sono riportate in forma e con significato
del tutto sbagliati nel Rom. etym. Wort., N. 5417. V. sopra, a
p. 250, n.
^eWArch. Glott., v. XVII, p. 279, n. 1, esprimevo il concetto
dell'origine comune di tutte tre le voci intestate e riferivo come
il Salvioni, Rev. de Dial. Rom., v. II, p. 95, avesse connesso il
poles. marugola colla voce niariga, di cui v. ivi. Ora io la penso
diversamente : siccome la regina delle api è pure detta ed è la
madre delle api, cosi marugola deriva facilmente da mare. Le
voci trentina e roveretana saranno invece r%« (trent. ecc.)
" bruco „ (v. Rom. etym. Wort., N. 2907), premesso quel ma-,
che entra nei veron. maràntega (allato a ràntega) " rantolo :
rochezza ., e marùfene (allato a rùfene " ruggine „) " ruggine,
astio „, visto che altrove una tal voce venne a indicare il mag-
giolino : cfr. biell. ama, Fano : ruga, fossombr. rugla ; milan.
kartiga, karugola, novar. galaruvi (plur.) ecc. (v. Merlo, Studj
Rom., V. IV. p. 162) K
52. matto e derivati.
Agli esempi di questo aggettivo raccolti dal Merlo, Studi
' Per l'aggiunta di ma- v. anche Bkrtoni, Arch. Rom., v. I, p. 73, n. 3,
che rammenta il poschiav. manfràgula ' fravola , (con n nato per la spinta
del in). Un altro esempio è dato dal valsug. marubjo * ruvido „, allato a
Raggranellando 421
Rom., V. IV, p, 150-151, n. 2, e dal Goidànich e da me, Arch.
Glott., V. XVII, p. 409-410, 562 (v. anche Nigra, ivi, v. XV,
pp. 292-294, e, per l'origine della parola, Levi, Le palatali pieni.,
p. 213, N. 434), sarebbero da aggiungere parecchi altri da vari
dialetti, ma tra quelli toscani citati dal Goidànich a p. 410, n. 2,
sarebbero stati da rammentare mattngio, maUngiolo, matterùgio,
matterngiolo (montai, mattar lìgiolo) e i significati di matto, mat-
tàgio notati dal Petrocchi nella lingua fuori d'uso. Ricordo poi
che a Pissavaca presso Ravina (Trento) c'è un'acqua detta akua
mata, perché non serve a còcere, e che presso Ponte nelle Alpi
(Belluno) si trova un luogo detto Cafamata (castello distrutto).
Si aggiunga poi che matél " ragazzo „, matéla '" ragazza „ e
derivati (cfr. Rom. etym. Wort., N. 5401 ; Salvioni, Romania,
V. XLIII, p. 397 ; Bertoni, Italia dial., p. 49) sono comuni nel
trentino, anzi sono termini caratteristici della campagna di fronte
a putél ecc. della città, dove però vive pure matél ecc. Comu-
nissimi sono i derivati matelàt, matelata (camp.) ^ matél, accanto
a putél, si usa pure nel roveretano, ma non pili nel veronese,
che a solo putél ecc., né nel valsuganotto, che à to'/o ecc. In
questo parlare vive invece l'interessante maturo '' fantoccio „ ^.
rubjo d'ugual significato. Qui sta appunto la spiegazione e non entra affatto
ili detta forma la pianta m a r r ù b i u m (v. Arch. Glott., v. XVII, p. 280).
E poi ben curioso che il Mkyek-Lììbke, Rom. etym. Wort., N. 5376, e il
Bertoni, Arch. Glott., v. XVII, p. 389, ripetano l'errata dichiarazione del
Salvioni, pur rinviando al mio articolo citato I
' far mate'rje (trent.) " baloccarsi ; ruzzare (de' bambini) „ si connette in-
vece con materja " matteria „, moden. ' pazzia ,.
- Il Meyer-Lììbke, Rom. etym. Wort., N. 5401, dà all'ital. w«</o dei signi-
ficati che, in realtà, non possiede.
Riguardo al significato di "non buono,,, " sai vati co ,, che à t^mvq pazzo,
v. Merlo, Studi Rom., v. IV, p. 151, n., dove all'abruzz. fìure pazze * fiore
senza odore „ ecc. è da porre accanto l'umbro pazzo " falso (di moneta, di
frutto ecc.), orviet. pino pazzo " abeto „.
422 Angelico Prati,
53. meda (bresc), mada (Livinal Longo), auda (trent.) "zia„.
TI primo non è una ricostruzione da medina, come vorrebbe
supporre il Bertoni, Rrdia dial., p. 46, ma sarà da anieda
(milan. ecc.) con accento spostato, come da un àmada saranno
le altre due forme (cfr. coni., Valfurva e Livino : làmada). Per
lo spostamento dell'accento cfr. bresc. sahat ecc. (v. Arch. Gioii.,
V. XVI, p. 8) e borm. seméda, semada " traccia di sentiero sulla
neve dura, congelata», da semita, adda e poi una forma
accorciata, come altri nomi di parentela (cfr. trent. jjare, mare) ^
54. meriga (vèn. ant.) " cursore del comune „ (v. a p. 249).
55. merikana {uà-) (valsug.) " uva isabella „ ecc.
A p. 410 del V. XVII dell' Arch. Gioii., osservavo che qualche
volta per denotare specie di pianta (od altro) rara o non comune
s'usa merikàn " americano „ e, tra altro, mi richiamavo appunto
alla Ila merikana ; sennonché questa è effettivamente di prove-
nienza americana, come lo sono le fraole merikane (valsug.)
" f «avole grosse (degli orti) „, le patate merikane (valsug.) " pa-
tate dolci „, dette mérike nel Polesine. Non di provenienza ame-
ricana sono le noféle merikane (valsug.) " babbagigi {cyperus
esculentus) „, dette in Toscana noccioline. Nel Marchi, Note e
osserv. intorno all'avifauna trident., p. 58, N. 57, trovo che nel
trentino è detto parissòla mericana [parisola merikana^ il baset-
tino (panurus hiarmicus), che " capita da noi raramente e acci-
dentalmente d'inverno „. Nella Valsugana sono inoltre dette
galine merikane le piccole galline dette altrove francesine.
' 11 Battisti, Catinia, § 63, p. 172, riporta la forma anda come rusticale,
e in n. àmeda e auda come forme cittadine, ma anda, del pari che se'nda
•< semita, ch'egli le pone accanto, devono essere forme non trentine,
ma nònese (v. Battisti, Die Nonsb. Mund., p. 66). In ogni modo il Ricci
dà soltanto aada, quale forma antiquata, e àvieda, quale forma rustica,
due termini conosciuti pure dall'AzzoLiNi.
Raggranellando 423
56. migenhn, migen'in (m-) (trent.) " un briciolino „.
Cosi udii sempre da Trentini, ma il Ricci dà mighenhì, mi-
giniìi [en-). Mentre il primo va coi pur trent. migol {en-), mi-
goUtn (en-), e con mi'gola " minuzzolo ; briciolo „, per il secondo
non si può ricorrere che a m I e ti 1 a per via di micia. Esso
presenta quindi uno dei pochissimi casi di g<Cc'ì nel trentino.
Gli altri sono spégo " specchio „, agg'ga " aquila „, e v. qui a
p. 268, 274 \
57. molca [mg'lka] (trent.) " siero; morchia; mota, melma „,
(rover.) "mota; poltiglia,,.
Si penserebbe alla dipendenza dal ted. M o 1 k e n (femm.
plur.) " siero del latte „, come infatti fanno lo Schneller, Die
rom. Volksmund., p. 1.56, e il Salvioni, Rendic. ci. Ist. Loinb.,
V. XLIX. p. 1022 [14]. ma è a credere che siano invece nel
vero il Oesarini Sforza, Strenna trent. p. Va. 1893, p. 76, e il
Battisti, Catinia, p. 168, ij 61. che lo fanno dipendere da
a m u r e a , col passaggio di r in ì, come in altre parole tren-
tine addotte dal secondo. Il siero è infatti la morchia del burro,
che nel roveretano è detto proprio pe de botér. Cfr. poi il borm.
mo'rka "feccia del burro „. Semplicemente da amiirca sarà
pure il bergam. muMa (da *inulka). malgrado i diversi giudizi
' Il Montéghel ivi riferito dallo Schneller pare sia invece dovuto a uno
«baglio : si tratterebbe di un Monte Ghello.
ogògia è forma corretta dal Ricci a p. -518, col significato d' '" aquila, più
particol. aquila anatrala, anche per aquila di mare „ e il Giglioli, Avifauna
Hai., p. 2.38. la dà pure quale termine di Trento, ma è da notare che tra
le molte denominazioni raccolte dal Marchi, Note e osserv. intorno all'api-
fauna trident., esso non compare afl'atto. Lo Schneller, Die rom. Volksmund.,
p. 10-5, 284, offre invece agogia quale parola valsuganotta, ma nel valsu-
ganotto suona al contrario daga, al Borgo aguga, a Roncegno àitdja. V. del
resto Rev. de Dial. Rom., v. V, p. 92 ; Rom. etym. W'òrt., N. 582 ; Bertoni,
Arch. Glott., V. XVII, p. 363.
424 Angelico Prati,
che ne danno I'Ascoli, Arch. (rlott., v. II, p. 403, e il Salvioni,
Rev. de Dial. Roni., v. IV, p. 17G, N. 435. Per la varietà di
significato cfr. anche il nioden. marca " ralla „.
58. moUnaréla (trent.) " cinciarella (panis caeruleus) „.
Il Marchi, Xote e osserv. inforno all'avifauna trident., p. 59,
N. 61, dà anche il termine di Parissòla molinara. Dato il colore
di quest'uccelletto, il punto di partenza è certo marinar " ma-
rinaio ,,, pel colore del suo vestito.
59. nio'Jna (rover.) " mucchio di terra ; mucchio di sassi ;
catasta ., ecc. (v. a p. 238, n.).
60. mudrél d' sulzeza, muderléjn d' sulzeza (moden.) " rocchio
di salciccia „.
Il Bertoni, Arch. Itom., v. II, p. 257-258, tenendo conto solo
del secondo, lo fa derivare da un *m o d e 1 1 i n u , con -//- an-
ticamente distratto in -ri-, ma muderléjn non è che un derivato
di mudrél, il quale richiama il venez. morélo ecc., di cui v, qui
sopra, a p. 334. e, dato il suo -dr-, verrebbe a contradire alla
spiegazione ivi data di quest'ultimo. Ma il -dr- si spiega forse
da un incontro colla base, di cui v. Bom. étym. Wort., N. 5402
(e V. N. 50).
61. néspi (moden.) " nespola; nespolo „.
Da *nesplo.
62. Oga Magòga (ital.) " paesi lontanissimi „, Gagà Magoga
(ital. ant. : Redi) " paese lontanissimo „ ; èsser in Oga Magòga
(moden.) " essere in Oga Magoga „, o'ga magoga [nar en-, venir
de-) (trent.) " andare in Emaus, cascar dalle nuvole „ ; andé an
goga magoga (piem.) " scialarla, godersela, andare in visibilio „ ;
andér in gogernagoga (moden.) " andare in rovina (di una casa,
di un muro, d'un terreno in pendio) „,
i
Raggranellando 425
Sull'origine di queste espressioni e sulle leggende che vi si
connettono v. Arturo Graf, Roma nella memoria e nelle imma-
ginazioni del Medio Evo, v. II. Torino, 1883 ; Lamberto Cesa-
RiNi Sforza, Tridentum, a. Ili, p. 149-151 ; Giovanni Marinelli,
Goy e Magog : leggenda geografica, Cosmos di Guido Cora, 1882-
1883, e in Scritti minori, v. I ; Ragazzini, Sulla leggenda di Gog
e Magog, Classici e Neolatini, v. Vili, 2 ; Bertoni, Arch. Rom.,
V. Il, p. 77 K
63. oniz (trent.) " ontano „ (v. a p. 24:1).
64. oriolo (tose).
orinolo è forma letteraria, orivg'lo volgare e storica. Una Via
dell' Orivo' lo è a Firenze. Secondo il Salvioni, Nuove Postille,
Rendic. d. Ist. Lomb., s. II, v. XXXII, p. 141, viene da *orolojo,
*orojg'lo, *orijo'lo, ma qui si presenta la difficoltà del -j- da -gi-.
Ma pare anche che gli sia sfuggita la dichiarazione del Flechia,
Ardi. Glott., V. IV, p. 380, che propose *h o r a r i o 1 u m , da
horarium " orologio „, che à assai maggior fondamento e
alla quale pensai da tempo, anche indipendentemente dal Flechia.
Cfr. infatti il nome di luogo Anchiano da Ancharianum
e V. Pieri, Studi Rom., v. X, p. 109 (il quale non pensava però
a orio'lo, quando scriveva le righe, a cui qui rinvio) ; Topon.
d. valle d. Arno, p. 115 -. Esempì di aj^j (e di nj^j) v. pure
presso il Salvioni, Rendic. d. Ist. Lomb., s. II, v. XLIII, p. 615-
616. Pel -V- di orivg'lo cfr. i trecenteschi vivola e vivuola per
viòla, strumento e fiore, e v. Salvioni, Arch. Glott., v. XVI,
p. 311. s. migiol.
' A " oga magoga , a Napoli e in Sicilia corrisponde (t Lecca e a Mecca
{Bend. d. Ist. Lomb., s. II, v. XLIX, p. 727, n. 2).
"' Anche il lago Scaffaiolo, al confine modenese-bolognese, in vecchie carte
è detto Scafiolo, Scafiola (Riv. Geogr. hai, v. XV, p. 109, 111).
426 Angelico Piati.
65. orso'l (veron.) " orzaiolo ; orzola „. orsjo'h (Koncegno,
valsug.), urzo'l (moden.) " orzaiolo „.
Il Bertoni, // dial. di Modena, p. 41, scrive che re' rdj
danno nel modenese rz e cita quali esempì ^wr3è// (porcellii)
e tirzòl [evvovQ pev urzòi) (hordeolu). Ora è da avvertire die
rdj dà pure nel modenese >•; (cfr. véria ecc.) e urzo'l presenta
un caso particolare di sorda al luogo della sonora anche in altre
parlate, come si vede sopra. Quale è la ragioiìe ?
66. pacia [2)aca] (vicent.) " mota „, (rover.) " fango „,
(poles.) " hobbia ; broscia „ ; pàcara (veron.) " mota „, (poles.)
" pozza (sulla strada) „ ; pacarina (veron.), pacaréjna (moden.),
pacaréla (padov., vicent., poles., venez.) " mota, fanghiglia „,
pahugo (vicent.) " pattume; bòzzima (cibo) „, (padov.) " pattume ;
ciabattino (chi strapazza l'arte sua) „, (poles.) '' fango : potti-
niccio ; sgorbio; pacciame,,, (venez.) '"mota; pacciame; gua-
stamestieri; sgorbio,,, (veron.) "immondizia; pasticcio, guaz-
zabuglio „ , paci'ik 0 spacùk (rover.) '' pattume : pacciame ;
ciarperia, acciabattamento „, pacuk (trent.) " intruglio, imbratto;
pattume; pottiniccio „, (bresc.) "pacciame,,, pahug (bologn.)
" mota „, (moden.) " pacchinco ; pacciame ; fanghiglia „, pacék,
pacéka, paco'ka (trent.), pacg'ko, pac^'ka (valsug.) " mota ; mei-
letta ; piaccichiccio,,, pacakra, pacakarénna (bologn.) "fan-
ghiglia „ ; pacciame (tose), pacciume. (ital, ant.) ; pacchiarina
(fiorent. ant.: Fagiuoli) " fango „, pacchinco (montai.) " intruglio,
mangiare mal cotto, impasticciato „ ; pdccara, paccherà (lucch.)
" zacchera „, paccarùglia (lucch.) " poltiglia „. Per il Piemonte
v. Levi, Le palai, piem., p. 131 ^
* pacugo ecc. conta diversi derivati (v. i rispettivi dizionari : veronese
impacugàr, spacngàr ecc. ecc.). Pili d'uno d'essi dizionari confonde pacciame,
pacciume con pattume, ch'è cosa differente.
Ragorranellando 427
La dichiarazione di queste paiole è facile e fu già detta dal-
ì'Ungarelli, Vocab. bologn., s. paciàera. Esse sono imitative, dal
pac pah, che si fa sentire nell'andar per il fango. Questo ru-
more, inteso come paick pakk, diede al toscano le forme con -kk-
(cfr. anche pacca, pure d'origine imitativa, e cosi pacér{e)
(vèn. ecc.), ital. pacchiare (v, Salvioni, Bomania, v. XLIII,
p. 561) ^, sentito come poh poh, diede al vicentino poho ^ poz-
zanghera ; sugo ; pottiniccio ; frinzello „, al padovano e al ve-
neziano poco "mollume; guazzabuglio; poltiglia: fango „. al
polesano po'ho " brodicchio ; brodiglia ; piaccichiccio ; sugo „,
al trentino po'ho " sugo: intruglio „, poca " pozzanghera, fan-
ghiglia, piaccichiccio „ (cfr. poi rover. pohé^ = pacék). Cfr. inoltre,
in Toscana, piaccichiccio, spiaccicare (da piace piahc o place
place). V. poi l'origine del calabr. ciifa " melma, fango „ (da
éif haf) (Salvioni, Rendic. d. Ist. Lomb., v. XLIV, p. 778, N. 28;
V. XLVI, p. 1018, N. 23. dov'è rammentato l'abruzz. ciff' e cciaffe
" cibreo, intruglio „)^.
Pel suffisso, col vicent. ecc. pacugo cfr. valsug. patugo " man-
giare, che fa nodo alla gola ; persona senza accorgimento „ (in
tempi andati era la " polenta fatta con farina di fave e di fa-
gioli strizzati .,), che va con patto (ital. ant. e pisano) (v. Pe-
trocchi e Arch. Glotf., v. IX. p. 426) (cfr. Arch. Glott., v. XVIII,
p. 243), e col iveni. pah^k il trent. /;?a;-^/' " moccio „, il valsug.
spuéko " sputacchio „. col bologn. pahnkra, il bologn., moden.
pizdkra " beccaccia ., ecc. ^.
* Al Salvi -);<i sfuggi Li spiegazione datane già dal M.a.ranks[, Vocabolario
moden. ital., s. pacèr.
• D'origine imitativa dev'essere pure to' co (vicent.. veron.. trent. ecc.)
* sugo „, bologn toVc " unto di cibi ,.
Con paca ecc. va forse anche l'ital. impacciare, impaccio, colla variante
impicciare, impiccio, e derivati (cfr. impacciucare = impacchi ncare). V. invece
Rom. etti in. Wort., N. 4296.
' Nel trent. piciikom "brodolone; sciattone; abborraccione,, allato a
Archivio glottol. ital., XVIII. 28
428 Angelico Prati,
67. padana [pacana\ (moderi.) " botta (animale) „.
Dipende da paca, di cui nell'articolo precedente, perché questa
bestia sta nei luoghi umidi.
68. Patrasso (andare a-, mandare a-) (ital.) " andare, man-
dare a morire, a rovina „. S'usa anche in pili dialetti dell'alta
Italia (venez., lomb., trent.).
Le spiegazioni proposte per questo modo di dire si possono
vedere presso il Piaxioianj, Vocab. etim. ital., s. v. ; il Fanzini,
Dizion. moderno, s. v. ; il Cesarini Sforza, Tridentum, a. Ili, p.l47;
il Musatti, Guida storica di Venezia. HI ediz., Milano, 1912,
p. 177, n. 3. E a credere però che giusta sia quella riportata
da Geremia Bonomelli, Un autunno in Oriente, Milano, 1898,
p. 17, n. : " Patrasso fu per lungo tempo sotto la signoria di
Venezia e quel Governo vi mandava i condannati per debiti a
scontare la loro pena e di qui la frase — Va a Patrasso ! „.
69. péjt (trent.), ped (moden.) " poppe delle bestie „.
Il trentino à péjt, coi derivati pejto'm, pejto't, e péjt col deri-
vato jjejdg'm, secondo il Riccr, il quale scvìve peid, che, in quanto
all'/, sarà errore di stampa. In quanto al -d, esso è inesatto,
ma qui si tratta del vezzo biasimevole del Ricci, di usare in
fine di parola la sonora al luogo della sorda della pronunzia.
II roveretano conosce peitera " bestia di gran poppe ., (Azzolini),
il solandro péjt, secondo il Battisti, Die Nonsh. Mund., p. 130,
n. 1, il Belcalzer (mantov.) peit, il modenese, allato r ped, pure
pet, che il Flechia, Arch. Glott., v. II. p. 369, dice forma pili
organica. Ma qui non intemlo di spiegare queste forme oscure
paciigo'iH, sarà presente forse -ucco. anzi pure il paciìic [pacii'k] del Ricci
potrebbe offrirci appunto questo suffisso, giacché altrimenti il Ricci, giusta
il suo brutto metodo, avrebbe scritto paciìig.
Raggranellando 429
(cfr. Battisti, La voc. a ioti, nel lad. rentr., p. 75, n. ; Malagòli,
Arch. Glòtt., V. XVII, p. 172), bensì di richiamare l'attenzione
sulla corrispondenza tra la forma modenese con d e quella tren-
tina pure con d ^
70. péle (valsug.), j^fl (trent.) " sgualdrina „.
Dal lat. pèllex (cfr. ital. ant. pellice "concubina; rivale „),
come il trent. res da re sex (v. N. 77). A detta base pensa-
rono già il Cesakini Sforza, Strenna trent. p. Va. 189J, p. 70, e
il Ricci, p. 318, il quale, nonostante, nasconde la parola sotto pè/
" pelle J 2
71. péntima (tarent.) " rupe, scoglio, grosso sasso „, péntuma
(logud.) " voragine „, gallur. spéntunm ecc.
Il GuARNERio, Rend. d. Ist. Lomb., s. II, v. XLIV, p. 1098,
disse già che vanno col còrso petita " parte scoscesa di colle :
acquatella che scende dai monti „, da péndìta {Arch. Glott.,
v. XIV, p. 400 ; Bendic. d. Ist. Lomb., s. II, v. XLIX, p. 842, n. 2),
ma bisogna aggiungere che la terminazione -ima, -urna, -umii
è certo da anteriore -ina, al qual proposito si possono addurre
a confronto: valsug. molépene "sorbo salvatico „, da malu,
Pmtena " cigna ; balza», trent. kq'nseno, konsena, da ko'nso,
ko'nsa " coso, cosa „, moden. savaré^na " santoreggia „, ed altri
esempì, tra i quali il \og\\A. pàdimu " piatto, piano ... In quanto
all'/», si noti che il Guarnerio, alla n. 1 del 1. e, indica diversi
' Naturalmente non si pnò pensare all'inflrienza, sia pur solo riguardo
al suono, di p è d e , poiché avrebbe pur dovuto seguire le vicende di
questo (moden., trent. pe * piede ,, plur. moden. pe, trent. pej).
• n valsug., trent. ^yelanda, d'ugual significato (valsug. spelando'» " sot-
taniere ,), va col bergam. pelando " meretrice „ e " denominazione d'ogni
abito lungo e largo ,, vicent. ant. ecc. ■* mantello „ (v. anche Mussakia,
Beitrag, p. 86), coli' ital. palandra ecc.
430 Angelico Prati.
casi sardegnoli di m in luogo di », ed è da avvertire che essi
presentano l'assimilazione al p precedente (campid. pùrdumu
" abròtano .,, sard. sett. ispàrainu " sparagio „, logud. pàdiinu),
se si tralascia rlyamu (logud.) " origano „, cui corrisponde
regnino pure nell'italiano. Cfr., con assimilazione al 6, il vicent.,
padov., poles. brófema *■ brina, brinata „, da brn'fa (valsug.,
vencz.), bniosa (allato a bruosema) (vicent. ant.).
72. pizfo't {((-) (rover.), a pizko'p (trent.) " a spizzico ,, .
Nel roveretano anche a pizzega porco (Azzolini), nel trentino
liigàr a piz ko'p o a piz e ho p " giocare a nocino „ e pnzfo't
vale " omicciolo : ragazzaccio „ , pizfo'ta '' uccelletto, pispola
(anche per donnuccia) ^. Devono essere tutte variazioni scher-
zose, come quelle indicate a p. 406. n. 1. del v. XVII deir.4/-c/^
Glott.
73. prH (trent.) '" cimice elegante, delle piante ^.
Detto cosi per la somiglianza tra la forma e i colori vivaci
del dorso dell'insetto e quelli della pianeta del prete celebrante.
Altrove '• prete „ e " frate „ è detto il cavalocchio (piemontese
préive ecc. : v. Salviom, Eendic. d. Isf. Lomb.. v. XLII. p. 848,
Di qualche criterio dell'indagine etini., p. 18 ; Bertoni, Arch.
Glott.. V. XVII. p. 509).
74. quaro (veron. ant.) " ponte , (v, a p. 249. ii. 1).
75. quo'colo (ital.) " pietra in generale tondeggiante „ e
V. Nerucci, Tommaseo, Petrocchi (anche cuocolo, e v. cuogolo).
Va assieme col venez. hiógolo, kógolo, padov., poles. kógolo,
vicent. ant. cuogolo, moderno ko'golo " ciottolo „ e cogli altri
termini affini, la cui origine è indicata nel Rom. etym. Wort.,
2011, N. 4. Sono senz'altro da scartare le altre basi accennate i
ivi a p. 162 e al N. 2288, e dal Salvioni, nella Ber. de Dial.;
Raggranellando 431
Bom., V. V, p. 182, N. 1783 a. A una base con t risale invece
il trevis. kódolo " ciottolo „ (v. Olivieri, Saggio di topon. veti.,
p. 256), valsug. ho dolo " sasso grosso „.
76. regtis (rover.) " guaime „.
Quando il Salvioni, Romania, v. XXXVI. p. 247, spiegava
acutamente il veron. camp, ragufo " secondo taglio dell'erba „,
dal lat. refusu, non conosceva la forma roveretana, più vi-
cina alla base anche nel significato ^ e che è una delle parecchie
rispondenze tra roveretano e veronese ^.
' L'AzzoLiNi la definisce come l'erba che spunta nei prati, ma poi vi fa
.corrispondere " guaime ,, che per lui vale anche * grumereccio „, poiché
definisce ar-ira, er'Jva come ■* guaime, fieno serotine ,. Il Bortolàn, Voca-
bolario d. dial. ant. vicent., riporta un reguxo, che è certo la voce medesima.
- II parlare di Rovereto si distingue da quello di Trento, oltre che per
certi caratteri fonetici, anche per certi caratteri lessicali, e avviene a volte
che, in tal caso, s'accordi con quello di Verona. È quindi necessario d'in-
dicare come roveretane e non come trentine tutte le parole che risultino
appunto proprie di Rovereto e non di Trento, cosa che gli studiosi anno
trascurato in generale di fare. Cosi il Salvioni, Rendic. d. Istit. Lomh., s. II,
V. XL, p. 733, trattando di corrispondenze lessicali alpine cita i trent. zoel,
nr;iva, eriiva, ìadrar. Premesso che questo suona ledràr " rincalzare ,, si
hoti che il primo non esiste, mentre esiste il rover. gola " capra „, e rove-
retani sono pure ariiva, er'Jva, non trentini come à anche il Bertoni, Italia
dial., p. 35. A p. 271 [17] delle sue Postille il Salvioni dice che pjg've e
anche appellativo, p. e. a Verona e a Trento, e il Rom. etym. Wort., N. 6591,
lo copia, ma la voce è invece di Rovereto e suona, pjq'f, e il rover. ostariq't
diventa un trent. ostarioto (!) a p. S30 del v. VII degli Studi di Filol. Rom.
e a p. 91 del v. II della Rei\ de Dial. Rom , mentre trentina è la forma
ostariante (v. Bull, de Dial. Rom., v. VI, p. 94, n.). Del pari roveretani e
non trentini sono tarànz (trent. tardnt) (v. Arch. Glott., v. XVIf, p. 420,
n. 3), fgaoràr (anche veron.) (Romania, v. XLIII, p. 579) (trent. stralaorór :
v. Ricci, Append.), anaro (v. Arch. Glott., v. XVII, p. 403, n. 1), ague'j
(trent. ague'l) (v. ivi, p. 418), boa, bora (v. Nigra, Arch. Glott., v, XV, p. 280),
huràr (ivi, p. 495), tarto'r " imbuto da salami „ (ivi, p. 297) (veron. tortq'r
'imbuto,, trent. e rover. lore'l: Arch. Glott., v. XVII, p. 278), uje'rdola
432 Angelico Prati,
77. res, réfol (treiit.) "piantone; magliolo „, rjh (alto nb-
nese) " viticcio „.
Dal nominat. lat. resex " saéppolo „. P] v. Rom. etym. Wort.,
N. 7242.
78. rito, rìdo (ant.) '" rivo „.
Della forma rido v. Salvioni, Jiollett. Stor. d. Svizz. ItaL,
V. XIX, p. 164^ e si rammentino qui un ridus Calliani, nel di-
(veron. q/(''rtola [non o/érdola, come à il Bertoni, Romania, v. XLII, p. 161, n.],
tient. nife r dola, i/e'rdola, hi/e'rdolu [v. Rev de Dial. Rom., v. VI, p. 151. n.]
[sbaglia quindi il Bertoni anche a p. 509, n., del v. XVII dell'are//. Glotf.]).
Nel lavoro Dell'elemento germ. tiella lingua ital. del Salvioni (Rendic. d. Ist.
Lomb., s. II, V. XLIX) spesso sono distinte le parole roveretane dalle tren-
tine, ma son date come trentine bdjz (p. 1017), era (p. 1018), pòtto